Dott.ssa Maria Teresa Mazza

1. Quadro generale

E’ una delle questioni emotive più rilevanti e controverse che le coppie devono affrontare quando stanno vivendo una separazione o un divorzio: decidere le sorti della casa di famiglia.

La casa di famiglia è lo spazio fisico carico di emozioni ed affettività che simboleggiano l’unione della coppia; è lo specchio dell’unione coniugale, il centro di progetti di vita da condividere. Lasciare o vendere la casa di famiglia è sempre doloroso soprattutto se vengono coinvolti i figli.

Sotto il profilo giuridico non vi è mai un approccio unico quando si tratta di decidere le sorti dell’abitazione vissuta dal nucleo familiare; diventa essenziale una consulenza legale personalizzata.

Spesso le soluzioni non sono semplici:

  • alcuni coniugi decidono di continuare a vivere nella stessa casa di cui si è comproprietari durante la fase di separazione o immediatamente dopo per ammortizzare le spese sopravvenute o ammorbidire il colpo subìto dai figli minori;
  • in altri casi la quota dell’altro coniuge comproprietario viene “rilevata” dalla controparte; ma ciò richiede una disponibilità economica o un accordo.
  • In altre ipotesi si procede altresì alla vendita dell’immobile familiare prima o dopo la causa di separazione/divorzio; ma ciò richiede delle soluzioni locative per gli ex coniugi ed eventualmente per i figli minori o economicamente non autosufficienti.

Ad ogni modo se i coniugi in sede di separazione raggiungono un accordo circa la casa coniugale, l’assegnazione può essere liberamente decisa.

E’ fondamentale intanto precisare alcune nozioni:

  1. cosa s’intende per casa familiare. E’ l’abitazione in cui la famiglia è vissuta in modo stabile e continuo. L’art. 144 c.c. stabilisce che” i coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa”, prevedendo un accordo tra loro per “l’indirizzo della vita familiare”
  2. cosa s’intende per “indirizzo”. E’ un insieme di regole e di condizioni di vita comune che i coniugi assumono di comune accordo e che entrambi sono tenuti ad attuare. L’indirizzo della vita familiare riguarda anche il luogo in cui i coniugi vivranno; è inteso come habitat naturale entro cui si svolgerà la vita familiare; il locus amoenus indispensabile per la crescita serena dei figli. Da tale definizione sono escluse le seconde case di proprietà ovvero quegli immobili di cui i coniugi ne godano la proprietà o la disponibilità in modo esclusivo.

L’inquadramento normativo generale è costituito da/dalla:

  • gli artt. 3, 29 e 30 della Cost.,
  • L. n. 898/1970 sul divorzio,
  • L. n. 151/1975 di riforma del diritto di Famiglia,precedente riforma dell’affido condiviso di cui alla L. n. 54/2006,
  • d.lgs. n. 154/20131, che ha semplificato ed uniformato la disciplina della separazione, divorzio o cessazione di coabitazione nell’ambito dell’ambito della famiglia di fatto.

Vediamo “nello specifico” i concetti più importanti da attenzionare:

2. L’assegnazione della casa familiare

è stata oggetto di rivisitazione con l’entrata in vigore della L. N.54/2006, che ha semplificato ed uniformato la disciplina in caso di separazione, divorzio o cessazione di coabitazione nell’ambito della famiglia di fatto.

Nel nostro ordinamento italiano l’art. 337 sexies[1] c.c., introdotto dalla riforma del D. lgs. 154/2013 e la L. 898/70 stabiliscono che la casa familiare è di preferenza assegnata al genitore collocatario della prole fino a che i figli sono minorenni o non economicamente autosufficienti, tenendo prioritariamente conto dell’interesse di quest’ultimi.

Ciò significa che la decisione su chi potrà continuare ad abitare nella casa di famiglia viene presa mettendo al “centro” il benessere e la stabilità dei figli minori o, equiparati ai minori, quelli non autosufficienti.

La finalità della presente normativa è indubbiamente tutelare il diritto dei figli a conservare il proprio habitat domestico e la propria routine; ribadire, quindi, che l’assegnazione della casa non è intesa a favorire il partner economicamente più debole, bensì a salvaguardare i minori. Il giudice, tuttavia, dovrà tener conto dell’assegnazione della casa familiare nel determinare le condizioni economiche della separazione/divorzio definendo il quantum dell’assegno di mantenimento[2] .

1 l’art. 337- sexies c.c., introdotto dalla riforma del D.lgs. N.154/2013 entrata in vigore nel 2014: il legislatore ha riordinato tutta la materia dei rapporti tra genitori e figli, abrogando gli artt. 155 e ss. del Codice civile e spostando tutto all’interno di una nuova sezione del Codice Civile, dal 337-bis a 337-octies; stabilisce che la casa familiare è di preferenza assegnata al genitore collocatario della prole fino a che i figli sono minorenni o non economicamente autosufficienti, tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli.

2 Non si può sottacere che ciò determina un depauperamento delle possibilità economiche del coniuge/partner spogliato dell’immobile che dovrà sostenere un nuovo canone di locazione oppure l’acquisto di una nuova casa e dei nuovi arredi.

Anche in caso di comproprietà della casa di famiglia il giudice dovrà tener conto dell’assegnazione di essa, in quanto uno dei genitori comproprietario continuerà ad abitarvi con i figli, mentre l’altro verrà spossessato del suo godimento.

Sull’argomento è importante ricordare:

  • la sentenza n. 454/89 della Corte Costituzionale che ha:
    • tutelato da un lato l’interesse dei figli a continuare a vivere nella stessa casa familiare, centro della loro vita e dei loro affetti, per garantire loro un equilibrio psichico;
    • specificato che non si dà luogo ad un nuovo titolo di godimento dell’immobile, ma se ne concentrano gli effetti sul coniuge affidatario;
    • enfatizzato l’assegnazione della casa familiare che tutela gli interessi dei membri della famiglia, in particolare dei figli minorenni per garantire loro continuità e stabilità nell’ambiente domestico.
  • le ultime sentenze della Cassazione (ordinanza n. 32151 del 20 novembre 2023 – sent. n.7776/2016) che ribadiscono che il provvedimento è principalmente finalizzato a tutelare l’interesse dei figli mantenendo un ambiente domestico stabile, in special modo se minori o non, economicamente autosufficienti e protettivo;
  • la recente ordinanza (Cass. Civ.. n. 16691/2024) con cui è stato ribadito che l’assegnazione della casa comprende gli arredi presenti, proprio per garantire ai figli stabilità e continuità nel loro ambiente domestico.

La regola generale, in sintesi, vuole che la casa familiare sia assegnata al genitore collocatario dei figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti. Come si diceva, la finalità dell’assegnazione è la tutela dei figli: la loro presenza è condizione necessaria affinché il giudice emani un provvedimento per l’attribuzione della casa.

3. il diritto di abitazione

Al concetto di “assegnazione della casa familiare” si lega il concetto di “diritto di abitazione”. In presenza di una coppia sposata o semplicemente convivente, il giudice può assegnare il cosiddetto diritto di abitazione in quella che prima era la dimora familiare al genitore collocatario dei figli per assicurare loro che possano continuare a vivere nello stesso ambiente domestico in cui erano cresciuti. Il diritto di abitazione è riconosciuto pertanto non solo in presenza di un matrimonio, ma anche di una convivenza di fatto; ciò conferisce maggiore significato giuridico al concetto di casa familiare piuttosto che di casa coniugale.

4. Il concetto di godimento provvisorio.

Nell’assegnare l’immobile il giudice concede al genitore collocatario un godimento provvisorio nell’interesse dei figli che non va a pregiudicare il diritto di proprietà o altro diritto reale o personale dell’altro spogliato del bene. Trattasi di un diritto personale di godimento provvisorio, suscettibile di trascrizione nei registri della Conservatoria, al fine di renderlo opponibile a terzi in caso di un’eventuale compravendita.

5. Il concetto di assegnazione parziale.

Quando la situazione lo permette il giudice può disporre la divisione dell’immobile con assegnazione parziale di esso, come nel caso in cui la casa abbia un’estensione tale da realizzare due unità abitative con ingressi autonomi. Tale scelta potrebbe essere adottata nel realizzare l’interesse primario di tutela della prole, garantendo in tal modo continuità degli affetti e dei rapporti tra genitori e figli, significativi, costanti e duraturi. In tema di assegnazione della casa familiare, anche qualora il giudice decida, previa valutazione del miglior interesse dei figli, di assegnare solo una porzione (o una singola unità abitativa), il potere di imporre limiti al diritto dominicale si esercita pur sempre nell’ambito dato dall’art. 337 sexies c.c., trattandosi di un provvedimento in favore del genitore convivente con i figli e nell’interesse di costoro. In siffatti casi, la restante porzione della casa familiare, cioè quella non assegnata, resta regolata dal titolo di proprietà o da eventuali diritti reali o di godimento sulla stessa, e non dal provvedimento del giudice del divorzio, che può incidere sui diritti dominicali solo in quanto vi sia un interesse del figlio minore o maggiorenne non economicamente autosufficiente da tutelare.

Nessun provvedimento di assegnazione di porzioni di casa familiare, ovvero di altre unità immobiliari che non costituiscono habitat dei figli, può rendersi in favore del genitore non convivente con la prole; restando estranea, nella fattispecie, ogni valutazione relativa alla ponderazione degli interessi di natura solo economica o abitativa dei genitori. (Corte Cass. Ordinanza n.122249 del 09/05/2025).

Il diritto di abitazione nella casa familiare ha, dunque, carattere provvisorio: permane fintanto che ne sussistano i presupposti, vale a dire fino a che persista la convivenza tra il genitore collocatario ed i figli minori o non economicamente autosufficienti. Come già accennato, gli effetti del godimento della casa assegnata da parte del genitore collocatario hanno durata provvisoria che vengono meno per il sopraggiungere di determinate circostanze.

6. A fattor comune, più in particolare:

  • Il diritto di godimento della casa familiare cessa con il raggiungimento della maggiore età dei figli o finché non abbiano conseguito un’autonomia economica o siano fuoriusciti dal nucleo familiare originario o, sebbene non autonomi, perdano il diritto di mantenimento;
  • il figlio, secondo la Cassazione, perde il diritto agli alimenti quando raggiunge un’autonomia economica (contratto part time o a tempo determinato che abbia una lunga durata), se maggiorenne non studia o non si preoccupa di cercare lavoro, rinuncia ad offerte di lavoro, benché ancora disoccupato, superi i 30/35 anni e lo stato di disoccupazione dipenda da un suo comportamento colpevole o inerte;
  • il diritto all’assegnazione della casa viene meno altresì nel caso in cui il genitore affidatario contragga nuove nozze, si trasferisca altrove o in caso di convivenza more uxorio o non vi viva stabilmente. Il sopraggiungere di tali eventi permette all’altro genitore non affidatario di chiedere al giudice la revoca dell’assegnazione della casa di famiglia con conseguente cessazione del diritto di abitazione; il provvedimento di revoca non ha effetto automatico: dovrà essere l’altro genitore a rivolgersi al giudice e a far rilevare il venir meno del diritto di assegnazione della casa;
  • in assenza di figli, non esiste il diritto soggettivo all’assegnazione della casa familiare per il coniuge non proprietario. L’art. 337 sexies c.c. non prevede tale ipotesi e generalmente il coniuge proprietario mantiene il godimento dell’immobile oppure la casa in comproprietà va divisa secondo le quote. Pertanto, non essendoci figli da tutelare, la casa segue la proprietà o altro diritto di godimento (locazione, usufrutto, etc.);
  • eccezionalmente il giudice può provvedere all’assegnazione della casa al coniuge che versa in grave stato di salute o per ragioni di carattere umanitario. Sono previsti, altresì, accordi di separazione tra i coniugi che contemplano l’uso abitativo della casa familiare; ma ciò ha natura contrattuale tra le parti e non è un diritto soggettivo riconosciuto dalla legge.

7. La nuova legge sul divorzio, introdotta dalla “Riforma Cartabia”, non ha modificato in modo sostanziale le regole sull’assegnazione della casa familiare, che continua ad essere legata principalmente alla tutela dei figli minori o non autosufficienti.

In caso di separazione o divorzio, la casa familiare viene assegnata al genitore con cui i figli convivono, anche se l’immobile è di proprietà dell’altro coniuge.

Questo criterio è prioritario, soprattutto se l’assegnazione è necessaria per garantire la continuità dell’ambiente familiare e il benessere dei figli.

Vediamo, in tale ambito, quali sono i criteri principali per l’assegnazione della casa coniugale:

  • presenza di figli: Il criterio fondamentale è la tutela dei figli, minorenni o maggiorenni non autosufficienti, che vengono collocati presso uno dei genitori;
  • continuità dell’ambiente domestico per interessi del minore: L’assegnazione mira a garantire la continuità dell’ambiente domestico e il benessere dei figli, mantenendo il loro habitat e i loro affetti;
  • proprietà dell’immobile: Anche se l’immobile è di proprietà di uno solo dei coniugi, la casa può essere assegnata al genitore collocatario dei figli.
  • Analisi comparativa ordinativa europea.

Se effettuiamo un’analisi comparativa a livello europeo si nota che anche nei principali ordinamenti europei, l’assegnazione della casa familiare costituisce una questione di rilevante interesse giuridico nell’ambito delle procedure di separazione personale o di divorzio.

Ordinamento tedesco: la regolamentazione del diritto di abitazione della casa familiare è strettamente connessa con il regime patrimoniale adottato dai coniugi. In generale i coniugi osservano il regime legale della Zugewinngemeinschaft, ossia il regime residuale degli incrementi patrimoniali: tale regime non comporta una immediata comunione dei beni, ma solo una compensazione degli incrementi economici dei coniugi avvenuti in costanza di matrimonio. In tale contesto la casa familiare resta di proprietà del coniuge/partner che l’ha acquistata, mentre la sua assegnazione o trasferimento può avvenire solo in caso di liquidazione del patrimonio comune o in presenza di un previo accordo contrattuale tra le parti. In caso di regime di separazione dei beni, ciascuno conserva la proprietà dei beni intestati e conseguentemente la casa adibita ad abitazione familiare resta di proprietà del partner che ha provveduto al suo acquisto. Nel regime di comunione universale dei beni, invece, che implica una co-proprietà di tutti i beni patrimoniali, vi è una divisione egualitaria anche dell’immobile abitativo.

Ordinamento francese: vi è una maggiore tutela degli interessi della prole a continuare a vivere nel proprio habitat familiare e delle esigenze abitative del coniuge. L’art.1751 Code Civil[4] riconosce ad entrambi i coniugi la titolarità congiunta dei contratti di locazione riguardanti la casa familiare. La decisione sull’assegnazione dell’immobile della famiglia è rimessa alla valutazione del giudice che disciplinerà i rapporti personali ne patrimoniali della separazione /divorzio. L’art. 267 c.c. consente al giudice di attribuire il diritto di abitazione dell’immobile in via preferenziale ad uno dei partners, tenuto conto degli interessi familiari e delle esigenze della prole e della situazione economica dei genitori. In caso di comproprietà il giudice può provvedere all’assegnazione statuendo un congruo conguaglio ovvero la vendita coattiva con ripartizione del ricavato. Qualora la casa sia di proprietà esclusiva di uno solo dei coniugi, l’immobile può essere assegnato ad uso abitativo all’altro coniuge per un periodo limitato con il pagamento di un’eventuale indennità. Di rilievo è poi l’attribution preferentielle, che consente al coniuge affidatario dei figli  minori, o in condizioni di particolare vulnerabilità, di ottenere la titolarità esclusiva o l’uso privilegiato della casa familiare garantendo una maggiore tutela alla continuità abitativa ed alla stabilità della prole dopo la separazione.


[1] l’art. 337- sexies c.c., introdotto dalla riforma del D.lgs. N.154/2013 entrata in vigore nel 2014: il legislatore ha riordinato tutta la materia dei rapporti tra genitori e figli, abrogando gli artt. 155 e ss. del Codice civile e spostando tutto all’interno di una nuova sezione del Codice Civile, dal 337-bis a 337-octies; stabilisce che la casa familiare è di preferenza assegnata al genitore collocatario della prole fino a che i figli sono minorenni o non economicamente autosufficienti, tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli.

[2] Non si può sottacere che ciò determina un depauperamento delle possibilità economiche del coniuge/partner spogliato dell’immobile che dovrà sostenere un nuovo canone di locazione oppure l’acquisto di una nuova casa e dei nuovi arredi.

[3] Bürgerliches Gesetzbuch (BGB), artt. relativi a Zugewinngemeinschaft.

[4] Code Civil francese, artt. 1751, 267.

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