A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA: ESSERE MADRE DI UN MINORE IN TENERA ETÀ NON CONSENTE AL GIUDICE DI UNO STATO MEMBRO DI RIFIUTARNE LA CONSEGNA IN ESECUZIONE DI UN MANDATO D’ARRESTO EUROPEO (CGUE 21 DICEMBRE 2023, C-261/22).

Autore: Avv. Teresa Aloi

 

La Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza emessa il 21 dicembre 2023, si è pronunciata sul tema dei motivi che possono consentire al giudice di uno Stato membro dell’Unione europea di rifiutare la richiesta di consegna di un persona ricercata quando questa sia madre di un minore di età inferiore di tre anni con lei convivente. La sentenza ha come protagonista una donna condannata in Belgio a cinque anni di reclusione per reati di tratta di esseri umani ed agevolazione dell’immigrazione clandestina commessi in Belgio tra il 2016 ed il 2017.

A seguito di tale condanna il giudice belga emette nei confronti della donna, un mandato di arresto europeo (MAE) al fine di procedere all’esecuzione della pena. Alcuni mesi dopo la condanna, la donna, incinta, viene arrestata in Italia, a Bologna, in compagnia di suo figlio di quasi tre anni, nato in Italia e con lei convivente.

Il giudice italiano, competente per l’esecuzione del MAE chiede alle autorità giudiziarie belga di fornire informazioni relative ad alcuni aspetti inerenti l’esecuzione della pena. In primo luogo, quali siano le modalità di esecuzione previste dall’ordinamento belga, in secondo luogo, quale sia il trattamento carcerario al quale la donna sarebbe sottoposta in caso di consegna, in terzo luogo, quali misure sarebbero state adottate nei confronti del minore ed infine, la sussistenza della possibilità di rinnovazione del giudizio conclusosi con la pronuncia di una condanna emessa in assenza dell’imputata.

Con una nota del 5 ottobre 2021, l’Ufficio del Procuratore del Re di Anversa comunica alle autorità italiane (Corte d’Appello di Bologna) che le risposte ai quesiti formulati sono di competenza del Servizio pubblico federale per la giustizia che, tuttavia, non fornisce alcuna risposta in merito. Di conseguenza, con sentenza del 15 ottobre 2021, la Corte d’Appello di Bologna rifiuta la consegna della donna alle autorità giudiziarie belga e ne dispone l’immediata rimessione in libertà. Secondo la Corte, infatti, in mancanza di risposta ai quesiti formulati non vi sarebbe stata alcuna certezza che l’ordinamento dello Stato membro emittente il mandato d’arresto riconoscesse modalità di detenzione assimilabili a quelle dello Stato membro dell’esecuzione che tutelassero il diritto della madre a non essere privata del suo rapporto con i figli e che assicurassero a questi ultimi la necessaria assistenza garantita, sia dalla Costituzione italiana, sia dall’art. 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo che dall’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

La Corte di Cassazione italiana, investita della questione a seguito di ricorso avverso la sentenza, proposto dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello e dalla stessa donna arrestata, constata che la disposizione della legge 69/2005 che prevedeva espressamente, come motivo di rifiuto dell’esecuzione di un mandato d’arresto europeo, l’ipotesi in cui la persona oggetto di tale provvedimento fosse una donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, è stata abrogata dal D. Lgs. 10/2021 al fine di allineare la legislazione italiana alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, la quale non include tale ipotesi tra i motivi di non esecuzione obbligatoria o facoltativa del mandato d’arresto europeo. Tale giudice di legittimità, tuttavia, ritiene che, se l’ordinamento giuridico dello Stato membro emittente il provvedimento non prevede misure di tutela del diritto dei minori a non essere privati della madre che siano comparabili a quelle previste dal diritto italiano, la consegna di quest’ultima comporterebbe una violazione dei diritti fondamentali tutelati sia dall’ordinamento italiano che dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CEDU).

Il mandato di arresto europeo rientra tra le materie oggetto di un’armonizzazione legislativa completa.

In tali circostanze la Corte di Cassazione italiana si chiede se la decisione quadro 2002/584/GAI vieti all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di rifiutare l’esecuzione del mandato d’arresto di cui è oggetto una madre di minori in tenera età, quando la consegna di quest’ultima si porrebbe in conflitto con il suo diritto al rispetto della vita privata e familiare, ma anche con l’interesse superiore dei suoi figli minorenni. In caso affermativo, essa si interroga sulla compatibilità di tale decisione quadro con l’art. 7 e con l’art. 24, paragrafo 3, della Carta, letti alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo avente ad oggetto l’interpretazione dell’art. 8 della CEDU.

In tale contesto la Corte decide di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione europea una serie di questioni pregiudiziali in ordine alla possibilità che il giudice italiano possa rifiutare l’esecuzione di un mandato d’arresto in un’ipotesi di questo tipo non espressamente prevista nella decisione quadro sul MAE tra i motivi di non esecuzione di un mandato. Essa, in via preliminare, chiede che il rinvio pregiudiziale venga trattato con il procedimento accelerato di cui all’art. 105 del regolamento di procedura della Corte europea. Tale richiesta trova fondamento, secondo la Corte di Cassazione, nella considerazione che il procedimento principale incide sui diritti fondamentali di una donna incinta e del figlio minore in tenera età e che, pertanto, è necessario porre fine nel più breve tempo possibile all’incertezza che persiste riguardo la futura custodia del minore. Inoltre, le questioni formulate solleverebbero problemi comuni ad un gran numero di cause pendenti dinnanzi agli organi giurisdizionali degli Stati membri che dovrebbero essere trattate con la massima urgenza.

La Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza in commento, in via preliminare, respinge la richiesta di procedimento accelerato ritenendo che non sussistano ragioni tali da determinare un’urgenza straordinaria e considerando che la donna ha beneficiato di un’immediata rimessione in libertà in esecuzione della sentenza pronunciata dalla Corte d’Appello di Bologna il 15 ottobre 2021, per cui non sussistono rischi riguardo la custodia dei figli durante il trattamento del presente rinvio pregiudiziale.

Sulla questione sollevata la Corte di Giustizia europea ricorda, in via principale, che tanto il principio di fiducia reciproca tra gli Stati membri, quanto il principio di riconoscimento reciproco, che si fonda a sua volta sulla fiducia reciproca tra quest’ultimi, rivestono un’importanza fondamentale nel diritto dell’Unione europea, dato che consentono la creazione ed il mantenimento di uno spazio senza frontiere interne. Più specificatamente, il principio di fiducia reciproca impone a ciascuno Stato membro, per quanto riguarda lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, di ritenere che, salvo circostanze eccezionali, tutti gli altri Stati membri rispettano il diritto dell’Unione ed in particolare, i diritti fondamentali da esso riconosciuti. Pertanto, quando attua il diritto dell’Unione ciascuno Stato membro è tenuto a presumere il rispetto dei diritti fondamentali da parte di tutti gli altri Stati membri.

In tale contesto la decisione quadro 2002/548/GAI è diretta, attraverso l’istituzione di un sistema semplificato ed efficace di consegna delle persone condannate o sospettate di aver violato la legge penale, a facilitare e ad accelerare la cooperazione giudiziaria, al fine di contribuire a realizzare l’obiettivo assegnato all’Unione di diventare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia fondandosi sull’elevato livello di fiducia che deve esistere tra tutti gli Stati membri. Il principio del riconoscimento reciproco, che costituisce il fondamento della cooperazione giudiziaria in materia penale, trova espressione nell’art. 1, paragrafo 32, della decisione quadro la quale sancisce la regola secondo cui gli Stati membri sono tenuti a dare esecuzione a qualsiasi MAE in base a tale principio ed in conformità alle disposizioni di detta decisione quadro. Di conseguenza, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire un mandato di arresto solo per motivi fondati sulla decisione quadro, sul presupposto che l’esecuzione del mandato costituisce il principio mentre il rifiuto è concepito come un’eccezione che deve essere interpretata restrittivamente. Tale decisione quadro non prevede che il giudice competente per l’esecuzione possa rifiutare di eseguire un mandato d’arresto europeo per il solo fatto che la persona destinataria di tale provvedimento sia madre di minori in tenera età con lei conviventi. Tenuto conto del principio di fiducia reciproca tra gli Stati membri, sussiste, infatti, una presunzione secondo la quale le condizioni di detenzione di una madre di minori e l’organizzazione della loro cura nello Stato membro emittente il mandato siano adeguate a tale situazione a prescindere dal fatto che ciò avvenga in ambiente carcerario oppure nell’ambito di modalità alternative. Le autorità che devono dare esecuzione al mandato d’arresto, infatti, sono tenute, dapprima, a riconoscere il provvedimento emesso dallo Stato richiedente e, in secondo luogo, a darvi esecuzione attraverso la consegna, senza opporre formalità aggiuntive, né operare un sindacato di merito. Ciò implica, tra l’altro, la presunzione che l’autorità di emissione abbia garantito un adeguato grado di tutela dei diritti fondamentali del soggetto coinvolto.

Ne deriva una forte assunzione di responsabilità in capo all’autorità richiedente, tenuta a valutare l’opportunità di emissione di un mandato d’arresto.

Dall’art. 1, paragrafo 3, della decisione quadro 2002/584/GAI risulta che quest’ultima non può avere l’effetto di modificare l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali garantiti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. In tal senso, l’art. 7 della Carta sancisce il diritto di ogni persona al rispetto della sua vita privata e familiare e l’art. 24, paragrafo 2, della Carta stabilisce che, in tutti gli atti relativi ai minori, da chiunque compiuti, l’interesse superiore del minore deve essere considerato preminente. Tale ultima norma si applica anche a decisioni, quale può essere un mandato di arresto europeo emesso nei confronti di una madre di figli minori in tenera età, che non hanno come destinatari tali minori, ma comportano conseguenze importanti per quest’ultimi. La possibilità per un genitore ed il figlio di stare insieme rappresenta un elemento fondamentale della vita familiare che trova espressione nel diritto di ogni minore di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i genitori, salvo quando ciò sia contrario al suo interesse, sancito all’art. 24, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

La Carta dei diritti fondamentali UE contiene gli ideali su cui si fonda l’Unione europea: valori universali di dignità umana, libertà, uguaglianza e solidarietà che hanno creato una zona di libertà, sicurezza e giustizia per i cittadini basata sulla democrazia e sullo stato di diritto.

Benchè sia compito primario di ciascuno Stato membro, al fine di assicurare la piena applicazione dei principi di fiducia e riconoscimento reciproci che sono alla base del meccanismo del MAE, garantire la salvaguardia dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta, astenendosi da qualsiasi misura che possa pregiudicarli, l’esistenza di un rischio reale che la persona destinataria di un mandato d’arresto o i suoi figli minori subiscono, in caso di consegna di tale persona all’autorità giudiziaria emittente, una violazione di tali diritti può, tuttavia, consentire all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di astenersi, in via eccezionale, dal dare seguito a tale mandato. La valutazione del rischio deve essere effettuata dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione che, in assenza di certezza quanto all’esistenza, nello Stato membro emittente, di condizioni analoghe a quelle in esso presenti per quanto riguarda la detenzione di madri di minori e la cura di quest’ultimi, può rifiutare la consegna della donna.

L’autorità giudiziaria competente dell’esecuzione del mandato d’arresto deve, pertanto, nell’ambito di una prima fase, determinare se esistano elementi oggettivi diretti a dimostrare l’esistenza di un rischio reale di violazione, nello Stato membro emittente, dei diritti fondamentali. Nell’ambito di una seconda fase, essa deve verificare, in modo concreto e preciso, in quale misura le carenze identificate nella prima fase della valutazione possano incidere sulle condizioni di detenzione della persona oggetto di un MAE o di cura dei suoi figli minori e se sussistano motivi gravi e comprovati di ritenere che tali individui corrano un rischio concreto di violazione dei diritti fondamentali. L’autorità giudiziaria emittente, dal canto suo, è tenuta, pena la violazione del principio di leale cooperazione, a fornire all’autorità di esecuzione le informazioni richieste. Proprio al fine di garantire che il funzionamento del mandato d’arresto europeo non sia paralizzato, l’obbligo di leale cooperazione sancito all’art. 4, paragrafo 3, primo comma, TUE, deve, infatti, essere alla base del dialogo tra le autorità giudiziarie, emittente e dell’esecuzione.

Nell’ipotesi in cui l’autorità giudiziaria dell’esecuzione ritenga, alla luce di tutti gli elementi di cui dispone, compresa l’eventuale assenza di informazioni circa le garanzie fornite dall’autorità giudiziaria emittente, che sussista il rischio concreto di violazione dei diritti fondamentali deve astenersi dal dare seguito al mandato d’arresto.

Nel caso contrario, l’autorità giudiziaria procederà all’esecuzione secondo quanto disposto dall’art. 1, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584/GAI.

Riguardo alla possibilità di rinviare la consegna del soggetto destinatario del mandato d’arresto, questa può avvenire solo in via temporanea, a titolo eccezionale e per gravi motivi umanitari.

Alla luce di quanto esposto, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, pertanto, ha ritenuto che il giudice dell’esecuzione non può rifiutarsi di dare esecuzione al MAE per il solo motivo che la persona ricercata sia la madre di minori in tenera età con lei conviventi a meno che non disponga di elementi atti a dimostrare la sussistenza di un rischio circa la violazione dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali e delle garanzie costituzionali.

A pochi giorni dalla sentenza della Corte di Giustizia europea, percorrendo la stessa via interpretativa, la Corte di Cassazione italiana si è pronunciata sul tema del rifiuto di consegnare una donna destinataria di un mandato d’arresto europeo, madre di figlio minore di età inferiore a tre anni allo Stato emittente il provvedimento (Cass. Pen., sez. VI, del 28 dicembre 2023, n. 51798).

In particolare, la Corte di Cassazione ricorda precedenti sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE del 5 aprile 2016 in cause riunite C-404/15 e C-659/15 Procedimento Pregiudiziale d’Urgenza) che hanno introdotto nel diritto dell’Unione meccanismi che consentono di assicurare la tutela dei diritti fondamentali delle persone interessate da un mandato d’arresto europeo, nel quadro di un sistema di regole comuni vincolanti per tutti gli Stati membri. Di conseguenza, spetta solo alla Corte di Giustizia UE stabilire se introdurre nuovi casi di rifiuto rispetto a quelli indicati nella decisione quadro in cui lo Stato di esecuzione possa richiedere informazioni allo Stato di emissione e, nel caso di risposte non adeguate, di rifiutare la consegna della persona ricercata. Al riguardo, la Corte di Giustizia ha avuto modo di puntualizzare che il primato del diritto dell’Unione e la sua effettività precludono agli Stati membri l’introduzione ex novo di motivi ostativi dell’esecuzione o l’estensione della portata operativa di quelle esistenti. La Corte ricorda che il D. Lgs 10/2021 ha operato una generalizzata soppressione di tutte le disposizioni interne difformi dalla disciplina europea al fine di adeguare la normativa nazionale alle disposizioni della decisione quadro. Il nuovo testo dell’art. 18 non prevede più alcun motivo di rifiuto della consegna nel caso in cui la persona oggetto di MAE risulti essere madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente. La soppressione di tale motivo di rifiuto si giustifica sulla base della presunzione che negli Stati membri dell’Unione europea la tutela delle madri di figli in tenera età è assicurata nei sistemi processuali - penali in modo coerente ai principi di diritto affermati anche dalle convenzioni europee.

Il rispetto dei diritti dei minori è considerato come l’interesse superiore e preminente da tutelare non solo quando si tratta di minori imputati o indagati nei procedimenti penali ma anche quando si tratta di minori figli di una donna di cui è stata chiesta la consegna. Tale rispetto costituisce il fondamento dell’emissione del mandato d’arresto europeo ed è onere della parte allegare elementi concreti di valutazione che possano suffragarne la violazione da parte dell’ordinamento dello Stato emittente, che non può essere perciò dedotta in modo soltanto ipotetico ed astratto. E’ la parte, infatti, che ha l’onere di indicare fonti attendibili, specifiche ed aggiornate che dimostrino che nello Stato richiedente vi siano carenze strutturali che non consentono di tutelare i diritti del minore e solo se tali carenze risultino dimostrate si giustifica il rifiuto della consegna che, si sottolinea, costituisce sempre un’eccezione, da interpretare restrittivamente, al principio di leale cooperazione tra gli Stati membri dell’Unione europea.

Nell’arco di quasi un ventennio dall’entrata in vigore della legge di trasposizione della decisione quadro sul mandato d’arresto europeo (Legge 22 aprile 2005, n. 69), la giurisprudenza di legittimità  italiana ha avuto numerose occasioni di confrontarsi con le disposizioni inerenti ai motivi di rifiuto della consegna della persona ricercata. Si registra, infatti, la tendenza della Corte di Cassazione a ricondurre, attraverso il ricorso ad un’interpretazione logico-sistematica, nell’alveo del diritto europeo le disposizioni maggiormente distanti dallo spirito del principio del reciproco riconoscimento.

L’esperienza del recepimento della decisione quadro sul mandato d’arresto costituisce un importante banco di prova per l’ordinamento italiano nel suo complesso, in ordine al contributo alla realizzazione dello spazio giudiziario europeo. Sotto questo profilo, la Corte di Cassazione ha accolto con puntualità  il proprio ruolo di interprete qualificato del diritto nazionale nel quadro delle fonti europee. La Corte di Giustizia europea ha da tempo ed in più occasioni sottolineato il ruolo di primo piano che ogni autorità giurisdizionale è chiamata a svolgere nell’atto di interpretare il diritto nazionale in senso conforme al diritto dell’Unione.

Avv. Teresa Aloi,  Foro di Catanzaro.