A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

LA CONFIGURAZIONE DELLA PACE E DELLA SICUREZZA NELL’ORDINAMENTO EUROPEO, ALLA PROVA DEI FATTI RECENTI.

Autore: Prof. Claudio De Rose, Direttore responsabile e coordinatore scientifico

 

Negli ultimi tempi si va diffondendo un certo scetticismo nei riguardi dell’Europa unita e della sua capacità di garantire la pace e la sicurezza nei rapporti esterni. In particolare serpeggiano dubbi nei riguardi della capacità della UE di fronteggiare le crisi politiche ed economiche globali e di assumere una posizione responsabile nei confronti dei venti di guerra che soffiano ai suoi confini (conflitto russo-ucraino e conflitto tra Israele e Palestina). Nello stesso contesto si pongono dubbi sulla permanenza dell’attitudine dell’Europa a garantire le condizioni per una proficua politica estera e di sicurezza comune (PESC), e cioè il mantenimento delle condizioni di sicurezza atte a prevenire i conflitti armati ed i contrasti nei rapporti socio-economici al di fuori dei suoi confini. Con riferimento a tali tematiche, si pone innanzitutto la necessità di una ricognizione dei principi su cui si basa l’Unione e su quanto è sin qui derivato dalla loro applicazione, quanto sta ancora derivando e quanto ci si può ragionevolmente aspettare che derivi nei frangenti attuali.

Di necessità, la ricognizione deve prendere le mosse dell’art.3 del TUE (Trattato sull’Unione Europa), secondo il quale “l’Unione si prefigge di promuovere la pace e i suoi valori e il benessere dei suoi popoli”. Questa norma è basilare perché esclude a priori l’idea stessa di conflitti armati tra i popoli europei e perché, in virtù della sua applicazione, la pacifica convivenza tra gli Stati membri dell’Unione, è uno status-quo acquisito e indiscutibile, concretandosi, così, in una realtà che, fino alla metà del ventesimo secolo sarebbe stato impossibile anche solo immaginare nei riguardi di un continente, che nei secoli è stato caratterizzato da guerre continue tra i popoli che lo occupano. Ed è alquanto significativo che detto status-quo è stato tacitamente riconosciuto, a tutti gli effetti, anche dalle nazioni europee che non fanno parte dell’Unione, Russia compresa. Così pure è importante rilevare che il ripudio della guerra, inteso come condizione sine qua non per l’appartenenza all’Unione, si è sin qui basato sull’accettazione, da parte degli Stati membri, dei loro cittadini e dei loro partiti, dei principi e dei diritti di ispirazione democratica nonché sull’impegno comune a gestire insieme i fattori del benessere economico, nel rispetto di una sana concorrenza.

Il che è in piena coerenza con i paragrafi 2 e 3 dello stesso art.3. In particolare, nel primo di essi si afferma che “l’Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere esterne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima”.

Le finalità del paragrafo 3.3 sono analiticamente indicate nel testo della norma, al quale si fa rinvio per coglierne i valori essenziali, di cui qui di seguito si fa una sommaria menzione: instaurazione di un mercato interno, sviluppo sostenibile, crescita economica equilibrata, stabilità dei prezzi, economia sociale di mercato fortemente competitiva, tutela e miglioramento della qualità dell’ambiente, promozione del progresso scientifico e tecnologico, parità di diritto e solidarietà tra le persone, coesione economica, sociale e territoriale e solidarietà tra gli Stati membri, rispetto della ricchezza della sua diversità culturale e linguistica, vigilanza sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo.

Un altro efficace strumento di pace interna, con effetti permanenti è rappresentato dall’Unione economica e monetaria con l’Euro quale sua moneta, come messo in evidenza nel contesto dell’art.3 dal suo paragrafo 4.

Il successivo paragrafo 3.5 regola, invece, l’affacciarsi della U.E. sul mondo esterno e lo fa in termini generali ed astratti, senza le puntualizzazioni di contenuto che, come si è visto, caratterizzano, invece, la strumentazione della pace e della sicurezza interna. L’art. 3.5 recita, infatti, come segue: “Nelle relazioni con il resto del mondo l’Unione afferma e promuove i suoi valori e interessi contribuendo alla protezione dei suoi cittadini. Contribuisce alla pace, allo sviluppo sostenibile della Terra, alla solidarietà e al rispetto reciproco tra i popoli, al commercio libero ed equo, all’eliminazione della povertà e alla tutela dei diritti umani, in particolare dei diritti del minore, e alla rigorosa osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale, in particolare al rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite”.

Nessun protagonismo, quindi, e nessuna posizione egemone, tanto più in presenza dei criteri e dei principi che regolano i rapporti tra l’Unione e i suoi Stati membri, contenuti negli articoli 4 e 5 del TUE e che di necessità si proiettano sui rapporti tra gli Stati membri e i loro cittadini, sui quali hanno un importante rilievo la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, alla quale l’Unione aderisce (art. 6 del TUE).

Quindi, dai sopracitati articoli 4 e 5, si evince che ai fini degli obiettivi di pace, l’Unione e i suoi Stati membri procedono verso l’esterno secondo linee coordinate, da definirsi nelle rispettive sedi di rappresentanza parlamentare.

Tuttavia, col dovuto realismo gli autori del TUE hanno prevista, sul versante della sicurezza, la necessità che, nella sua azione verso l’esterno, l’Unione abbia una propria politica estera e di sicurezza comune, che comprende anche importanti mezzi di difesa militare comune. Alla materia è dedicato, nel TUE, il Titolo V, contenente “Disposizioni generali sull’azione esterna dell’Unione e Disposizioni specifiche sulla politica estera e di sicurezza comune (PESC)”, che va dall’art. 21 all’articolo 46 e prevede anche un’Agenzia europea per la difesa (art.45). Il Titolo V prevede altresì che l’Unione rispetta gli obblighi di uno Stato membro che ritenga che la sua difesa comune si realizzi tramite l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico (NATO).

Coerentemente con tale sistema, all’art. 42.7 è stabilito che qualora uno Stato membro subisca un’aggressione armata sul suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi a loro disposizione, in conformità dell’art.51 della Carta delle Nazioni Unite.

Con riferimento al conflitto russo-ucraino e a quello tra Israele e Palestina, si pone la questione se nella politica della sicurezza e difesa comune rientri anche l’assistenza militare dell’Unione o dei suoi Stati membri ad uno o più Paesi terzi in conflitto tra di loro.

L’ipotesi non è espressamente prevista nelle norme citate e, sua volta, la sopra evidenziata dimensione pacifista dell’Unione porterebbe ad escludere che la stessa possa fornire aiuti o interventi militari ad uno dei Paesi in conflitto, mentre, per quel che concerne gli Stati membri il loro aiuto militare, come quello dell’Italia per l’Ucraina potrebbe essere giustificato solo col richiamo alla loro appartenenza alla Nato.

Sta di fatto, però, che la UE è intervenuta direttamente nel conflitto tra Russia e Ucraina, non solo censurando aspramente la Russia per l’aggressione e adottando nei suoi confronti, in proprio e attraverso gli Stati membri, sanzioni e restrizioni economiche ma anche elargendo all’Ucraina aiuti militari, oltre che economici ed umanitari.

Le novità di questo atteggiamento sono essenzialmente tre: una è l’intervento in sé perché è dubbio che nella PESC rientrino anche interventi in conflitti tra Stati terzi, a meno che non sussistano fondati timori di coinvolgimento della UE medesima o di un suo Stato membro. La seconda novità è l’adozione di misure economiche nei confronti di uno Stato non membro dell’Unione e la terza è l’intervento di tipo militare, attraverso la diretta fornitura di armi ad un Paese terzo.

Prescindendo dalle reazioni pro e contro che le tre novità hanno provocato sul piano politico, anche all’interno degli Stati membri, con riguardo ai riflessi possibili sulle future relazioni internazionali dell’Unione, va detto, da un punto di vista giuridico, che, con riferimento alla prima novità non può dirsi che l’intervento della UE nel conflitto russo-ucraino sia riconducibile alla sussistenza di una situazione di diretto pericolo per la UE medesima o di un suo Stato membro. A meno che non si voglia ritenere che valga, a questi effetti, lo status di nazione associata e poi di Stato aderente che l’Ucraina già aveva all’atto dell’invasione russa. Quanto alla seconda novità, costituita dall’adozione di misure restrittive nei confronti di uno Stato terzo qual è la Russia, l’aspetto saliente è rappresentato dal fatto che le misure stesse non hanno all’origine natura reattiva a misure contrarie agli interessi della UE o di un suo Stato membro, ma hanno, sostanzialmente natura punitiva e sanzionatoria. E’ difficile trovare un fondamento giuridico delle misure di questo tipo nelle norme sulla PESC, a meno di non volerle far rientrare tra i “mezzi civili” a cui la UE può far ricorso ai sensi dell’art. 42 paragrafo 1 del TUE.

Per quel che concerne la terza novità, e cioè la diretta fornitura di armi, essa non è più tale se si considera l’Ucraina alla pari di uno Stato membro, come sopra accennato. Altrimenti può farsi rientrare l’intervento nell’utilizzo di mezzi militari per motivi di sicurezza internazionale e per il mantenimento della pace ai sensi del citato art. 42.1 del TUE.

Va globalmente rilevato, comunque, che la guerra in Ucraina ha dato luogo a rilevanti decisioni della UE in materia di sicurezza e difesa comune, quali le decisioni PESC 2022/338 e 2022/339, per il cui fondamento giuridico e per la relativa analisi, unitamente alle prospettive future delle stesse e della coeva “Bussola strategica” adottata dai competenti organi della UE, si rinvia al prezioso scritto di Michele Vellano “La guerra in Ucraina e le conseguenti decisioni dell’Unione Europea in materia di sicurezza e difesa comune” in “Il diritto dell’Unione Europea” (https://www.dirittounioneeuropea.eu.index_html).

Nello scritto citato vengono poste in evidenza le difficoltà createsi in seno alla UE, agli effetti delle decisioni da prendere e dei comportamenti da tenere nel conflitto russo-ucraino a causa delle divergenze sussistenti in materia tra la UE e gli Stati membri e all’interno degli stessi.

Dette divergenze hanno avuto un ruolo ancor più rilevante nei riguardi dell’intervento della UE nel conflitto israelo-palestinese, incentrato nel territorio di Gaza. Un intervento mirato tanto alla condanna degli attentati terroristici quanto alla veicolazione degli aiuti umanitari, indispensabili nella tragica vicenda. Senza perdere di vista, naturalmente, l’intento principale della pacificazione dell’area. In tutti questi aspetti, però, come messo in evidenza da Ferdinando Nelli Feroci in ”L’Europa e il conflitto israelo-palestinese: dalla paralisi ad una prima ripresa di iniziativa diplomatica” (https://www.affariinternazionali.it>leuropa_e_il_conflitto-israelo-palestinese/) è mancata e tuttora manca un’unità di intenti tra i rappresentanti degli Stati membri sulle linee da seguire, anche a causa dei differenti orientamenti nei riguardi delle posizioni assunte dalle grandi potenze.

In definitiva, per quanto posto in evidenza sembra potersi dire che alla normativa in tema di difesa e sicurezza comune della UE mancano ancora gli strumenti adeguati ed una adeguata metodologia per pervenire a scelte e decisioni univoche e convergenti.

Va tuttavia soggiunto che le due recenti esperienze hanno comunque confermato che la PESC è intesa esclusivamente al fine di garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale.