A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

LEGISLAZIONE E GIURISDIZIONE IN MATERIA PENALE: LEGISLATORE-GIUDICE E GIUDICE-LEGISLATORE. LA “RISERVA ALLA LEGGE”

 Autore: Prof. Avv. Carlo Morselli

 

Sommario: 1. Legislazione e giurisdizione - 2. Giudice collegiale - 3. Art. 527, ultimo comma, II° periodo, c.p.p.: la “parità dei voti“. Il legislatore-giudice. - 4. Giudice-legislatore. La “riserva alla legge”.

 

1. Legislazione e giurisdizione 

Legislazione e giurisdizione, in materia penale, intrecciano il solido telaio del trattamento delle devianze punibili[1], nel piano astratto e previsionale - per l’utile deterrenza - e nel terreno della regola applicabile. Il secondo livello interviene per la necessaria repressione delle condotte vietate ed accertate (seguendo le norme del rito penale[2]) all’origine della responsabilità dichiarata, quando l’organo ius dicit. Dei due cennati poli concorrenti la sintesi è simboleggiata dalla sentenza emanata, intesa quale lex specialis, alla Kelsen che parla di «norma giuridica individuale»[3].

In questa costruzione a doppio livello, il secondo quadrante impegna la funzione del processo criminale quale rito che ricomprende il “giudizio” inteso (nei due sensi: vaglio e definizione della regiudicanda e) quale fase di quello ed innestata dalla vocatio in iudicium avente ad oggetto l’accusa penale   portata avanti dall’omonimo organo.

 

2. Giudice collegiale

Per il passaggio alla pronuncia sul fatto di reato, questa, quando proviene da un organo plurisoggettivo, richiede per le norme sulla giurisdizione un certo impegno regolativo - al pari di un “problema - e che attiene alla “decisione collegiale”,  resa in un regime che possiamo dire di “separatezza” rispetto al celebrato pubblico dibattimento. Infatti, «il problema del collegio giudiziario è…un problema concernente la decisione…quando, dopo la chiusura del dibattimento, i membri del collegio si trasferiscono in un altro luogo, che prende il norme tradizionale di camera di consiglio…per deliberare»[4].

Una disciplina ad hoc è, quindi, dettata per la deliberazione collegiale. Ancorché tale, non perde i suoi tratti singoli ed anzi, ad un certo punto, si sdoppiano. E così «ogni giudice per suo conto deve deliberare. Questo è…un atto rigorosamente individuale onde…una deliberazione singolare c’è anche quando decide il collegio giudiziario. Peraltro…restano da mettere insieme le deliberazioni individuali fondendole nella deliberazione collegiale. A tal fine ogni deliberazione singolare dev’essere…comunicata…Questa comunicazione prende il nome di voto»[5].

Sono tessere di una mosaico,  partizioni interne di un disegno decisorio.

 

3. Art. 527, ultimo comma, II° periodo, c.p.p.: la “ parità dei voti “. Il legislatore-giudice

Viene in rilievo, e massimamente, l’art. 527 c.p.p. sulla «Deliberazione collegiale» regolandone una sequenza, nella scansione tra deliberazione e votazione ed avuto riguardo al «le questioni di fatto e di diritto concernenti l'imputazione e…quelle relative all'applicazione delle pene e delle misure di sicurezza nonché quelle relative alla responsabilità civile» (comma 1, II periodo). La deliberazione assume i connotati di una scelta, simboleggiata dalla tecnica della votazione, espressione di uno “schieramento” tra affermazione della penale responsabilità dell’imputato e sua liberazione dall’accusa.

Spicca (ai nostri fini) la seguente disposizione finale, con funzione di clausola di chiusura, anticipata da una formula ad ampio raggio, apposta in esordio: «In ogni altro caso, qualora vi sia parità di voti, prevale la soluzione più favorevole all’imputato» (art. 527, ultimo comma, II° periodo, c.p.p.).

Il legislatore detta una “regola di prevalenza”, che diventa dirimente nel suo funzionamento interna corporis. Infatti, la parità di voti fotografa l’esito dell’accertamento penale, ma non la declaratoria della sentenza conclusiva del grado del giudizio, la quale utilizza, invece, quella regola. Si assiste alla sostituzione della decisione concreta con quella astratta e pianificata per il caso della votazione alla pari.

Il divario non è trascurabile: la legislazione occupa la giurisdizione e nella commistione si fa giurisdizione, campo tipicamente riservato ai giudici. L’ingerenza - che intacca il limite di discrezionalità del legislatore[6] - caratterizza una regola del tutto eccezionale.

Bisogna superare lo stallo decisorio: è questa l’esigenza del legislatore. L’accertamento probatorio non è stato risolutivo, potrebbe dirsi “inconcludente”, al riguardo.

Ora, un autore del passato tematizza la problematica nella «ingerenza della legge nel dare valore alle prove; dei limiti, che…la legge apponga alla libertà del giudice nell’apprezzamento delle stesse. Insomma è da rispondere alla domanda, chi debba giudicare il risultato delle prove: giudicherà la legge anticipatamente o giudicherà il magistrato a posteriori nel caso concreto? È da stabilire se debba valere il giudizio aprioristico e prestabilito della legge od il giudizio concreto e relativo del giudice»[7].

Per uscire dal terreno in cui si è arrestata la votazione paritaria, si apre il pendolo di una “contesa“ fra legislazione e giurisdizione, in quanto la prima avoca a sé il trattamento della regiudicanda e con la sua meccanica normativa lo detta e si sostituisce alla seconda formulando un criterio generale.

In questo ordine di idee, «i confini tra giurisdizione, legislazione e amministrazione tendono a farsi più sfumati [Unger 1976, 200]…è oggi più difficile distinguere tra giurisdizione e amministrazione, soprattutto per quanto attiene all’impatto prodotto dalle sentenze»[8].

Abbiamo indicato i tratti della figura del legislatore-giudice.

 

4. Giudice-legislatore. La “riserva alla legge”.

La trattazione che precede disegna la figura del c.d. legislatore giudice, in alternativa al giudice legislatore.

Partiamo dalla primaria funzione legislativa abbinata al popolo, la cui sovranità gli appartiene e «che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione» (art. 1, comma 2, Cost.).

Poniamo, appunto, una questione di appartenenza: il potere legislativo è attribuito al Parlamento. E si tratta di una competenza non concorrente, della materia legislativa, ma devoluta in via esclusiva. La Corte costituzionale, che non ha la responsabilità politica quando esercita il suo potere di sindacato di costituzionalità delle leggi, non occupa il circuito legislativo. Se invece vi fosse inserita deterrebbe un potere paralegislativo.

Invece, il Parlamento, che è soggetto di rappresentanza politica, è l’unico organo funzionalmente sovraordinato. Infatti, la Corte costituzionale[9] assoggetta a controllo le leggi parlamentari, ma dovrebbe essere escluso che possa riformularle, ricreare l’impianto normativo in un settore che il legislatore ha trattenuto saldamente e razionalmente alla fonte. Si parlerebbe di “riserva alla legge“, poiché il trattamento regolativo è riservato al legislatore, all’interno del limite costituzionale.

Fra sindacato di costituzionalità e riserva alla legge il pendolo dovrebbe arrestarsi nel secondo quadrante, si attesta la seconda cioè, quando il c.d. Giudice delle leggi pretende di spingersi oltre nel suo esercizio di puro controllo, fino alla riformulazione dell’atto normativo[10], cosicché nell’impianto codicistico l’istituto sanzionato acquista ben altra posizione e dimensione processuali.

Dettiamo, a questo punto, un canone compositivo che traccia una linea di confine, di segno negativo, fra i due versanti coinvolti, che, per quanto sottile, diventa linea di “demarcazione“[11], sul presupposto che non esistono  poteri illimitati, specialmente se non risalgono ad una matrice popolare: quando il sindacato di costituzionalità elevi il suo controllo fino a invadere la sfera della formulazione testuale della norma sub iudice e questa è immune da vizi irrazionalità presentando una sua ratio che la Corte, nella sua visione, può anche non condividere, la “riserva alla legge“ si attesta e il sindacato arretra e risulta implausibile.

 

Prof. Avv. Carlo Morselli, Docente Master in Diritto penale e Procedura penale dell’immigrazione, Università degli studi Guglielmo Marconi-Roma.  

 

[1] Sui due versanti coinvolti, v. l’articolato e perspicuo esordio di A. Scalfati, Princìpi processuali e modelli giudiziari, in A. Scalfati, A. Bernasconi, A. De Caro, M. Menna, C. Pansini, A. Pulvirenti, N. Trggiani, C. Valentini, D. Vigoni, Manuale di diritto processuale penale, IV ed., Torino, Giappichelli, 2023, 3: « La disciplina processuale, in materia, regola la dinamica giudiziaria diretta a stabilire se il precetto penale è stato violato e, eventualmente, quali sanzioni infliggere; anche quando l’esito culmina nel proscioglimento, il giudice avrà risolto negativamente il quesito sull’applicabilità della norma incriminatrice».

V., fra gli altri, G. De Francesco, Punibilità, in Itinerari di Diritto penale, collana diretta da E. Dolcini – G. Fiandaca – E. Musco – T. Padovani – F. Palazzo – F. Sgubbi, sez. Saggi, Torino, Giappichelli, 2016, 29, che si sofferma sulla « categoria della punibilità ». Altresì, v. Gius. Ruggiero, Punibilità, in Enc. dir., XXXVII, Milano, Giuffrè, 1988, 1118; P. Paterniti, Contributo allo studio della punibilità, Torino, 2008. Recentemente, v. Trattato Breve di Diritto Penale - Punibilità e Pene Parte Generale – II a cura di G. Cocco, E. M. Ambrosetti, luglio 2022;. Da ultimo, v. A. Cavaliere, Osservazioni intorno al concetto di “materia penale”, tra Costituzione e CEDU, in Arch. pen., 10 giugno 2023.

Sulla punibilità, si rinvia, da ultimo, a Cass., sez. un., 22 marzo 2023,  n.12064

[2] Sul collegamento tra le due branche, v., per gli studi tradizionali, A. De Marsico, Diritto processuale penale, IV ed integrata e aggiornata da G.D. Pisapia, Napoli, Jovene, 1966, 1, in apertura: «Il diritto processuale penale studia l’insieme delle norme della legge per l’applicazione del diritto penale in sede giudiziale», principalmente al fine del «l’accertamento del reato e l’attuazione del diritto statuale di punire nei confronti del reo».

Recentemente, v. A. Manna, Rapporti tra diritto penale sostantivo e processo penale a trent’anni dal Codice Vassalli, in Arch. pen., Riv. Quadr.,2019, fasc. 3, 713.

[3] Nei termini riportati da C. Guarnieri, Introduzione, in C. Guarnieri-P.Pederzoli, La democrazia giudiziaria, Bologna, Il Mulino, 1997, 10:

Il dispositivo letto in udienza costituisce l'atto con cui il giudice estrinseca la volontà della Legge nel caso concreto (Cass.,sez. V, sent. 21 giugno 2004, n. 27787).

[4] F. Carnelutti, Lezioni sul processo penale, IV, Roma, 1949, 57.

[5] «dichiarazione della soluzione positiva o negativa della questione», conclude, sul punto, l’analisi di Carnelutti, Lezioni sul processo penale, IV, cit., 59.

[6] Rientra nella discrezionalità del legislatore statuire quali comportamenti debbano essere puniti e quali debbano essere la qualità e la misura della pena. Ove siffatto potere non ecceda i liniti della razionalità non vi è violazione dell’art. 3 Cost. (Corte cost., 18 giugno 1979, n 47, in Cass. pen. Mass. ann., 1980, 303).

[7] E. Florian, Delle prove penali, III ed., a cura di P. Fredas, Varese-Milano, Istituto editoriale cisalpino, 1961, 230.

[8] Guarnieri, Introduzione, in Guarnieri-Pederzoli, La democrazia giudiziaria, cit., 14.

[9] Cfr. La Corte costituzionale giudice dell'equilibrio tra i poteri, di F. Fabrizzi, Torino, Giappichelli, 2019; La Corte costituzionale e il fine vita. Un confronto interdisciplinare sul caso Cappato-Antoniani, di O. Di Giovine, G. D'Alessandro, Torino, Giappichelli, 2020. Da ultimo, v. Storie di diritti e di democrazia. La Corte costituzionale nella società, di G. Amato e D. Stasio, Milano, Feltrinelli, 2023.

[10] In altro ambito, diverso al nostro, Sutor, ne ultra crepidam potrebbe ritenersi.

[11] K.R. Popper, Il recipiente e il faro: due teorie della conoscenza, in Il gioco della scienza, Roma, Armando, trad. D. Antiseri e A. Rossi, Roma, 1997, 25 s.