A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

CEDU: IL DIRITTO ALLA LIBERTÀ DI STAMPA OPERA ANCHE RIGUARDO ALLE ATTIVITÀ INVESTIGATIVE COMPIUTE DAL GIORNALISTA AL FINE DELLA REDAZIONE DI UN ARTICOLO (CEDU 7 SETTEMBRE 2023, RICORSO N. 67369/16).

 Autore: Avv. Teresa Aloi

 

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è intervenuta ancora una volta sul tema del diritto alla libertà di stampa tutelato dall’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Tale norma tutela la libertà di espressione che include la libertà di opinione, la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza alcuna ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza considerazione di frontiera.

Il caso sottoposto all’attenzione della Corte europea ha riguardato l’attività preparatoria alla pubblicazione di un articolo su indagini in corso, compiuta da un giornalista nei confronti dell’ex Ministro della Salute serbo riguardo la gara per l’approvvigionamento dei vaccini contro l’influenza suina. Una emittente radiofonica (Radio Broadcasting Company B92 AD con sede a Belgrado, Serbia), nel corso del notiziario, aveva comunicato l’esistenza di contrasti sulla gara per l’approvvigionamento di tali vaccini e sulla cancellazione di alcuni nominativi dall’elenco dei sospettati a seguito di pressioni fatte dal Procuratore speciale sul Ministro dell’Interno; notizia che era stata poi riportata sul portale della radio.

L’allora Viceministro alla Salute che, aveva chiesto e non ottenuto, una rettifica, aveva citato in giudizio l’emittente al fine di tutelare la propria reputazione. Il ricorso era stato accolto dal giudice con condanna della radio al pagamento di 1.750,00 euro per i danni non patrimoniali subiti dal Viceministro e con l’obbligo di provvedere alla rimozione dell’articolo pubblicato sul portale.

L’emittente radiofonica, successivamente, si era rivolta alla Corte europea per violazione del diritto alla libertà di stampa tutelato dall’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

La CEDU, con la sentenza del 7 settembre scorso, ha ritenuto che informare la collettività su una questione di interesse generale, come l’esistenza di un’inchiesta su una presunta irregolarità nell’approvvigionamento dei vaccini è un diritto protetto dalla Convenzione, anche nel caso in cui si sollevano dei sospetti su un ex membro del Governo. Gli Stati membri non possono limitare le attività investigative di un giornale sul presupposto che ogni restrizione all’attività dei cronisti rappresenta un grave pericolo perché costituisce un tentativo diretto ad impedire la divulgazione di notizie di interesse generale.

La CEDU ha constatato che, nel caso sottoposto alla sua attenzione, vi era stata un’ingerenza nel diritto alla libertà di stampa prevista dalla legge per tutelare il diritto alla reputazione, ma tale ingerenza non era conforme ai criteri già consolidati nella giurisprudenza della stessa Corte europea. Essa ha ritenuto che sia inconcepibile pensare che non vi possa essere una discussione preventiva o contemporanea sui procedimenti giudiziari, intesa come attività preparatoria alla divulgazione di una possibile notizia, in quanto i media hanno il compito di trasmettere informazioni ed il pubblico ha il diritto di riceverle.

Nella sua copiosa giurisprudenza sul tema in commento, la CEDU ha più volte chiarito che, nel valutare se le limitazioni alla libertà di stampa siano conformi alla Convenzione dei diritti dell’uomo è necessario considerare alcuni aspetti: a) quale sia il contributo fornito da un articolo o da un servizio televisivo nel corso di un dibattito su un tema di interesse pubblico; b) la notorietà della persona interessata; c) la condotta della persona interessata prima della pubblicazione; d) la veridicità della notizia ed il metodo seguito per ottenere informazioni; e) il contenuto, la forma e le conseguenze dell’informazione stessa; f) la serietà della sanzione. Tali parametri devono essere applicati congiuntamente.

Nel caso in esame, l’informazione fornita dall’emittente radiofonica era di interesse pubblico ed il Viceministro, in quanto pubblico ufficiale, secondo la Corte europea avrebbe dovuto mostrare maggiore tolleranza. Le dichiarazioni, come la cancellazione di 12 nomi dalla lista dei sospettati, era stata confermata da una nota della polizia senza alcun dubbio sulla sua veridicità.

A giudizio dei giudici europei, pertanto, i giornalisti avevano agito con correttezza, operando in buona fede, senza esagerazioni e con una richiesta di dichiarazioni sulla propria versione dei fatti  diretta ai soggetti interessati, in questo modo rispettando la diligenza che ci si aspetta da un giornalismo responsabile. In questo contesto, gli Stati hanno un margine di apprezzamento ristretto in quanto non possono limitare la discussione su questioni di interesse pubblico e, pertanto, la condanna disposta dai giudici nazionali serbi, anche nel corso di un procedimento civile, è stata ritenuta dalla Corte europea contraria a quanto disposto dall’art. 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo perché in grado di avere un effetto dissuasivo sulla libertà di stampa (c.d. chilling effect  cioè il rischio che le minacciate sanzioni costituiscano un freno a raccontare la realtà senza veli).

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha anche imposto alla Serbia di riparare il danno materiale e morale prodotto per un totale di 5.240,00 euro.

 

Avv. Teresa Aloi,  Foro di Catanzaro