A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA: L’ANNULLAMENTO DI UN CONTRATTO DI MUTUO IPOTECARIO VIZIATO DA CLAUSOLE ABUSIVE NON IMPEDISCE AL CONSUMATORE DI CHIEDERE ALLA BANCA UNA COMPENSAZIONE CHE ECCEDA IL RIMBORSO DELLE RATE MENSILI VERSATE (CGUE 15 GIUGNO 2023, C-520/21).

Autore: Avv. Teresa Aloi

 

La domanda di pronuncia pregiudiziale da cui ha avuto origine la decisione della Corte di Giustizia europea del 15 giugno scorso, verte sull’interpretazione dell’art. 6, paragrafo 1 e dell’art. 7, paragrafo 1, della Direttiva 93/13/CEE concernente le clausole abusive inserite nei contratti stipulati con i consumatori, nonché sull’interpretazione dei principi di effettività, certezza del diritto e proporzionalità.

La domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra un consumatore e la Bank M. SA, in merito ad un’azione di recupero di un credito risultante dall’uso di fondi provenienti da un contratto di mutuo ipotecario colpito da nullità per il fatto di non poter sussistere dopo l’eliminazione delle clausole abusive in esso contenute. Nel 2008 il consumatore aveva sottoscritto con la banca un contratto di mutuo ipotecario indicizzato in franchi svizzeri con l’impegno che le rate mensili dovevano essere pagate in moneta polacca (zloty) previa conversione in applicazione del tasso di cambio di vendita del franco svizzero, in conformità alla tabella dei tassi di cambio di valuta estera applicati dalla banca il giorno de pagamento di ogni rata mensile.

Il consumatore, ritenendo che le clausole di conversione che stabiliscono il tasso di cambio siano da considerarsi abusive e che la loro presenza renda invalido il contratto nella sua interezza, nel maggio 2021, propone ricorso davanti al Tribunale circondariale di Varsavia, Polonia, nei confronti della Bank M. ritenendo che essa avrebbe percepito senza fondamento giuridico le rate mensili del mutuo già versate. Egli chiede, pertanto, il pagamento di un importo pari alla metà del profitto che la banca ha percepito utilizzando, nell’arco di un determinato periodo, le rate mensili pagate in esecuzione del contratto stesso.

La BanK M., dal canto suo, chiede che il ricorso sia respinto, sostenendo che il contratto di mutuo ipotecario è perfettamente valido in quanto non conterrebbe alcuna clausola abusiva e che, in ogni caso, qualora dovesse essere dichiarato nullo, solo la banca avrebbe il diritto di chiedere il pagamento di un credito a titolo di utilizzo del capitale senza nessun fondamento giuridico.

Il Tribunale di Varsavia, investito del ricorso, in via preliminare, osserva che il ricorrente contesta le clausole del contratto secondo le quali la conversione dei franchi svizzeri in zloty e viceversa è effettuata utilizzando il tasso di cambio determinato dalla banca stessa e precisa che tali clausole sono considerate illecite dai giudici polacchi e sono iscritte, come tali, nel Registro delle clausole illecite presso l’Ufficio per la tutela della concorrenza e dei consumatori, Polonia. Esso rileva, inoltre, che a partire dalla sentenza Dziubak del 3 ottobre 2019 (C-260) nella giurisprudenza nazionale prevale la tesi secondo cui l’inserimento di tali clausole rende invalido un contratto di mutuo, che in quanto tale è nullo, cioè considerato come mai concluso (invalidità ex tunc). Nel caso in cui le parti abbiano eseguito determinate prestazioni sulla base di tale contratto, esse possono chiederne il rimborso in quanto si tratta di prestazioni indebite.

Secondo il giudice polacco, la Corte europea non si è ancora pronunciata, alla luce della direttiva 93/13 sulla facoltà per le parti di un contratto di mutuo dichiarato invalido di chiedere il rimborso di importi eccedenti quelli da esse rispettivamente versati in esecuzione dello stesso. Il giudice ritiene che non possa essere ammessa alcuna pretesa della Bank M. ulteriore rispetto al rimborso del capitale erogato a titolo di mutuo nei confronti del consumatore. Dato che la nullità del contratto di mutuo deriva dal comportamento della stessa banca, che si  avvalsa di clausole abusive, è necessario impedire che essa tragga vantaggio da tale suo comportamento, che è  contrario non solo alla direttiva 93/13/CEE ma anche ai principi di buona fede e buon costume. Riconoscere un profitto ai professionisti che si siano avvalsi di clausole abusive avrebbe come conseguenza che un consumatore, che ha già avuto conoscenza dell’esistenza di tali clausole, preferisca proseguire nell’esecuzione del contratto piuttosto che far valere i propri diritti, in quanto la nullità del contratto stesso potrebbe esporlo a conseguenze finanziarie negative, come il pagamento di un corrispettivo per l’utilizzo del capitale. Per contro, la possibilità di esigere dal consumatore il pagamento di importi superiori alle rate mensili che egli ha versato alla banca e, eventualmente, di interessi di mora al tasso legale a decorrere dalla richiesta formale, oltre eventuali spese, commissioni, premi assicurativi non sembra contraria al principio di effettività. Riconoscere, tuttavia, tale possibilità ai consumatori equivarrebbe ad imporre una sanzione sproporzionata ai professionisti.

Il giudice polacco, inoltre, ritiene che, concedere al consumatore tale facoltà contrasterebbe con il principio della certezza del diritto che deve essere inteso nel senso che, se un contratto di mutuo è dichiarato invalido nella sua interezza, le parti che lo hanno sottoscritto sono obbligate a rimborsare tutte le prestazioni in denaro compiute in esecuzione di esso, esclusa qualsiasi altra pretesa.

Di fronte a tali considerazioni, il Tribunale di Varsavia decide di sospendere il procedimento e di chiedere alla Corte di Giustizia dell’Unione europea se la direttiva 93/13/CEE nonché i principi di effettività, certezza del diritto e proporzionalità consentano alle parti di un contratto di mutuo ipotecario, dichiarato nullo per il motivo che non può sussistere dopo l’eliminazione delle clausole abusive, di chiedere una compensazione che ecceda il rimborso degli importi rispettivamente versati sulla base di tale contratto, nonché il pagamento degli interessi di mora al tasso legale a decorrere dalla domanda formale.

La Corte europea investita della questione, osserva innanzitutto che, secondo costante giurisprudenza, il sistema di tutela istituito dalla direttiva è fondato sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda sia il potere nelle trattative, sia il grado di informazione, situazione che lo induce ad aderire alle condizioni predisposte dal professionista senza poter incidere sul contenuto delle stesse. In ragione di tale situazione di inferiorità, la direttiva obbliga gli Stati membri a prevedere un meccanismo che garantisca che qualsiasi clausola contrattuale che non sia stata oggetto di una trattativa individuale possa essere controllata al fine di valutarne l’eventuale natura abusiva. Spetta ai giudici nazionali escludere l’applicazione delle clausole abusive affinchè non producano effetti vincolanti nei confronti del consumatore. Pertanto, l’accertamento giudiziale del carattere abusivo di una clausola contrattuale, in linea di massima deve avere come effetto quello di ripristinare, per il consumatore, la situazione di diritto e di fatto in cui egli si sarebbe trovato se tale clausola non fosse stata mai inserita nel contratto, dando fondamento alla restituzione dei benefici che il professionista abbia indebitamente acquisito a discapito del consumatore avvalendosi proprio di tale clausola.

Nella sentenza in commento, la Corte di Giustizia europea osserva che la direttiva 93/13/CEE non disciplina espressamente le conseguenze derivanti dall’invalidità di un contratto stipulato tra un professionista ed un consumatore dopo l’eliminazione delle clausole abusive. La determinazione di tali conseguenze spetta agli Stati membri, purché le norme stabilite siano compatibili con il diritto dell’Unione e, in particolare, con gli obiettivi perseguiti dalla direttiva. La Corte precisa che detta compatibilità dipende dal fatto che le norme nazionali, da un lao, consentono di ristabilire, in diritto ed in fatto, la situazione in cui si sarebbe trovato il consumatore in assenza del contratto dichiarato invalido e, dall’altro, non compromettano l’effetto dissuasivo perseguito dalla direttiva.

Secondo i giudici europei, la facoltà per un consumatore, di reclamare, nei confronti della banca, crediti che eccedano il rimborso delle rate mensili versate, non sembra compromettere gli obiettivi su indicati. In particolare, una tale facoltà può contribuire a dissuadere i professionisti dall’inserire clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, in quanto il loro inserimento, determinando la nullità di tali contratti, potrebbe causare conseguenze finanziarie superiori alla restituzione degli importi versati dal consumatore e, se del caso, al pagamento di interessi di mora. Tuttavia, spetta al giudice nazionale valutare, alla luce di tutte le circostanze della controversia, se il fatto di accogliere tali pretese del consumatore rispetti il principio di proporzionalità.

Peraltro, la direttiva osta a che la banca possa chiedere al consumatore una compensazione eccedente il rimborso del capitale versato ed il pagamento degli interessi di mora al tasso legale. La Corte ritiene che la concessione di un tale diritto contribuirebbe ad eliminare l’effetto dissuasivo esercitato sui professionisti. L’effettività della tutela conferita ai consumatori dalla direttiva sarebbe compromessa se quest’ultimi, quando reclamano i propri diritti da essa derivanti, fossero esposti al rischio di dover pagare una siffatta compensazione. Tale interpretazione rischierebbe di creare situazioni in cui sarebbe più vantaggioso, per i consumatori, proseguire l’esecuzione del contratto contenente una clausola abusiva piuttosto che esercitare i diritti che essi traggono dalla suddetta direttiva.

La Corte di Giustizia UE sottolinea che, nel caso di specie, l’eventuale annullamento del contratto di mutuo ipotecario è una  conseguenza dell’impiego di clausole abusive da parte della Bank M. Di conseguenza, non si può ammettere né che una parte tragga vantaggi economici dal suo comportamento illecito, né che quest’ultima sia risarcita per gli svantaggi provocati da un siffatto comportamento. La Corte, inoltre, ha giudicato che l’argomento relativo alla stabilità dei mercati finanziari non è rilevante nell’ambito dell’interpretazione della direttiva che mira a tutelare i consumatori. I professionisti, peraltro, non possono eludere gli obiettivi perseguiti dalla direttiva adducendo, come motivo, la salvaguardia della stabilità dei mercati finanziari. Spetta, infatti, agli istituti bancari organizzare la loro attività in modo conforme a quanto disposto dalla direttiva 93/13/CEE.

 

Avv. Teresa Aloi, Foro di Catanzaro.