A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

DEONTOLOGIA GIUDIZIARIA E FORENSE: L’AMPIA MAPPATURA ANCHE NEL FILTRO DELLA GIURISPRUDENZA

Autore: Prof. Avv. Carlo Morselli

 

Sommario: 1. Il Codice Deontologico Forense. I riflessi della sentenza della Corte costituzionale n. 111 giugno 2023 sul dovere o meno  della persona inquisita di collaborare nelle indagini e nel processo a proprio carico - 2. I doveri dell’avvocato, per compendio - 3. “Giustizia a nolo“. - 4. Deontologia giudiziaria, quella dei magistrati - 5. La deontologia del giudice.

 

1. Il Codice Deontologico Forense. I riflessi della sentenza della Corte costituzionale n. 111 giugno 2023 sul dovere o meno  della persona inquisita di collaborare nelle indagini e nel processo a proprio carico.

Il Codice Deontologico Forense costituisce un corpus regolativo avente ad oggetto le norme di comportamento “iussive“, che l'avvocato cioè è chiamato a tenere e ad osservare in via generale e, specificatamente, nell’esercizio della sua attività professionale. Riguarda il “tessuto“ dei suoi rapporti con la clientela, la controparte, altri avvocati e professionisti, fermo restando che l’art. 2229 (Esercizio delle professioni intellettuali) del Codice civile, con la sua riserva, stabilisce che la legge determina le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali è necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi[1].

Poiché l’ambito di riferimento ricomprende, elettivamente, i rapporti, con magistrati, il ministero deontologico si rivolge anche agli stessi.

Si suole dire che anche tramite il rispetto delle cennate norme di comportamento, l'avvocato contribuisce all’attuazione dell'ordinamento giuridico per i fini della giustizia, partecipandovi.

Si tratta di un profilo delicato e dibattuto, su cui indirettamente  getta luce una recente sentenza del c.d. Giudice delle leggi, con il  seguente dictum: chi è sottoposto a indagini o è imputato in un processo penale deve essere sempre espressamente avvertito del diritto di non rispondere alle domande relative alle proprie condizioni personali.

Lo ha stabilito la Corte costituzionale nella sentenza n. 111 pubblicata nel giugno 2023 (redattore Francesco Viganò), con cui sono stati dichiarati parzialmente illegittimi gli articoli 64, terzo comma, del codice di procedura penale e l’articolo 495 del codice penale.

Pendeva avanti i Tribunale di Firenze la regiudicanda  sulla responsabilità penale di un imputato per il reato di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale sulla propria identità o le proprie qualità previsto dall’art. 495 del codice penale, e che a fini identificativi aveva dichiarato alla Polizia, nella sede della Questura, non avere mai riportante condanne, ma senza essere stato avvertito, preventivamente, della facoltà di non rispondere. Il successivo controllo lo smentisce perché in realtà aveva subito una doppia condanna ed anche definitiva.

Il giudice a quo si era soffermato su questo profilo: il codice di procedura penale, secondo la costante interpretazione della Corte di Cassazione, prevede che ogni persona sottoposta alle indagini preliminari del P.M. debba essere a avvertita della facoltà di non rispondere soltanto alle domande relative al fatto che risulta, ma non alle domande relative alle circostanze personali inserite all’art. 21 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale. Tali circostanze sono così declinate:  tra l’altro, se abbia un soprannome, quali siano le sue condizioni patrimoniali, familiari, sociali, se eserciti uffici o servizi pubblici o ricopra cariche pubbliche, e ancora se abbia già riportato condanne penali.

Il Giudice territoriale devolve il suo dubbio al giudice ad quem, chiedendo di verificare  se la richiamata  disciplina sia compatibile con la portata costituzionale del c.d. diritto al silenzio, che è un aspetto diritto di difesa sancito dall’art. 24 della Costituzione, dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dall’art. 14 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, adottato dalle Nazioni Unite.

La Corte interessata della quaestio  con  sentenza  ha dichiarato  costituzionalmente illegittima la disciplina vigente[2], richiamando proprie pronunce precedenti[3].

Il profilo di nostro interesse è il tipo di rapporto dell’inquisito con l’ordinamento giudiziario, partecipativo o meno.

L’incipit del ragionamento della Corte consiste nel ritenere «frontalmente incompatibile con l'art. 24 Cost. ogni assetto normativo che miri a imporre alla persona sospettata o accusata di un reato un dovere di fornire informazioni idonee non solo a contribuire alla propria condanna, ma anche ad aggravare la pena applicabile, ovvero a determinare l'adozione di misure limitative dei suoi diritti nell'ambito del procedimento e poi del processo penale».

Successivamente entra in medias res: «Rispetto alla generalità di queste circostanze, la dimensione costituzionale del diritto al silenzio osta a che possa ravvisarsi un dovere della persona medesima di fornire le relative informazioni all'autorità procedente, e in tal modo di collaborare nelle indagini e nel processo a proprio carico»[4].

Ovviamente, sarebbe paradossale a fronte del comportamento “non collaborativo“ dell’’indagato, che il suo legale si prestasse con la sua condotta “compiacente“ o servile a partecipare  agli atti per aiutare l’autorità giudiziaria a formali.

Difesa personale ed autodifesa devono coerentemente coordinarsi, per cui interpretiamo la sentenza della Corte del 2023 usando il c.d. argumentum a fortiori: se il cliente non è tenuto a collaborare con gli organi di giustizia e ciò quale espressione delle sue pregative autodifensive, sarebbe paradossale e “conflittuale“ una condotta diversa del suo legale, improntata ad adiuvandum rispetto all’andamento di lavori giudiziari, retti da regole proprie. E tiene un comportamento disciplinarmente rilevante e contrario al dovere di fedeltà e fiducia l’avvocato che gestisca una causa in modo del tutto indipendente dal rapporto con il cliente e della tutela dei suoi interessi[5]

Questa condotta di fermo rifiuto del legale  ad essere, in qualche modo, come “cooptato“, si espande a raggiera, e riguarda il suo comportamento con altri soggetti e altri comportamenti con il suo stesso cliente, i quali devono reggersi sulla diligenza, sull’impegno[6] e sulla competenza, nei casi difficili (per esempio un processo per omicidio o violenza carnale) spinta all’acribia (violata quando in un processo ometta l'indicazione delle prove e delle conclusioni, non partecipi alle udienze così omettendo di svolgere il mandato ricevuto[7]).

Ad esempio, l'assunzione da parte dell'avvocato dell'incarico difensivo contro un soggetto che egli stesso rappresenti e difenda in altro giudizio dà luogo ad una situazione di incompatibilità in violazione dei doveri di correttezza e lealtà, atteso che, se per un verso l'assunzione della contemporanea difesa di due soggetti con interessi confliggenti dà luogo a violazione dei doveri professionali dell'avvocato, che deve astenersi dall'assumere incarico da soggetti che hanno interessi e posizioni processuali divergenti, per altro verso costituisce situazione idonea a condizionare le scelte difensive dello stesso professionista, in senso pregiudizievole per il proprio assistito (C.N.F. 15/12/2006, n. 170).

La fonte del comportamento del legale che accetti il patrocinio risale al suo dovere di “fedeltà“[8], il cui riflesso è la lealtà, senza distacco o disaffezione (le due “ s “). Lo deve guidare Ethos[9] e sarebbe inadempiente l’avvocato che, deflettendo da quella linea incardinata nel ceppo della fedeltà, non desse seguito al mandato ricevuto, non svolgendolo a guarentigia ed interesse della parte assistita.

Ciò sarebbe fonte di responsabilità disciplinare: il legale non può, nella sua attività, curare o coltivare un suo personale interesse[10] e i canoni di correttezza e lealtà rappresentano il cardine dell'attività forense.

Ad esempio, l’avvocato che consigli un’azione contro la propria cliente e, nel giudizio così instaurato, testimoni su circostanze apprese nell'esercizio del precedente mandato, pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante perché lesivo del dovere di correttezza e fedeltà a cui ciascun professionista è tenuto[11].

 

2. I doveri dell'avvocato, per compendio. 

Diligenza, competenza[12], fedeltà, rispetto del vincolo di dipendenza[13] del rapporto con il cliente e della tutela dei suoi interessi, sono tessere di un mosaico, a cui ne mancano due, fondamentali e opposte sia alla richiamata dipendenza sia al dovere di svolgere cin impegno e diligenza il mandato ricevuto. Vuole alludersi all’art. 9 C.D.F. (Doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza)[14] e all’art. 11 C.D.F. (Rapporto di fiducia e accettazione dell’incarico), che in esordio stabilisce: «1. L’avvocato è libero di accettare l’incarico»[15].

 

3. “Giustizia a nolo“.

Ipotizziamo un caso pratico, per la “messa a terra“ dei principi sopra esposti e che costituiscono la cornice dello stesso caso.

La notizia di reato è quella veicolata per mezzo della denuncia-querela, ad esempio: l’autore nomina nel corpo dello stesso atto il legale x quale suo esclusivo  difensore di fiducia e lo incarica di depositarla.

Poiché non ha cittadinanza la “giustizia a nolo“[16] la generale funzione dell’avvocato è quella di essere una diga o sbarramento contro il c.d. abuso del processo e affinché la denuncia-querela non si

risolva in “atto di spoglio“ o di scherno (e di “schermo“, per occultare malanimo) in pregiudizio e danno del soggetto passivo (l’avvocato non dovrebbe assumere il patrocinio dello spoliator che “vittimizza“, come un Maramaldo, lo spoliatus). Come ha osservato il professore emerito Luigi Ferrajoli[17] deve primeggiare il valore-dovere di indipendenza, tanto rispetto al giudice, quanto rispetto al cliente, di cui l’avvocato, come lo ha definito Dostoevskij, non è una ‘coscienza a nolo’[18]. La giustizia non è un mezzo (che trascina ogni cosa, anche le contumelie) ma un fine e se la materia che si gestisce valica certi limiti il legale deve rappresentare l’”antimateria“, per evitare di diventare ostaggio del cliente.

Ciò che deve essere chiaro che il legale, che sa del testo della querela e in vari modi e varie forme e che addirittura ha chiesto ed ottenuto di essere delegato a farne il deposito in Procura, non deve  contemplarlo immoto e soprattutto agnostico, ma dovrebbe prendere le distanze dal contenuto di un atto che - per essere occasione di quasi turpiloquio e di contumelie in danno del querelato - dovrebbe essere solo un “atto di giustizia“.

L’art. 110 c.p. (Concorso di persone nel reato) diventa un paradigma, uno schema estensivo: se l’avvocato[19] prende cognizione di una querela che è solo un atto di vendetta, di riscatto personale, per lanciare ed elevare contumelie contro la persona assente qual è il querelato, che contiene espressioni  molto impegnative  e un attacco in personam che un avvocato non potrebbe mai usare, e tale atto lo deposita, lo stesso legale ne è corresponsabile: la sua indipendenza gli consentire di non  farsi vettore di un atto che non è un atto di giustizia. Poteva far presente alla parte che quella supposta querela in realtà è una accesa invettiva che non poteva fare ingresso nell’ufficio del Palazzo di giustizia, al fine di ottenerne una revisione o  un atto di desistenza, senza il quale avrebbe potuto rifiutare il deposito (stante il carattere personale della prestazione[20]) e rinunciare al mandato[21], comunicandolo.

 

4. Deontologia giudiziaria, quella dei magistrati.

La magistratura riceve un suo solenne statuto dal vertice delle leggi, stabilendosi che «La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere» (art. 104, Cost.).

Indipendenza e autonomia ricomprendono sia la magistratura giudicante (formata dai giudici) che quella requirente (formata dai pubblici ministeri) che godono delle stesse garanzie costituzionali. L'indipendenza riguarda, specialmente, i rapporti tra magistratura e Governo, intesa come assenza di qualsiasi condizionamento esterno. Ma il bacino semantico è più ampio, poiché essa deve interpretarsi come indipendenza interna ed esterna (per la provenienza di eventuali interferenze) e  in senso funzionale (a suggello della funzione svolta) ed istituzionale (quale momento di tutela della struttura dell’ordine).

E la disposizione in parola è inserita in una costellazione di norme (v. art. 101 comma 2 Cost. ed art. 107 comma 3 Cost.) ed introduce una mappatura intesa ad assicurare l'indipendenza della magistratura. In particolare, il CSM[22] (v. artt. 104, comma 2, 105, 106, comma 3, Cost.) rappresenta la “cerniera“ tra questa esigenza e quella di non costituire una corporazione chiusa.

Pure i magistrati seguono un loro codice etico[23], come quello adottato dal Comitato direttivo centrale dell’Associazione nazionale magistrati, in esito ad ampia consultazione degli associati, nel termine prescritto dall’art. 58 bis del decreto legislativo n. 29/93 (introdotto dal decreto legislativo n. 546/93).

L’Anm ha ritenuto conforme al magistero esercitato ed opportuno l’individuazione delle regole etiche cui deve espirarsi il loro comportamento, a prescindere della loro consistenza giuridica, dell’efficacia. Si tratta di valori morali fondamentali propri dell’ordinamento della categoria.

Riteniamo cha la fonte debba ricercarsi nella sfera di autonomia propria dei magistrati, nell’elevatezza del loro magistero.

Enumeriamo taluni precetti “codificati“, muovendo dall’incipit: I. Le regole generali Art. 1 Valori e principi fondamentali.

Nella vita sociale il magistrato si comporta con dignità, correttezza, sensibilità all’interesse pubblico.

Nello svolgimento delle sue funzioni ed in ogni comportamento professionale il magistrato si ispira a valori di disinteresse personale, di indipendenza e di imparzialità.

Ecco la cornice che “tipizza“ il facere del magistrato, espressione dell’ordine giudiziario e quale soggetto chiamato ad amministrare giustizia senza mai farsi influenzare, identificabile, per il giudice, nel suo ius dicere, che vuol dire dettare la regola da osservare nel caso concreto attraverso l’emanazione della sentenza

Il magistrato svolge le sue funzioni con diligenza e operosità, stabilisce l’art. 3 (e non con sciatteria e disimpegno).

Il perno del suolo ruolo è l’equidistanza e la terzietà, di cui rappresenta un precipitato l’art. 8 (L’indipendenza del magistrato) - Il magistrato garantisce e difende l’indipendente esercizio delle proprie funzioni e mantiene una immagine di imparzialità e di indipendenza.

Centrale appare l’art. 11 (La condotta nel processo) - Nell’esercizio delle sue funzioni, il magistrato, consapevole del servizio da rendere alla collettività, osserva gli orari delle udienze e delle altre attività di ufficio, evitando inutili disagi ai cittadini e ai difensori e fornendo loro ogni chiarimento eventualmente necessario.

Svolge il proprio ruolo con pieno rispetto di quello altrui ed agisce riconoscendo la pari dignità delle funzioni degli altri protagonisti del processo assicurando loro le condizioni per esplicarle al meglio.

Non proprio distinte sono le condotte del giudice e del pubblico ministero. Quando al primo, lo riguarda l’art. 12 (La condotta del giudice) - Il giudice garantisce alle parti la possibilità di svolgere pienamente il proprio ruolo, anche prendendo in considerazione le loro esigenze pratiche.

Si comporta sempre con riserbo e garantisce la segretezza delle camere di consiglio, nonché l’ordinato e sereno svolgimento dei giudizi.

Del secondo si occupa l’art. 13 (La condotta del pubblico ministero) - Il pubblico ministero si comporta con imparzialità nello svolgimento del suo ruolo.

Indirizza la sua indagine alla ricerca della verità acquisendo anche gli elementi di prova a favore dell’indagato e non tace al giudice l’esistenza di fatti a vantaggio dell’indagato o dell’imputato [24].

Formuliamo, sui due articoli, rilievi e riserve (le due “r“).

La nostra aspettativa era che per il modus procedendi del giudice nel rito, specie quello penale, all’art.12 si ripetesse e sottolineasse la sua identità quale soggetto super partes e organo di garanzia delle liberta e dei diritti dei soggetti coinvolti[25], mentre con una certa promiscuità si tratta il pubblico ministero, accomunato al primo quanto all’imparzialità[26].

Questa non è l’identità del suolo ruolo, quale organo inquirente e requirente: Processus est actus trium personarum, actoris, rei, iudicis, in iudicio contendentium Di Bulgaro è questa cristallina definizione che ripartisce, senza confonderli appunto, nettamente i ruoli del giudice e delle parti, pubblica e privata[27]. Il richiamo al contenuto dell’art. 358 c.p.p. non è probante: 1. Il pubblico ministero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell'articolo 326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini.

Quella norma del codice Vassalli del 1988 - di scarsissimo impiego - è stata concepita per il P.M.  non per assimilarlo al giudice nel ruolo, ma solo per la ragione pratica che nella fase delle indagini preliminari ancor si fa strada robustamente l’intervento della difesa, ed  stata varata in un tempo in cui non esistevano ancora le cc.dd. investigazioni difensive, organicamente inserite nel Libro V, Titolo VI bis (Investigazioni difensive), titolo aggiunto dall'art. 11, Legge 7 dicembre 2000, n. 397, e pure con certi limiti applicativi[28]. Tale disposizione è stata inserita al fine di fornire una più ampia tutela i poteri e doveri del difensore. Il difensore, sin dal momento del conferimento dell'incarico professionale, ha facoltà di svolgere investigazioni al fine di ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito (art. 327 bis)[29].

Si è stabilito che gli elementi di prova raccolti dal difensore ai sensi dell'art. 391 bis c.p.p. sono equiparabili, quanto ad utilizzabilità e forza probatoria, a quelli raccolti dal pubblico ministero e, pertanto, il giudice al quale essi siano stati direttamente presentati ai sensi dell'art. 391 octies stesso codice non può limitarsi ad acquisirli, ma deve valutarli unitamente a tutte le altre risultanze del procedimento, spiegando - ove ritenga di disattenderli - le relative ragioni con adeguato apparato argomentativo. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha annullato con rinvio, per mancanza di motivazione, l'ordinanza di un tribunale del riesame il quale, a fronte di dichiarazioni prodotte dalla difesa a conferma di un alibi, si era limitato ad osservare che la loro effettiva attendibilità avrebbe dovuto essere verificata dall'autorità giudiziaria procedente)[30].

Il ruolo tipico del P.M. è di essere organo e vettore dell’accusa nel processo penale e che gode di una quadrante costituzionale: l’art. 112 sull’obbligatorietà dell’azione penale.

 

5. La deontologia del giudice.

La deontologia del giudice, pare avere un quid pluris: rimane un ottimo architetto pur se infrange all’etica professionale, ma somiglia alla figura di a non iudice quel giudice quello che viola costantemente le regole della deontologia professionale. Si tratterebbe di una metamorfosi.

La dimensione etica è l’habitat del giudice ed emerge come connaturata con  la professionalità del giudice, perché è correlata alla «professione non alla persona di colui che la esercita… Secondo il sociologo Niklas Luhmann, la giurisdizione risponde a programmi normativi condizionali, che esigono l'accertamento di condizioni predeterminate per giustificarne le decisioni; non può rispondere a programmi normativi di scopo, che esigono la scelta dei mezzi più idonei al raggiungimento dei finì prefissati. E in realtà la costruzione dell'attività giurisdizionale…esprime il principale fondamento della comune connotazione liberale sia dei sistemi giuridici di civil law sia dei sistemi giuridici di common law, benché si ritenga abitualmente che in questi ultimi siano molto più ampi gli spazi di creazione giurisprudenziale del diritto»[31].

Per esempio, il Giudice, per non essere censurabile, non può non (omettere di) considerare il comportamento successivo al reato da parte dell’imputato[32], come se post factum non valet argumentum.

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Approvato dal Consiglio Nazionale Forense il 31 gennaio 2014 in attuazione della legge 247/2012 - recante Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense- è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 241 del 16 ottobre 2014.

E' pubblicato anche il testo del Codice deontologico del 1997 con i documenti che ne hanno accompagnato i successivi aggiornamenti.

Il Consiglio Nazionale Forense è l’organismo apicale istituzionale dell’Avvocatura e rappresenta l’intera classe forense.

Si deve intanto sottolineare, come abbiamo sentito stamattina, il valore che l’avvocatura ha rispetto alla magistratura, nell’elaborare un diritto che vive nel senso di divenire lo strumento di cognizione critica e di aggiornamento del magistrato, e può sostituire in linea astratta un’intera biblioteca. Ma al tempo stesso deve rammentarsi che il vero diritto, quello che professiamo e abbiamo cercato di insegnare, è il diritto giurisprudenziale: la formula del diritto vivente, che talora suscita dubbi ed appare ambigua, significa che il diritto è costruito dai giudici.

 

Prof. Avv. Carlo Morselli, Docente Master in Diritto penale e Procedura penale dell’immigrazione, Università degli studi Guglielmo Marconi-Roma. 

 

[1] Al riguardo, v. R. Danovi, Corso di ordinamento forense e deontologia, ed. V, Milano, Giuffrè, 1997, 6: «Si noti che questa disposizione non serve per definire la professione intellettuale, perché in tal modo, in sostanza, si viene ad identificare l’intellettualità con la protezione di essa». Cfr. Deontologia giudiziaria Il Codice etico alla prova dei primi dieci anni, a cura di L. Aschettino-DBifulco-H.Epineuse-R.Sabato, Napoli, Jovene, 1996.

In tema, v.  Cass.  civ., sez. lavoro, sent. 27 aprile 2017, n° 10437: se l’avvocato si cancella dall’albo ma continua attività di consulenza, è soggetto alla Cassa.

Nella categoria generale delle professioni intellettuali, solo quelle determinate dalla legge (art. 2229, comma 1, c.c.) sono tipizzate ed assoggettate all'iscrizione in albi ed elenchi; mentre, all'infuori di queste, vi sono non solo professioni intellettuali caratterizzate per il loro specifico contenuto, ma anche prestazioni di contenuto professionale o intellettuale non specificamente caratterizzate, che ben possono essere oggetto di rapporto di lavoro autonomo. Ne consegue che prestazioni di contenuto professionale o attività intellettuali possono essere svolte anche da una società di capitali, sicché il relativo rapporto va inquadrato nell'ambito del contratto d'opera intellettuale, anziché di appalto di servizi. (La S.C. ha enunciato il principio con riferimento ad una fattispecie in cui l'attività di tenuta della contabilità e di redazione delle dichiarazioni fiscali era stata affidata ad una s.r.l.) (Cass. civ., sez. II, ord. 18 ottobre 2018,  n. 26264).

[2] Corte costituzionale Sentenza 5 giugno 2023, n. 111 Presidente: Sciarra - Redattore: Viganò.

Il Tribunale ordinario di Firenze, sezione prima penale, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'art. 495 cod. pen., in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., «nella parte in cui si applica alle false dichiarazioni rese nell'ambito di un procedimento penale dalla persona sottoposta ad indagini o imputata in relazione ai propri precedenti penali e in generale in relazione alle circostanze indicate nell'art. 21 disp. att. c.p.p.».

In subordine, lo stessi Tribunale ha sollevato questioni di legittimità costituzionale, in riferimento al solo art. 24 Cost., dell'art. 64, comma 3, cod. proc. pen., «nella parte in cui non prevede che gli avvisi ivi previsti debbano essere formulati nei confronti della persona sottoposta alle indagini/imputata prima di qualunque tipo di audizione della stessa nell'ambito del procedimento penale», nonché del medesimo art. 495 cod. pen., «nella parte in cui non prevede l'esclusione della punibilità per il reato ivi previsto in caso di false dichiarazioni - in relazione ai propri precedenti penali e in generale in relazione alle circostanze indicate nell'art. 21 disp. att. c.p.p. - rese nell'ambito di un procedimento penale da chi avrebbe dovuto essere avvertito della facoltà di non rispondere». Le questioni sono state dichiarate, preliminarmente, ammissibili.

[3] Già la sentenza n. 236 del 1984 statuisce che nel diritto di difesa del soggetto nei cui confronti siano emersi indizi di reato «rientra certamente il diritto di rifiutarsi di rispondere (tranne ovviamente che alle richieste attinenti all'identificazione del soggetto medesimo)». Nella sentenza n. 361 del 1998 risulta «l'intangibilità del diritto di difesa, sotto forma del rispetto del principio nemo tenetur se detegere, e conseguentemente del diritto al silenzio, si manifesta nella garanzia dell'esclusione[...] dell'obbligo di rispondere in dibattimento a domande che potrebbero coinvolgere responsabilità proprie» (punto 2.1. del Considerato in diritto). L'ordinanza n. 291 del 2002,  ripresa sul punto dalle ordinanze n. 451 e n. 485 del 2002, e poi dall'ordinanza n. 202 del 2004, inquadra  il principio nemo tenetur se detegere come un «corollario essenziale dell'inviolabilità del diritto di difesa».

Più recentemente, l'ordinanza n. 117 del 2019  parla di «diritto della persona a non contribuire alla propria incolpazione e a non essere costretta a rendere dichiarazioni di natura confessoria (nemo tenetur se ipsum accusare)».

[4] Il corsivo è nostro.

[5] C.N.F. 15/12/2000, n. 267.

[6] L'avvocato deve espletare il mandato ricevuto con diligenza e impegno che assicurino la costante tutela degli interessi a lui affidati;

tuttavia non ogni errore professionale determina un illecito disciplinare, e il ritardato e negligente compimento degli atti inerenti al mandato ricevuto è sanzionabile disciplinarmente soltanto quando la mancanza sia riferibile ad una particolare trascuratezza non scusabile e rilevante, indipendentemente dal fatto che ne derivi un pregiudizio agli interessi della parte assistita (C.N.F. 29/03/2003, n. 40).

[7] Nonché, richiesto non restituisca alla parte i documenti ricevuti (C.N.F. 02/03/2004, n. 32).

[8] V. Codice Deontologico Forense (approvato dal Consiglio nazionale forense nella seduta del 31 gennaio 2014 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 241 del 16 ottobre 2014), art. 10 (Dovere di fedeltà) L’avvocato deve adempiere fedelmente il mandato ricevuto, svolgendo la propria attività a tutela dell’interesse della parte assistita e nel rispetto del rilievo costituzionale e sociale della difesa.

[9] C. Morselli, 'Logos Élenchos, Epos, Ethos' nell'udienza penale, in Giust. pen., 2017, 239 s.

[10] É rilevante sul piano disciplinare la condotta dell’avvocato che intrattenga rapporti economici con l'assistito nel proprio interesse violando il dovere di fedeltà (C.N.F. 14/04/2004, n. 66). Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che concluda transazioni non autorizzate dal cliente, trattenga le somme avute in ragione del mandato e ometta di dare informazioni e il rendiconto sull'attività svolta (C.N.F. 11/04/2003, n. 51).

[11] C.N.F. 27/06/2003, n. 175.

[12] Art. 14 – Dovere di competenza L’avvocato, al fine di assicurare la qualità delle prestazioni professionali, non deve accettare incarichi che non sia in grado di svolgere con adeguata competenza.

[13] C.N.F. 15/12/2000, n. 267,cit., secondo cui l’avvocato non può gestire una causa in modo del tutto indipendente dal rapporto con il cliente.

[14] Art. 12 - 1. L’avvocato deve esercitare l’attività professionale con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, tenendo conto del rilievo costituzionale e sociale della difesa, rispettando i principi della corretta e leale concorrenza.

[15] La normativa si integra con il richiamo dell’art.23 (Conferimento dell’incarico), 5. L’avvocato è libero di accettare l’incarico, ma deve rifiutare di prestare la propria attività quando, dagli elementi conosciuti, desuma che essa sia finalizzata alla realizzazione di operazione illecita.

6. L’avvocato non deve suggerire comportamenti, atti o negozi nulli, illeciti o fraudolenti.

[16] Cfr. R. Bianchi Riva, L’avvocato non difenda cause ingiuste. Ricerche sulla deontologia forense in età medievale e moderna. Parte prima. Il medioevo, Milano, 2012; Ead., La coscienza dell’avvocato. La deontologia forense fra diritto e etica in età moderna, Milano, 2015; Ead., Il dovere di verità fra tecniche della difesa e deontologia forense nel medioevo e nell’età moderna / The duty to the truth: defense techniques and legal ethics in the Middle Ages and early modern period, in «Italian Review of Legal History», 1, n. 4.

[17] L. Ferrajoli, Sulla deontologia professionale degli avvocati, in «Questione Giustizia»,2011, pp. 90- 98, allievo di Norberto Bobbio.

[18] F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov, Milano 1974, p. 257.

[19] Da ultimo, v. P. Liberatore, AI nell’attività degli studi professionali: tra opportunità, etica e tecnodiritto, in Guida dir., n-29. 29 luglio 2023,10 s.; L. Biarella, Esame forense, resta la disciplina speciale, ivi, 29.

[20] Sul rispetto del principio di personalità della prestazione, che connota i rapporti di cui agli artt. 2229 e ss. c.c., v. Cass. civ., sez. II, ord.  2 luglio 2019, n. 17718.

[21] Tranne che pecunia non olet.

[22] Art. 104 Costituzione. Il CSM viene definito organo di autogoverno della magistratura in quanto ha competenza per  ogni vicenda che concerne la carriera dei singoli componenti di essa (promozioni, procedimenti disciplinari ecc.). Inoltre, tutela l'indipendenza dagli altri poteri.

[23] Cfr. Deontologia giudiziaria Il Codice etico alla prova dei primi dieci anni, a cura di L. Achettino-D.Bifulco-H.Epineuse-R.Sabato,  Napoli, Jovene, 1996, Appendice 1, Associazione nazionale magistrati Codice etico.

[24] Dette fonti, citate, sono tratte da Deontologia giudiziaria Il Codice etico alla prova dei primi dieci anni, Appendice 1, Associazione nazionale magistrati Codice etico, cit. Riassuntivamente, v. P. Rescigno, Conclusioni, ivi, 257, che accenna pure alle “scuole professionali“: «Nella nostra tavola rotonda si sono incontrate la professione forense, la magistratura e la stampa…la scelta sia caduta sulle componenti dell’esperienza giudiziaria che stimolano la nostra attenzione anche in ragione della frequenza e della intensità delle relazioni con l’ambiente sociale. Le scuole professionali di cui oggi si è parlato hanno costituito l’occasione di un incontro e di un possibile dialogo, sul terreno della deontologia, tra le professioni legate al mondo del diritto, magistratura, avvocatura e notariato. Ho fatto personale esperienza delle scuole, perché nell’ultimo periodo di appartenenza all’Università ho avuto la fortuna di dirigere ai suoi inizi faticosi la scuola romana della Sapienza, e credo che queste scuole possano costituire, se slegate da interessi particolari e contingenti, un terreno utile di incontro di quelle specialistiche che si vogliono costituire nell’ambito di ciascuna delle professioni impegnate nel campo del diritto… deve rammentarsi che il vero diritto, quello che professiamo e abbiamo cercato di insegnare, è il diritto giurisprudenziale: la formula del diritto vivente, che talora suscita dubbi ed appare ambigua, significa che il diritto è costruito dai giudici». In tema, v. G. Salmè, La deontologia tra responsabilità disciplinare e dialogo con i cittadini, ivi,253 s.: «È necessario…che questo terreno della deontologia sia sgombrato da vincoli e condizionamenti di tipo giuridico formale e dalla stessa prospettiva sanzionatoria, perché solo così potrà costituire argomento di confronto con gli utenti del servizio e con i cittadini più in generale».

Per altra, recente, tavola rotonda, v. Organizzazione giudiziaria e deontologia, L. Verzelloni, Il problema delle risorse umane: opportunità e criticità dell’Ufficio per il Processo, in La Magistratura, 12 aprile 2023, Dalla Relazione alla tavola rotonda “Qualità ed efficienza della giurisdizione”.

[25] Cfr. F. Della Casa, Soggetti, in G.Conso-V.Grevi-M-Bargis, Compendio di procedura penale, Padova, Cedam, 2023, 5: «L’utilizzo del termine “giudice“ implica…l’automatico rinvio ad una gamma di connotati essenziali per il corretto esercizio della giurisdizione»; M. Menna, Il giudice, in A. Scalfati e altri, Manuale di diritto processuale penale, IV ed., Torino, Giappichelli, 2023, 69 che si sofferma sulla «imparzialità del giudice».

[26]Cfr. G. P. Voena, Pubblico ministero, in G.Conso-V.Grevi-M-Bargis, Compendio di procedura penale, Padova, Cedam, 2023, 70; M. Menna, Il Pubblico ministero,in A. Scalfati e altri, Manuale di diritto processuale penale, IV ed., Torino, Giappichelli, 2023, 109, secondo cui «l’indipendenza e l’autonomia del pubblico ministero sono confermate dal principio ex art. 107 Cost. di inamovibilità di tutti i magistrati».

[27] Cfr. E. Amodio, Il modello accusatorio, in E. Amodio-O.Dominioni, Commentario del nuovo codice di procedura penale, I, Milano, Giuffrè, 1989, XXXIII s.: «La ripartizione dei ruoli …Il codice del 1998 è…il frutto di una riforma dell’ordinamento giudiziario che restituisce la purezza dei ruoli ai magistrati chiamati ad operare nel processo».

[28] Il diritto del difensore di svolgere indagini difensive, pur esercitabile in ogni stato e grado del procedimento, deve tuttavia essere coordinato, affinché i risultati di dette indagini possano trovare ingresso nel processo, con i criteri ed i limiti specificamente previsti dal codice per la formazione della prova. (Fattispecie relativa a richiesta di rinnovazione dell'istruzione in giudizio abbreviato d'appello mediante acquisizione di verbali di dichiarazioni assunte in sede di indagini difensive, che la S.C. ha ritenuto inammissibile in quanto, nel giudizio abbreviato, le prove integrative di natura dichiarativa devono essere assunte dal giudice, ai sensi dell'art. 422 c.p.p.) (Cassazione penale, Sez. VI, sentenza n. 1400 del 14 gennaio 2015).

In tema di indagini difensive, sono inutilizzabili le dichiarazioni scritte raccolte dal difensore, ai sensi dell'art. 391 bis, comma secondo cod.proc.pen., senza la verbalizzazione analitica degli avvertimenti elencati al comma terzo del predetto articolo, che il medesimo è tenuto a rivolgere al dichiarante (Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 36036 del 20 agosto 2014).

[29] In  tema, v. Cassazione penale, Sez. I, sentenza n. 28216 del 7 giugno 2019.

In tema di indagini difensive, è inammissibile la richiesta di incidente probatorio per il compimento di accertamenti tecnici poiché l'incidente probatorio è previsto, dalle norme sulle indagini difensive, soltanto per l'audizione di persone informate nell'ipotesi di cui all'art. 391-bis, comma 10 e 11, cod. proc. pen., disposizione non suscettibile di applicazione analogica a diversa attività difensiva, trovando, invece, il compimento di accertamenti tecnici non ripetibili la propria disciplina specifica nell'art. 391-decies cod. proc. pen. (Cassazione penale, Sez. V, sentenza n. 44181 del 4 ottobre 2018).

[30] Cassazione penale, Sez. II, sentenza n. 13552 del 30 gennaio 2002.

[31] A. Nappi, Etica, deontologia e funzioni giudiziarie: tra efficienza, percezione ed effettività, in Quest. giust.,18 luglio 2022. Da ultimo, v. E. Scoditti, Essere un potere costituzionale. I giudici, l’associazionismo e il costituzionalismo, ivi, 23 maggio 2023; G. Pecorella, Signor giudice..., ivi, 16 maggio 2023: «non posso non riconoscere che il suo sia un mestiere difficile che segna profondamente la sua vita. Tante volte mi sono domandato come può sentirsi tranquillo dopo una udienza che si è conclusa con una condanna che ha tolto all’imputato anche la speranza del futuro. Gli errori giudiziari sono sempre in agguato e tante volte è accaduto a noi avvocati di assistere persone che sappiamo innocenti, che sono condannati, o colpevoli che vengono assolti».

[32] V., infatti, da ultimo, Cass., sez.I, sent. 13 luglio 2023, n.30515, in Guida dir., n.29, 29 luglio 2023, 45. Altresì, v. Cass., sez. II, sent. 28 giugno 2023, n.28031, ivi, 74, Riforma Cartabia e fatto di particolare tenuità: conta anche la condotta successiva al reato.