A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA: LE CONCESSIONI DI OCCUPAZIONE DELLE SPIAGGE ITALIANE NON POSSONO ESSERE RINNOVATE AUTOMATICAMENTE MA DEVONO ESSERE OGGETTO DI UNA PROCEDURA DI SELEZIONE IMPARZIALE E TRASPARENTE (CGUE 20 APRILE 2023, C-348/22).

 Autore: Avv. Teresa Aloi

 

Secondo la direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai servizi nel mercato interno, nota come direttiva “Bolkestein” o direttiva “Servizi”, per l’assegnazione di concessioni di occupazione del demanio marittimo, gli Stati membri devono applicare una procedura di selezione tra i candidati potenziali qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali. L’autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico.

La direttiva Bolkestein è nata al fine di eliminare le barriere allo sviluppo del settore dei servizi tra gli Stati membri, garantendone una crescita sostenibile che rafforzi ulteriormente l’integrazione tra i cittadini della Comunità e migliori il tenore e la qualità della vita degli stessi e dei lavoratori anche attraverso la semplificazione delle procedure amministrative. Essa, finalizzata a promuovere la libera circolazione dei servizi, è stata recepita in Italia in due fasi, prima con il D.Lgs.  59/2010 e successivamente con la L. 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021) la quale ha previsto che le concessioni in esame fossero prorogate fino al 31 dicembre 2033, al fine di disporre del tempo necessario allo svolgimento di tutte le attività essenziali per la riforma del settore.

In ossequio a tale legge, il Comune di Ginosa, provincia di Taranto, con delibera del 24 dicembre 2020, n. 225, ha prorogato le concessioni di occupazione del demanio marittimo nell’ambito del proprio territorio. Ritenendo che tale atto violasse i principi di concorrenza e libertà di stabilimento (la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi garantiscono la mobilità delle imprese e dei professionisti all’interno dell’Unione europea) sanciti agli artt. 49 e 56 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha notificato al Comune di Ginosa un parere motivato, ricordando l’obbligo circa l’espletamento di una previa procedura ad evidenza pubblica e rilevando che le disposizioni nazionali di proroga automatica delle concessioni devono essere disapplicate.

L’Autorità, con specifico riferimento alle procedure ed ai provvedimenti di proroga delle concessioni già in essere, ha più volte sottolineato che nei mercati in cui, in ragione delle specifiche caratteristiche oggettive delle attività tecniche, economiche e finanziarie, esiste un’esclusiva o sono ammessi ad operare un numero limitato di soggetti, l’affidamento delle concessioni deve avvenire mediante procedure concorsuali trasparenti e competitive, al fine di attenuare gli effetti distorsivi della concorrenza, connessi alla posizione di privilegio attribuita al concessionario.

Secondo l’Autorità Garante, le disposizioni relative alla proroga delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative, contenute nella delibera del Comune di Ginosa, integrano specifiche violazioni dei principi concorrenziali nella misura in cui impediscono il confronto competitivo che dovrebbe essere garantito in sede di affidamento dei servizi che incidono su risorse demaniali di carattere scarso, in un contesto di mercato nel quale le dinamiche concorrenziali sono già particolarmente affievolite a causa della lunga durata delle concessioni attualmente in essere.

Il Comune di Ginosa, con comunicazione del 4 marzo 2021, ha informato l’AGCM di ritenere perfettamente legittimo il proprio operato, considerato, tra l’altro, che l’estensione della durata delle concessioni demaniali marittime con finalità turistico-ricreative in favore dei titolari delle concessioni già in essere, è stata disposta in osservanza a quanto previsto dall’art. 1, commi 682, 683 e 684 della L. 145/2018 e di quanto richiesto dalla Regione Puglia, servizio Demanio marittimo, che ha sollecitato i comuni costieri pugliesi ad attenersi alle disposizioni della legge effettuando le dovute proroghe fino al 2033 dato che la direttiva europea non sarebbe “self-executing” (di diretta applicazione).

Di fronte a tale presa di posizione dell’ente locale, l’AGCM ha deciso di impugnare la delibera di Giunta comunale davanti al TAR Puglia al fine di ottenere l’annullamento della stessa e di tutti gli attestati di proroga rilasciati successivamente ad essa. Il TAR, pur ritenendo che tali disposizioni nazionali fossero incompatibili con la direttiva servizi, dubita del carattere di efficacia diretta della stessa (cioè della possibilità per i singoli di invocare immediatamente la disposizione di diritto europeo davanti al giudice nazionale, indipendentemente dall’esistenza di un preciso criterio di diritto nazionale, ciò in quanto le norme europee risultano incondizionate e sufficientemente chiare e precise senza necessità di adattamenti da parte degli ordinamenti statali) e dell’effetto di esclusione delle norme nazionali difformi. Il Tribunale amministrativo regionale, inoltre, dissente dall’orientamento del Consiglio di Stato italiano secondo cui la direttiva 2006/123/CE è una direttiva di liberalizzazione e non di armonizzazione e ritiene che essa avrebbe dovuto essere adottata all’unanimità e non a maggioranza dei voti del Consiglio, ai sensi dell’art. 94 del Trattato CE (art. 115 TFUE).

Di conseguenza, il TAR Puglia sottopone all’esame della Corte di Giustizia dell’Unione europea diverse questioni pregiudiziali dirette a verificare l’ambito di applicazione, la validità, la natura e gli effetti dell’applicazione della stessa direttiva.

La Corte UE, con la sentenza del 20 aprile scorso, dichiara, in primo luogo, che la direttiva Bolkestein è perfettamente valida e si applica a tutte le concessioni di occupazione del demanio marittimo, a prescindere dal fatto che esse presentino un interesse transfrontaliero certo o che riguardino una situazione i cui elementi rilevanti rimangono tutti confinati all’interno di un singolo Stato membro. In secondo luogo, il diritto dell’Unione non è di ostacolo al fatto che la scarsità delle risorse naturali e delle concessioni disponibili sia valutata combinando un approccio generale ed astratto, a livello nazionale, ed un approccio caso per caso, basato su un’analisi del territorio costiero del comune in questione. E’ necessario che i criteri adottati da uno Stato membro per valutare la scarsità delle risorse naturali utilizzabili (come le coste sabbiose italiane ed i litorali) si basino su parametri obiettivi, non discriminatori, trasparenti e proporzionati.

Alla luce delle considerazioni che precedono e della costante giurisprudenza della stessa CGUE, la direttiva è, da un lato, incondizionata in quanto sancisce un obbligo non soggetto ad alcun presupposto, non subordinata, per quanto riguarda la sua osservanza o i suoi effetti, all’emanazione di alcun atto ulteriore, da parte delle istituzioni dell’Unione o degli Stati membri, rispetto a quello con cui viene recepita nel diritto nazionale e, dall’altro, sufficientemente precisa per poter essere invocata da un singolo ed applicata dal giudice nazionale dato che sancisce un obbligo in termini inequivocabili.

La Corte di Giustizia dell’Unione europea ha precisato che, anche se una direttiva lascia agli Stati membri un certo margine di discrezionalità nell’adozione delle modalità circa la sua attuazione, tale circostanza non incide sul carattere preciso ed incondizionato delle sue disposizioni, quando tale margine di discrezionalità non esclude che sia possibile determinare la tutela minima che deve in ogni caso essere garantita. Imponendo una procedura di selezione imparziale e trasparente l’art. 12, paragrafo 1, della direttiva prescrive, in maniera incondizionata e sufficientemente precisa, un contenuto di tutela minima a favore dei potenziali candidati.

Tale norma ha effetto diretto in quanto vieta agli Stati membri, senza che questi dispongano di un qualsivoglia margine di discrezionalità o possano subordinare tale divieto ad una qualsiasi condizione e senza che sia necessaria l’adozione di un qualsiasi atto, di prevedere proroghe automatiche e generalizzate delle concessioni in atto. La CGUE, inoltre, ritiene che dall’esame non è emerso alcun elemento idoneo ad inficiare la validità della direttiva relativa ai servizi nel mercato interno. Dato che, da un lato, il fondamento giuridico di un atto deve basarsi sul suo scopo e sul suo contenuto e, dall’altro, la direttiva ha l’obiettivo di agevolare l’esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché la libera circolazione dei servizi, il Consiglio ha correttamente deliberato a maggioranza qualificata in conformità a quanto disposto dal TFUE.

Per gli Stati membri, inoltre, l’obbligo di applicare una selezione imparziale e trasparente tra i potenziali candidati nonchè il divieto di rinnovare automaticamente un’autorizzazione rilasciata per una determinata attività sono enunciati in modo incondizionato e sufficientemente preciso dalla direttiva. Tali disposizioni, infatti, sono produttive di effetti diretti per cui secondo la Corte europea, i giudici nazionali e le autorità amministrative italiane, comprese quelle comunali, sono tenute ad applicarle ed a disapplicare le norme di diritto nazionale non conformi alle stesse.

Per completezza è opportuno dare conto del fatto che non solo l’Italia è al centro dell’attenzione dell’Unione europea sul tema delle concessioni balneari.

La Commissione europea, infatti, ha sollevato anche nei confronti di Spagna e Portogallo delle obiezioni circa la questione del rinnovo delle concessioni balneari autorizzate senza l’espletamento di alcuna gara. In effetti l’Italia non è il solo Paese europeo in cui le concessioni balneari vengono rinnovate in modo automatico nonostante la direttiva Bolkestein obblighi gli Stati membri a liberalizzare le spiagge demaniali aprendole alla concorrenza di mercato e favorendo così, almeno in linea di principio, l’erogazione di servizi migliori per gli utenti.

In Spagna e Portogallo se vengono soddisfatte alcune condizioni, le concessioni possono essere rinnovate fino a 75 anni oltre ad essere prevista la possibilità di trasmetterle sia per atto tra vivi che mortis causa. In particolare, in Spagna le concessioni sono comunque prorogate sulla base di criteri ambientali e di tutela del demanio pubblico marittimo e terrestre che deve sempre essere rispettato. In Portogallo, la normativa prevede che i concessionari che abbiano fatto investimenti superiori a quelli inizialmente previsti e forniscano idonea documentazione diretta a provare di non poterli recuperare, possono chiedere allo Stato il rimborso di tali investimenti o la proroga della concessione fino appunto ad un massimo di 75 anni.

Anche nei confronti di tali Stati membri, la Commissione ha aperto una procedura d’infrazione nel mese di aprile 2021, a cui è seguito, nel gennaio 2022, un parere motivato che rappresenta il secondo passaggio del richiamo della Commissione, che poi può esser seguito da un deferimento alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, come è accaduto per l’Italia, nei confronti della quale la procedura si è conclusa con la sentenza della Corte UE del 20 aprile scorso.

La recente legge 5 agosto 2022, n. 118, che ha abrogato la legge 145/2018, nota come legge concorrenza, se, per un verso, ha prorogato fino al 31 dicembre 2023 le concessioni in essere, delegando il Governo ad adottare i necessari decreti legislativi per riordinare la materia, dall’altro ha fatto divieto, nelle more, di emanare nuovi bandi. Tale divieto si appalesa tanto più necessario dopo la sentenza della CGUE del 20 aprile scorso, che ha messo in discussione l’estensione delle proroghe delle concessioni in essere ed ha, contestualmente, invitato lo Stato ed i comuni ad attivare la procedura di ricognizione delle risorse da assegnare per un “razionale e sostenibile utilizzo” del demanio marittimo. Tutto ciò per dare attuazione alla direttiva Bolkestein, ritenuta comunque immediatamente esecutiva.

Il sistema di riforma introdotto dalla legge concorrenza, apparentemente improntato all’accelerazione, è stato parzialmente frenato dal c.d. Decreto Milleproroghe (D.L. 29 dicembre 2022, n. 198, convertito in legge 24 febbraio 2023, n. 14) che ha previsto un generale differimento dei termini inizialmente previsti per l’attuazione della riforma delle concessioni demaniali in chiave concorrenziale, prorogando di fatto, di un altro anno le concessioni in essere che avrebbero dovuto cessare al 31 dicembre 2023.

Se, da un lato, però, il legislatore italiano, con il Decreto Milleproroghe, ha voluto concedere maggiore tempo al Governo per dare attuazione alla riforma introdotta dalla legge concorrenza, dall’altro, il Consiglio di Stato si è sempre contrapposto a qualsiasi proroga, anche a quella introdotta dalla legge di conversione del Decreto Milleproroghe, ritenendola in contrasto con il diritto europeo.

Emblematica, in tal senso, è stata la sentenza del 1 marzo 2023, n. 2192, con la quale, a distanza di pochi giorni dalla conversione del decreto, il Consiglio di Stato, pronunciandosi su un ricorso proposto dall’AGCM avverso una delibera di Giunta comunale che aveva disposto l’estensione delle concessioni demaniali marittime fino al 2033, in base a quanto stabilito dalla legge 145/2018, ha espressamente statuito che: (…) ”sulla base di quanto affermato dall’Adunanza Plenaria con le sentenze nn. 17 e 18 del 2021, non solo i commi 682 e 683 dell’art. 1 della legge 145/2018 ma anche la nuova norma contenuta nell’art. 10-quater, comma 3, del D.L. 29 dicembre 2022, n. 198, convertito in legge 24 febbraio 2023, n. 14, che prevede la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime in essere, si pone in frontale contrasto con la disciplina di cui all’art. 12 della direttiva 2006/123/CE e, di conseguenza, va disapplicata da qualunque organo dello Stato.”(…)

Tale sentenza, che ha generato grande scalpore, non è stata l’unica in tema di concessioni demaniali, ad essere stata pubblicata dopo la conversione in legge del decreto Milleproroghe. Con la sentenza del 15 marzo 2023, n. 2740, la Settima Sezione del Consiglio di Stato, chiamata a pronunciarsi sul rigetto di un’istanza di rinnovo o proroga di una concessione di un’area boschiva, ha nuovamente ribadito che alle concessioni demaniali si applica l’art. 12 della direttiva servizi 2006/123/CE.

I giudici di Palazzo Spada, dunque, nel ribadire l’applicazione dell’art. 12 della direttiva alle concessioni demaniali, hanno continuato a disapplicare la proroga del titolo concessorio, di volta in volta, invocata dal concessionario uscente.

All’indomani della sentenza europea in commento è stata pubblicata una decisione del TAR Lecce (sentenza n. 523 del 21 aprile 2023) con la quale, accogliendo le eccezioni difensive sollevate nell’interesse del Comune di Porto Cesareo (Prov. di Lecce), il giudice amministrativo, ha rigettato il ricorso con il quale un’impresa chiedeva la concessione di una spiaggia al servizio del complesso ricettivo di sua proprietà.

Ora, a seguito della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 20 aprile scorso, è più che mai necessario un intervento legislativo in merito a tale materia, sul presupposto che i principi espressi dalla Corte UE in tale sentenza rappresentano il “faro guida” sia per i giudici amministrativi che per le amministrazioni comunali.

 

Avv. Teresa Aloi,  Foro di Catanzaro.