A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA: NEI CONCORSI EUROPEI È ILLEGITTIMO IL TRILINGUISMO FRANCESE, INGLESE E TEDESCO NELLA SCELTA DELLA SECONDA LINGUA (CGUE 16 FEBBRAIO 2023, C-623/20 E 635/20).

 Autore: Avv. Teresa Aloi

 

La sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea il 16 febbraio 2023 segue la strada segnata da precedenti decisioni del Tribunale europeo (sentenza del 9 settembre 2020, Italia/Commissione, T-437/16, Spagna/Commissione, T-401/16 e 9 agosto 2016, Italia/Commissione, T-443/16) riconoscendo l’illegittimità per discriminazione (disparità di trattamento) fondata sulla lingua, di due bandi di concorso EPSO (European Personnel Selection Office)[1] che prevedevano per i candidati la limitazione nella scelta della seconda lingua alla sola lingua francese, inglese e tedesca.

Tali bandi erano diretti alla selezione di personale per la costituzione di elenchi di riserva di amministratori nel settore dell’audit e per la lotta alla corruzione e contraffazione. Essi prevedevano che i candidati dovevano soddisfare determinati requisiti relativi a conoscenze linguistiche specifiche: un livello minimo C1 in una delle 24 lingue ufficiali dell’UE (lingua 1), nonché un livello minimo B2 nella lingua francese, inglese o tedesca (lingua 2), qualificate come le principali lingue di lavoro delle istituzioni europee, c.d. “lingue procedurali”.

Nei ricorsi presentati, Italia e Spagna hanno contestato la legittimità di due parti del regime linguistico istituito dai bandi di concorso controversi, nelle quali viene limitata alle sole tre lingue indicate, la scelta, da un lato, della seconda lingua, e, dall’altro, della lingua di comunicazione tra i candidati e l’EPSO.

Il Regolamento n. 1 del Consiglio del 15 aprile 1958 all’art. 1 delinea il regime linguistico della Comunità Economica Europea, come modificato dal Regolamento (UE) n. 517/2013 ed indica in 24 le lingue ufficiali e di lavoro delle istituzioni dell’Unione europea; all’art. 2 stabilisce che i testi diretti alle istituzioni da uno Stato membro o da una persona appartenente alla giurisdizione di uno Stato membro, sono redatti, a scelta del mittente, in una delle lingue ufficiali e che tale regola trova applicazione anche con riferimento alle risposte.

L’art. 6, inoltre, stabilisce che le istituzioni possono determinare le modalità di applicazione del presente regime linguistico nei propri regolamenti interni.

Il Tribunale europeo, in primo grado, aveva accolto le doglianze di Italia e Spagna rilevando che la limitazione alle sole tre lingue (francese, inglese e tedesco) nella scelta della seconda lingua nell’ambito di un concorso europeo, costituisce una disparità di trattamento fondata sulla lingua. Tale discriminazione non era oggettivamente giustificata dalla ragione addotta a motivo nei bandi di concorso, ossia la necessità che gli amministratori assunti fossero immediatamente operativi, cioè che la limitazione fosse giustificata da specifiche ragioni di servizio.

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea, con la sentenza in commento, respinge le impugnazioni proposte dalla Commissione, confermando le decisioni del Tribunale e rilevando, in via preliminare, che l’ampio potere discrezionale di cui dispongono le istituzioni per quanto attiene l’organizzazione dei loro servizi interni incontra dei limiti.

L’eventuale previsione di una limitazione del regime linguistico nell’ambito di una procedura di selezione, ad un numero ristretto di idiomi ufficiali dell’Unione, adottata nel singolo caso concreto dall’istituzione interessata deve essere oggettivamente giustificata dall’interesse del servizio ed idonea a soddisfare reali esigenze oltre ad essere proporzionata a tali esigenze e basata su criteri chiari, oggettivi e prevedibili.

Secondo la Corte di Giustizia UE, il Tribunale ha correttamente verificato se la Commissione avesse fornito prova che la limitazione della scelta della seconda lingua dei candidati, alle sole lingue francese, inglese e tedesco fosse oggettivamente giustificata e proporzionata all’obiettivo di assumere amministratori immediatamente operativi e ha giustamente concluso che la risposta doveva essere negativa. La Corte ha ritenuto corretta la decisione del Tribunale secondo cui la Commissione non era riuscita a dimostrare che la conoscenza soddisfacente delle tre lingue fosse indispensabile per raggiungere tale obiettivo. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che la conoscenza della lingua francese, inglese e tedesca non fosse maggiormente giustificata rispetto alla conoscenza di un’altra lingua dell’Unione.

La Corte europea, pertanto, conferma che gli elementi di prova relativi alla prassi interna della Commissione in materia linguistica hanno come unico obiettivo di definire le lingue necessarie allo svolgimento delle diverse procedure decisionali di tale istituzione, ma non giustificano la limitazione in questione alla luce delle specificità funzionali dei posti da coprire previsti dai bandi di concorso.

Tali elementi non permettono di desumere che esista un nesso necessario tra tali procedure di selezione e le funzioni che i vincitori di concorso potranno essere chiamati a svolgere, né che tutte e tre le lingue qualificate come “lingue procedurali” siano effettivamente utilizzate dai servizi della Commissione, della Corte dei Conti e dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode nel loro lavoro quotidiano. Secondo la Corte di Giustizia UE il Tribunale non ha snaturato gli elementi di prova presentati dalla Commissione, come il Regolamento interno di tale istituzione, né ha commesso alcun errore di diritto o alcuna violazione del suo obbligo di motivazione nel suo ragionamento.

Le limitazioni di scelta della lingua in cui sostenere la seconda prova di un concorso, infatti, sono legittime solo se funzionali all’immediata operatività dei neo assunti, dandone adeguata e comprovata motivazione, altrimenti sono illegittime come nei casi oggetto delle sentenze impugnate davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Rimane da chiedersi quali siano le ragioni reali che abbiano condotto a favorire le tre lingue a scapito di altre lingue ufficiali e di lavoro. Anche ammettendo che il criterio di preferenza sia stato quello di ritenere le tre lingue le più studiate come lingua straniera (Conclusioni dell’Avvocato Kokott, causa C-566/10), l’adozione di eventuali altri criteri, parimenti ragionevoli, avrebbe portato sicuramente a conclusioni differenti.

La scelta linguistica, lungi dall’essere dettata da esigenze di servizio, in realtà sembra riflettere e consolidare rapporti di forza tra i diversi Stati membri secondo modalità incompatibili con il principio di uguaglianza che ha contraddistinto fin dall’origine il processo di integrazione europea.

E’ necessario notare che i principi emessi nella sentenza del 16 febbraio scorso potrebbero trovare applicazione anche ai concorsi interni: quelli italiani hanno de facto  abolito la scelta della lingua della relativa prova concorsuale limitandola alla sola lingua inglese nella quasi totalità dei concorsi.

 

Avv. Teresa Aloi,  Foro di Catanzaro.             

 

[1] La missione principale dell’EPSO consiste nel soddisfare il fabbisogno di assunzioni di personale delle istituzioni dell’UE selezionando candidati di talento mediante concorsi generici e specializzati. Nel perseguire tale obiettivo, l’EPSO funge da punto d’incontro di fiducia tra le istituzioni dell’UE e professionisti e laureati altamente qualificati contribuendo così alla costruzione della funzione pubblica europea attuale e futura.