A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA: NEL CASO DI CONTRATTI STIPULATI TRA UN AVVOCATO ED UN CONSUMATORE AVENTE AD OGGETTO LA PRESTAZIONE DI SERVIZI LEGALI LE CLAUSOLE IN ESSI CONTENUTE DEVONO ESSERE REDATTE SEMPRE IN MODO CHIARO E COMPRENSIBILE (CGUE 12 GENNAIO 2023, C-395/21).

 Autore: Avv. Teresa Aloi

 

La clausola di un contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato ed un cliente/consumatore che fissi il prezzo secondo il principio della tariffa oraria, senza contenere altre precisazioni, non soddisfa l’obbligo di chiarezza, comprensibilità e trasparenza, pertanto, è da considerarsi abusiva.

Questo è quanto ha deciso la Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza pronunciata il 12 gennaio 2023.

La vicenda sottesa a tale pronuncia si svolge in Lituania e riguarda una serie di contratti di servizi legali stipulati, tra il 2018 ed il 2019, tra un consumatore ed un avvocato. Ciascuno di questi contratti prevedeva l’impegno dell’avvocato a fornire consulenze legali orali e/o per iscritto, a preparare bozze di atti giuridici, effettuare studi giuridici degli atti ed a rappresentare il cliente davanti a diverse entità, compiendo gli atti connessi con onorari calcolati sulla base di una tariffa oraria (100,00 euro “per ogni ora di consulenza o di prestazione di servizi legali al cliente”). I contratti prevedevano, inoltre, che una parte degli onorari indicati fosse dovuta immediatamente, su presentazione, da parte dell’avvocato, di una fattura per i servizi prestati tenendo conto delle ore di consulenza o di prestazione di servizi legali.

L’avvocato, non avendo ricevuto la totalità degli onorari reclamati, nell’aprile del 2019, ha adìto il tribunale distrettuale di Kaunas, Lituania, chiedendo la condanna del proprio cliente al pagamento dell’importo dovuto a titolo di prestazioni legali effettuate oltre ai relativi interessi.

Il Tribunale, con decisione del 5 marzo 2020, ha parzialmente accolto la domanda ed ha ritenuto che le clausole relative al prezzo delle prestazioni legali contenute nei diversi contratti fossero da considerare abusive determinando così una riduzione della metà degli onorari reclamati dal professionista. Decisione poi confermata in appello.

Nel settembre dello stesso anno, contro tale decisione, l’avvocato propone ricorso per Cassazione.

La Corte Suprema di Lituania, giudice del rinvio, investita della questione, si interroga su due problematiche riguardanti, la prima, l’obbligo di trasparenza delle clausole vertenti sull’oggetto principale dei contratti, la seconda, gli effetti dell’accertamento del carattere abusivo di una clausola che fissa il prezzo dei servizi resi.

Per quanto riguarda la prima, la Corte lituana ritiene che la clausola inserita nel contratto di prestazione di servizi legali rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13 (“La valutazione del carattere abusivo delle clausole non verte né sulla definizione dell’oggetto principale del contratto, né sulla perequazione tra il prezzo e la remunerazione, da un lato, ed i servizi o i beni che devono essere forniti in cambio, dall’altro, purchè tali clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile” ).

Tale giudice sostiene che, sebbene la clausola sia formulata in modo chiaro da un punto di vista grammaticale, è lecito dubitare che essa sia comprensibile dal consumatore medio, poiché egli può non essere in grado di comprenderne le conseguenze economiche anche tenendo conto di tutte le clausole contenute nei vari contratti. Egli ricorda che, come risulta dalla giurisprudenza della stessa Corte Suprema, le informazioni fornite prima della conclusione di un contratto, in merito alle condizioni contrattuali, sono, per un consumatore, di fondamentale importanza, poiché è in base a tali elementi che decide se desidera vincolarsi alle condizioni preventivamente redatte dal professionista. Inoltre, egli si chiede se sia ragionevolmente possibile esigere che un professionista specifichi il prezzo indicativo per i servizi offerti o che il prezzo di tali servizi divenga certo solo dopo l’attività legale svolta dall’avvocato in una determinata causa.

Per quanto attiene alla seconda problematica, il giudice del rinvio precisa che, la normativa nazionale prevede una protezione più elevata di quella garantita dalla direttiva 93/13, dato che la mancanza di trasparenza di una clausola contrattuale è sufficiente affinchè essa sia dichiarata abusiva, senza la necessità del suo esame ai sensi dell’art. 3, paragrafo 1, della direttiva europea. Il giudice, pertanto, si interroga sugli effetti che il diritto dell’Unione ricollega all’accertamento del carattere abusivo di una clausola contrattuale. Egli afferma che, l’invalidazione della clausola relativa al prezzo dovrebbe comportare la nullità dei contratti di prestazione di servizi legali ed il ripristino della situazione in cui il consumatore si sarebbe trovato se tali clausole non fossero mai esistite. Nel caso di specie una tale conseguenza condurrebbe ad un arricchimento ingiustificato da parte del consumatore e ad una situazione ingiusta nei confronti del professionista che ha fornito le proprie prestazioni di servizi senza percepire alcun onorario.

In tale contesto la Corte Suprema della Lituania decide di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione europea una serie di questioni pregiudiziali riguardo: la natura di “oggetto principale del contratto” della clausola che fissa il prezzo dei servizi forniti dal professionista al consumatore, l’obbligo di una formulazione della clausola chiara e comprensibile e le conseguenze dell’eventuale riconoscimento del carattere abusivo della stessa.

Per quanto riguarda la categoria delle clausole contrattuali rientranti nella nozione di “oggetto principale del contratto”, ai sensi dell’art. 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, la Corte di Giustizia UE ha statuito che tali clausole devono intendersi come quelle che fissano le prestazioni essenziali del contratto stesso e che, come tali, lo caratterizzano. Nel caso di specie, la clausola relativa al costo delle prestazioni riguarda il compenso per i servizi legali, stabilito secondo una tariffa oraria. Una clausola del genere, che determina l’obbligo del mandante di pagare gli onorari dell’avvocato e specifica la tariffa di questi, fa parte delle clausole che definiscono l’essenza stessa del rapporto contrattuale, essendo tale rapporto proprio caratterizzato dalla fornitura dietro compenso di servizi legali. Detta clausola rientra, pertanto, nell’”oggetto principale del contratto” ai sensi dell’art. 4, paragrafo 2, della direttiva.

Per quanto riguarda la portata dell’obbligo di trasparenza delle clausole contrattuali, quale risulta dall’art. 4, paragrafo 2, della direttiva 93/13, la Corte ha sottolineato che tale obbligo non può essere limitato unicamente al carattere comprensibile sui piani formale e grammaticale di tali clausole ma, al contrario, poiché il sistema di tutela istituito da detta direttiva si fonda sull’idea che il consumatore si trovi in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda, in particolare, il livello di informazione, tale obbligo di redazione chiara e comprensibile deve essere inteso estensivamente.

L’obbligo, inoltre, va inteso nel senso che il contratto deve esporre in maniera trasparente il funzionamento del meccanismo al quale si riferisce la clausola in modo tale che il consumatore sia posto in grado di valutare, sul fondamento di criteri precisi ed intellegibili, le conseguenze economiche che gli derivano dall’impegno assunto. Nel caso di specie, la clausola relativa al prezzo si limita a specificare che gli onorari che il professionista deve percepire ammontano a euro 100.00 per ogni ora di servizi legali forniti. Tale meccanismo non consente, in mancanza di qualsiasi altra informazione fornita ad un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, di valutare le conseguenze finanziarie derivanti da tale clausola, ossia l’importo complessivo da pagare per servizi legali richiesti.

Certamente, tenuto conto della natura dei servizi oggetto di un contratto di prestazioni di servizi legali, è spesso difficile, se non impossibile, per il professionista prevedere, sin dalla conclusione del contratto, il numero esatto di ore necessarie per fornire servizi del genere e, di conseguenza, il costo totale effettivo di quest’ultimi. Peraltro, la Corte di Giustizia UE ha dichiarato che il rispetto da parte di un professionista del requisito di trasparenza di cui all’art. 4, paragrafo 2 e all’art. 5 della direttiva 93/13 deve essere valutato con riferimento agli elementi di cui egli disponeva al momento della conclusione del contratto che ha stipulato con il consumatore che è così in grado di prendere la propria decisione con prudenza e con piena cognizione del costo totale approssimativo dei servizi legali prestati. Spetta al giudice nazionale valutare, tenendo conto di tutte le circostanze che hanno portato alla conclusione del contratto, se le informazioni (che possono variare in funzione dell’oggetto, della natura delle prestazioni, delle regole professionali e deontologiche applicabili) comunicate dal professionista prima della conclusione del contratto abbiano consentito al cliente/consumatore di prendere la propria decisione con prudenza e con piena cognizione delle conseguenze finanziarie derivanti dalla sottoscrizione dello stesso.

Alla luce di queste considerazioni, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ritiene che l’art. 4, paragrafo 2, della direttiva deve essere interpretato nel senso che non soddisfa l’obbligo di formulazione chiara e comprensibile della clausola di un contratto di prestazione di servizi legali stipulato tra un avvocato ed un cliente/consumatore che fissi il prezzo di tali servizi secondo il principio della tariffa oraria la mancanza di comunicazione al consumatore, prima della conclusione del contratto, di informazioni che gli consentono di prendere la propria decisione con piena consapevolezza.

Per quanto riguarda l’eventuale carattere abusivo di una simile clausola, la Corte di Giustizia osserva, sulla base della sua giurisprudenza, che il giudice nazionale è tenuto a valutare, alla luce di tutte le circostanze della controversia, in un primo momento, la possibile violazione del requisito della buona fede e, in un secondo momento, la sussistenza di un eventuale significativo squilibrio a danno del cliente. Come risulta proprio dalla giurisprudenza della Corte europea, l’esame del carattere abusivo di una clausola contrattuale si fonda, in linea di principio, su una valutazione complessiva che non tiene conto solo dell’eventuale mancanza di trasparenza e, inoltre, gli Stati membri possono garantire, secondo l’art. 8 della direttiva 93/13, un livello di protezione più elevato per i consumatori, di quello previsto dalla normativa europea. Nel caso di specie, infatti, la Repubblica di Lituania ha scelto di garantire un livello di protezione più elevato dato che il codice civile dispone che le clausole contrarie all’obbligo di trasparenza sono considerate abusive. Gli Stati membri, infatti, restano liberi di prevedere, nel loro diritto interno, un livello di protezione maggiore rispetto a quello garantito dalla direttiva europea.

La Corte UE rileva che la clausola contrattuale che fissa il prezzo per i servizi legali secondo il principio della tariffa oraria e che rientri, pertanto, nell’oggetto principale del relativo contratto, non deve essere considerata abusiva per il solo fatto che essa non soddisfa l’obbligo di trasparenza, a meno che la normativa nazionale preveda espressamente che la qualificazione come clausola abusiva discenda da questo solo fatto.

In forza dell’art. 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, spetta al giudice nazionale disapplicare le clausole abusive affinchè esse non producano effetti nei confronti del cliente/consumatore tranne nel caso in cui il consumatore vi si opponga. Il contratto, tuttavia, deve sussistere senza altra modifica che non sia quella risultante dalla soppressione delle clausole abusive purchè, secondo le norme di diritto interno, tale sopravvivenza sia giuridicamente possibile.

Nel caso in esame, il giudice del rinvio si interroga sulle conseguenze da trarre dall’eventuale accertamento del carattere abusivo della clausola relativa al prezzo dei servizi legali. Dove i contratti non possono sussistere dopo la soppressione della clausola relativa al prezzo, la direttiva, all’art. 6, paragrafo 1, consente che essi siano dichiarati invalidi anche quando ciò comporti che il professionista non percepisca alcun compenso per i suoi servizi. E’ solo nel caso in cui l’invalidità dei contratti nella loro interezza esponga il consumatore a conseguenze particolarmente dannose dispone della possibilità eccezionale di sostituire una clausola abusiva dichiarata nulla con una disposizione di diritto nazionale di natura suppletiva o applicabile in caso di accordo tra le parti di detti contratti in conformità a quanto dispone l’art. 6, paragrafo 1, della direttiva. Occorre, tuttavia, che tale disposizione sia applicabile a tali contratti e non abbia una portata talmente generica che la sua applicazione equivarrebbe a consentire al giudice nazionale di fissare, sulla base di una propria stima, il compenso dovuto per i servizi forniti. A tale riguardo, la Corte di Giustizia UE ha rilevato che, se al giudice nazionale fosse consentito rivedere il contenuto delle clausole abusive ciò comprometterebbe la realizzazione dell’obiettivo indicato nell’art. 7 della direttiva che è quello di consentire a tutela dei consumatori di adire le autorità giudiziarie o gli organi amministrativi competenti affinchè stabiliscano se le clausole contrattuali, redatte per un impiego generalizzato, abbiano carattere abusivo ed applichino mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di tali tipi di clausole.

Alla luce di quanto osservato, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, ritiene che gli artt. 6 e 7 della direttiva devono essere interpretati nel senso che, qualora un contratto di prestazioni di servizi legali stipulato tra un avvocato ed un consumatore non possa sussistere dopo la soppressione di una clausola dichiarata abusiva che fissi il prezzo dei servizi secondo il principio della tariffa oraria e tali servizi siano già stati forniti, essi non ostano a che il giudice nazionale ripristini la situazione in cui il consumatore si sarebbe trovato in assenza di tale clausola, anche quando ciò comporti che il professionista non percepisca alcun compenso per i servizi resi.

Nel caso in cui l’invalidità dell’intero contratto esponga il consumatore a conseguenze dannose, gli artt. 6 e 7 della direttiva consentono al giudice nazionale di sanare la nullità della clausola abusiva sostituendola con una di diritto interno ma egli non può effettuare tale sostituzione con una stima giudiziaria del livello del compenso dovuto per i servizi legali resi.

 

Avv. Teresa Aloi,  Foro di Catanzaro