A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

RELAZIONE CONVEGNO

"QUALE FUTURO PER LA GIUSTIZIA PENALE INTERNAZIONALE? 20 ANNI DI CORTE PENALE INTERNAZIONALE"

 Autore: Dott.ssa Valentina Lisio

 

Alla luce degli ultimi avvenimenti, il 2022 si è andato man mano delineando come teatro internazionale di nuove identificazioni e relazioni Euro-Sovietiche e Atlantiche.

Non lontano è il 2014 che segnò l’inizio dell’escalation del conflitto russo-ucraino, portando così all’avanzata dell’offensiva militare Russa a Febbraio di quest’anno, invadendo prepotentemente il territorio ucraino.

Non sono state poche le considerazioni a riguardo, non solo di natura geopolitica e nella ricerca delle responsabilità militari che ha messo sotto i riflettori entrambe le Nazioni, ma ancor più inevitabili valutazioni di impronta umanitaria; l’attacco pressoché inaspettato ha di fatto generato osservazioni sul piano della violazione dei diritti umani.

Da qui l’esigenza di rispolverare alcune definizioni sulle funzioni e sulla funzionalità della Corte Penale Internazionale. 

Il Convegno "Quale futuro per la giustizia penale internazionale? 20 anni di Corte Penale Internazionale" tenutosi lo scorso 15 Novembre in Corte Suprema di Cassazione che ha visto il Patrocinio del CESPI – Centro Studi di Politica Internazionale, dell’Ambasciata di Svizzera in Italia, del Consiglio Nazionale Forense e dell’IDLO – International Development Law Organization, ha rappresentato per l’appunto l’esigenza di porsi alcune domande sul ruolo della Corte Penale Internazionale (CPI) nel quadro legislativo delle relazioni internazionali tra Stati, quali bilanci e quali le prospettive future, alla soglia del 20° Anniversario della Corte dall’entrata in vigore dello Statuto di Roma nel 2002.

La giustizia penale internazionale è nata con lo scopo di reprimere alcuni dei più gravi crimini internazionali; la CPI è l’unico tribunale permanente competente per indagare e reprimere i crimini internazionali che coinvolgono per la loro gravità non solo coloro che, come vittime, ne sono stati colpiti, ma tutta la comunità internazionale.

Negli anni la CPI è stata più volte oggetto di attacchi volti a screditarne l'operato; l’aggressione della Russia nei confronti dell’Ucraina ha drammaticamente ricordato l’importanza della giustizia penale internazionale.

Alcuni dei temi oggetto del Convegno sono stati quesiti ben definiti come: “Che impatto avrà il conflitto russo-ucraino sull’evoluzione della giustizia penale internazionale?”, oppure “Quale è il ruolo della CPI rispetto al processo di pace?”.

Volendo perciò indagare più a fondo, si è posta l’attenzione su tre diversi aspetti della CPI, tre panel che hanno affrontato tematiche quali i rapporti tra la Corte e gli Stati Membri, l’interpretazione delle norme giuridiche rispetto agli Stati che hanno deciso di non aderire allo Statuto di Roma, quali strumenti per una corretta cooperazione tra Stati, “giurisdizione universale” come risposta alle norme nazionali, quale ruolo della comunità internazionale e la nascita dei tribunali penali internazionali.

Gli interventi a riguardo sono stati molteplici, molte le considerazioni che hanno seguito i lavori di questa giornata, cercheremo di sintetizzarne alcuni.

Interessante è stata l’analisi, perno centrale della questione, di Alessandra Abbate, Avvocato Penalista del Processo di Corte di Cassazione, ovvero che non tutto ha funzionato come doveva e che la CPI presenta a tutt’oggi dei limiti già riscontrati e affrontati negli anni precedenti, ovvero la difficoltà di attuazione della giurisdizione internazionale per le questioni che subentrano inevitabilmente con l’opposizione degli Stati Uniti, della Russia e della Cina ai Principi Fondamentali del Trattato di Roma. Proseguendo con una riflessione, ovvero che l’attuale situazione in Ucraina sta di fatto mettendo avanti i limiti e le criticità della Corte, la quale dovrebbe coglierne in opportunità per ricodificare le proprie azioni.

A seguire l’analisi della Senatrice Emma Bonino, ideatrice e promotrice della Corte, è stata significativa nell’asserire che l’intento di creare una Corte che non fosse legata al Consiglio di Sicurezza ha avuto le sue difficoltà ma che è stato possibile, onde evitare di dover subire interventi e condizionamenti degli Stati Membri, ma che nonostante ci siano riusciti siamo entrati comunque nel paradosso; la Senatrice non ha nascosto la sua delusione ‒ non tanto per le aspettative di adesione al Trattato che hanno visto invece in pochi anni la ratifica dei sessanta Stati necessari che inizialmente mancavano all’appello, ne come qualcuno ha asserito, pensare di dover cambiare “strumento” perché questo non ha funzionato, intervenendo piuttosto su ciò che era stato già creato e che ha richiesto del tempo ‒ per due questioni: la prima data dall’impossibilità della CPI di non rimanere influenzata dalle politiche statali dei Tribunali Nazionali dovute dalla disparità dei finanziamenti, andando a incidere sul suo operato, basti vedere i bilanci dell’Afghanistan e dell’Ucraina e le considerazioni vengono da sé. Così la Bonino ritiene di vitale importanza che la Corte abbia un bilancio fisso che non vada influenzando chissà quale tipo di intervento verso un Paese piuttosto che un altro, sulla base della natura dei suoi investimenti che non ha nulla a che vedere con una “giustizia giusta”, cita la Senatrice.

Entrambe le Relatrici A. Abbate ed E. Bonino sostengono l’importanza oggettiva per la CPI di trovare fondi per finanziarsi autonomamente, così da evitare influenze politiche che di principio non rispettano l’obiettivo della Corte.

La seconda considerazione riguarda la Corte che si “auto perpetua senza grandi slanci”, asserisce la Bonino, uno strumento che è nato per divenire “agente di cambiamento” ma che di questo ha ben poco se non nulla; richiamando di fatto l’attenzione sull’importanza dei gruppi di società civile, gli ambasciatori, gli avvocati e procuratori, attori che richiamerebbero a un ruolo più attivo, attento e soprattutto “dinamico” cita, la Corte Penale Internazionale, la quale si è caratterizzata come presenza sporadica negli ultimi 20 anni.

L’appello a quei Stati che non hanno ancora ratificato il Trattato di Roma giunge da Nathalie Marti, Vice Direttrice della Direzione del Diritto Internazionale, Ministero degli Esteri Svizzero, soffermandosi poi sul concetto dei Tribunali Comuni e sull’esigenza di spendersi in quanto primo attore che interviene con efficacia dinanzi la violazione del diritto, così da evitare l’ulteriore passaggio in Corte Penale che rallenterebbe solo il processo; questo, come sostiene anche A. Abbate, proprio per il “principio di complementarietà”, secondo il quale la CPI è competente a giudicare dei crimini internazionali solo qualora gli Stati non vogliano, o non possano, perseguirli. 

Partendo da un’analisi che vuole abbracciare considerazioni a 360°, Pasquale Velotti, Vice Capo Servizio Affari Giuridici del Contenzioso Diplomatico e dei Trattati, Ministero Affari Esteri, non manca nel constatare che nella storia della Corte emergono tanto i successi quanto le sfide che dobbiamo continuare ad affrontare, tra cui la necessità dell’”universalità” non intesa come giurisdizione quanto come adesione, puntando al coinvolgimento degli altri Stati.

Al di là dell’anniversario, l’invasione del territorio ucraino ha riposto al centro la Corte, nell’accertamento dei crimini commessi da parte della Federazione Russa; il Governo italiano ha partecipato fin dall’inizio alle indagini e Velotti rammenta come l’Italia sia il 5° contributore del Bilancio della Corte con nove milioni di euro, tenendo a ribadire il senso di indipendenza e imparzialità che l’Italia le riconosce, sarebbe dunque un errore soffermarsi all’Ucraina ma ricorda fiduciosa che già prima la Corte stava vivendo una fase di rinnovamento e crescita.

D’altro canto, volendo osservare la situazione da un altro punto di vista, potremmo dire che molti giuristi stanno costatando oggettive difficoltà nella stessa funzionalità della Corte, ci sono ampi dibattiti che gli esperti giuristi stanno affrontando sulla dottrina e sulla sua giurisdizione, interviene Velotti, senza sottrarsi alla gravità del tema ma senza dubbio cercando di analizzare quali sono oggettivamente le carenze sistemiche. Non dimenticando che a volte quegli stessi aggressori che dovrebbero rispondere dei reati fanno parte di Stati che godono di immunità difficilmente scalfibili.

Ci sono difficoltà imputabili, prosegue, anche al sistema finanziario e al suo reperimento, basti pensare al significativo investimento che compete la raccolta del materiale probatorio, o all’efficacia delle decisioni per l'esecuzione materiale di arresti dei personaggi che sono coinvolti, o i principi di diritto che vanno affrontati come quello del processo in contumacia, o ancora la stessa Corte accusata di eurocentrismo.

Anche l'Italia sta contribuendo mandando del personale specializzato a lavorare con il procuratore e se queste risorse vengono duplicate sul settore internazionale, inevitabilmente queste si esauriscono generando poi un fallimento o comunque poca sostanza e poca efficacia nell’azione giurisdizionale.

Del resto Cuno Tarfusser, Magistrato, Vicepresidente della Corte Penale Internazionale dichiara che il bilancio dopo 20 anni di lavoro riflette esattamente lo strumento normativo che la comunità internazionale ha voluto con l’adesione al Trattato, dunque all’inevitabile necessità di negoziati tra Stati e nel loro minimo comune denominatore si è arrivati alla somma dei compromessi che ci ha fornito una Corte debole, poco effettiva, abbastanza conflittuale sia internamente che esternamente tra Stati, piena di contraddizioni, dunque il resoconto finale è di debolezza non negatività, anche nella complessa interpretazione della violazione del diritto sulla base dei luoghi da dove si proviene.

Si richiama l’esigenza di adottare, ma questo strettamente per l’Italia, il Codice dei Crimini Internazionale (2022) con il quale si trova la sua principale ragione nella opportunità di assicurare l’adempimento degli obblighi internazionali; l’Italia può e deve farsene promotrice per il coinvolgimento della comunità internazionale.

Estremamente interessante l’analisi di Luigi Marini, Segretario Generale della Corte Suprema di Cassazione, sul concetto di “radicalizzazione” delle posizioni che ha sostanzialmente portato ad una frammentazione dei negoziati e questo incide molto perché è una radicalizzazione sul tema dei diritti umani vissuti da alcuni Paesi come prosecuzione del colonialismo, un alibi per intaccare la sovranità dei Paesi invocando il diritto sulla base di chissà quali conclusioni “occidentalizzate”; bisogna porre attenzione all’ingerenza tacciata per ricerca della “verità”.

Viene richiesta prudenza per l’Ucraina, a non occidentalizzare ogni tipo di intenzione, sia sul piano finanziario che strutturale, con l’ennesima dimostrazione che il mondo occidentale è selettivo, per tutto quello che non è stato fatto per la Siria, per l’Afghanistan e per tutti quei Paesi che invocano i crimini contro l’umanità. E’ questa la partita che si gioca, le sfere d’influenza come i Paesi Europei, l’America, la Cina e la Russia; che piaccia o no la Corte Penale Internazionale è una creazione occidentale e quello che è il concetto di diritto è il nostro concetto di diritto, il nostro Stato di diritto, il nostro concetto di processo che non ha niente a che vedere con altri processi che apparentemente a pseudo corpi giuridici indipendenti, guarda Indonesia o Cina; il sistema della CPI è complicato perché polarizzato.

In linea di principio la CPI non può intervenire non avendone competenza, sul suolo russo, ucraino e bielorusso, ciò nonostante, ci ricorda Giuseppe Nesi, Professore Ordinario di Diritto internazionale presso l'Università degli Studi di Trento, Componente della Commissione Diritto Internazionale dell'ONU, nel 2014 e 2015 l’Ucraina con due Dichiarazioni ha accettato la giurisdizione della Corte.

Tuttavia sappiamo che quest’ultima ha competenza solo dei crimini di guerra universali, ma non di aggressione e che per il processo di condanna a corpi politici e militari non è assolutamente attuabile finché sono in carica.

Così per il principio della “Legge di Cooperazione Internazionale” del 2012 occorrerebbe che tutti gli Stati aderissero alla Legge e che il principio di giurisdizione universale fosse esteso a tutto il corpo dei crimini internazionali.

L’intervento di Piero Fassino, Presidente Onorario del CeSPI, Deputato della Camera, a chiusura lavori ci ricorda come osservare il contesto internazionale da un punto di vista politico, sia essenziale e doveroso per fornirci un quadro oggettivo di come uno Stato a Democrazia Liberale quale la Russia nulla ha a che vedere con le Democrazie Rappresentative dell’Occidente e che il concetto di “universalità” della giurisdizione - intesa come facoltà degli Stati di esercitare la giurisdizione penale, indipendentemente dal luogo in cui è stato commesso il presunto reato e quale che sia la nazionalità degli imputati e delle vittime - è diversamente interpretabile e non presumibilmente attuabile nella sfera di pertinenza della Corte Penale Internazionale.

Ecco che, nell’attuale condizione internazionale, viviamo in un’era che credeva di aver acquisito determinati principi, ideologie, concetti di diritto, riscoprendoci di fatto ancora molto indietro o più propriamente allineati a concetti teorici che si scontrano inevitabilmente con la sovranità degli Stati, ratificanti il Trattato o meno.