A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA: MANDATO DI ARRESTO EUROPEO, IL PRINCIPIO DELLA DOPPIA INCRIMINABILITÀ È RISPETTATO ANCHE SE NON SUSSISTE LA PIENA COINCIDENZA DI TUTTI GLI ELEMENTI COSTITUTIVI DEL REATO NELLO STATO MEMBRO DI EMISSIONE ED IN QUELLO DI ESECUZIONE (CGUE 14 LUGLIO 2022, C-168/21).

 Autore: Avv. Teresa Aloi

 

La Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza pronunciata il 14 luglio 2022, si sofferma sul tema della cooperazione giudiziaria tra Stati membri in materia penale in relazione all’esecuzione di un Mandato di Arresto Europeo (MAE), con particolare attenzione al principio della doppia incriminabilità.

L’intervento della Corte è avvenuto in seguito alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte di Cassazione, Francia, presentata nell’ambito della procedura di esecuzione, in Francia, di un mandato di arresto europeo emesso dalle autorità giudiziarie italiane nei confronti di un soggetto ai fini dell’esecuzione di una condanna a dodici anni e sei mesi di reclusione per fatti qualificati come rapina in concorso, devastazione e saccheggio, porto abusivo di armi ed esplosione di ordigni, commessi a Genova (Italia) nel 2001 (c.d. procedura di esecuzione attiva).

Il mandato di arresto europeo, previsto dalla Decisione Quadro 2002/584/GAI, del Consiglio europeo del 13 giugno 2002, costituisce la prima concretizzazione, nel settore del diritto penale, del principio del riconoscimento reciproco che il Consiglio europeo ha definito come il fondamento della cooperazione giudiziaria (Considerando 6). La Decisione Quadro è diretta, mediante l’istituzione di un sistema semplificato ed efficace di consegna delle persone condannate o sospettate di aver violato la legge penale, a facilitare ed accelerare la cooperazione giudiziaria allo scopo di contribuire a realizzare l’obiettivo assegnato all’Unione europea di diventare uno spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia fondandosi sull'elevato livello di fiducia che deve esistere tra gli Stati membri che la compongono.

Il MAE si sostanzia in una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà. Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato di arresto in base al principio del riconoscimento reciproco ed in conformità alle disposizioni della Decisione Quadro, la quale, però, non può modificare l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali ed i fondamentali principi giuridici sanciti dall’art. 6 TUE (art. 1).

L’art. 2 della Decisione Quadro 2002/584 prevede che il MAE possa essere emesso per dei fatti puniti dalle leggi dello Stato membro emittente con una pena o con una misura di sicurezza privative della libertà della durata massima non inferiore a 12 mesi oppure, se è stata disposta le condanna ad una pena o è stata inflitta una misura di sicurezza, per condanne di durata non inferiore a 4 mesi.

Danno luogo a consegna in base ad un MAE ed indipendentemente dalla doppia incriminabilità del fatto, i reati elencati all’art. 2, paragrafo 2, quali definiti dalla legge dello Stato membro emittente, se in tale Stato membro il massimo della pena o della misura di sicurezza privative della libertà per tali reati è pari o superiore a tre anni. Per i reati non regolati dall’art. 2, paragrafo 2, la consegna può essere subordinata alla condizione che i fatti per i quali è stato emesso il mandato “costituiscano un reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso” (art. 2, paragrafo 4).

L’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutarsi di eseguire il MAE se, in uno dei casi di cui all’art. 2, paragrafo 4, il fatto che è alla base del mandato non costituisce reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione (art. 3).

Il contesto normativo europeo nel quale si svolge la vicenda oggetto della sentenza in commento comprende, oltre alla Decisione Quadro 2002/584 anche l’art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che sancisce il principio di proporzionalità dei reati e delle pene, nel senso che le pene inflitte non devono essere sproporzionate rispetto al reato commesso.

I fatti oggetto del procedimento principale riguardano un soggetto destinatario di un mandato di arresto europeo emesso dalle autorità giudiziarie italiane ai fini dell’esecuzione di una pena di 12 anni e 6 mesi di reclusione stabilita dalla Corte d’Appello di Genova (Italia) con sentenza divenuta esecutiva il 13 luglio 2012. Tale pena è il risultato del cumulo di 4 pene inflitte per 4 corrispondenti fattispecie criminose, rapina in concorso, devastazione e saccheggio, porto abusivo di armi ed esplosione di ordigni.

Per quanto riguarda specificamente il reato di “devastazione e saccheggio”, previsto dall’art. 419 del codice penale italiano, il MAE descrive, in maniera circoscritta, la circostanza in cui tale reato è stato commesso dal soggetto condannato: in concorso con altri soggetti, in numero superiore a cinque, in un contesto spazio-temporale in cui si era verificato un oggettivo pericolo per l’ordine pubblico, vari casi di danneggiamento, saccheggio e distruzione a mezzo incendio di arredi urbani, proprietà pubbliche e private, con l’aggravante di aver cagionato alle persone offese un danno patrimoniale di rilevante gravità; fatti considerati come espressione di un unico disegno criminoso.

Il soggetto destinatario del MAE, però, non ha acconsentito alla propria consegna alle autorità italiane, così come la Corte d’Appello di Angers (Francia) che, con sentenza del 4 novembre 2020, da un lato, ha rifiutato la consegna del soggetto in ragione del fatto che il mandato d’arresto europeo fosse stato emesso per l’esecuzione della pena di 10 anni di reclusione per i fatti qualificati come “devastazione e saccheggio” e, dall’altro, ha disposto un supplemento di informazioni diretto a chiedere all’autorità giudiziaria italiana se essa desiderasse che fosse eseguita in Francia la restante parte della pena relativa agli altri reati contemplati dal mandato.

Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Angers e lo stesso soggetto condannato, hanno proposto ricorso contro tale decisione davanti alla Corte di Cassazione, Francia, giudice del rinvio. Quest’ultimo giudice ha ritenuto che la causa dinnanzi ad esso pendente sollevi questioni di interpretazione circa la condizione della doppia incriminabilità del fatto, prevista dall’art. 2, paragrafo 4, e, dall’art. 4, punto 1, della Decisione Quadro 2002/584. Egli sottolineava che, per rifiutare la consegna del condannato ai fini dell’esecuzione della pena di dieci anni inflitta per il reato di “devastazione e saccheggio”, la Corte d’Appello di Angers ha rilevato che due delle condotte sottese a tale reato non erano suscettibili di costituire reato in Francia. Pertanto, poiché la Corte d’Appello di Genova e la Corte di Cassazione Italia avevano espresso la volontà inequivoca di analizzare tutti i fatti perseguiti sotto la qualificazione di “devastazione e saccheggio” come costituenti un insieme inscindibile, la condizione della doppia incriminabilità del fatto imponeva di escludere l’insieme dei fatti inscindibili puniti sotto tale qualificazione.

Il giudice del rinvio osservava che, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia europea (sentenza 11 gennaio 2017, Grundza, C-289/15), nel valutare la sussistenza della condizione della doppia incriminabilità del fatto, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione deve verificare se i fatti alla base del reato, come descritti nella sentenza pronunciata dall’autorità competente dello Stato membro di emissione, sarebbero anch’essi, di per sé, penalmente perseguibili nel territorio dello Stato membro dell’esecuzione, nell’ipotesi in cui tali fatti si fossero verificati in tale territorio. Non sarebbe necessaria una perfetta corrispondenza né tra gli elementi costitutivi di tale reato, quale definito dalle leggi, rispettivamente, dello Stato membro di emissione e dello Stato membro di esecuzione, né nella denominazione o nella classificazione di detto reato, secondo le leggi nazionali interessate. Inoltre, secondo la legge italiana, il reato di devastazione e saccheggio si riferisce a molteplici e massicci atti di distruzione che hanno causato non solo un pregiudizio ai proprietari dei beni, ma anche una violazione dell’ordine pubblico, mettendo in pericolo il normale svolgimento della vita civile.

Secondo il diritto penale francese, il fatto di mettere in pericolo l’ordine pubblico attraverso la distruzione di massa di beni mobili o immobili non costituisce una fattispecie di reato specifica. Sarebbero da considerarsi tali solo la distruzione, il danneggiamento, il furto con danneggiamento commessi, eventualmente in concorso, idonei a causare un pregiudizio ai proprietari dei beni.

Sebbene non sia richiesta una corrispondenza esatta tra gli elementi costitutivi del reato nel diritto italiano e nel diritto francese, il pregiudizio all’ordine pubblico costituirebbe, tuttavia, un elemento essenziale ai fini della qualificazione del reato di “devastazione e saccheggio”, per cui, secondo il giudice del rinvio, l’applicazione della condizione della doppia incriminabilità del fatto non sembra imporsi con una tale evidenza da non lasciare spazio ad alcun ragionevole dubbio.

Nel caso in cui la condizione della doppia incriminabilità del fatto non fosse di ostacolo alla consegna del condannato destinatario del mandato, il giudice del rinvio ha ritenuto che allora si porrebbe la questione della proporzionalità della pena  per la quale tale consegna è richiesta solo in relazione ai fatti per i quali tale condizione è soddisfatta. A tale riguardo, il giudice, in primo luogo, osservava che la Decisione Quadro 2002/584 non contiene alcuna disposizione che consenta all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di rifiutare la consegna dell’interessato per il motivo che la pena irrogata nello Stato membro emittente risulti sproporzionata rispetto ai fatti per i quali è prevista la consegna. In secondo luogo, sebbene la Decisione Quadro preveda che l’esecuzione del mandato d’arresto europeo possa essere subordinata dalla legge dello Stato membro di esecuzione alla condizione che l’ordinamento giuridico dello Stato membro emittente contenga disposizioni che consentano una revisione della pena inflitta, questo vale solo nell’ipotesi in cui il reato in base al quale il MAE è stato emesso sia punito con una pena o una misura di sicurezza privative della libertà a vita.

Pertanto, anche se l’autorità giudiziaria dell’esecuzione ritenesse che esistano serie difficoltà sotto il profilo della proporzionalità del MAE, essa non potrebbe rifiutarsi, per tale motivo, di ordinare la consegna della persona ricercata ai fini dell’esecuzione della pena irrogata nello Stato membro emittente. Inoltre, poiché spetta, in linea di principio, all’autorità giudiziaria emittente verificare la proporzionalità di un mandato di arresto europeo prima della sua emissione, nell’ipotesi in cui tale mandato sia emesso per l’esecuzione di una pena che punisce un reato unico caratterizzato da più condotte, ma delle quali solo alcune costituiscono reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione, potrebbe accadere che tale atto non sia più proporzionato nella fase della sua esecuzione mentre lo era nella fase della sua emissione.

In ragione di tali dubbi ed alla luce dei diritti e dei principi giuridici fondamentali che devono essere rispettati nell’ambito del MAE, la Corte di Cassazione francese, giudice del rinvio, decide di sospendere il procedimento e di sollevare davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea, le questioni pregiudiziali circa l’esatta interpretazione delle disposizioni della Decisione Quadro 2002/584 e dell’art. 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

La CGUE, in via di principio, rileva che le autorità giudiziarie dell’esecuzione possono rifiutare di eseguire un mandato di arresto europeo solo per i motivi di non esecuzione tassativamente elencati nella Decisione Quadro e possono subordinarne l’esecuzione solo ad una delle condizioni previste dall’art. 5 della stessa. Di conseguenza, mentre l’esecuzione del mandato costituisce il principio, il rifiuto di esecuzione è concepito come un’eccezione che deve essere oggetto di interpretazione restrittiva. Inoltre, il principio del riconoscimento reciproco, che è alla base del meccanismo di consegna, ha condotto alla compilazione, all’art. 2 della Decisione Quadro, di un elenco di reati che danno luogo alla consegna della persona interessata destinataria del MAE senza il controllo della doppia incriminabilità del fatto.

Per i reati non elencati in tale norma, l’esecuzione del MAE è subordinata alla condizione della doppia incriminabilità del fatto. Tale condizione costituisce, pertanto, un’eccezione alla regola secondo cui il mandato d’arresto deve essere eseguito, per cui l’ambito di applicazione di tale motivo deve essere fortemente limitato.

Conformemente ad una giurisprudenza costante della Corte europea, la valutazione della condizione della doppia incriminabilità del fatto impone di verificare se i fatti per i quali è stato emesso il MAE costituiscano reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione e ciò indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica dello stesso. Correlativamente in base all’art. 4 della Decisione Quadro, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può rifiutare di eseguire il MAE se il fatto che è alla base dello stesso non costituisce reato anche ai sensi della legge dello Stato di esecuzione. Ne consegue che, non è necessario che i reati siano identici nei due Stati membri interessati. Infatti, dai termini “indipendentemente dagli elementi costitutivi o dalla qualifica” del reato, risulta chiaramente che il legislatore dell’Unione non ha ritenuto necessaria una esatta corrispondenza tra gli elementi costitutivi della fattispecie criminosa definita dalle leggi dei due Stati membri, per cui l’autorità giudiziaria dell’esecuzione, nel valutare la condizione della doppia incriminabilità del fatto, al fine di verificare se sussista o meno un motivo per non eseguire il mandato d’arresto, è tenuta ad accertare se gli elementi di fatto alla base del reato siano tali da configurare un’ipotesi criminosa anche nello Stato membro di esecuzione.

Ne discende che, interpretare la condizione della doppia incriminabilità del fatto come una esatta corrispondenza tra gli elementi costitutivi del reato come qualificato dalla legge dello Stato membro emittente e quelli del reato previsto dalla legge dello Stato membro dell’esecuzione, pregiudicherebbe l’effettività della procedura di consegna. Infatti, alla luce dell’armonizzazione minima nell’ambito del diritto penale a livello dell’Unione, una tale esatta corrispondenza può non sussistere per un gran numero di reati, con la conseguenza di mettere n pericolo gli obiettivi perseguiti dalla Decisione Quadro 2002/584, di facilitare ed accelerare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri e di lottare contro l’impunità di una persona ricercata che si trovi in un territorio diverso da quello nel quale ha commesso il reato. Interpretare la condizione della doppia incriminabilità del fatto nel senso che sia necessaria la perfetta coincidenza della violazione dell’interesse giuridico tutelato in base alla legge dello Stato membro emittente e dello Stato membro dell’esecuzione, potrebbe portare al rifiuto della consegna della persona interessata.

In ragione di quanto precede la Corte di Giustizia dell’Unione europea si pronuncia nel senso che la condizione della doppia incriminabilità del fatto è soddisfatta nel caso in cui il MAE sia emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà inflitta per fatti che integrano, nello Stato membro emittente, un reato che richiede che essi ledano un interesse giuridico tutelato in tale Stato membro, quando i suddetti fatti costituiscono reato anche ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione, reato del quale la lesione di tale interesse giuridico tutelato non è un elemento costitutivo.

Tenendo conto del contesto nel quale le disposizioni della Decisione Quadro si inseriscono e degli obiettivi da essa perseguiti, non è rilevante, ai fini della valutazione della condizione della doppia incriminabilità del fatto, che i fatti per i quali è stato emesso il MAE siano qualificati come reato unico ai sensi della legge dello Stato membro emittente, con la conseguenza che la circostanza che solo una parte dei fatti che compongono un reato nello Stato membro emittente costituisce reato anche ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione non può consentire all’autorità giudiziaria dell’esecuzione di rifiutarsi di eseguire il MAE.

Tale interpretazione è corroborata dall’impianto sistematico della Decisione Quadro ed è conforme all’art. 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali che sancisce il principio di proporzionalità dei reati e delle pene. Pertanto, si deve ritenere che la condizione della doppia incriminabilità del fatto sia soddisfatta qualora il mandato d’arresto europeo sia emesso ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà, sebbene essa sia inflitta, nello Stato membro emittente, per la commissione da parte della persona ricercata di un reato unico composto da più fatti di cui solo una parte costituisce reato nello Stato membro di esecuzione.

La garanzia del rispetto dei diritti della persona di cui è stata chiesta la consegna rientra, in primo luogo, nella responsabilità dello Stato membro emittente ed il carattere eventualmente sproporzionato della pena inflitta nello Stato membro emittente non figura tra i motivi di non esecuzione obbligatoria o facoltativa di un MAE elencati negli artt. 3, 4 e 4 bis della Decisione Quadro 2002/584.

Secondo la Corte di Giustizia dell’Unione europea, pertanto, la condizione della doppia incriminabilità del fatto implica unicamente di verificare se gli elementi di fatto del reato che ha dato luogo all’emissione del MAE sarebbero di per sé, costitutivi di un reato ai sensi della legge dello Stato membro di esecuzione nel caso in cui si fossero verificati nel territorio di quest’ultimo.

Non spetta, pertanto, all’autorità giudiziaria dell’esecuzione, nell’ambito della valutazione di tale condizione, valutare la pena inflitta nello Stato membro di emissione alla luce dell’art. 49, paragrafo 3, della Carta europea dei diritti fondamentali.

 

Avv. Aloi Teresa,  Foro di Catanzaro