A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

L’INSTABILITÀ DEMOCRATICA IN TUNISIA. DALLE PRIMAVERE ARABE ALL’ESTATE DI SAID. 

Autore: Avv. Gianvito Campeggio 

 

Sommario: 1. Un brusco strappo istituzionale – 2. Il Parlamento sciolto. Il progressivo smantellamento delle istituzioni democratiche portato avanti da KaisSaied- 3.La qualità della democrazia rappresentativa e della partecipazione cittadina – 4. Il rapporto tra decentramento e territorio - 5. Per una democrazia locale partecipata e condivisa – 6. La nuova Agenda per il Mediterraneo – 7. Conclusioni

 

  1. Un brusco strappo istituzionale

Che le democrazie, presidenziali, semipresidenziali e parlamentari siano in pericolo e che la libertà di pensiero e di parola siano minacciati, non solo nei risorgenti regimi totalitari, militari o paraideologici e nelle autocrazie personali, sempre più minacciosamente in espansione, ma anche nei regimi pseudodemocratici e para-costituzionali, risulta testimoniato, in questo tormentato esordio del terzo millennio, dalla cronaca quotidiana, sempre più drammatica[1].

Quella tunisina è il resoconto di una crisi annunciata, con una tenuta democratica che scricchiolava da mesi, in un braccio di ferro sempre più aspro tra il premier, a capo di un governo sostenuto dal partito islamico moderato Ennahda, e il presidente tunisino, tra scambi di accuse e rimpasti bloccati, in un’impasse istituzionale aggravata da una pandemia che continua a dilagare.

Come in passato, anche in questa prima metà del 2021 la Tunisia si trova a dover fare i conti con una serie di problematiche che hanno radici nella sua storia, recente e non solo. L’instabilità politica, che sfocia sempre più spesso nell’ingovernabilità e nell’immobilismo, il diffuso malcontento sociale verso la classe dirigente, un potere politico, sempre più intollerante, ottuso e violento nella difesa del proprio status governante, dei propri privilegi e delle proprie corruttele sistemiche[2], sono alcuni dei principali elementi che caratterizzano la crisi di questa giovane democrazia[3].

Nelle democrazie è prassi seguire altri binari per affrontare crisi istituzionali e di governo.

Il popolo tunisino, soprattutto studenti universitari, ma anche minorenni, a dieci anni dopo l’insorgere della Jasmine Revolution [4], la Rivoluzione dei Gelsomini, consacrata nella Costituzione della II Repubblica tunisina, che diede il via, nel 2011, alla stagione delle “Primavere arabe” in molti paesi del Nord Africa e del Medio Oriente, è tornato ad appropriarsi delle piazze e non soltanto a Tunisi[5]. Una serie di problemi di carattere sia politico che giuridico pongono sfide decisive al consolidamento della democrazia nel Paese[6].

La violenza, la sistematica intimidazione, gli abusi segnalati e sempre negati, la forza da parte della pubblica sicurezza durante la gestione delle proteste e dei disordini, accompagnate da casi di violenza fisica nei confronti dei manifestanti[7]. Le torture denunciate dai familiari dei detenuti. Da lì alla piazza il passo è stato breve: e nelle istanze dei dimostranti entrano anche le richieste di riforme e lavoro, per denunciare i clientelismi, le aperte corruzioni, le disuguaglianze sociali e le condizioni economiche rese ancor più drammatiche dalla pandemia. Ma soprattutto per gridare che quel modello di democrazia avviato proprio dieci anni fa con la cacciata del dittatore Ben Alì la cui politica di “cambiamento” e di modernizzazione celava un capillare controllo autoritario e una prassi repressiva, giustificati dietro la bandiera della lotta contro il terrorismo. Sebbene privato di libertà e dignità, il popolo tunisino ha saputo reagire. Con la rivolta del gennaio 2011 e la messa in fuga del dittatore Ben Ali, ha respirato la libertà: libertà di scegliere, libertà di agire, libertà di parlare, libertà di esprimersi[8]. La democrazia e la libertà sono condizioni di partenza per ulteriori processi di democratizzazione e liberazione[9].Tuttavia, ora si respira ancora una crisi sociale che s’intreccia a un’intricata emergenza politica, ormai a un passo dalla frattura.

Sabato 6 febbraio, migliaia di persone si sono riunite a Tunisi per una delle più grandi manifestazioni dalla Rivoluzione dei Gelsomini a oggi dove il popolo tunisino chiedeva al presidente Saied di intervenire e tutelare le libertà contro le violenze della polizia, le politiche repressive. Quindi una protesta a più strati, ragioni diverse che si sommano, che si affiancano, moltiplicando l’insofferenza, quasi spingendo i più giovani a manifestare, a reclamare i propri diritti, a difendere le conquiste, più teoriche che pratiche, fin qui ottenute. Contro una politica che non sa più rispondere alle esigenze della popolazione, che non riesce a porre un freno al dilagare della corruzione e del clientelismo, con una tendenza spiccata a reprimere, a stroncare, a recidere quelle fragilissime radici di democrazia. 

Ma alla fine non si è registrato alcun risveglio politico. Peggio ancora, una certa élite politica sembra sempre più rifiutata dalla nazione, in assenza di risultati economici convincenti[10]

Ma la Tunisia è nuovamente di fronte a un bivio: da una parte l’occasione per imprimere una svolta decisiva, un nuovo impulso verso la costruzione e il consolidamento di una nuova democrazia, dall’altra parte, invece, il ritorno al regime, all’uomo forte, alla contrazione definitiva degli spazi di libertà. 

La nomina di Najla Bouden Romdhane, geologa e docente di ingegneria, a primo ministro della Tunisia ha sorpreso nuovamente la scena politica tunisina. Il Presidente Saied ha incaricato, per la prima volta nella storia, una donna di formare il nuovo Governo[11], il quale non verrà approvato dal Parlamento ancora congelato. Nejla Bouden Romdhan e si appresta a diventare la prima donna nel mondo arabo a ricoprire un tale ruolo istituzionale. La carta giocata da Saied sembra quella di rassicurare la popolazione tunisina e i partner internazionali della sua fedeltà ai valori e agli obiettivi della Rivoluzione dei Gelsomini del 2011.Tuttavia, gli interrogativi sulla democratizzazione permangono. Nonostante la recente nomina di Nejla Bouden, il Presidente Saied sembra essere intenzionato a riprendere la strategia iniziale, ovvero un ribilanciamento dell’assetto istituzionale con il rafforzamento sostanziale della Presidenza e il superamento dell’attuale legge elettorale, responsabile della polarizzazione e frammentazione dei partiti politici tunisini.
Di conseguenza il destino della transizione democratica tunisina sembrerebbe rimanere nelle mani del Presidente, unico attore che può agire incontrastato in vista dell’assenza degli altri organi dello Stato: un Parlamento “licenziato” e una Corte Costituzionale, quest’ultima non ancora istituita, sebbene prevista nella Carta, accentrando progressivamente nelle sue mani il potere esecutivo e legislativo, con diversi decreti presidenziali[12]. In particolare, col decreto n. 2021-69, del 26 luglio 2021, il presidente tunisino pone fine alle funzioni del capo del governo e dei membri del governo; col decreto n.2021-80, del 29 luglio 2021, sospende i poteri dell'Assemblea dei rappresentanti del popolo, il decreto n. 2021-109, del 24 agosto 2021, proroga le misure eccezionali relative alla sospensione dei poteri dell'Assemblea dei rappresentanti del popolo.

Si ricorda, infine, il decreto n. 2021- 117, del 22 settembre 2021, relativo a misure eccezionali, il quale apporta sostanziali modifiche alla Costituzione del 2014, incidendo sull’assetto costituzionale tunisino nel suo complesso. Ventidue articoli, suddivisi in quattro capitoli, che segnano un punto di svolta – o di non ritorno? – della presidenza di Saied, già particolarmente pronunciata e “interventista”.  

Un atto normativo che evidenzia chiaramente l'autosupremazia e il primato sulla Costituzione, compromettendo in tal modo la Carta costituzionale stessa, e che concentra tutti i poteri dello Stato nella persona del Presidente Kais Saied; che le disposizioni della Costituzione in materia di diritti e libertà saranno rispettate e garantite solo se non violano le leggi basate sui decreti-legge presidenziali e le misure eccezionali; che il decreto presidenziale n. 117 non consente di impugnare le decisioni presidenziali dinanzi a un tribunale, nemmeno dinanzi al massimo organo giurisdizionale amministrativo della Tunisia e la sua Corte di cassazione. Tale decreto, però, non appare provvedimento avulso e inaspettato nel contesto tunisino (ri)disegnato dalle scelte presidenziali, ma si presenta come step finale – e probabilmente, non ultimo – di una escalation di misure urgenti, eccezionali, straordinarie[13]. In questo contesto che la regola diviene lo stato d'eccezione (o di emergenza o di necessità o di pericolo pubblico o di assedio, come viene variamente chiamato), in base cioè al principio universalmente riconosciuto dalla dottrina giuridica secondo cui in situazioni eccezionali i legittimi detentori del potere politico hanno il diritto di sospendere le garanzie giuridiche previste dalla costituzione e sono quindi investiti dei “pieni poteri”[14].

Senza Parlamento, né Corte costituzionale, lo stato tunisino rischia di trasformarsi in una repubblica presidenziale dove unico detentore del potere rimane Saied. A tal proposito, è utile ricordare come, dopo la riforma costituzionale del 2014, la Tunisia sia passata da un sistema puramente presidenziale (in cui il capo dello stato godeva di fatto di poteri pressoché illimitati) a un sistema simile al semipresidenzialismo francese. Lo stesso presidente tunisino aveva avanzato l’ipotesi di una revisione costituzionale affermando di rispettare la Carta fondamentale ma aprendo alla possibilità di modificarne il testo. 

La mossa di conferire l’incarico a Najla Bouden Romdhane ha riacceso i riflettori internazionali sulla Tunisia, eppure non è bastata a placare i sospetti, né a rassicurare gli scettici, perché, ed è questo il contraltare della “buona notizia”, c’è chi teme che l’incarico alla geologa non sia altro che fumo negli occhi, una mossa di teatro, più apparenza che sostanza. Una nomina arrivata dopo settimane di crescenti pressioni, nazionali e internazionali. Stando all’ art. 80[15] della Costituzione tunisina, il Presidente può sì sospendere il Parlamento in caso di “pericolo imminente”, ma per un solo mese, non per tre[16]. Seguendo questa rotta il Presidente ha disposto il congelamento delle attività parlamentari e il venir meno delle immunità per i membri dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo (ARP) e la revoca dell'immunità parlamentare di tutti i suoi membri. Tecnicamente, una sospensione, non lo scioglimento dell’organo legislativo, dunque. Dapprima valida per un periodo di trenta giorni, allo scadere del termine, l’impossibilità per l’Assemblea dei rappresentanti del popolo di operare è stata ribadita “fino a nuovo ordine”, senza ulteriori specificazioni. Chiaramente, sebbene sospensione e scioglimento non possano essere assimilati nella forma – il secondo, del resto, non è neppure consentito ex art. 80, ma si presenterebbe, in linea generale, almeno come scelta con valenza definitoria – un blocco dei lavori che dovesse protrarsi sine die li renderebbe situazioni equivalenti nella sostanza, qualora le sorti del Legislatore restassero vaghe e subordinate a presupposti “emergenziali”.

Peraltro, chi può ratificare oggi il mandato di Najla Bouden? Il Parlamento non c’è (congelato fino a nuovo avviso). Decide tutto Kais Saied, anche in virtù del decreto emesso il 22 settembre scorso che rafforza i poteri della Presidenza a scapito di Parlamento e esecutivo (sarà lui, e non il premier, a presiedere il Consiglio dei Ministri). Quale spazio autonomo di manovra potrà trovare la neo primo ministra? Qualche dubbio appare più che lecito.

Il Presidente tunisino continua a correre su un doppio binario: da un lato parole rassicuranti, dall’altro fatti, gesti, che vanno nella direzione contraria, o che mancano del tutto. Manca la riapertura delle istituzioni indispensabili per far funzionare una democrazia, manca la voce dei partiti, manca il voto del popolo tunisino. Uno stato così inteso, dove i detentori dei pieni poteri non si ritengono più vincolati a rispettare le norme costituzionali generali che stabiliscono le funzioni e i limiti di competenza degli organi di governo; dove si ritengono autorizzati a esercitare il potere, non solo in casi eccezionali, ma abitualmente, non mediante leggi generali, ma mediante provvedimenti arbitrari, in base a un mero giudizio di opportunità, è uno stato “doppiamente illegale”[17] (come descritto da E. Fränkelnel “doppio Stato”),sia rispetto al modo con cui viene esercitato, ovvero senza vincoli costituzionali, sia rispetto al mezzo con cui questo esercizio viene attuato, ovvero in base a meri giudizi di opportunità. Per questi motivi le reazioni internazionali sono tutte all’insegna della prudenza, a mascherare l’aperto scetticismo.

Nel complesso, nonostante l'alto numero di vaccini e forniture mediche arrivate da donatori internazionali, la situazione sul campo è critica, con i cittadini tunisini che in ultima analisi subiscono il peso di un sistema politico che ha perso la fiducia[18].

 

2. Il Parlamento sciolto. Il progressivo smantellamento delle istituzioni democratiche portato avanti da Kais Saied

Il presidente KaisSaied, mercoledì 30 marzo, ha sciolto il Parlamento[19], la cui attività era già stata sospesa in precedenza, aggravando l’instabile situazione interna e rafforzando ulteriormente la sua figura autoritaria.

Il leader del Paese Nord Africano ha preso la decisione, a seguito di un opposizione del partito islamista di Ennahda, dopo che i deputati avevano tentato di annullare le misure “straordinarie[20] emanate dal presidente a luglio 2021.“Una mossa che aggrava la crisi politica e che rappresenta una minaccia per la situazione economica perché distruggerà le istituzioni”, ha dichiarato Rached Ghannouchi, leader del partito islamista Ennahda.

Le azioni del presidente hanno ancora una volta avviato una serie di proteste nelle maggiori città tunisine. Il 20 marzo, infatti, data del sessantaseiesimo anniversario del Giorno dell’Indipendenza della Tunisia, migliaia di cittadini sono scesi nelle strade della capitale Tunisi, sia per condannare l’operato di Saied, accusandolo di aver preso il potere durante una crisi politica[21], che per chiedere le elezioni presidenziali e legislative anticipate.

Il 20 marzo è stato anche l’ultimo giorno di un sondaggio online lanciato da Saied a gennaio 2022 per riscrivere la Costituzione del Paese. Un referendum sulle riforme costituzionali, che Saied spera rafforzi la sua autorità, è poi previsto per luglio 2022, mentre le elezioni parlamentari sono previste per il seguente mese di dicembre. Un serie di date che evidenziano l’ennesimo braccio di ferro tra dittatura e democrazia.

 

3. La qualità della democrazia rappresentativa e della partecipazione cittadina

La democrazia tunisina è in crisi: a seguito delle decisioni prese dal capo dello stato Kais Saied, senza consultazioni, né partecipazione del popolo alle scelte politiche, né alcune motivazioni allegate, si prefigura un clima che anticipa una possibile deriva autoritaria del Paese.

La democrazia rappresentativa consente ai cittadini di esprimere la loro volontà tramite i rappresentanti eletti a cui delegano il potere perché difendano i loro interessi, li rappresentino nei parlamenti e nelle assemblee, adottino leggi ed infine controllino i governi.

Tuttavia, la democrazia rappresentativa, sebbene essenziale, non è di per sé sufficiente. Lo sviluppo della democrazia richiede il decentramento del potere e con esso le diverse esperienze della società civile. E sappiamo che il decentramento è così impegnativo che la partecipazione deve essere più di un obiettivo a sé stante. A tutti i livelli, la partecipazione deve essere essa stessa parte del processo di decentramento.

Richiede un'infrastruttura di supporto – libertà, trasparenza (in particolare per contrastare la corruzione), spazi sicuri (anche on line), mezzi di informazione indipendenti, movimenti sociali vigorosi, risorse economiche e organizzazioni della società civile – che permetta al popolo di connettersi tra di loro e per far sentire la loro voce.

Il sistema funziona se si basa sul rispetto e la fiducia tra il popolo ed i suoi rappresentanti e se rispetta varie caratteristiche fondamentali di controlli e contrappesi come la libertà di scelta, di elezioni libere, eque e periodiche, la separazione ed equilibrio tra i poteri pubblici, il rispetto dello stato di diritto, il buon governo costituisce il fondamento della competizione politica aperta ai diritti politici che si leggono nelle disposizioni costituzionali, innanzitutto, alla luce del Preambolo[22], riconosciuto espressamente dall’art. 145 come “parte integrante” della stessa Costituzione[23].

A tal proposito il Presidente del Congresso, Leendert Verbeek rivolgendosi all'Assemblea Generale dell'ALDA (Associazione Europea per la Democrazia Locale), tenutasi online il 25 giugno 2021, ha sottolineato l’importanza della fiducia dei cittadini e il loro coinvolgimento nel processo decisionale politico, che è un elemento vitale di qualsiasi Stato democratico. "La fiducia, afferma, tra i cittadini e i loro eletti è più che mai necessaria per ripensare le nostre società a seguito della crisi sanitaria. È ancora più essenziale se vogliamo rafforzare il funzionamento democratico delle nostre società nel rinnovamento post-crisi"[24].

Il coinvolgimento dei giovani e il bisogno di consultazione, di concertazione, di partecipazione sono soluzioni ottimali per affrontare le sfide autoritarie. Una sfida come questa deve fornire l’opportunità di realizzare una migliore condivisione delle responsabilità tra i vari livelli di potere nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) stabiliti dall'Agenda 2030 delle Nazioni Unite[25].

Pertanto, è essenziale considerare la democrazia territoriale come un pilastro del sistema democratico.

 

4. Il rapporto tra decentramento e territorio

Il processo di decentralizzazione della Tunisia ha il potenziale per dare nuovo impulso alla transizione democratica in quanto rafforza gli attori locali, migliora i servizi, introduce nuove energie e idee nel processo politico a livello locale e allevia la pressione sul governo centrale.

Nella nuova Costituzione, pertanto, al Capitolo VII, intitolato “Il potere locale”, le autorità locali vengono definite quale potere locale e ad esse vengono dedicati ben dodici articoli. Sta di fatto che la continua disparità tra le zone ricche e sviluppate e quelle più povere del Paese ha contribuito a minare sempre di più la fiducia del popolo verso le istituzioni.

Si potrebbe dire che esiste un decentramento “dal basso”, che si fonda su alcuni principi cardine come l’autodeterminazione, la sussidiarietà[26] e la democrazia[27] e che ha come fine il tentativo di avvicinare i centri di decisione pubblica alla popolazione soggetta a tali decisioni; lo Stato, in questo senso, favorisce l’autonomia locale e garantisce chetale autonomia si sviluppi nei imiti dell’ordinamento giuridico dello Stato stesso. Esiste, poi, un decentramento “dall’alto”, che è essenzialmente un modo di gestione dello Stato centrale, che quindi affida l’esercizio di determinate funzioni ai livelli di governo inferiori, siano essi periferici o autonomi, ai fini di una migliore amministrazione dell’organizzazione statale; in questo senso il decentramento si avvicina a quella che molti autori, specialmente francesi, hanno definito deconcentrazione. Nel primo caso si può parlare di governo locale; nel secondo sembra più corretto riferirsi all’amministrazione locale[28].

Il diffondersi del passaggio dall'idea di decentramento a quella di autonomia territoriale consente di coniugare democrazia rappresentativa con forme di democrazia partecipativa e di autonomia territoriale.

La democrazia non è solo elezione, voto chiesto una tantum e legittimazione alla decisione, ma condivisione di “metodi” in diversi ambiti dove ognuno è portatore e custode di un proprio interesse, secondo la pratica della “demodiversità”[29]. Una pratica che consiste nel riconoscere pari dignità a tutti i partecipanti non per semplice libertà di opinione, ma per comunanza di bisogni naturali di specie.

Il termine “demodiversità”, del resto, nasce proprio, oltre che come tutela prioritaria e non negoziabile della salute di qualsiasi forma di vita rispetto soprattutto agli interessi economici di estrazione e sfruttamento del suolo, anche come criterio di distribuzione delle competenze tra Stato ed enti territoriali, alternativo a, o integrativo di, quello del ritaglio per materie (si parla di “politiche integrate di sistema” con i viventi dei territori, prima ancora che con gli enti) e come fonte di legittimazione del coinvolgimento diretto delle popolazioni locali in tutte le decisioni pubbliche sul futuro[30].

Ogni cittadino tunisino ha il diritto di creare circoli virtuosi di conoscenza, discussione e condivisione di problemi e ricerca di soluzioni sul futuro della democrazia; comunicare i propri saperi al di là dei ruoli istituzionali o scientifici ricoperti (realizzando quel paradigma di scienza post-moderna SPN[31], teorizzato da Silvio Funtowicz e Jerry Ravetz), coniugandoli con (non sacrificandoli a) le acquisizioni della scienza e della politica[32]per il superamento delle differenziazioni funzionali. È necessario, tuttavia, superare le barriere della cittadinanza politica, come titolo di accesso alle decisioni e quindi imparare a praticare la democrazia non come mandato scritto, ma come “obbligazione morale”[33] che proviene dai luoghi e non da una élite. Per queste ragioni, ogni cittadino, deve essere un attore libero e responsabile della vita politica.

In tal senso sia l’art. 2 della Costituzione tunisina, che pone la volontà del popolo, oltre che la cittadinanza e la supremazia della legge, come fondamento dello Stato tunisino, sia l’art. 3, il quale ribadisce che il popolo è titolare della sovranità e fonte del potere, che esercita mediante elezioni e referendum fungono da ulteriori chiavi di lettura per le disposizioni poste a riconoscimento e garanzia dei diritti politici ed elettorali del popolo tunisino.

Il rapporto che lega le esperienze locali al territorio hanno trasformato i diversi saperi in un interessante laboratorio per esperienze di partecipazione pubblica alla vita pubblica. Così come suscitò nella dottrina un particolare interesse per i caratteri della partecipazione popolare[34].

Il valore dell’espressione di sapere, anzi di saperi, delle pratiche partecipative sono idonee a mettere in gioco sia i saperi che si chiamano d’uso o quotidiani, sia saperi esperti alternativi. Così è stato molte volte rilevato che la conoscenza dei fatti e le esigenze sono in grado di apportare i cittadini comuni che l’amministrazione non viene con ogni buona volontà ad acquisire con le sole sue forze. Come pure accade non di rado che le prospettazioni e qualche volta le progettazioni alternative dal basso aiutino a mettere a fuoco soluzioni più appropriate di quelle immaginate dalle istituzioni nelle loro proposte e progetti[35]. Il rapporto saperi, democrazia, territorio, inteso in termini di rapporto tra luoghi della trasmissione/costruzione di conoscenza e territorio è un rapporto circolare, sistemico.

 

5. Per una democrazia locale partecipata e condivisa

I processi democratici in Africa, compresa la Tunisia, sono un argomento di grande attualità, caratterizzati da una forte mobilitazione e partecipazione sociale, ma spesso foriere di violenza. L’appartenenza al territorio, alle tribù[36], tuttavia, rimane ancora un elemento forte.

Papa Giovanni XIII nell’enciclica Pacem in Terris scriveva: l’uomo ha il diritto di partecipare alla vita pubblica perché egli non è oggetto passivo nella vita sociale, bensì soggetto, fondamento e fine chiamato a dare il suo personale contributo all’attuazione del bene comune.

La partecipazione del popolo tunisino dev’essere l’elemento fondamentale per la rinascita del sistema democratico. Ce lo ricorda la Carta africana per la partecipazione popolare allo sviluppo e alla trasformazione che l'assenza di democrazia è una delle ragioni principali delle persistenti sfide allo sviluppo che l'Africa deve affrontare[37]: le Nazioni non possono essere costruite senza il sostegno popolare e la piena partecipazione dei popoli. È opportuno ridurre la “cecità sistemica” dei singoli individui[38] e offrire una maggiore partecipazione a gruppi differenti.

A ben vedere, la partecipazione diventa l’elemento caratterizzante per una migliore costituzione. Si ricorda la Dichiarazione n. 10 di Rio de Janeiro del 1992 (la c.d. «corrispondenza di livello» delle decisioni), la Convenzione di Arhus del 1998 (la partecipazione come accesso alle informazioni e alla giustizia), la dir. Quadro UE sull’acqua 2000/60 CE (informazione partecipata), il reg. UE 1367/2006, persino l’art. 13 della l. italiana sulla biodiversità (n. 194/2015), la Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli (1981) prevede all’ art. 9 di essere informato. Sono dispositivi molto più formativi di quanto offra la rappresentanza politica e all’ art. 13 il diritto di partecipare liberamente alla direzione degli affari pubblici del loro paese.

Principi questi (partecipazione, espressione, informazione, diritto di accesso all’ informazione, ecc.) classicamente presenti nelle Costituzioni post-Seconda guerra mondiale, che rivestono un ruolo fondamentale nella costruzione della democrazia tunisina. Tuttavia, non si può avere un regime democratico se prima non si è creata una mentalità democratica[39].

Alcuni autori d’oltre oceano affermano, sulla base di studi comparatistici, che per avere un alto livello di democratizzazione occorre che vi sia una forte partecipazione popolare al processo costituente e, a tal proposito, ricordano come lo stesso Carter Center[40], autorevole osservatore del dibattito costituente tunisino, non abbia mancato di affermare che: Un processo di elaborazione costituzionale partecipativo è quello che vede l’intervento reale dei cittadini che devono essere informati sulle scelte in gioco ed avere una reale opportunità di esprimere direttamente il loro parere ai rappresentanti coinvolti nella redazione della Costituzione.

Ragionando in questo senso sorgono due interrogativi: cosa significa esattamente partecipare? quali motivazioni spingono i popoli ad iniziative pubbliche?

Nel contesto attuale, dato che le risposte “radicali” permangono prevalentemente sul piano teorico o esclusivamente in piccole prassi locali (quindi nella ristrettezza della “tirannia delle piccole di decisioni” di Odum), si riscontrano nel mondo solo due linee di partecipazione nell’affrontare i problemi. Partecipare può voler dire: - “prendere parte” a un atto, procedimento o decisione altrui (è la c.d. “partecipazione endo-procedimentale, la cui decisione spetta comunque a un soggetto, titolare di una funzione distinta e separata dal partecipante e con propria discrezionalità autonoma di valutazione dei contenuti dei contributi partecipativi, come previsto, ad es., dalla legge italiana sul procedimento L. 241/1990); - “essere parte” di una comunità o di un gruppo che insieme decide su questioni comuni, che riguardano il proprio futuro comune[41].

La partecipazione dev'essere un vantaggio per i tradizionali attori decisionali. Al di là delle speculazioni di ordine teorico, il coinvolgimento dei cittadini ai processi decisionali è un traguardo auspicabile da raggiungere perché consente ai cittadini stessi di riannodare le relazioni tra loro e con il territorio in cui vivono; perché nessuno conosce problemi, esigenze e potenzialità del territorio meglio di chi ci abita e opera a vario titolo; condivisione di intenti; perché le decisioni condivise facilitano l’implementazione delle decisioni stesse. Inoltre, il coinvolgimento degli abitanti ai processi decisionali consente di rilevare l’effettiva natura e portata dei bisogni sociali, a prescindere cioè dalle valutazioni eterodirette reiterate in discorsi e pratiche de-contestualizzate[42].

Veniamo al secondo interrogativo. Quali motivazioni spingono i popoli verso iniziative pubbliche?

Un proverbio africano recita: quando gli elefanti combattono è l’erba a soffrire. Non si può avere pace, sicurezza, sviluppo, prosperità, se prima non si creano le basi democratiche.

L’importanza del potere della gente comune è un ingrediente fondamentale in qualsiasi società che si avvia verso la democrazia.

Bisogna valutare l’importanza della comunità, della democrazia partecipativa, della società civile organizzata, delle regole condivise e percepite come giuste e non per un calcolo di convenienza. (E. Ostrom).

Si può ben sostenere che oggi nella dimensione locale si rintraccia il globale, l’universale, sul piano dei diritti e dei processi sociali, culturali e antropologici. C’è una natura duale nel territorio (locale/globale).

E’, in questo senso, opportuno massimizzare i poteri che stanno alla base dei saperi “glocal”, agire localmente pensando globalmente, non è solo espressione della solidarietà internazionale di una comunità territoriale, ma costituisce l’unico approccio ragionevole per prendersi cura, con sguardo olistico, degli interessi pubblici locali”. Pensare globale e agire locale” (Z. Bauman) può consentire di agire sui fenomeni alla loro origine, di conoscerli prima delle loro peggiori derive, di non subirli ma di concorrere a governarli. In questo tipo di attività, le amministrazioni locali non agiscono isolatamente ma in partenariato con gli attori pubblici e privati dei rispettivi territori al fine di realizzare il bene comune[43].

Seguendo questa corrente che bisogna leggere l’identità territoriale come processo di costruzione sociale dinamico, aperto, attraverso cui le diverse identità insediate in un dato territorio individuano i connotati distintivi del territorio stesso, configurando gli orientamenti condivisi da intraprendere (Banini 2013;2017)[44]. In tale ottica, l’identità territoriale si configura come esito e condizione al tempo stesso di un processo partecipativo: esito, in quanto spetta agli abitanti dei luoghi decidere quali siano gli aspetti materiali e immateriali che contraddistinguono il territorio in cui vivono; condizione, perché è sulla base dei connotati attribuiti dalla popolazione al territorio che è possibile prefigurare un’azione condivisa e partecipata. La partecipazione, quindi, non è solo una pratica finalizzata all’empowerment decisionale di attori sociali, cittadini e collettività, ma è anche l’avvio di un processo centrato sullo scambio di conoscenze, competenze e idee sui luoghi dell’abitare, ovvero sulla costruzione di un’identità territoriale condivisa.

La sfida dell’identità territoriale, come sopra delineata, è quella di intraprendere un cammino collettivo che, a prescindere dalle appartenenze culturali o sociali, pervenga a soluzioni e visioni condivise per il bene del territorio[45] e delle persone che ci vivono.

Proprio uno dei punti di maggiore rilevanza della nuova Costituzione tunisina è stato il forte desiderio di partecipazione popolare, costituendo il culmine della c.d. “rivoluzione dei gelsomini” che ha rappresentato il momento di avvio del percorso di democratizzazione e nel porre le fondamenta di un nuovo ordinamento costituzionale[46]. Malgrado alcuni limiti, l’elaborazione della Carta costituzionale si è rivelata un’esperienza partecipata. Il popolo tunisino ha giocato un ruolo particolarmente attivo e senza il suo supporto probabilmente le forze politiche non sarebbero state in grado di raggiungere il risultato conseguito con la nuova Costituzione. Attraverso l’osservazione vigile del processo e l’attività di stimolo esercitata da singoli e gruppi organizzati, è stato possibile superare la grave situazione di impasse dovuta agli episodi di violenza politica avvenuti nel corso del 2012 e del 2013.

 

6. La nuova Agenda per il Mediterraneo

La regione del Mediterraneo meridionale si trova di fronte ad importanti sfide socioeconomiche, climatiche, ambientali, di governance e sullo Stato di diritto, molte delle quali derivano da tendenze globali e richiedono un'azione congiunta da parte dell'UE e dei partner del vicinato meridionale[47].

Su questa cornice il 9 febbraio 2021 l’Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrell e il Commissario europeo per l’allargamento e la politica di vicinato Olivér Várhelyi hanno presentato la nuova strategia dell’Unione Europea (UE) per il Mediterraneo. Venticinque anni dopo l’inizio del processo di Barcellona[48] e dieci anni dopo lo scoppio delle primavere arabe[49], l’UE prova a rinvigorire le sue relazioni con i partner del Mediterraneo meridionale[50]. Un piano ambizioso per rendere l’area sempre più integrata e interconnessa, riconoscendo la necessità e l’importanza di una partnership rafforzata con i Paesi della sponda Sud del Mare Nostrum (Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Territori Palestinesi, Tunisia e Siria).

L’Agenda pone l’accento, in considerazione del declino della situazione in alcuni dei Paesi partner, sul rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali, delle istituzioni democratiche e dello Stato di diritto che sono principi fondanti dell'UE, nonché parte integrante del partenariato fin dalla dichiarazione di Barcellona e parte degli impegni comuni. Il buongoverno, lo Stato di diritto e i diritti umani, compresi i diritti sociali e del lavoro, il dialogo sociale e la parità di accesso alla giustizia, favoriscono inoltre la pace, la prosperità inclusiva e la stabilità, in linea con il “Piano d’azione dell’UE per i diritti e la democrazia 2020-2024”[51].

Questo dovrebbe mirare a migliorare la qualità della vita delle persone al di là della dimensione economica, difendendone le libertà e i diritti, offrendo loro possibilità e promuovendo società resilienti, eque, inclusive ed emancipate. Tradurre il processo in progetti concreti, consentendo il passaggio da un sistema puramente intergovernativo ad un progetto di dialogo con le diverse identità locali del vicinato mediterraneo.

La Tunisia ha partecipato e partecipa attivamente a programmi di partenariato con l’UE.

In effetti, uno delle ultime proposte diffuse[52] dall’Unione Europea è proprio dedicato al sostegno dell’ancora fragile processo di democratizzazione in atto in Tunisia, giudicato necessario al fine di rafforzare le politiche sociali e dare una stabilità al Paese.

Sulla stabilità del Paese tunisino e salvaguardia della democrazia è intervenuto l’Alto Rappresentante Ue Josep Borrell che parlando alla plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo ha evidenziato la situazione preoccupante che si respira in Tunisia, partner legato all'Europa da legami storici. “Le radici democratiche del Paese, il rispetto dello Stato di diritto, della Costituzione e del quadro legislativo”, ha affermato l’esponente della Commissione europea, “devono essere preservati rimanendo attenti ai desideri e alle aspirazioni del popolo tunisino, nonché la ripresa dell’attività parlamentare, il rispetto dei diritti fondamentali e l’astensione da ogni forma di violenza”[53].

La società civile e diverse identità locali rimangono interlocutori chiave nella definizione e nel monitoraggio della cooperazione dell'UE.

 

7. Conclusioni

Il processo democratico tunisino potrà ritenersi compiuto quando si realizzerà una cultura dell’incontro tra le diverse realtà locali, contenitori di saperi, di ricchezze culturali, di esperienze e i decisori.

A tal proposito è necessario porsi le seguenti domande: quali stili di leadership possono promuovere oggi la democrazia in Tunisia? La sindrome dell’“uomo forte” incarnata dal Presidente Saied è ancora pervasiva nel tessuto sociale tunisino? Quale forma di Costituzione è idonea per legittimare diritto e politica? La nuova Agenda per il Mediterraneo può rafforzare e rilanciare la democrazia nel territorio tunisino?

Ecco, allora, che discutere di transizione democratica senza affrontare il tema della partecipazione del popolo con i suoi saperi diventa inutile: un esercizio vuoto di vuote proposte per il presente e per il futuro, nonostante gli eventi caratterizzanti del passato.

In conclusione, la strada da percorrere per l’esperimento democratico tunisino è in salita, dal momento che una sola persona, e non la popolazione attraverso i propri rappresentanti, ha la capacità di plasmare in toto la vita politica e giuridica del Paese.

 

 

[1] R. PIRODDI, Baruch Spinoza: Politica, Libertà. Un compendio, prefazione di Claudio Vasale, EurilinkUniversity Press, aprile 2021.

[2]Ibidem.

[3]Osservatorio di politica internazionale, Focus, Mediterraneo allargato, 16 maggio 2021. www.parlamento.it/osservatoriointernazionale.

[4]La Rivoluzione tunisina del 2010-2011, nota altresì come Rivoluzione dei Gelsomini (dalla tradizionale usanza del Paese di offrire un mazzetto di gelsomini all’ospite), fu una serie di proteste e sommosse popolari in numerose città della Tunisia avvenute tra il 2010 ed il 2011, nel contesto delle primavera araba. Il 17 dicembre 2010 Mohamed Bouazizi, giovane fruttivendolo itinerante, si è dato fuoco davanti alla sede del Governatorato di Sidi Bouzid in Tunisia. È stato un segno altamente simbolico della disperazione di un cittadino, divenuto icona della precarietà e dell'emarginazione dei giovani tunisini, di fronte a un regime in vigore da 23 anni e in preda alla deriva autoritaria costringe il proprio a Presidente Ben Ali, al potere dal 1987, a dimettersi e fuggire dal Paese per salvarsi. La Rivolta, tuttavia, non si ferma alle frontiere tunisine, essa si diffonde in breve tempo in molti altri paesi del Nord Africa e del Medio-Oriente, accendendo in tal modo una miccia già innescata da anni. Nel giro di qualche mese, le proteste popolari si propagano in Algeria, Egitto, Libia, Siria, con un andamento tipico delle onde d’urto, ridisegnando gli assetti sociali e istituzionali di un’intera porzione di globo.Il drammatico gesto del giovane Bouazizi rappresenta dunque solo la scintilla che fa detonare la polveriera. Scavando nel complesso mondo della società tunisina, però, si comprende a pieno come questa Rivoluzione sia stata, in realtà, covata per molti anni e alimentata da un’attivissima società civile, che, nonostante il regime di Ben Ali, ha continuato a coltivare “il giardino segreto delle libertà”.

[5] D. ANSELMO, Tunisia: Dalla Rivoluzione Dei Gelsomini All’Assemblea costituente, in Rivista AIC, n.1/2012.

[6] G. MILANI, I partiti politici nella costruzione della democrazia elettorale in Tunisia, Nomos, n.1/2018.

[7] G. BEN MBAREK, Families say Police Abused, Abducted Minors in Mass Sweeps as Protests Continue, Nawaat, 25 gennaio 2021.

[8]L. EL HOUSSI, Il risveglio della democrazia. La Tunisia dall’indipendenza alla transizione,Carocci editore, 2013.

[9] G. LUKÁCS, La democrazia della vita quotidiana, 2013.

[10]A. GIARDONI, A 10 anni dalla rivoluzione dei Gelsomini, la Tunisia torna a protestare in piazza, su https://ilbolive.unipd.it/index.php/it/news/10-anni-dalla-rivoluzione-gelsomini-tunisia-torna.

[11]La Tunisia, la prima donna premier. Articolo del 30 settembre 2021, a cura della redazione di ISPI Online Publications. Ihttps://www.ispionline.it/it/pubblicazione/tunisia-la-prima-donna-premier-31862.

[12]In breve: Il 25 luglio scorso il Presidente tunisino Kais Saied ha sospeso i lavori del Parlamento, con conseguente protesta da parte di alcuni partiti, soprattutto Ennahda. Il 22 settembre il Presidente ha annunciato che avrebbe governato il Paese tramite decreti, accentrando ancora di più il potere alla Presidenza. Il 29 settembre il Presidente Saied ha sorpreso nuovamente la scena politica tunisina e ha incaricato per la prima volta una donna, Nejla Bouden Romdhane, di formare un nuovo Governo.

[13]G. SPANO’, “Le Présidentqu’onaime!”: brevi riflessioni sulla congiuntura tunisina, tra acclamazioni popolari e implicazioni costituzionali, in Rivista Diritti comparati, 1° ottobre 2021.

[14]E. FRÄNKEL,Il doppio Stato. Contributo alla teoria della dittatura,  Einaudi Paperbacks e Readers, Torina, 1983.

[15] L’articolo 80 della Costituzione rende possibile il congelamento dell’organo legislativo in caso di “pericolo imminente”.Tunisie2014, Constitute, https://constituteproject.org/constitution/Tunisia_2014?lang=en; G. ROMEO, La Costituzione della Tunisia.

[16] A. GAIARDONI, La Tunisia cerca di uscire dalla crisi istituzionale e nomina una donna a capo del governo, su https://ilbolive.unipd.it/index.php/it/news/tunisia-cerca-uscire-dalla-crisi-istituzionale.

[17]Fraenkel introduce il concetto di «doppio Stato». Mediante tale categoria egli individua nel Terzo Reich la compresenza di uno «Stato normativo», che funziona rispettando in generale le sue proprie leggi, e di uno «Stato discrezionale», che agisce invece ignorando quelle stesse leggi, in quanto sistema di dominio, dell'arbitrio assoluto e della violenza, privo di limiti in alcuna garanzia giuridica. Caratteristica del «doppio Stato» è così una spuria coesistenza fra ordinamento giuridico positivo e totale assenza di diritto, in virtù della quale il regime nazista si riservò di sospendere il diritto positivo in tutte le questioni ritenute di volta in volta «politiche» e di sostituirlo con provvedimenti arbitrari.

[18]https://med.ispionline.it/

[19] L’organo legislativo era stato tecnicamente congelato, da oltre 8 mesi, per “pericolo imminente” ai sensi dell'art. 80 della Costituzione. La norma, infatti, recita… “in caso di pericolo imminente e minaccia per la sicurezza della Stato il Presidente della Repubblica è autorizzato a prendere misure eccezionali.

[20]Il 22 settembre scorso il presidente ha formalizzato i suoi pieni poteri attraverso l'emanazione di "misure eccezionali" che prorogano la sospensione del Parlamento e gli consentono di legiferare con decreto e di presiedere il Consiglio dei ministri.

[21] A. PEVERIERI, Tunisia: il presidente Saied scioglie il Parlamento, articolo su Sicurezza internazionale.it, 2 aprile 2022.https://sicurezzainternazionale.luiss.it/2022/03/31/tunisia-presidente-saied-scioglie-parlamento/ .

[22] Vedi I. SPIGNO, Diritti e doveri, tra universalismo e particolarismo, in T. GROPPI, I. SPIGNO (a cura di), Tunisia, cit., p. 95.

[23] Vedi G. ROMEO, La Costituzione della Tunisia, in L. MEZZETTI (a cura di), Codice delle Costituzioni. Volume VI. Paesi islamici, Padova, Cedam, 2016, p. 465.

[24]https://rm.coe.int/2021-06-25-speech-leendert-verbeek-alda-general-assembly/1680a2f4fd.

[25]https://asvis.it/goal-e-target-obiettivi-e-traguardi-per-il-2030/.

[26] Anch'essa può essere considerata un possibile trait d'union tra i due fattori di cui si sta cercando di descrivere il possibile legame; essa va intesa, in questo senso, in maniera ampia come sussidio dell’ente superiore soltanto ove necessario, di fronte al riconoscimento dell’impossibilità e dell’incapacità di governo delle comunità di livello inferiore. Vedi V. Cerulli Irelli, voce Sussidiarietà, in Enc. giur. Treccani, vol. XXXV, Roma, 1988. G. MILANI, Decentramento e democrazia nell’evoluzione costituzionale della Tunisia, in Federalismi.it, Focus Africa n. 2/2014.

[27]Da intendersi, questa volta, come requisito indispensabile per la realizzazione e la sopravvivenza del decentramento. Sul duplice rapporto che può esistere tra decentramento e democrazia si veda T. GROPPI, La garanzia dell'autonomia costituzionale degli enti locali: un'analisi comparata, in Le Regioni, 1998, 5, p. 1021.

[28] M.RASÉRA, La démocratielocale, cit., p.9 parla, anche in riferimento a quest'ultima distinzione, di ambiguità del concetto stesso di “décentralisation”.

[29] M. CARDUCCI, Diritti (natura), in Digesto delle discipline pubblicistiche. VII Aggiornamento, 2017, pag. 486-521.

[30]M. CARDUCCI, «Demodiversità» e futuro ecologico, in S. Bagni (a cura di), How to govern the Ecosystem? A Multidisciplinary Approach, Dipartimento di Scienze giuridiche Università di Bologna, Bologna 2018, pp. 62-91.

[31]B. DE MARCHI, S. FUNTOWICZ, Scienza e democrazia in crisi: viaggio verso il nuovo che ancora non c'è. The Crisis of Science and Democracy: a voyage to a not yet emerged destination. EpidemiolPrew 2017; 41 (5-6): 314-315.

[32]M. CARDUCCI, I diritti della natura e la via della “demodiversità”, articolo del 24 aprile 2018 sulla rivista Labsus, il Laboratorio per la sussidiarietà. https://www.labsus.org/2018/04/i-diritti-della-natura-e-la-via-della-demodiversita/

[33] Cfr. Evangelii Gaudium.

[34] G. ROLLA, L' autonomia e la democrazia territoriale nella prospettiva costituzionale: alcune considerazioni. DPCE Online, [Sl], v. 47, n. 2, luglio 2021. ISSN 2037-6677.

[35] U. ALLEGRETTI, Democrazia partecipativa: un contributo alla democratizzazione della democrazia. In: U. Allegretti, a cura di, Democrazia partecipativa. Esperienze e prospettive in Italia e in Europa. Firenze: Firenze University Press 2010.

Notevoli in questo sono stati spesso i risultati dei dibattiti pubblici francesi sulle opere di impatto territoriale e ambientale; nell’ampia letteratura vedi Revel et al. 2007; in questo volume lo scritto di Charbonneau.

[36]Tra queste gli Amazight che significherebbe in origine "uomini liberi", sono, propriamente, le popolazioni autoctone di quei territori nord-africani conosciuti con la denominazione di Tamazɣa, corrispondente agli stati di Marocco, Algeria, Tunisia, Libia e Mauritania.

[37]Carta africana per la partecipazione popolare alla trasformazione dello sviluppo (Arusha 1990) Conferenza internazionale sulla partecipazione popolare al processo di ripresa e sviluppo in Africa, 12-16 febbraio.

[38] Su questo vantaggio della partecipazione, in generale, A. ANTONIETTI, Psicologia del pensiero, Bologna, 2013.

[39] D. BONDIA GARCIA, Les paradigmes démocratiques et lesdroits de l’homme dans le bassin de la méditerranée, in Les paradigmes démocratiques et lesdroits de l’homme dans le bassin de la méditerranée, Giappichelli, Torino, 2010.

[40] Il Carter center (“Centro Carter”) è un’organizzazione non governativa e senza scopo di lucro, fondata nel 1982 dall’ex Presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter e da sua moglie Rosalynn Carter con l’appoggio dell’Emory University. Gli scopi dell’organizzazione sono la difesa dei diritti umani, l’osservazione elettorale neutrale, l’assistenza elettorale ai Paesi di “democrazia recente”, l’aiuto umanitario e medico-sanitario nelle zone del pianeta colpite da calamità o degradate. Ha sede ad Atlanta ed ha lavorato in più di 70 paesi. Nel 2002, Jimmy Carter ha ricevuto il Premio Nobel per la pace per il suo lavoro “nel trovare soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali e nel far progredire la democrazia e i diritti umani nonché promuovere lo sviluppo economico e sociale”, https://it.wikipedia.org/wiki/Carter_center, ult. cons. luglio 2016.

[41]M. CARDUCCI, Natura, cambiamento climatico, democrazia locale, in Diritto costituzionale, n. 3, 2020, pp. 67-98, DOI: 10.3280/DC2020-003004.

[42] M. GIUSTI, Modelli partecipativi di interpretazione del territorio, in Magnaghi A. (a cura di), Rappresentare i luoghi. Metodi e tecniche, Firenze, Alinea Editrice, 2001, pp. 435-462.

[43] M. BOTTIGLIERI, La cooperazione internazionale decentrata: agire locale, pensare globale articolo del 14 maggio 2017, sulla rivista Labsus, il Laboratorio per la sussidiarietà. https://www.labsus.org/2017/03/la-cooperazione-internazionale-decentrata-agire-locale-pensare-globale/.

[44] T. BANINI, Introduzione. Proporre, interpretare, costruire le identità territoriali, in T. Banini (a cura di), Identità territoriali. Metodi, esperienze, prospettive a confronto, Milano, Franco Angeli, 2013, pp. 9-27. T. BANINI, Proposing a theoretical framework for local territorial identities: concepts, questions and pitfalls, Territorial Identity and Development, 2(2), 2017, pp. 16-23.

[45]G. ARENA., C. IAIONE (a cura di), L’età della condivisione. La collaborazione fra cittadini e amministrazione per i beni comuni, Roma, Carocci, 2015.

[46] T. ABBIATE, La nuova Costituzione tunisina, la Costituzione del popolo, in Diritticomparati.it, 2014.

[47] Comunicazione Congiunta Al Parlamento Europeo, Al Consiglio, Al Comitato Economico E Sociale Europeo E Al Comitato Delle Regioni. Partenariato rinnovato con il vicinato meridionale. Una nuova agenda per il Mediterraneo (JOIN (2021) 2 final).

[48] Il processo di Barcellona, noto anche come Partenariato euromediterraneo. La presente dichiarazione è l’atto fondatore di un partenariato globale tra l’Unione europea (UE) e dodici paesi del Sud del Mediterraneo. Lo scopo del partenariato è di rendere il Mediterraneo uno spazio comune di pace, stabilità e prosperità, attraverso il rafforzamento del dialogo politico e sulla sicurezza, la cooperazione economica e finanziaria, sociale e culturale. https://eeas.europa.eu/archives/docs/euromed/docs/bd_en.pdf. La politica Ue nel Mediterraneo, su esteri.it, Ministero degli Affari Esteri.

[49] Il riferimento è sia alla "primavera dei popoli" del 1848, sia alla primavera di Praga del 1968, nella quale lo studente JanPalach si diede fuoco. I paesi maggiormente coinvolti dalle sommosse furono L'Egitto, la Siria, la Libia, la Tunisia, lo Yemen, l'Algeria, l'Iraq, il Bahrein, la Giordania e il Gibuti,

[50] Algeria, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Libia, Marocco, Palestina, Siria e Tunisia. La designazione "Palestina" non si intende come riconoscimento di uno Stato di Palestina e lascia impregiudicate le singole posizioni degli Stati membri sulla questione.

[51]“Piano d’azione dell’UE per i diritti umani e la democrazia 2020-2024” (JOIN (2020)5).

[52]“Risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione in Tunisia” (2021/2903(RSP)).

[53]https://www.consilium.europa.eu/