A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA: UN MEDICINALE NON SOGGETTO A PRESCRIZIONE MEDICA IN UNO STATO MEMBRO UE PUÒ ESSERE COMMERCIALIZZATO IN UN ALTRO STATO MEMBRO SOLO SE QUEST’ULTIMO NE ABBIA AUTORIZZATO IL COMMERCIO (CGUE 8 LUGLIO 2021,C-178/2020).

 Autore: Avv. Teresa Aloi

 

Il principio di libera circolazione delle merci, vigente nel territorio dell’Unione europea, non può consentire la commercializzazione di prodotti aggirando il sistema normativo nazionale del singolo Stato membro. Questo è quello che emerge dalla sentenza pronunciata dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea l’8 luglio scorso, a seguito del rinvio pregiudiziale instaurato dalla Corte ungherese di Budapest nell’ambito di una controversia che vede da una parte la società Pharma Expressz e dall’altro l’Istituto nazionale di farmacia e nutrizione ungherese in qualità di autorità competente per la vigilanza sulle attività di commercializzazione dei medicinali.

Il principio di libera circolazione delle merci è una delle quattro libertà fondamentali dell’Unione europea (persone, servizi, merci e capitali), regolato dall’art. 28 all’art. 37 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

La libertà di circolazione delle merci si fonda sull’unione doganale e sulla proibizione di limiti quantitativi di importazione ed esportazione, così come di misure ad effetto equivalente (cioè, ogni misura che, anche se non qualificabile come dazio, abbia comunque un effetto discriminatorio o restrittivo degli scambi intracomunitari). Tali divieti, sono derogabili, ma solo per motivi di moralità pubblica, ordine pubblico, pubblica sicurezza, tutela della vita delle persone, protezione del patrimonio, artistico, storico ed archeologico, tutela della proprietà industriale o commerciale; le eccezioni non devono, comunque, costituire una discriminazione o restrizione dissimulata e devono rispettare i principi di proporzionalità e di idoneità al raggiungimento dello scopo.

Nel marzo 2019, le autorità ungheresi avevano ingiunto alla Pharma Expressz di cessare la commercializzazione in Ungheria di medicinali non soggetti a prescrizione medica privi, nello stesso Stato, di un’autorizzazione (AIC) in tal senso rilasciata dalle autorità ungheresi o dalla Commissione europea. In base alla normativa ungherese, infatti, i medicinali che non dispongono di tale autorizzazione possono essere commercializzati solo nel caso in cui il loro uso per scopi medici sia stato notificato alle autorità da un medico prescrittore, il quale deve ottenere da quest’ultima una dichiarazione relativa a tale uso.

La Pharma Expressz aveva importato più volte un certo medicinale da un altro Stato membro dell’Unione europea nel quale esso aveva ottenuto l’AIC ed era stato classificato come medicinale non soggetto a prescrizione medica, immettendolo nel circuito commerciale ungherese nel quale, però, era privo dell’autorizzazione necessaria. Di conseguenza, l’Istituto nazionale di farmacia e nutrizione aveva ingiunto alla società di astenersi dal metterlo in commercio sul mercato ungherese.

Il provvedimento ingiuntivo era stato impugnato dalla Pharma Expressz davanti alla Corte di Budapest lamentando che, l’interpretazione del diritto ungherese operata dall’Istituto nazionale di farmacia e nutrizione equivarrebbe ad imporre una restrizione quantitativa all’importazione, contraria all’art. 34 TFUE (vieta restrizioni quantitative all’importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente tra gli Stati membri), non giustificabile dall’obiettivo di tutela della salute e della vita delle persone, sancito dall’art. 36 TFUE (che consente agli Stati membri di adottare misure di effetto equivalente alle restrizioni quantitative quando esse siano giustificate da un interesse generale di natura non economica, ad esempio, per motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Trattandosi di eccezioni ad un principio generale, tali deroghe richiedono una rigida interpretazione e le misure nazionali non possono costituire un mezzo di discriminazione arbitrario, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri. Le misure devono esercitare un effetto diretto sull’interesse pubblico da tutelare e non devono superare il livello necessario in base al principio di proporzionalità). Secondo la società farmaceutica, il requisito della dichiarazione all’Istituto sarebbe sproporzionato in ragione del fatto che il medicinale in oggetto risulta, comunque, autorizzato in uno Stato membro UE ed acquistabile senza prescrizione medica per cui non potrebbero venire in rilievo questioni di tutela della salute pubblica.

La Corte ungherese, investita della questione, si rivolge alla Corte di Giustizia dell’Unione europea chiedendo se sia contrario al diritto dell’Unione esigere il rispetto delle formalità necessarie per la commercializzazione, in Ungheria, di medicinali la cui immissione in commercio sia stata autorizzata da un altro Stato membro come medicinale non soggetto a prescrizione medica e non sia stato classificato ed, inoltre, se sia giustificata, nell’interesse della tutela della salute e della vita delle persone, di cui all’art. 36 TFUE, una restrizione quantitativa che subordina la possibilità di ordinare e fornire al paziente un medicinale privo di AIC in uno Stato membro, ma che dispone di tale autorizzazione in un altro Stato membro, all’esistenza di una prescrizione medica e di una dichiarazione dell’autorità farmaceutica, anche nel caso in cui il medicinale sia registrato nell’altro Stato membro come medicinale non soggetto a prescrizione.

La Corte UE, con la sentenza dell’8 luglio scorso, ricorda che, in forza dell’art. 6 della c.d. Direttiva “medicinali” (Direttiva 2001/83/CE recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, modificata dalla Direttiva 2012/26/UE), nessun medicinale può essere immesso in commercio in uno Stato membro senza che sia stata rilasciata un’AIC dalle autorità competenti in tale Stato o, in applicazione della procedura centralizzata prevista a tal fine, dalla Commissione europea. Pertanto, se un medicinale non dispone dell’autorizzazione necessaria non può essere commercializzato in tale Stato, a prescindere dal fatto che esso possa essere venduto in un altro Stato membro senza prescrizione medica.

La Direttiva prevede disposizioni che consentono, ad un numero limitato di condizioni, di derogare alla regola dettata dall’art. 6, come nelle ipotesi previste dall’art. 5 della stessa che prevede i casi eccezionali in cui è consentita la commercializzazione di medicinali privi di autorizzazione nello Stato di interesse. In particolare, uno Stato membro può, in conformità alla legislazione in vigore e per rispondere ad esigenze speciali, escludere dall’ambito di applicazione della Direttiva i medicinali forniti per rispondere ad un’ordinazione leale e non sollecitata, elaborati conformemente alle prescrizioni di un operatore sanitario autorizzato e destinati ad un determinato paziente sotto la sua personale e diretta responsabilità.

Pertanto, data la sussistenza del divieto di commercializzazione in uno Stato membro dell’Unione dei medicinali privi di un’AIC, salvo la disciplina derogatoria, il regime di classificazione dei medicinali di cui alla Direttiva 2001/83/CE è irrilevante in quanto attiene ad una fase successiva all’autorizzazione. La Corte di Giustizia UE, di conseguenza, dichiara che, la Direttiva 2001/83/CE impedisce la commercializzazione di un medicinale che può essere fornito senza prescrizione medica in uno degli Stati membri dell’Unione europea, in un altro Stato, nel quale, invece, sia privo di un’AIC e non sia stato classificato.

La CGUE, inoltre, precisa che tale disciplina trova applicazione anche nelle ipotesi di vendita via internet, in quanto la fornitura di tali medicinali è, comunque, consentita solo se questi dispongono di una specifica autorizzazione all’immissione in commercio.

Per quanto riguarda la procedura di mutuo riconoscimento di un’autorizzazione all’immissione in commercio di un medicinale, prevista dalla Direttiva 2001/83/CE, la CGUE constata che essa si svolge a condizioni rigorose ed è subordinata ad una domanda del titolare di un’autorizzazione per uno specifico medicinale in un determinato Stato ai fini del riconoscimento di quest’ultima negli altri Stati membri. Tali circostanze non corrispondono alla situazione sottoposta al suo esame.

La Corte ricorda che, per garantire l’attuazione della deroga prevista dall’art. 5, paragrafo 1, della Direttiva 2001/83/CE, una normativa nazionale deve soddisfare le condizioni previste a tale riguardo, in particolare, che i medicinali forniti in base ad essa siano necessari per soddisfare esigenze speciali di natura medica, in modo tale da non costituire una restrizione quantitativa all’importazione o una misura di effetto equivalente.

Nel caso concreto, la prima condizione prevista dalla normativa ungherese al fine di consentire la fornitura di medicinali privi di autorizzazione in Ungheria è l’esistenza di una prescrizione rilasciata dal medico, unico soggetto legittimato a rivolgersi all’Istituto nazionale affinchè esso si pronunci sull’esistenza di un interesse concreto di cura del paziente meritevole di particolare attenzione. Di conseguenza, poiché il medico è un operatore sanitario, ai sensi dell’art. 5, paragrafo 1, della Direttiva 2001/83/CE, che riguarda situazioni in cui egli svolge un ruolo decisore, il requisito della prescrizione medica è conforme alle condizioni enunciate da quest’ultima norma.

La seconda condizione prevista dalla normativa ungherese, invece, consente al medico, mediante dichiarazione dell’Istituto nazionale di farmacia e nutrizione, di ottenere informazioni sull’esistenza e sulla validità, in un altro Stato membro, di un’AIC per il medicinale di cui si intende ottenere la fornitura in Ungheria, anche in assenza di un’autorizzazione in quest’ultimo Stato. Poiché tale dichiarazione consente di garantire che il medicinale, la cui fornitura non sarà soggetta alla regola generale prevista dall’art. 6, paragrafo 1, della Direttiva, sia effettivamente autorizzato in un altro Stato membro, il ricorso ad essa potrebbe offrire al medico un parere supplementare sulla somministrazione di un medicinale con cui potrebbe non avere necessariamente familiarità, per cui il requisito previsto dal diritto nazionale costituisce una trasposizione corretta dell’art. 5, paragrafo 1, della Direttiva stessa.

Possiamo dire, quindi, che la normativa nazionale ungherese è conforme a quella europea e non può essere letta in contrasto con essa. L’Ungheria, secondo la Corte europea, ha effettuato una corretta trasposizione della deroga prevista dalla Direttiva europea che consente l’immissione in commercio di medicinali in uno Stato membro anche in assenza di un’AIC rilasciata da un’autorità dello stesso o dalla Commissione europea, al fine di rispondere ad esigenze speciali di natura medica. La normativa nazionale, pertanto, non rappresenta un’ipotesi di restrizione qualitativa alla libera circolazione delle merci ex art. 34 TFUE e non occorre tentare di giustificarla ex art. 36 TFUE per motivi connessi alla tutela della salute e della vita delle persone. La valutazione dell’esistenza di un interesse per la cura del paziente meritevole di particolare attenzione si effettua, se necessario, alla luce del parere dell’ordine dei professionisti del settore sanitario sulla sicurezza e sull’efficacia della procedura terapeutica.

Il caso analizzato, pur riferendosi alla normativa dello Stato ungherese, permette di aggiungere un ulteriore chiarimento al non facile sistema normativo europeo che si affianca a quello dei diversi ordinamenti degli Stati dell’Unione. Il principio di libera circolazione delle merci rientrava nel c.d. primo pilastro della Comunità europea ed oggi rappresenta ancora uno dei principi cardine dell’Unione europea. Tuttavia, esso non può essere invocato per giustificare traffici condotti in violazione di altre norme europee, anche quando esse trovano espressione in una norma nazionale. Questo consente di scongiurare eventuali abusi del diritto e consente una tutela sia del mercato, sia, come nel caso in esame, della salute dei cittadini dell’Unione europea, in un contesto, quale quello attuale, dove tali tutele possono indebolirsi di fronte alla predominanza del mercato on-line.

 

Avv. Teresa Aloi,  Foro di Catanzaro