L’ORDINANZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE DEL 24 OTTOBRE 2018 SUL CASO “CAPPATO-WELBY E DJ FABO”, OSSIA LA SOSPETTA INCOSTITUZIONALITÀ DI UN PROVVEDIMENTO DELLA CONSULTA.
Autore: Prof. Fabrizio Giulimondi
(Premessa) Questo breve scritto si muove all’interno di argini ben delimitati, ponendosi l’obiettivo di scandagliare la recente ordinanza della Consulta dello scorso 24 ottobre entro il solco tracciato dalla giurisprudenza e dalla dottrina in merito alle c.d. sentenze para - legislative, rimanendo chi scrive ben lungi dal trattare il tema del fine vita da cui l’intervento scaturisce o dall’affrontare risvolti di natura penale.
Lo sforzo scientifico di questo scritto consiste nel voler dimostrare la lontananza del cennato provvedimento dagli intendimenti dei Padri costituenti e da come costoro avevano originariamente concepito funzioni e ruolo del Giudice delle leggi. Le numerose e complesse disamine, analisi e trattazioni del pensiero giuridico italiano sulle molteplici tipologie di sentenze della Corte non saranno prese in alcuna considerazione, concentrandosi il presente lavoro soltanto sulle questioni inerenti alle decisioni c.d. para-legislative e al conseguente rischio di un potenziale (possibile? probabile?) contatto conflittuale e cortocircuito istituzionale fra la Corte e il Parlamento.
Il comunicato della Consulta del 24 ottobre 2018[1] sul c.d. caso Cappato e Welby in relazione all’atto eutanasico del noto Dj Fabo - ossia sulla questione sollevata dalla Corte di Assise di Milano[2] lo scorso 14 febbraio, avente ad oggetto il fumus di illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p.[3]- è il seguente:
“Vuoti di tutela costituzionale. Un anno al Parlamento per colmarli. Nella camera di consiglio di oggi, la Corte costituzionale ha rilevato che l’attuale assetto normativo concernente il fine vita lascia prive di adeguata tutela determinate situazioni costituzionalmente meritevoli di protezione e da bilanciare con altri beni costituzionalmente rilevanti. Per consentire in primo luogo al Parlamento di intervenire con un’appropriata disciplina, la Corte ha deciso di rinviare la trattazione della questione di costituzionalità dell’articolo 580 codice penale all’udienza del 24 settembre 2019. La relativa ordinanza sarà depositata a breve. Resta ovviamente sospeso il processo a quo. Roma, 24 ottobre 2018”[4].
Gli studiosi del diritto costituzionale si imbattono, dinanzi a questa ordinanza, in un unicum nella storia della produzione decisionale della Consulta, in quanto la Corte, per il tramite di un suo provvedimento interlocutorio, impone un diktat al Parlamento, fissando addirittura un termine entro il quale normare sul “fine vita” e, quindi, su una materia particolarmente sensibile che incide su materie etiche e di coscienza.
A tale riguardo, dalla valle non possiamo non portarci sul monte per meglio comprendere ciò che avviene alle sue pendici.
(Rapporti Corte costituzionale-Parlamento) I costituzionalisti italiani ed europei si sono spesso interrogati su una eventuale onnipotenza del Parlamento nella sua azione di normazione, ovvero se sussistano limiti esterni o interni alla sua opera. La domanda che già al momento della redazione della Costituzione i Costituenti si sono posti è volta a comprendere se l’esercizio della funzione legislativa sia del tutto libera nei contenuti o se passibile di restringimenti[5]: “Quando, dunque, una scelta legislativa del Parlamento appaia discutibile e controversa, e su di essa venga provocato da qualche giudice, chiamato ad applicarla, il controllo di costituzionalità della Corte, è allora che si dovrà trovare il delicato equilibrio fra il ruolo della Corte (che deve garantire l’osservanza dei princìpi costituzionali, anche contro la maggioranza parlamentare) e il rispetto del diritto del legislatore di fare le scelte politiche che ritiene più utili al paese, e che la Corte non ha il potere di ostacolare anche se, in ipotesi, possa considerarle inopportune. La Corte non è una terza istanza legislativa, a cui si possa fare ricorso per contestare o modificare, con una valutazione politica di opportunità, le scelte fatte dai rappresentanti eletti in Parlamento. Essa sta a guardia dei ‘confini’. Se il legislatore resta entro i confini della Costituzione (e i princìpi costituzionali lasciano grande spazio per le scelte del legislatore), la Corte non ha alcun potere di censurarne le valutazioni, anche se magari le appaiano inadeguate o difettose. Se però il legislatore supera tali confini, spetta alla Corte censurare la legge o ricondurla entro di essi, per impedire che la Costituzione venga violata.”[6].
Come già affermato e argomentato in altro scritto su questa stessa rivista[7], i giudici, indipendenti dagli altri poteri, hanno il compito di risolvere le controversie, applicando le regole di diritto e ripristinandone l’osservanza quando esse sono violate, regole di diritto contenute - in Italia - nelle leggi emanate dagli organi investiti del potere legislativo,cioè dal Parlamento, eletto dai cittadini e perciò rappresentativo della volontà popolare. I magistrati non possono creare o modificare le leggi, ma le devono applicare in quanto “soggetti soltanto alla legge”, come recita l’articolo 101 Cost. Le Costituzioni europee, inclusa quella italiana, riconoscono e disciplinano questa “divisione dei poteri”: la legge invera la voluntas publicae auctoritatis dello Stato e l’autorità giudiziaria sostanzia il suo baluardo.
Nel corso del Novecento prese forza la consapevolezza che la salvaguardia dei diritti fondamentali proclamati dalle Carte esigeva la possibilità di un controllo anche sulle manifestazioni più elevate di volontà degli organi rappresentativi, compresi i Parlamenti, e quindi sulle leggi. Occorreva individuare quale fosse l’organo giudiziario più idoneo per effettuare questo scrutinio: una struttura giudiziaria ordinaria seppur di grado elevato, ovvero un tribunale a ciò appositamente istituito. Il controllo sulla costituzionalità delle norme non era (e non è) lo stesso che verificare la legalità di un atto del potere esecutivo: molti articoli costituzionali sono generici e applicarli non è mai un’operazione di mera tecnica giuridica ma, invece, coinvolge aspetti, valori, presupposti e dimensioni appartenenti a sfere ordinamentali aliene a quella giudiziaria, strategiche e delicate, su cui alcun ufficio giudiziario, neanche supremo e di rilevanza costituzionale, può “metterci bocca”, specie se afferiscano ad un compito autonomo e di primario rilievo come quello legislativo.
Il dibattito dei Padri costituenti[8] - similmente a quello avvenuto negli altri ordinamenti europei - si riconobbe nella necessità di adoperare meccanismi di controllo imparziale rispetto alle attività delle Istituzioni statuali, ad opera di una Corte(costituzionale), cui sarebbe dovuto spettare il compito di garantire, in modo indipendente ed imparziale, l’osservanza della Costituzione.
Questa semplice locuzione “osservanza della Costituzione” contiene in realtà una tragica complessità e le vivaci discussioni avvenute all’interno delle pareti delle sale che hanno ospitato la Commissione dei 75 e l’Assemblea costituente lo dimostrano ampiamente[9].
L'on. Giovanni Battista Bertone (D.C.) mostrò tutta la sua contrarietà alla istituzione della Corte costituzionale, rilevando come la sovranità del Parlamento rischiasse di essere vulnerata dall'azione di una Corte che ne giudicasse sia pure soltanto la costituzionalità delle leggi; e a questo motivo di prestigio aggiunse l'altro, di ordine pratico, di non turbare il meccanismo già esistente per la risoluzione dei conflitti di attribuzione - meccanismo costituito dal Consiglio di Stato e dalla Corte di cassazione a sezioni unite - e ciò a prescindere da qualsiasi argomento inerente alla composizione della Corte il cui ideale avrebbe dovuto essere quello della più assoluta apoliticità, purtroppo irraggiungibile ove si fosse acceduto al sistema di nomina promanante dal Parlamento. Il liberale on. Francesco Saverio Nitti propose di rimettere la decisione sulla incostituzionalità di una disposizione legislativa alla Corte di Cassazione a sezioni unite. Il relatore on. Paolo Rossi (P.S.I.) obiettò che l'esistenza della Corte costituzionale era fuori discussione perché connaturata alla rigidità della Costituzione e al tipo di ordinamento interno (regionale) adottato, e che la questione non era già di creare un organo che sovrastasse l'autorità sovrana del Parlamento, bensì di dare vita a un limite ad esso: “Non si tratta, quindi, di una rinuncia alla sovranità; non vedo in che cosa il Parlamento, ponendo a se stesso l'obbligo di non violare taluni principi, abdichi alla sua autorità”[10]. L'on. Luigi Preti (socialista), al pari di Nitti, rilevò che non si poteva escludere una diminuzione di sovranità del Parlamento di fronte alla creazione della Corte costituzionale, proponendo che i conflitti fra Stato e Regione venissero risolti in sede parlamentare attraverso l'approvazione di specifiche leggi, mentre il sindacato di costituzionalità sarebbe sempre potuto rimanere compito della Corte di Cassazione.
Dinanzi a questo riserbo della prima ora proprio da parte di coloro che hanno autorevolmente immaginato la Corte costituzionale con il compito di vagliare la compatibilità di un testo normativo con le disposizioni della Carta ed i principi da essa estrapolabili, all’interno di un sistema costituzionale rigido, è opportuno domandarsi se i lustri non abbiano condotto ad una esondazione della Consulta dai propri argini, ad una sua implosione dirompente per lo stesso ordinamento istituzionale, fortificato nelle proprie fondamenta sulla netta separazione fra poteri e funzioni dello Stato.
Cartine di tornasole sono le sentenze via via deliberate dalla Corte, prima suddivise in accoglimento e rigetto, per poi andare ad implementarsi in una moltitudine e sempre più articolata e complessa rete di statuizioni: interpretative e correttive di accoglimento e di rigetto; accoglimento parziale a sua volta qualificate di illegittimità parziale testuale e illegittimità parziale interpretativa; poi ancora in manipolative (dette anche para-legislative o sentenze-delega[11]), denominate a seconda dei casi additive (o aggiuntive, parcellizzate in additive di garanzia e additive di prestazione e, inoltre, additive di principio, di meccanismo e di procedura) e sostitutive, per terminare (all’interno della medesima categoria delle determinazioni manipolative), infine, con quelle (che interessano il presente studio) monitorie[12].
Prestiamo ora la nostra attenzione alle sentenze para-legislative con la cui locuzione - seguendo la scuola di Martines[13] - si suole significare la tipologia di deliberazioni che prescrivono indirizzi a cui il Legislatore - una volta rilevata la mancanza in una determinata legge di una disposizione la cui presenza è obbligatoria per l’assicurazione del rispetto della Costituzione -deve uniformarsi, al fine di adeguare la emananda disciplina ai precetti costituzionali[14].
Tali pronunce concretano un modello decisionale più sofisticato rispetto a quelle paradigmatiche di puro e semplice rigetto o accoglimento, volte a dare o a far dare soluzioni all’horror vacui legislativo, pur in “presenza di una assenza” di materiale normativo. L’attività manipolatrice para-legislativa della Consulta cammina sul filo del rasoio fra un’alta opera di controllo ingegneristico costituzionale e la funzione legislativa propria del Parlamento, frutto di opzioni politiche e di mediazioni partitiche, su cui la Corte non può assolutamente addentrarsi senza determinare disarmonie ordinamentali. Il timore di incidere sul tessuto legislativo in modo eccessivamente tagliente - dando luogo a scompensi ed a situazioni di altrettanta incostituzionalità - comporta da parte della Consulta l’imposizione a se stessa di un correlato self restraint a fronte dell’esercizio della funzione legislativa delle Assemblee parlamentari e regionali. La Corte, nello spingersi sin dentro la “polpa” legislativa per introdurne, direttamente o indirettamente, nuove disposizioni al fine di rendere coerente un articolato al dettato costituzionale, può entrare in un terreno minato in cui essa stessa potrebbe cadere nella trappola della incostituzionalità: una Corte sorta per sancire l’incompatibilità di un provvedimento normativo con la Grundnorm può determinare essa medesima un’attività di per sé incostituzionale: una contradictio in adiecto, un paradosso ordinamentale, una abnormità giuridica, un monstrum istituzionale, un vulnus extra ordinem della Carta.
La Corte può assumere il potere di adeguare l’ordinamento legislativo alla Costituzione integrandolo essa stessa in positivo, solo quando non necessiti l’intervento del Legislatore, mentre,se l’integrazione esiga scelte discrezionali, la Consulta ha l’obbligo di demandare alla sede parlamentare le decisioni in grado di adeguare la normazione esaminata - e ancora non dichiarata incostituzionale (pendente su di essa, perciò, una Spada di Damocle) - al testo ed ai principi costituzionali. E’ proprio in queste ipotesi che può nascere una frizione fra zolle tettoniche istituzionali che può provocare una tale energia sfunzionale all’ordinamento da determinare un sisma di non poco momento nel sistema costituzionale nella sua interezza: “La Corte Costituzionale– afferma Capotosti[15]- viene a reagire quasi come Terza Camera del Parlamento. In questa prospettiva è chiara la difficoltà per la Corte di procedere ed è, anzi, da sottolineare il self restraint che in molte occasioni la Corte utilizza, proprio per evitare di incidere in maniera pesante sulla discrezionalità del legislatore.”. Altri autorevoli Autori lo seguono in questi dubia[16]. Questi studiosi esprimono serie perplessità in ordine a questa categoria di dispositivi che “nel reinterpretare un sistema normativo alla luce della Costituzione, sostanzialmente lo riscrivono”[17]: è necessario evitare che il confine tra normare e interpretare sia superato tanto dall’uno quanto dall’altro, in modo di ovviare al grave rischio che siffatta “invasione di campo” da parte della Consulta comporti la “cancellazione del principio dell’annullamento delle leggi illegittime, che l’art. 136 della Costituzione impone anche ai fini di certezza e di estensione(erga omnes) della pronuncia della Corte[18]”. Ancora più chiaramente, tali decisioni possono far sorgere una reazione a livello parlamentare per il fondato sospetto o timore che la Corte si sia assunta surrettiziamente una funzione legislativa.
(Sentenze monitorie) Ora bisogna compiere uno sforzo ulteriore per giungere a meta, investendo nella nostra ricerca anche le sentenze monitorie[19], rientranti a pieno titolo fra quelle para-legislative e manipolative. Le monitorie provvisoriamente respingono o dichiarano inammissibile l’eccezione di incostituzionalità, invitando o ammonendo, contestualmente, il Legislatore ad intervenire per regolare diversamente la materia la cui disciplina, inficiata da incongruenze di natura costituzionale, solo momentaneamente è stata “tenuta in piedi”. La minaccia di una possibile successiva decisione di accoglimento è variamente graduata e più o meno stringente ed esplicita, a seconda che la condizione di potenziale incostituzionalità rilevata dalla Corte sia o meno al limite della tollerabilità[20].
A giustificare il rinvio della caducazione è la generale ritrosia della Corte, in applicazione del self restraint, a dare corpo ad un vuoto legislativo che solo il legislatore può evitare e colmare. La Consulta differisce gli effetti caducatori, utilizzando formule di costituzionalità provvisoria o di “ancora costituzionalità” della norma “incriminata” rebus sic stantibus, sotto la imperativa condizione, esplicita o implicita,imposta al Legislatore, che,ove quest’ultimo non provveda ad un progressivo riordino della materia alla luce delle disposizioni e dei principi costituzionali, oltre delle “indicazioni” da essa formulate, interverrà senza alcun ulteriore indugio ad espellerla dal sistema normativo.
Si appalesa con una certa chiarezza lo sbilanciamento dello Stato costituzionale verso il “diritto dei giudici costituzionali” nominati e non eletti, a svantaggio delle Camere elette dal corpo elettorale.
Le decisioni monitorie, fruttificazione e precipitato logico-giuridico di quelle manipolative e para-legislative,sono segno tangibile della estensione a dismisura della giurisdizione della Corte costituzionale a discapito della funzione normativa parlamentare e governativa. Il self restraint si rimpicciolisce vistosamente divenendo un orpello mentre la discrezionalità del Legislatore ne viene grandemente lesa; un self restraint sempre meno adoperato con un parallelo lento ed inesorabile rafforzamento dell’interventismo della Corte versus una azione politica, istituzionale, legislativa e governativa sotto schiaffo[21].
(Ordinanza della Consulta 24.10.2018) L’ordinanza in epigrafe è espressione di questo innovato ruolo della Corte, andando, invero, anche ben oltre.
L’ordinanza in epigrafe immette un quid novi nell’ordinamento costituzionale (materiale[22]) italiano, stabilendo tre paletti di cui due certamente innovativi.
Innanzitutto, gli studiosi si trovano di fronte ad una ordinanza monitoria, ossia ad un provvedimento giudiziario interlocutorio che pone in stand by il procedimento di giustizia costituzionale e, di conseguenza, il processo penale nei confronti di Marco Cappato e Mina Welby, diversamente dal passato che ha visto solo sentenze monitorie di inammissibilità o infondatezza.
In secondo luogo – e questo, come già visto, si incanala in una oramai consolidata giurisprudenza – l’ordinanza in parola lascia al Parlamento il compito di approvare una disciplina in tema di fine vita (eutanasia attiva, eutanasia passiva, suicidio assistito, modifica costituzionalmente orientata o abrogazione dell’art. 580 c.p., et alia acsimilia).
Infine – e questo è l’aspetto più clamoroso – la Corte fissa un termine al Parlamento per legiferare, un dies ad quem indicato nella udienza di rinvio del 24 settembre 2019 entro il quale il Parlamento deve decidere, uno spatium temporis ben calibrato per consentire alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica di deliberare.
Le Assemblee non solo “devono” pronunciarsi ma hanno l’obbligo di farlo entro il 24 settembre 2019. E se non vogliono decidere? Il Parlamento è obbligato a decidere su qualunque tema? E può un Tribunale, seppur di livello verticistico e costituzionalmente indefettibile, “imporre” al Parlamento non solo l’”an” ma anche il “quando” di detto intervento?“Una riflessione ulteriore ci viene suggerita dall’opera del 1975 di Heidenheimer, Heclo e Adams che ritengono che una politica pubblica possa anche consistere in una decisione deliberata di “inazione”, oltre che di azione: se un Governo rifiuta continuativamente di agire a fronte di una serie di pressioni in direzione contraria, questo atteggiamento diventa esso stesso una politica pubblica. Se una Assemblea parlamentare decide di non decidere, ossia di non legiferare su una specifica questione, esercita un atto decidente, decide di non legiferare, stabilisce di svolgere in negativo la propria funzione normativa.[23]”.
Last but not least, si potrebbe ritenere già normata la fattispecie in corso di esame della Corte di Assise di Milano, proprio dall’art. 580 c.p. che il Parlamento “sarebbe obbligato” a modificare o abrogare, pena la dichiarazione di incostituzionalità ad opera della Consulta in caso di “inottemperanza”.
Ci potremmo trovare in presenza di una decisione della Consulta contra constitutionem per interferenza esorbitante e senza precedenti di essa sul potere legislativo del Parlamento[24]? La vita è fatta di paradossi e gli stoici ce lo hanno insegnato già nel IV secolo A.C.
Prof. Fabrizio Giulimondi, Docente in materie giuspubblicistiche presso la Link Campus University, la Pontificia Università Lateranense, l’Università di Chieti-Pescara “Gabriele D’Annunzio” e il Formez PA.
[1]Consultabile su “www.cortecostituzionale.it”; si sottolinea che l’ordinanza in questione al momento della pubblicazione dell’articolo deve essere ancora depositata.
[2] Corte Ass. Milano, ord. 14.2.2018, Pres. Mannucci Pacini, Giud. Simi De Burgis, Imp. Cappato, in “Dir.pen.cont.”, 2018, 2 (nt. comm.M. Forconi, La Corte d’assise di Milano nel caso Cappato: sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p., Ibidem), con la quale si solleva la“questione di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p., nella parte in cui: - incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione e, quindi, a prescindere dal loro contributo alla determinazione o rafforzamento del proposito di suicidio, per ritenuto contrasto con gli artt. 3, 13 comma 1 e 117 della Costituzione, in relazione agli artt. 2 e 8 della Convenzione Europea Diritti dell’Uomo; - prevede che le condotte di agevolazione dell’esecuzione del suicidio, che non incidano sul processo deliberativo dell’aspirante suicida, siano sanzionabili con la pena della reclusione da 5 a 10 anni, senza distinzione rispetto alle condotte di istigazione, per ritenuto contrasto con gli artt. 3, 13, 25 comma 2 e 27 comma 3 della Costituzione.”.
[3] Art. 580 c.p. (Istigazione o aiuto al suicidio): “1.Chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima.2. Le pene sono aumentate se la persona istigata o eccitata o aiutata si trova in una delle condizioni indicate nei numeri 1 e 2 dell'articolo precedente. Nondimeno, se la persona suddetta è minore degli anni quattordici o comunque è priva della capacità d'intendere o di volere, si applicano le disposizioni relative all'omicidio”; art. 579 c.p.: “…omissis… 1) contro una persona minore degli anni diciotto;2) contro una persona inferma di mente, o che si trova in condizioni di deficienza psichica, per un'altra infermità o per l'abuso di sostanze alcooliche o stupefacenti … omissis …”.
[4] Consultabile su “www.cortecostituzionale.it/comunicati”.
[5] Corte costituzionale, Che cosa è la Corte costituzionale,Roma, Palazzo della Consulta, 23.4.2016, in “www.cortecostituzionale.it”.
[6] Ult.op.cit, 37s.
[7] Cfr. F.Giulimondi, ‘We the Court”, or ‘We the People’, thatis the question”, ossia il contrasto fra giurisprudenza creativa e normazione governativo-parlamentare (dando una sbirciata anche agli altri ordinamenti), in “Foroeuropa”, 2017, 2.
[8] Cfr. M.Ruini, La nostra e le cento costituzioni del mondo. Commenti e note alla nostra Costituzione, Milano, Giuffrè, 1962.
[9] Cfr. Segretariato Generale della Camera dei deputati, La Costituzione della Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori di V. Falzone, F.Palermo, F.Costantino, V. E.Orlando (pref.), Roma, Camera dei deputati, 28.4.1949.
[10] Cfr. O.Abbamonte (cur), Il potere dei conflitti: testimonianze sulla storia della Magistratura italiana, Torino, G.Giappichelli, 2a ed, 2017,199.
[11] La dicitura sentenza-delega lascia perplessi perché evoca l’istituto della legge delega previsto dall’art. 76 Cost., grazie al quale il Parlamento legittima il Governo ad emanare decreti legislativi: la terminologia nel diritto “non è una opinione” e fa comprendere a chi maneggia la materia costituzionale che questa tipologia di interventi portati avanti dalla Corte costituzionale possiede una natura che si avvicina più a quella di un atto normativo che di una canonica decisione di incostituzionalità.
[12] Cfr. Corte costituzionale, Servizio studi, La prassi del controllo di costituzionalità nell’attualità: tipologia delle decisioni “di merito” nei giudizi sulle leggi - Incontro di lavoro con IL Supremo Tribunale Costituzionale (Brasilia 17 marzo 2008), Roma, Palazzo della Consulta, marzo 2008, in “www.stf.jus.br”.
[13] Cfr. T.Martines, Diritto costituzionale, Milano, Giuffrè, 1977, 595 s.
[14] Prime fra tutte, come autentico revirement giurisprudenziale, si consigliano le due decisioni leading case:sent. Corte cost., n. 225 del 9/10-7-1974 (in “www.giurcost.org”) sul monopolio statale radiotelevisivo [dichiarata l'illegittimità costituzionale degli artt. 1, 166, 168, n. 5, 178 (così come sostituito dall'art. 1, n. 2, l.14.3.1952, n. 196) e 251,r.d. 27.2.1936, n. 645 (“Approvazione del codice postale e delle telecomunicazioni”), nonché degli artt. 1, 183 e 195, D.P.R. 29.3.1973, n. 156 (“Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di bancoposta e di telecomunicazioni”), nella parte relativa ai servizi di radiotelediffusione circolare a mezzo di onde elettromagnetiche], in virtù della quale la Corte ha indicato al Legislatore i principi direttivi a cui attenersi nel disciplinare la materia (& 8, per.3°: “A tal proposito la Corte - pur nel rispetto della discrezionalità del legislatore di scegliere gli strumenti più appropriati ad assicurare il conseguimento dei due fondamentali obbiettivi di cui innanzi si è discorso - ritiene che la legge debba almeno prevedere: a) che gli organi direttivi dell'ente gestore (si tratti di ente pubblico o di concessionario privato purché appartenente alla mano pubblica) non siano costituiti in modo da rappresentare direttamente o indirettamente espressione, esclusiva o preponderante, del potere esecutivo e che la loro struttura sia tale da garantirne l'obiettività; b) che vi siano direttive idonee a garantire che i programmi di informazione siano ispirati a criteri di imparzialità e che i programmi culturali, nel rispetto dei valori fondamentali della Costituzione, rispecchino la ricchezza e la molteplicità delle correnti di pensiero; c) che per la concretizzazione di siffatte direttive e per il relativo controllo siano riconosciuti adeguati poteri al Parlamento, che istituzionalmente rappresenta l'intera collettività nazionale; d) che i giornalisti preposti ai servizi di informazione siano tenuti alla maggiore obbiettività e posti in grado di adempiere ai loro doveri nel rispetto dei canoni della deontologia professionale; e) che, attraverso una adeguata limitazione della pubblicità, si eviti il pericolo che la radiotelevisione, inaridendo una tradizionale fonte di finanziamento della libera stampa, rechi grave pregiudizio ad una libertà che la Costituzione fa oggetto di energica tutela; f) che, in attuazione di un'esigenza che discende dall'art. 21 della Costituzione, l'accesso alla radiotelevisione sia aperto, nei limiti massimi consentiti, imparzialmente ai gruppi politici, religiosi, culturali nei quali si esprimono le varie ideologie presenti nella società; g) che venga riconosciuto e garantito - come imposto dal rispetto dei fondamentali diritti dell'uomo - il diritto anche del singolo alla rettifica”), con il tacito avvertimento, qualora il Parlamento non dovesse adeguarsi alle indicate linee, di intervenire con una successiva pronuncia di incostituzionalità delle altre norme sulle quali, nella stessa decisione de qua, aveva emesso un “verdetto” di inammissibilità e non fondatezza (una sorta di inammissibilità e infondatezza pro tempore, in attesa della approvazione di una nuova legge da parte delle Assemblee secondo i dettami poc’anzi esplicitati); sent. Corte cost., n.826 del 13/14-7-1988(in “www.cortecostituzionale.it), sulla stessa questione trattata dalla decisione precedente, ma, a differenza di questa che, in parte, aveva accolto il rilievo sollevato dal giudice a quo, ne dichiara l’inammissibilità e l’infondatezza,distinguendosi dalla sent. 225/1974, altresì, perché nelle “Considerazioni in diritto” esplicitamente “minaccia”, laddove il Parlamento fosse rimasto inattivo dinanzi alle sue aperte sollecitazioni (& 26:“Tutte le argomentazioni sopra svolte rendono evidente la necessità di una disciplina definitiva della materia, che si sottragga a tali censure e appresti quel ‘sistema di garanzie efficace al fine di ostacolare in modo effettivo il realizzarsi di concentrazioni monopolistiche od oligopolistiche non solo nell'ambito delle connessioni fra le varie emittenti, ma anche in quello dei collegamenti tra le imprese operanti nei vari settori dell'informazione, incluse quelle pubblicitarie’ (sent. n. 148 del 1981). Come si è già più volte sottolineato, la necessità dell'introduzione, nella disciplina dell'emittenza privata su scala nazionale, di un simile sistema di garanzie deriva dall'imprescindibile esigenza, sottesa alla menzionata sentenza, di una effettiva tutela del pluralismo dell'informazione, che va difeso contro l'insorgere di posizioni dominanti o comunque preminenti, tali da comprimere sensibilmente questo fondamentale valore. Simili posizioni possono verificarsi sia in ciascuno dei singoli settori del sistema radiotelevisivo, sia attraverso le sopracitate connessioni e collegamenti, anche indiretti o di mero fatto; inoltre è possibile che siano attuate con varie forme di collegamento tra le predette imprese e quelle che abbiano una presenza rilevante in settori diversi da quello dell'informazione”),di dichiarare, in seconda battuta, illegittime le disposizioni di legge medio tempore salvate (&26: “Di conseguenza, la futura legge non potrà non contenere limiti e cautele finalizzati ad impedire la formazione di posizioni dominanti lesive del predetto valore costituzionale (art. 21 Cost.). Naturalmente l'efficacia di una simile disciplina ai fini indicati presuppone l'introduzione di un alto grado di trasparenza degli assetti proprietari e dei bilanci dell'impresa di informazione e di quelle collegate, trasparenza che incide pur sempre sul valore del pluralismo ed ha quindi rilievo costituzionale”).
[15] Cfr. P.A. Capotosti, Corte costituzionale, Relazioni internazionali, 2001, 3, in “www.cortecostituzionale.it”.
[16] Ove ampli riferimenti dottrinari contra le sentenze-leggi/ manipolative/para-legislative, cfr. E. Lamarque, Il seguito delle decisioni interpretative e additive di principio della Corte costituzionale presso le autorità giurisdizionali (anni 2000-2005), 17, in “www.cortecostituzionale.it”.
[17] Ult.op.cit. 17.
[18] Ult.op.cit., 17.
[19] Funditus, cfr. Corte costituzionale, Servizio studi, La prassi del controllo di costituzionalità nell’attualità cit., 16.
[20] V. nt. 14.
[21] A tale riguardo di interesse può essere A.Rauti, La Corte costituzionale ed il Legislatore. Il caso emblematico del controllo sulle leggi elettorali, in “Consultaonline”, 2017,2 (consultabile in “www.giurcost.org”).
[22] Mi sia consentito rimandare per un maggiore approfondimento sulla annosa questione della costituzione materiale a F.Giulimondi, Costituzione materiale, costituzione formale e riforme costituzionali, Roma, Eurilink, 2016: sicuramente se l’ordinanza de qua fosse stata pubblicata in costanza di redazione della citata monografia sarebbe stata inserita come esempio di costruzione o contributo alla costruzione della costituzione sostanziale.
[23] Cfr. F.Giulimondi, “We the Court’, or ‘We the People’ cit.
[24] La Corte europea dei diritti dell’uomo con gli arrêt Maggio e al. c. Italia, 2a sez., sent. 31.5 2011 (ricorsi nn. 46286/09, 52851/08, 53727/08, 54486/08 e 56001/08); Agrati e al. c. Italia, 2a sez, sent. 7.6.2011 (ricorsi nn. 43549/08, 6107/09 e 5087/09), entrambe in “www.giustizia.it”, mette in luce le c.d. “interferenze” realizzate dal Legislatore con proprie leggi sul potere giudiziario: potrebbe essere stimolante se la Corte di Strasburgo si interrogasse anche sui casi in cui avvenga l’interferenza inversa.