A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

IL RISULTATO DI AMMINISTRAZIONE DEGLI ENTI TERRITORIALI NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE - ALCUNI RIFLESSI SULLA GIURISPRUDENZA DI MERITO

 Autore: Dott.ssa Patrizia Zitoli

 

Sommario: 1. Premessa; 2. Il rendiconto e la sua approvazione tardiva; 3. Definizione del risultato di amministrazione; 4. Regole e le procedure inerenti ai quadri di bilancio. Principi di chiarezza e di trasparenza; 5. I giudici di merito e le manipolazioni del bilancio; 6. Conclusioni.

 

      1. Premessa

La Corte costituzionale si è recentemente pronunciata, con diverse sentenze, sul rendiconto degli enti territoriali e sul risultato di amministrazione. I temi affrontati riguardano la scansione temporale stabilita dal legislatore statale per l’adozione dei provvedimenti di approvazione del rendiconto, i fattori che incidono sulla determinazione del risultato, le modalità di ostensione dello stesso e dei suoi componenti nella legge di approvazione del rendiconto, gli effetti di una sua erronea determinazione, i profili di responsabilità legata al mandato elettorale, con riguardo alla realizzazione dei programmi definiti in ambito politico.

Accanto a tali profili si pone anche quello della responsabilità penale dei soggetti deputati alla rendicontazione per le condotte dolose di falsificazione dei risultati affrontato dalla Corte di cassazione.

Tali aspetti, pur se strettamente attinenti all’ente territoriale, producono effetti sul conto consolidato delle amministrazioni pubbliche e sugli impegni assunti dall’Italia in ambito europeo. Ed è in tale prospettiva che saranno analizzati nella presente riflessione.

 

      2. Il rendiconto e la sua approvazione tardiva

La sentenza n. 49 del 2018[1] fornisce diversi elementi di novità che suscitano interesse e inducono alla riflessione.

Un primo motivo di ricorso affrontato in tale sentenza riguarda la tardiva approvazione del rendiconto che, ad avviso del ricorrente, lo rende illegittimo in relazione agli articoli 81, quarto comma, e 117, terzo comma, della Costituzione, in riferimento all’articolo 29, comma 1, del d.lgs. n. 76 del 2000. In particolare, nel ricorso si afferma la lesione dei principi di coordinamento della finanza pubblica e di armonizzazione contabile riferibili all’intero sistema delle autonomie territoriali.

Su tale questione la Corte costituzionale ha ricordato che l’amministrazione regionale è titolare di un potere-dovere di provvedere all’approvazione del conto consuntivo che deve essere esercitato nei tempi stabiliti dal legislatore nazionale.

Ritardi eccessivi da parte degli organi regionali per l’approvazione del rendiconto, come nel caso della Regione Abruzzo, sono suscettivi di ledere l’unità economica della Repubblica e il governo dei conti pubblici determinando l’impossibilità, per lo Stato, di rispettare i vincoli posti dall’Unione europea. L’adesione dell’Italia al patto “Euro Plus” e al Trattato sulla stabilità, coordinamento e governance nell’Unione economica e monetaria (cd. Fiscal Compact) ha comportato l’adozione di misure volte al perseguimento di obiettivi di sostenibilità delle finanze pubbliche, di competitività, di incremento dell’occupazione e di stabilità finanziaria nonché il recepimento, nella legislazione nazionale, delle regole di bilancio fissate nel patto di stabilità e crescita.

Per la realizzazione di tali obiettivi, e al fine di consentire la sorveglianza di bilancio dell’Unione, l’adozione di regole e procedure contabili uniformi – tra cui rientrano le scansioni temporali stabilite per l’adozione dei provvedimenti di approvazione di bilanci e rendiconti – diviene elemento imprescindibile. Ciò anche al fine di adottare gli eventuali provvedimenti correttivi in caso di situazioni anomale e di disavanzi eccessivi.

Il mancato rispetto della tempistica stabilita dal legislatore per l’approvazione del consuntivo è, infatti, foriero di rischi di squilibrio che potrebbero riverberarsi sul conto consolidato delle pubbliche amministrazioni vanificando la funzione di coordinamento dello Stato.

Per la prima volta la Corte costituzionale ha affermato che, in caso di inerzia degli organi regionali, in base al disposto dell’art. 120, secondo comma, della Costituzione[2], lo Stato può sostituirsi ad essi a garanzia dell’interesse nazionale, secondo modalità e procedure definite dalla legge nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione[3]

L’art. 120, secondo comma, Cost. stabilisce i casi in cui il Governo può esercitare il potere sostitutivo individuandoli nel mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria che presentano una specifica rilevanza per lo Stato. Tali ipotesi possono essere identificate nell’esigenza di tutelare l’unità giuridica o economica della Repubblica, nell’urgenza di evitare un pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, nella tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

Al potere di sostituzione viene attribuito da alcuni autori il ruolo di elemento unificante del sistema istituzionale delineato dopo la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione che valorizza le autonomie locali: la lesione di interessi che superano i confini delle singole Regioni rende lo Stato responsabile nei confronti della generalità dei cittadini legittimandolo ad intervenire anche in ambiti che non sono riservati alla sua competenza[4]. Il potere sostitutivo tende, quindi, a configurarsi quale strumento per la fisiologica chiusura e saldatura del sistema, contemperando il principio dell’autonomia, con quello di cooperazione[5].

L’esercizio di tale potere è oggetto di dibattito in dottrina in ragione della notevole espansione del suo campo di applicazione e del collegamento esistente tra le attività svolte dalle diverse amministrazioni pubbliche e soprattutto in considerazione del fatto che la paralisi anche di una sola fase procedimentale è in grado di produrre effetti negativi su molteplici interessi di diversa natura.

Il Rendiconto 2013 della Regione Abruzzo, ad avviso della Corte costituzionale, non può, tuttavia, essere considerato illegittimo perché approvato con ritardo. La sua approvazione è, infatti, indispensabile per assicurare definitività e certezza al risultato di amministrazione. Ritenere illegittima l’approvazione di un rendiconto solo perché tardiva preclude, paralizzandola, la corretta gestione economico-finanziaria degli esercizi successivi impedendo di iscrivere nei conti il risultato di amministrazione come dato certo. Per tale motivo, non è stata ritenuta fondata la questione di legittimità costituzionale relativa al superamento del termine stabilito per l’emanazione della legge di approvazione del rendiconto.

Tra l’altro, il conto consuntivo[6] assolve una funzione informativa che rende possibile alla comunità amministrata la valutazione dell’attività di governo e di gestione in relazione alle risorse disponibili, individuate nel bilancio di previsione, e ai programmi predefiniti, anche in termini di effetti sulla realtà locale (principio democratico)[7].

Il rendiconto può essere, infatti, considerato il luogo di confronto tra programmato e realizzato: gli equilibri finanziari, economici e patrimoniali determinati in sede di previsione[8] che devono essere rispettati durante la gestione, sono suscettibili di verifica negli esiti complessivi dell’attività svolta come risultanti dai documenti contabili di rendicontazione. L’obbligo di rendere il conto consuntivo stimola, o dovrebbe stimolare, gli amministratori ad un uso più responsabile delle risorse e sollecita, o dovrebbe sollecitare, la realizzazione degli obiettivi prestabiliti[9].

Il differimento dell’approvazione del rendiconto, soprattutto se considerevole, non consente una conveniente e tempestiva valutazione della gestione degli amministratori in carica, ma, soprattutto, non permette di modificare opportunamente le politiche di gestione in modo da ricondurre in equilibrio eventuali situazioni finanziarie patologiche: in tale ipotesi, il rendiconto non può assolvere alla finalità di garanzia e di certezza delle risultanze della gestione. E ciò è particolarmente grave specialmente quando non sono rispettati i canoni della correttezza e della legalità. Per tale motivo le norme di coordinamento della finanza pubblica e di armonizzazione dei bilanci, comprese quelle che fissano gli obblighi di rendicontazione, richiedono che sia rispettata l’attuazione di tutte le operazioni previste dal legislatore nazionale secondo una precisa sequenza temporale.

L’approvazione del rendiconto è, inoltre, provvedimento necessario per la definizione del risultato di amministrazione che rappresenta uno dei punti di collegamento contabile tra la gestione passata, quella in corso e quella futura: ciascun rendiconto, così come ogni bilancio, è intrinsecamente collegato alle risultanze dell’esercizio precedente, rimanendo da questo condizionato, e a quelle dell’esercizio successivo sulle quali influisce in modo inequivocabile positivamente o negativamente.

L’utilizzazione di un risultato positivo non reso definitivo e certo con l’approvazione del rendiconto, proprio a causa dell’indeterminatezza della sua dimensione, potrebbe ingenerare un indebito ampliamento della spesa[10], rischiando di compromettere l’equilibrio tendenziale dell’ente, inteso come precetto dinamico della gestione finanziaria che consiste nella «continua ricerca di un armonico e simmetrico bilanciamento tra risorse disponibili e spese necessarie per il perseguimento delle finalità pubbliche»[11]. L’applicazione del risultato di amministrazione accertato nel rendiconto approvato consente, invece, se positivo, di impiegarlo per nuove spese, ovvero, in caso di disavanzo, di accantonare risorse al fine di consentirne la copertura.

 

     3. Definizione del risultato di amministrazione

Le ulteriori censure affrontate nella sentenza n. 49 del 2018 riguardano le norme di approvazione delle risultanze generali della Regione Abruzzo; i residui emergenti alla chiusura della gestione 2013 trasferiti a quella successiva; la sommatoria algebrica del fondo di cassa e dei residui attivi e passivi al 31 dicembre 2013, normativamente definita come «saldo finanziario positivo al 31.12.2013»; la tabella «Residui perenti ed economie vincolate esercizio 2013» da reiscrivere negli esercizi successivi; il quadro riassuntivo della gestione finanziaria dell’esercizio finanziario 2013 «corredato della comunicazione di riepilogo delle riscossioni e dei pagamenti riportati nel conto giudiziale relativo all’esercizio finanziario 2013», da cui rileva un disavanzo[12].

Nel loro complesso le disposizioni impugnate – stante la compresenza di un “saldo finanziario positivo”, di residui perenti, di un disavanzo e la notevole dimensione dei residui attivi e passivi – espongono risultati quanto meno incoerenti. E proprio a causa dell’assenza di certezza circa l’entità delle risorse disponibili e dell’assenza di un risultato di amministrazione univoco, provocata quest’ultima da una non corretta contabilizzazione di diverse partite di spesa, la legge regionale finisce per aggravare i rischi e le problematiche già accertati negli esercizi precedenti. Ciò, in considerazione anche del principio di continuità tra gli esercizi finanziari, ha portato alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’intera legge regionale di approvazione del rendiconto 2013.

Nella sentenza viene, quindi, in evidenza, sotto molteplici aspetti, l’importanza che assume il risultato di amministrazione ma, senza dubbio, particolare attenzione deve essere posta al modo in cui esso viene determinato contabilmente con riguardo agli elementi che influiscono sulla sua definizione.

Si ritiene qui utile una breve rappresentazione delle norme contenute nel d.lgs. n. 118 del 2011. Il risultato di amministrazione è accertato con l’approvazione del rendiconto della gestione dell’ultimo esercizio chiuso, ed è pari al fondo di cassa esistente al 31 dicembre[13] aumentato dei residui attivi (somme accertate e non riscosse entro il termine dell’esercizio, ossia crediti) e diminuito dei residui passivi (somme impegnate, liquidate o liquidabili, e non pagate entro il termine dell’esercizio, ossia debiti). Esso esprime la capacità dell’ente di far fronte alla liquidazione e al pagamento dei debiti di bilancio accumulati nelle gestioni passate e tendenzialmente destinati a scadere nel breve termine.

Nel risultato di amministrazione non sono comprese le risorse accertate e rappresentate nel fondo pluriennale vincolato[14] destinate a finanziare spese già impegnate con imputazione agli esercizi successivi.

L’inserimento dei residui nella determinazione del risultato di amministrazione impone che annualmente sia effettuata, prima della predisposizione del rendiconto con effetti sul medesimo, una ricognizione diretta a verificare: a) la fondatezza giuridica dei crediti accertati e dell’esigibilità del credito; b) l’affidabilità della scadenza dell’obbligazione prevista in occasione dell’accertamento o dell’impegno; c) il permanere delle posizioni debitorie effettive degli impegni assunti; d) la corretta classificazione e imputazione dei crediti e dei debiti in bilancio. Tale ricognizione consente di individuare: a) i crediti di dubbia e difficile esazione; b) i crediti riconosciuti assolutamente inesigibili; c) i crediti riconosciuti insussistenti, per l’avvenuta legale estinzione o per indebito o erroneo accertamento del credito; d) i debiti insussistenti o prescritti; e) i crediti e i debiti non imputati correttamente in bilancio a seguito di errori materiali o di revisione della classificazione del bilancio, per i quali è necessario procedere ad una loro riclassificazione; f) i crediti ed i debiti imputati all’esercizio di riferimento che non risultano di competenza finanziaria di tale esercizio, per i quali è necessario procedere alla reimputazione contabile all’esercizio in cui il credito o il debito è esigibile.

Per ovviare alla aleatorietà del risultato di amministrazione dovuta alla presenza di crediti verso terzi che potrebbero essere non onorati alla scadenza, con evidenti ripercussioni sull’equilibrio finanziario, è prescritto l’accantonamento di una quota al fondo crediti di dubbia esigibilità[15]. In sede di rendiconto l’intero importo del fondo crediti di dubbia esigibilità viene accantonato[16].

Oltre al predetto fondo è previsto che siano accantonate quote del risultato di amministrazione per far fronte ai residui passivi perenti (fino al loro smaltimento) e alle passività potenziali (fondi spese e rischi).

Al fine di determinare la parte disponibile del risultato di amministrazione[17] da applicare al bilancio è prescritto che siano messe da parte anche le risorse per le quali è stato disposto un vincolo di spesa[18] e la quota destinata agli investimenti[19].

La conservazione di tali quote del risultato di amministrazione risponde all’esigenza di salvaguardare l’equilibrio del bilancio, primariamente, per assicurare le risorse necessarie per affrontare i rischi per i quali sono state accantonate, secondariamente, per garantire la realizzazione dei programmi di spesa per i quali sono stati disposti dei vincoli, e, infine, per consentire la realizzazione di investimenti, considerati elemento propulsore dell’economia.

La parte residua del risultato di amministrazione, determinata dopo aver estrapolato le predette quote, risulta prioritariamente destinata alla salvaguardia degli equilibri di bilancio e della sana e corretta gestione finanziaria dell’ente e può essere utilizzata a seguito dell’approvazione del rendiconto per le seguenti finalità: a) per la copertura dei debiti fuori bilancio; b) per i provvedimenti necessari alla salvaguardia degli equilibri di bilancio ove non possa provvedersi con mezzi ordinari; c) per il finanziamento di spese di investimento; d) per il finanziamento delle spese correnti a carattere non permanente; e) per l’estinzione anticipata dei prestiti.

Nel caso in cui il risultato di amministrazione non presenti un importo sufficiente a comprendere le quote vincolate, destinate ed accantonate, la differenza deve essere iscritta, come disavanzo da recuperare, nel primo esercizio considerato nel bilancio di previsione prima di tutte le spese in quanto viene considerato come un debito derivante dalla gestione.

 

      4. Regole e le procedure inerenti ai quadri di bilancio. Principi di chiarezza e di trasparenza

Un altro aspetto significativo messo in luce dalla sentenza n. 49 del 2018, ma già affrontato nella sentenza n. 274 del 2017[20], riguarda l’esigenza di «una trasparente, corretta, univoca, sintetica e inequivocabile indicazione del risultato di amministrazione e delle relative componenti di legge».

Come già accennato, la legge di approvazione del rendiconto della Regione Abruzzo 2013 scrutinata dalla Consulta nella sentenza n. 49 del 2018 presentava risultanze incongruenti riportando un “saldo positivo”, risultante dalla sommatoria di fondo cassa, residui attivi e passivi e, contemporaneamente un “disavanzo di amministrazione”. Dall’inconciliabilità di dette poste contabili discende l’impossibilità di ritenere credibili e sicuri i dati di bilancio, cosicché la legge di approvazione del consuntivo è pregiudicata nella sua interezza «non essendo scindibili gli elementi che ne compongono la struttura».

Tale risultato è determinato dalla mancanza di trasparenza dei dati contabili, suscettiva di provocare interpretazioni ingannevoli o tendenziose dei dati presentati.

La Corte costituzionale ha affermato[21] che le risultanze derivanti dall’applicazione dei principi e delle regole di contabilità devono riflettersi non soltanto nella redazione degli allegati ma anche e soprattutto nella legislazione di approvazione del bilancio, la quale, in particolare, deve contenere, in coerenza con le disposizioni di cui al d.lgs. n. 118 del 2011, «tre elementi fondamentali: a) il risultato di amministrazione espresso secondo l’art. 42 del decreto in questione; b) il risultato della gestione annuale inerente al rendiconto; c) lo stato dell’indebitamento e delle eventuali passività dell’ente applicate agli esercizi futuri».

La stessa Corte costituzionale ha altresì affermato che, considerata l’«elevata tecnicità degli allegati di bilancio e [i]l conseguente deficit in termini di chiarezza, […] la loro sofisticata articolazione deve essere necessariamente compensata – nel testo della legge di approvazione del rendiconto – da una trasparente, corretta, univoca, sintetica e inequivocabile indicazione del risultato di amministrazione e delle relative componenti di legge»[22].

Questo importantissimo principio è affermato anche nella direttiva 2011/85/UE[23] la quale stabilisce regole dettagliate riguardanti le caratteristiche dei “quadri di bilancio” degli Stati membri.

Nel nono considerato della direttiva si conferma che la trasparenza è un elemento cruciale per garantire previsioni realistiche delle politiche di bilancio, che dovrebbe consentire la disponibilità pubblica delle previsioni macroeconomiche e di bilancio ufficiali preparate per la pianificazione di bilancio, delle metodologie, delle ipotesi e dei parametri pertinenti sui quali tali previsioni si basano. L’art. 2 stabilisce regole puntuali riguardanti le caratteristiche dei “quadri di bilancio” intesi come: «serie di disposizioni, procedure, norme e istituzioni inerenti alla conduzione delle politiche di bilancio dell’amministrazione pubblica, in particolare: a) sistemi di contabilità di bilancio e segnalazione statistica; b) regole e procedure riguardanti la preparazione delle previsioni per la programmazione di bilancio; c) regole di bilancio numeriche specifiche per paese, che contribuiscono a far sì che la conduzione della politica di bilancio degli Stati membri sia coerente con i loro rispettivi obblighi ai sensi del TFUE, espresse sotto forma di un indicatore sintetico dei risultati di bilancio, come il disavanzo pubblico, il fabbisogno, il debito o uno dei relativi componenti principali; d) procedure di bilancio comprendenti le regole procedurali che sono alla base di tutte le fasi del processo di bilancio; e) i quadri di bilancio a medio termine vale a dire una serie specifica di procedure di bilancio nazionali che estendono l’orizzonte per la formazione della politica di bilancio oltre il calendario del bilancio annuale, compresa la fissazione delle priorità politiche e degli obiettivi di bilancio a medio termine; f) dispositivi di monitoraggio e analisi indipendenti intesi a rafforzare la trasparenza degli elementi del processo di bilancio; g) meccanismi e regole che disciplinano le relazioni in materia di bilancio tra le autorità pubbliche dei sottosettori dell’amministrazione pubblica».

All’art. 7 viene, poi, stabilito che «La legislazione di bilancio annuale degli Stati membri riflette il quadro derivante dalle loro regole di bilancio numeriche in vigore». 

Tali principi, di trasparenza e di coerenza tra risultanze dei quadri e loro rappresentazione nella legge di bilancio, dettati per gli Stati membri, sono valevoli anche per il complesso delle amministrazioni pubbliche che impattano sul bilancio degli Stati (considerato 25).

La Direttiva richiede, infatti, agli Stati membri di dotarsi di sistemi di contabilità pubblica uniformi per tutti i sottosettori dell’amministrazione pubblica coerenti con le norme del sistema dei conti nazionali (SEC).

L’esistenza di pratiche complete e affidabili in materia di contabilità per il complesso delle amministrazioni pubbliche rappresenta una condizione preliminare per il corretto funzionamento del quadro di sorveglianza dei bilanci dell’Unione e per la produzione di statistiche di qualità elevata comparabili da uno Stato membro all’altro attraverso cui è possibile l’elaborazione, l’applicazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche dell’Unione.

Nel nostro Paese, la rilevazione unitaria dei fatti gestionali, sia sotto il profilo finanziario che sotto il profilo economico-patrimoniale, è garantita dal rispetto dei principi fondamentali dell’armonizzazione dei bilanci pubblici e del coordinamento della finanza pubblica[24] definiti dal d.lgs. n. 118 del 2011 che prevede l’adozione di comuni schemi di bilancio finanziari, economici e patrimoniali.

Considerata, quindi, l’indefettibilità, da un punto di vista interno e nell’ottica degli obblighi assunti in sede europea, di regole e principi uniformi per tutte le amministrazioni pubbliche nella rilevazione dei fenomeni gestionali e patrimoniali, risulta evidente l’esigenza che i risultati emergenti dall’applicazione di tali regole e principi siano espressi in modo trasparente, coerente e chiaro nella legge di approvazione del rendiconto.

Ciò è infatti indispensabile per consentire a ciascuno stakeholder, compresi i cittadini che partecipano attraverso il pagamento delle imposte alle spese pubbliche, una chiara e immediata lettura dei risultati che rappresentino la reale situazione economico-finanziaria dell’ente, senza dover effettuare una impervia ricognizione degli allegati al bilancio spesso caratterizzati da notevole tecnicismo.

 

   5. I giudici di merito e le manipolazioni del bilancio finalizzate a “migliorare” il risultato di amministrazione

Con riguardo al profilo della responsabilità dei soggetti deputati alla formazione e approvazione del rendiconto, l’indefettibilità del rispetto delle regole dettate dal legislatore sulla formazione del consuntivo e del risultato di amministrazione derivante dalla gestione risulta quanto mai imprescindibile.

La Consulta ha affermato[25] che gli avanzi di amministrazione degli enti territoriali devono essere anzitutto assoggettati a una rigorosa verifica in sede di rendiconto. Lo stesso legislatore ha previsto puntuali controlli di legittimità-regolarità delle sezioni regionali della Corte dei conti sui bilanci consuntivi degli enti territoriali (procedura di parifica per i rendiconti regionali, controllo ex art. 148-bis del decreto legislativo 18 agosto del 2000, n. 267, recante «Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali», come introdotto dall’art. 3, comma 1, lettera e, del decreto-legge 10 ottobre 2012, n. 174, recante «Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012», convertito, con modificazioni, nella legge 7 dicembre 2012, n. 213, sui rendiconti degli enti locali).

Le manipolazioni finanziarie del risultato di amministrazione degli enti territoriali sono state recentemente oggetto di una decisione della Corte di cassazione[26] la quale ha riconosciuto la responsabilità penale per la falsificazione dei dati contenuti nel rendiconto di un ente locale che hanno condotto alla dichiarazione di dissesto dell’ente. La Corte ha condannato, confermando la decisione in primo grado della Corte d’Appello di Torino, il sindaco e il ragioniere di un comune piemontese per falso ideologico in atto pubblico e per induzione in errore dei consiglieri comunali che, ingannati, avevano approvato il rendiconto con delibera falsa in quanto fondata su falsi dati contabili. Al Sindaco e al direttore di ragioneria è stato contestato di aver concorso moralmente e materialmente alla falsa formazione della delibera di approvazione del rendiconto di gestione economico-finanziaria del comune da parte dei consiglieri comunali, indotti in errore dal loro intervento.

Secondo quanto affermato nella citata sentenza, i metodi di compilazione del bilancio accertati nei giudizi di merito erano contrari ai principi stabiliti dalla legge comportando la sparizione o il fittizio incremento di elementi contabili dal conto consuntivo 2010, la confusione dei periodi di gestione finanziaria, l’applicazione al contrario della regola di prudenza e, quindi, la vera e propria falsità del documento finanziario che nell’esercizio di riferimento ha fornito al pubblico un’informazione sulla situazione finanziaria del Comune in palese contrasto con la realtà dei dati.

Nel rendiconto del comune in questione erano state dolosamente contabilizzate, da parte dei soggetti competenti, entrate maggiori del reale per oltre sei milioni di euro ed erano state cancellate spese correnti per oltre 13 milioni di euro attraverso scorrette e illegittime imputazioni ai pertinenti capitoli di bilancio, falsificandone in tal modo le risultanze.

La Corte di cassazione ha sostenuto che la rappresentazione non vera della realtà economico-finanziaria dell’ente, integra la fattispecie contemplata all’art. 479 cod. pen. in quanto il rendiconto, in base ai principi contabili generali contenuti nel d.lgs. n. 118 del 2011, deve essere ispirato ai criteri di unità, di veridicità (nei dati contabili di bilancio devono essere rappresentate le reali condizioni delle operazioni di gestione di natura economico-patrimoniale e finanziaria di esercizio), di prudenza (devono essere contabilizzate solo le componenti positive realizzate, mentre tutte le componenti negative devono essere contabilizzate e, quindi, rendicontate anche se non definitivamente concretizzate).

È stata esclusa l’applicabilità, in tale ipotesi, della norma sull’illecito amministrativo, ritenendo che le condotte del sindaco e del ragioniere del comune piemontese, fossero ascrivibili, contenendone gli elementi caratteristici e tipizzanti previsti dall’art. 479 cod. pen., al reato di falso ideologico in atto pubblico. Nella sentenza viene specificato che la delibera consiliare di approvazione del rendiconto è definibile atto pubblico sia con riguardo all’organo collegiale di provenienza e all’esercizio di pubbliche funzioni dei soggetti che l’hanno adottata, sia in quanto idonea a rappresentare la volontà dell’ente circa l’approvazione del consuntivo e a determinare conseguenze giuridiche, produttive di specifici effetti costitutivi, traslativi, dispositivi, modificativi od estintivi di situazioni giuridiche di rilevanza pubblicistica, proprie dell’attività e del funzionamento dell’amministrazione comunale sia verso il suo interno che verso l’esterno[27].

L’attività di falsificazione posta in essere per migliorare i conti pubblici ha generato una informativa sulla situazione economico-finanziaria dell’ente assolutamente discordante con i dati reali, mettendo in pericolo la cosiddetta pubblica fede documentale, ossia la fiducia e la sicurezza che la legge attribuisce a determinati documenti[28], interesse pubblico indisponibile, incidendo su situazioni giuridiche che risulterebbero compromesse dall’atto falsificato[29].

La falsificazione dei dati di bilancio era finalizzata in particolare a dimostrare che il comune aveva rispettato il patto di stabilità interno per evitare di incorrere nelle sanzioni stabilite dal legislatore per i comuni inadempienti. Il mancato rispetto del patto di stabilità interno relativo agli anni 2008-2011, comporta, infatti, la riduzione del 5 per cento dei contributi ordinari per l’anno successivo e l’impossibilità di impegnare spese correnti in misura superiore all’importo annuale minimo dei corrispondenti impegni effettuati nell’ultimo triennio nonché di ricorrere all’indebitamento per gli investimenti.

L’atto falsamente adottato dall’ente è stato ritenuto dalla Corte di indiscutibile dimensione pubblicistica, essendo sottoscritto da pubblici ufficiali nell’esercizio delle rispettive funzioni, determinante la volontà dell’Ente locale e al contempo sua espressione con riguardo all’informativa resa al competente organo statale circa la situazione finanziaria dell’anno precedente, da cui deriva l’applicazione delle misure sanzionatorie previste per il mancato rispetto del patto di stabilità.

Tale ultimo aspetto, riguardante la dimensione pubblicistica e il rispetto del patto di stabilità, si integra con quanto precedentemente osservato riguardo alla correttezza, alla trasparenza, alla convergenza e alla stabilità dei conti. Ciascun ente territoriale partecipa, infatti, al complesso delle amministrazioni pubbliche i cui bilanci sono aggregati nel conto consolidato che costituisce il riferimento in sede europea per la valutazione della finanza pubblica degli Stati membri in relazione agli impegni assunti e alle politiche di bilancio dell’Unione.

 

     6. Conclusioni

Dalle riflessioni sopra formulate, emerge in tutta evidenza che il rendiconto costituisce uno strumento legale di informazione sull’andamento e sulla gestione economico-finanziaria dell’ente, destinato a rappresentare nel mondo esterno il grado di realizzazione del programma politico preventivamente definito cui sono destinate le risorse della collettività.

È innegabile che gli enti territoriali debbano fare uno sforzo notevole per conformarsi ad un sistema di bilancio estremamente complesso e oggetto di continui aggiustamenti, soprattutto in presenza di consolidate prassi tese a migliorare artificiosamente il risultato della gestione.

È anche vero che le regole contabili sono sovente caratterizzate da un elevato livello di tecnicità che le rende di difficile interpretazione e applicazione. In caso di dubbio esse devono essere interpretate ed applicate nel senso conforme alla Costituzione e, in particolare, secondo quanto disposto dall’art. 81[30] in termini di equilibrio strutturale; nel rispetto del principio di buon andamento di cui all’art. 97, in quanto l’agire della pubblica amministrazione deve in ogni sua fase rispettare i canoni dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità e del principio di legalità; nel rispetto dei vincoli europei e degli obblighi internazionali ex art. 117, primo comma; da ultimo soccorrono i canoni di razionalità e di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost.

L’amministrazione regionale è gravata da un potere-dovere di provvedere all’approvazione del conto consuntivo provvedendo all’attuazione di tutte le operazioni previste dal legislatore nazionale secondo una precisa sequenza temporale. Ciò costituisce il presupposto necessario per poter porre rimedio alle eventuali situazioni patologiche. In caso di inerzia degli organi regionali lo Stato può sostituirsi ad essi, ex art. 120, secondo comma, Cost. a garanzia di interessi nazionali, in tal caso consistenti nella convergenza e nella stabilità dei conti pubblici, pur nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di leale collaborazione, in modo da poter assicurare l’osservanza dei vincoli assunti in ambito europeo.

I dati rappresentati nella legge di approvazione del rendiconto devono essere coerenti con le risultanze dei quadri e con gli allegati di bilancio e devono essere connotati da certezza e chiarezza in modo da essere intelligibili da ciascun cittadino che deve essere posto nella condizione di poter esprimere in modo informato e consapevole una valutazione sull’operato dei propri rappresentanti politici in vista delle elezioni successive.

Gli enti territoriali devono, ad ogni modo, tenere sempre presente che esiste un obbligo di ostensione, nel bilancio e nel rendiconto, della reale situazione economico-finanziaria determinata nel rispetto dei criteri legali, obbligo penalmente sanzionato che si traduce nella tutela dell’affidamento degli atti pubblici.

Nella sentenza oggetto delle presenti riflessioni la Consulta ha ribadito che «l’efficacia di diritto sostanziale che il rendiconto riveste in riferimento ai risultati dai quali scaturisce la gestione finanziaria successiva e l’invalidità delle partite destinate, attraverso la necessaria aggregazione, a determinarne le risultanze, pregiudicano irrimediabilmente l’armonia logica e matematica che caratterizza funzionalmente il perseguimento dell’equilibrio del bilancio»[31] anche negli esercizi successivi.

Non stupisce, quindi, che, in presenza di una situazione economico-finanziaria che collide con i parametri costituzionali e legislativi, la Corte costituzionale richieda[32] di «effettuare le operazioni necessarie per recuperare immediatamente, in modo costituzionalmente corretto, tutti gli adempimenti scaduti inerenti ai rendiconti successivi […], pur nel rispetto dei separati riscontri secondo la partizione annuale».

 

Dott.ssa Patrizia Zitoli, Funzionaria della Corte dei Conti.

 

[1] La decisione riguarda un ricorso promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con il quale sono stati impugnati alcuni articoli della legge regionale Abruzzo recante “Rendiconto generale per l’esercizio 2013. Conto finanziario, conto generale del patrimonio e nota illustrativa preliminare”. Tale legge è stata emanata oltre i termini stabiliti dall’art. 29 del d.lgs. n. 76 del 2000 e dalle norme regionali che disciplinano l’ordinamento contabile che prevedono, quale termine ultimo, il 30 giugno dell’anno successivo all’esercizio cui esso si riferisce. La Regione, in base al disposto di cui all’art. 29 del d.lgs. n. 76 del 2000 vigente all’epoca in cui il rendiconto avrebbe dovuto essere approvato ha l’obbligo di approvare il rendiconto entro il 30 giugno dell’anno successivo all’esercizio cui questo si riferisce. Tale termine è stato successivamente trasposto al 31 luglio. Con la medesima legge regionale è stata determinata l’entità dei residui attivi e residui passivi dell’esercizio 2013; è stato definito il saldo finanziario al 31 dicembre 2013; è stata approvata la tabella “Residui perenti ed economie vincolate 2013” in cui sono previste “economie riprogrammate” ed è stato rilevato il disavanzo di amministrazione.

[2] Art. 120 Cost. «Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria […], ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica […] La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione». L’esercizio del potere sostitutivo straordinario dello Stato è stato disciplinato con legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3). In particolare, nei casi e per le finalità previsti dall’articolo 120, secondo comma, della Costituzione, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro competente per materia, anche su iniziativa delle Regioni o degli enti locali, assegna all’ente interessato un congruo termine per adottare i provvedimenti dovuti o necessari; decorso inutilmente tale termine, il Consiglio dei ministri, sentito l’organo interessato, su proposta del Ministro competente o del Presidente del Consiglio dei ministri, adotta i provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina un apposito commissario.

[3] Le modalità di attuazione del potere sostitutivo sono stabilite dall’art. 8 della legge n. 131 del 2003 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3).

[4] Sull’uso dei poteri sostitutivi, cfr. Annamaria De Michele, “L’art. 120 della Costituzione e il suo ruolo nella riforma del Titolo V”. 

[5] Cfr. Giuseppe De Luca, “L’esercizio del potere sostitutivo ex art.120 cost.: tra “stato d’eccezione organizzativa” e strumento per la fisiologica «chiusura» del sistema.

[6] Il rendiconto generale è composto dal conto del bilancio relativo alla gestione finanziaria, dai relativi riepiloghi, dai prospetti riguardanti il quadro generale riassuntivo e la verifica degli equilibri, dal conto economico e dallo stato patrimoniale. Il conto del bilancio dimostra i risultati finali della gestione rispetto alle autorizzazioni contenute nel primo esercizio considerato nel bilancio di previsione. Per ciascuna tipologia di entrata e per ciascun programma della spesa, il conto del bilancio comprende, distintamente per residui e competenza: a) per l’entrata le somme accertate, con distinzione della parte riscossa e di quella ancora da riscuotere; b) per la spesa le somme impegnate, con distinzione della parte pagata, di quella ancora da pagare e di quella impegnata con imputazione agli esercizi successivi, che costituisce il fondo pluriennale vincolato. Il conto economico evidenzia i componenti positivi e negativi della gestione di competenza economica dell’esercizio considerato, rilevati dalla contabilità economico-patrimoniale. Lo stato patrimoniale rappresenta la consistenza del patrimonio al termine dell’esercizio. Il patrimonio delle regioni è costituito dal complesso dei beni e dei rapporti giuridici, attivi e passivi, di pertinenza della regione, ed attraverso la cui rappresentazione contabile è determinata la consistenza netta della dotazione patrimoniale comprensiva del risultato economico dell’esercizio. Le regioni includono nel conto del patrimonio anche: a) i beni del demanio, con specifica distinzione, ferme restando le caratteristiche proprie, in relazione alle disposizioni del codice civile; b) i crediti inesigibili, stralciati dal conto del bilancio, sino al compimento dei termini di prescrizione. Al rendiconto della gestione è allegato l’elenco di tali crediti distintamente rispetto a quello dei residui attivi. In attuazione del principio contabile generale della competenza finanziaria, le regioni, prima di inserire i residui attivi e passivi nel rendiconto della gestione, provvedono al riaccertamento degli stessi, consistente nella revisione delle ragioni del mantenimento in tutto o in parte dei residui (allegato 4/2, punto 9.1, del d.lgs. n. 118 del 2011).

[7] Nella sentenza n. 184 del 2016 la Corte costituzionale ha affermato che «il bilancio è un “bene pubblico” nel senso che è funzionale a sintetizzare e rendere certe le scelte dell’ente territoriale, sia in ordine all’acquisizione delle entrate, sia alla individuazione degli interventi attuativi delle politiche pubbliche, onere inderogabile per chi è chiamato ad amministrare una determinata collettività ed a sottoporsi al giudizio finale afferente al confronto tra il programmato ed il realizzato».

[8] Il bilancio di previsione, per ciascuno degli esercizi in cui è articolato, deve essere deliberato in pareggio finanziario di competenza, comprensivo dell’utilizzo dell’avanzo di amministrazione e del recupero del disavanzo di amministrazione. Si ricorda inoltre che il bilancio di previsione dello Stato e degli enti pubblici ha carattere autorizzatorio: in esso sono fissati i limiti agli impegni di spesa in modo che siano coperti dalle entrate previste nell’anno. Ogni volta che si verificano necessità di spesa diverse da quelle previste e approvate nel bilancio di previsione, occorre approvare una variazione di bilancio.

[9] Il rendiconto dà contezza dei risultati ottenuti nella dinamica della gestione: esso è la risultante dell’applicazione del principio di continuità nella discontinuità. Deve osservare il principio di continuità, perché, come affermato dalla Consulta nella sentenza n. 181 del 2015, nel bilancio la continuità è specificazione del principio dell’equilibrio tendenziale rinvenibile nell’art. 81 Cost., in quanto «collega gli esercizi sopravvenuti nel tempo in modo ordinato e concatenato». Tale continuità si realizza, tuttavia, nella discontinuità in quanto ogni esercizio è caratterizzato da elementi di novità rispetto al passato correlati all’evoluzione del contesto politico, economico, sociale e culturale da cui emergono esigenze nuove della comunità che richiedono di essere soddisfatte, e programmi inediti e innovativi da attuare con le risorse pubbliche a disposizione. Tali elementi devono essere tenuti in considerazione al fine di consentire il passaggio dal vecchio al nuovo, ovvero, per rendere possibile il rinnovamento atteso dalla collettività. Tale concetto è stato concisamente espresso dal Procuratore generale della Corte dei conti nella requisitoria orale alla parifica del Rendiconto generale dello Stato 2017 in cui ha sostenuto che «Il futuro si costruisce in una prospettiva di “continuità discontinua” o, per meglio dire, di “discontinua continuità”. Concetto questo a valore generale, particolarmente applicabile alle gestioni e alle politiche di bilancio pubbliche».

[10] Cfr. G. Rivosecchi, L’equilibrio di bilancio: dalla riforma costituzionale alla giustiziabilità, in AIC, rivista n. 3/2016.

[11] Cfr. sentenze della Corte costituzionale n. 266 del 2013, n. 213 del 2008, n. 384 del 1991 e n. 1 del 1966.

[12] Il ricorso promosso nei confronti della legge regionale ha tenuto conto della pronuncia della Corte costituzionale n. 89 del 2017 con la quale la Consulta si era espressa su alcune leggi della Regione Abruzzo: la legge finanziaria n. 2 del 2013, la legge regionale n. 3 del 2013, concernente il bilancio di previsione per l’esercizio 2013 e il bilancio pluriennale 2013-2015; e la legge regionale n. 20 del 2013.

Il Giudice delle leggi era stato, in quella sede, adito dalla Sezione regionale di controllo per l’Abruzzo della Corte dei conti che, dubitando della legittimità costituzionale di alcune disposizioni contenute nelle predette leggi, aveva ritenuto di non parificare il saldo finanziario positivo risultante dal rendiconto 2013, considerato inattendibile a causa del mancato riaccertamento dei residui e del mancato assestamento del bilancio dell’esercizio precedente (delibera n. 39/2016/PARI). La Sezione di controllo aveva espresso dubbi anche sulla legittimità, in riferimento all’art. 81 Cost., di alcune leggi regionali abruzzesi riguardanti la riprogrammazione di economie vincolate, che venivano destinate a finalità diverse da quelle originariamente stabilite, e sulla allocazione in bilancio delle anticipazioni di liquidità ex d.l. n. 35 del 2013 che, se correttamente contabilizzate, avrebbero determinato un aumento del disavanzo di amministrazione per un importo pari all’anticipazione stessa.

La Corte dei conti aveva quindi sollevato questione di legittimità costituzionale delle norme regionali che incidevano su talune poste di bilancio, sospendendo, per queste ultime, il giudizio di parifica. Nell’udienza pubblica davanti alla Corte costituzionale la Regione Abruzzo aveva illustrato la nuova legge regionale 7 marzo 2017, n. 16 (Rendiconto generale per l’esercizio 2013. Conto finanziario, conto generale del patrimonio e nota illustrativa preliminare), di approvazione del rendiconto 2013, che presentava un congruo avanzo, cercando di dimostrare l’opera di risanamento dei conti regionali avviata che avrebbe dovuto far ritenere superate le censure della Corte dei conti in ordine alla copertura della spesa e in particolare di quelle correlate all’anticipazione di liquidità.

La Corte costituzionale, nella sentenza n. 89 del 2017, aveva, invece, accolto le censure sollevate dalla Sezione regionale di controllo della Corte dei conti esprimendosi in particolare su due tematiche controverse: la possibilità di attribuire un nuovo e diverso vincolo creato da una disposizione regionale alle economie vincolate e la possibilità di utilizzare l’anticipazione di liquidità di cui al d.l. n. 35 del 2013 come componente attiva del risultato di amministrazione. La legge n. 16 del 2017 già allora non era stata considerata risolutiva delle problematiche esistenti ed il risultato di amministrazione positivo prospettato dalla Regione non era stato ritenuto affidabile in quanto la legge regionale sopravvenuta, oltre a non tenere conto della verifica parziale della Corte dei conti, risultava svincolata da punti di riferimento certi quali, ad esempio, l’esatta contabilizzazione dei crediti e dei debiti allo stato esistenti e la computazione dei risultati degli esercizi pregressi finendo per pregiudicare ulteriormente l’equilibrio finanziario della Regione.

Nella legge regionale oggetto della decisione della Consulta n. 49 del 2018 non è garantito l’avvenuto riscontro della sussistenza delle obbligazioni relative ai residui perenti e non risulta rispettato il criterio di prudenzialità e di effettività delle coperture, con ciò violando i principi posti a salvaguardia dell’equilibrio economico-finanziario dell’ente.

Per quanto riguarda la riprogrammazione delle economie vincolate, la legge regionale non fornisce elementi sui programmi cui le risorse erano vincolate, né sul grado di realizzazione degli stessi, e neppure sulla permanenza del vincolo. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 192 del 2012, aveva già chiarito come il concetto di vincolo sia relativo e circoscritto alle finalità per le quali viene creato l’originario stanziamento negli esercizi pregressi. Le risorse vincolate non spese possono dare origine ad una sopravvenienza attiva (economia di spesa) che si riversa – quale componente positiva – nel risultato di amministrazione, oppure, alla reiscrizione delle risorse nel bilancio dell’esercizio successivo, nel caso in cui l’obiettivo sotteso al vincolo non sia stato realizzato e permanga il vincolo specifico.

[13] Alla chiusura dell’esercizio finanziario, conclusa l’attività di regolarizzazione dei sospesi e annullati i titoli ineseguiti, il fondo di cassa risultante dalle scritture dell’ente coincide con il fondo di cassa risultante dalle scritture della banca senza che sia necessario procedere ad alcuna riconciliazione. Gli enti allegano al consuntivo una dichiarazione, firmata dal tesoriere/cassiere, che attesta il fondo di cassa effettivo all’inizio dell’esercizio, il totale degli incassi e dei pagamenti effettuato nell’esercizio e l’ammontare del fondo di cassa effettivo al 31 dicembre dell’anno cui si riferisce il consuntivo. Tali importi devono coincidere con le risultanze del consuntivo dell’ente (punto 4 dell’allegato 4/2 al d.lgs. n. 118 del 2011).

[14] Il fondo pluriennale vincolato è costituito: a) in entrata, da due voci riguardanti la parte corrente e il conto capitale del fondo, per un importo corrispondente alla sommatoria degli impegni assunti negli esercizi precedenti ed imputati sia all’esercizio considerato sia agli esercizi successivi, finanziati da risorse accertate negli esercizi precedenti; b) nella spesa, da una voce denominata «fondo pluriennale vincolato», per ciascuna unità di voto riguardante spese a carattere pluriennale e distintamente per ciascun titolo di spesa. Il fondo è determinato per un importo pari alle spese che si prevede di impegnare nel corso del primo anno considerato nel bilancio, con imputazione agli esercizi successivi e alle spese già impegnate negli esercizi precedenti con imputazione agli esercizi successivi a quello considerato. La copertura della quota del fondo pluriennale vincolato riguardante le spese impegnate negli esercizi precedenti è costituita dal fondo pluriennale iscritto in entrata, mentre la copertura della quota del fondo pluriennale vincolato riguardante le spese che si prevede di impegnare nell’esercizio di riferimento con imputazione agli esercizi successivi, è costituita dalle entrate che si prevede di accertare nel corso dell’esercizio di riferimento.

[15] Nel bilancio di previsione è prevista una apposita posta contabile, denominata “Accantonamento al fondo crediti di dubbia esigibilità”, il cui ammontare è determinato in considerazione della dimensione dei crediti che si prevede si formeranno nell’esercizio, della loro natura e dell’andamento del fenomeno negli ultimi cinque esercizi precedenti.

[16] Alla fine dell’esercizio per la redazione del rendiconto, è verificata la congruità del fondo crediti di dubbia esigibilità complessivamente accantonato in considerazione dell’ammontare dei residui attivi degli esercizi precedenti e di quello dell’esercizio in corso. A seguito di ogni provvedimento di riaccertamento dei residui attivi è rideterminata la quota dell’avanzo di amministrazione accantonata al fondo crediti di dubbia esigibilità. Fino a quando il fondo crediti di dubbia esigibilità non risulta adeguato non è possibile utilizzare l’avanzo di amministrazione. L’eventuale quota del risultato di amministrazione “svincolata”, sulla base della determinazione dell’ammontare definitivo del fondo crediti di dubbia esigibilità rispetto alla consistenza dei residui attivi di fine anno, può essere destinata alla copertura dello stanziamento riguardante il fondo crediti di dubbia esigibilità del bilancio di previsione dell’esercizio successivo a quello cui il rendiconto si riferisce. Trascorsi tre anni dalla scadenza di un credito di dubbia e difficile esazione non riscosso, il responsabile del servizio competente alla gestione dell’entrata valuta l’opportunità di operare lo stralcio di tale credito dal conto del bilancio, riducendo di pari importo il fondo crediti di dubbia esigibilità accantonato nel risultato di amministrazione. Quando un credito è dichiarato definitivamente ed assolutamente inesigibile, lo si elimina dalle scritture finanziarie e, per lo stesso importo del credito che si elimina, si riduce la quota accantonata nel risultato di amministrazione a titolo di fondo crediti di dubbia esigibilità.

[17] Cfr. il Prospetto dimostrativo del risultato di amministrazione contenuto nell’Allegato 10 del d.lgs. n. 118 del 2011.

[18] Costituiscono quota vincolata del risultato di amministrazione le entrate accertate: a) nei casi in cui la legge o i principi contabili generali e applicati della contabilità finanziaria individuano un vincolo di specifica destinazione dell’entrata alla spesa. Per gli enti locali i vincoli derivanti dalla legge sono previsti sia dalle leggi statali che dalle leggi regionali. Per le regioni i vincoli sono previsti solo dalla legge statale. Nei casi in cui la legge dispone un vincolo di destinazione su propri trasferimenti di risorse a favore dell’ente, si è in presenza di vincoli derivanti da trasferimenti e non da legge; b) derivanti da mutui e finanziamenti contratti per il finanziamento di investimenti determinati; c) derivanti da trasferimenti erogati a favore dell’ente per una specifica destinazione. La natura vincolata dei trasferimenti UE si estende alle risorse destinate al cofinanziamento nazionale. Pertanto, tali risorse devono essere considerate come "vincolate da trasferimenti" ancorché derivanti da entrate proprie dell’ente. Per gli enti locali, la natura vincolata di tali risorse non rileva ai fini della disciplina dei vincoli cassa; d) derivanti da entrate straordinarie, non aventi natura ricorrente, accertate e riscosse cui l’amministrazione ha formalmente attribuito una specifica destinazione.

[19] Si tratta di entrate in conto capitale senza vincoli di specifica destinazione non spese, utilizzabili con provvedimento di variazione di bilancio solo a seguito dell’approvazione del rendiconto.

[20] Nella sentenza n. 274 del 2017 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge della Regione Liguria 9 agosto 2016, n. 20 (Rendiconto generale dell’amministrazione della Regione Liguria per l’esercizio finanziario 2015) che prevedeva l’applicazione al bilancio di una quota di avanzo “libero” di amministrazione. Tale avanzo era stato impropriamente determinato in quanto il risultato di amministrazione disponibile al 31 dicembre 2015, come risultante dal Prospetto dimostrativo al 31 dicembre 2015, era negativo: la quota “libera”, in realtà inesistente stante il risultato di amministrazione negativo, era stata fittiziamente creata e ricavata contabilmente sottraendo il «disavanzo autorizzato» dal «disavanzo da ripianare».

[21] Sentenze n. 49 del 2018 e n. 274 del 2017.

[22] Sentenza n. 274 del 2017.

[23] A tale direttiva è stata data attuazione con il decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 54.

[24] Legge n. 196 del 2009, art. 1, comma 1, come sostituito dall’art. 1, comma 1, della legge 7 aprile 2011, n. 39.

[25] Sentenza n. 101 del 2018 (considerato 6.2.3).

[26] Corte di cassazione, Sezione 5 penale, sentenza n. 14617 del 2018.

[27] Riguardo alla natura degli atti del sindaco o degli organi collegiali comunali che manifestano la volontà dell’Ente verso l’esterno e sono destinati per previsione di legge a determinare conseguenze giuridiche, la Corte di cassazione si è espressa riconoscendoli atti pubblici, ai sensi degli artt 476-479 cod. pen. (Sez. 5, Sentenza n. 10883 del 01/10/1996), in quanto «caratterizzati dalla produttività di effetti costitutivi, traslativi, dispositivi, modificativi od estintivi rispetto a situazioni giuridiche di rilevanza pubblicistica» (Cass SU n 10929/81; conformi Cass 5 n. 10149 del 1984; Cass 17 Giugno 1987, Iorio). Inoltre, «nella nozione di atto pubblico oggetto del delitto di falso ideologico ex art. 479 cod. pen. è stato ricompreso ogni atto redatto dal pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, giacché ciò che rileva è la provenienza dell’atto dal medesimo ed il contributo dallo stesso fornito, in termini di conoscenza o di determinazione, ad un procedimento della pubblica amministrazione» (Corte di cassazione, Sezione 5 penale, sentenza n. 14617 del 2018.

[28] Caratteristica dei reati di falso è la «capacità di attentare alla genuinità ed alla veridicità dei mezzi probatori, intendendosi, come tali, non solo quelli che possiedono un valore all’interno del processo, ma anche gli oggetti e le dichiarazioni che, secondo il costume, godono di un particolare credito nei rapporti di vita sociale» Cfr. Simone Marani in AltalexPedia, voce “Falso”.

[29] Nel caso di specie la falsificazione era finalizzata ad attestare inveridicamente il rispetto del patto di stabilità.

[30] Nei primi due commi dell’art. 81, è sancito il principio dell’equilibrio di bilancio legato all’andamento del ciclo economico e consente l’indebitamento come azione anticiclica legata ad eventi eccezionali.

[31] Sentenza n. 274 del 2017.

[32] Ciò è avvenuto nella sentenza n. 49 del 2018 nei confronti della Regione Abruzzo.