A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA: LA CANCELLAZIONE O IL RITARDO PROLUNGATO DI UN VOLO AEREO CONSEGUENZA DI UNO “SCIOPERO SELVAGGIO” DEL PERSONALE DI VOLO NON ESONERA LA COMPAGNIA AEREA DALL’OBBLIGO DI INDENNIZZO VERSO I PASSEGGERI (CGUE 17 APRILE 2018, C-195/17).

Autore: Avv. Teresa Aloi

 

La Corte di Giustizia dell’Unione europea apre la strada al riconoscimento del diritto all’indennizzo verso i passeggeri per voli cancellati o in ritardo prolungato nell’ipotesi in cui la compagnia aerea, a causa dell’assenza in massa del personale, si veda costretta a non poter rispettare il programma dei voli.

Con la sentenza depositata il 17 aprile 2018, C-195/17, con la quale i giudici di Lussemburgo hanno trattato ben 30 cause riunite, viene fornita una nuova interpretazione della nozione di “circostanze eccezionali”, in presenza delle quali una compagnia aerea legittimamente può rifiutarsi di liquidare gli indennizzi previsti dal Regolamento (CE) n. 261/2004, contenente regole comuni per la compensazione e l’assistenza ai passeggeri nell’ipotesi di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato (Regolamento che ha abrogato il precedente Regolamento (CEE) n. 295/91).

Il caso di specie ha riguardato la compagnia aerea tedesca TUIfly la cui direzione, il 30 settembre 2016, aveva annunciato, a sorpresa, al suo personale un piano di ristrutturazione dell’azienda. Tale annuncio aveva determinato che, per circa una settimana, il personale di volo, a seguito di un appello diffuso dai dipendenti stessi, si era messo in congedo per malattia.

Tra il 1° ed il 10 ottobre, la percentuale di assenze per malattia, abitualmente pari a circa il 10% era stata soggetta ad un significativo aumento, tra il 34% e l’89% quanto ai piloti e tra il 24% ed il 62% quanto all’equipaggio di cabina. Di conseguenza, a decorrere dal 3 ottobre 2016, la TUIfly era stata costretta ad abbandonare completamente il suo piano dei voli originario, a stipulare accordi di subnoleggio con altre compagnie aeree ed a disporre il rientro del personale in ferie.

Il 7 ottobre 2016, la direzione della compagnia aerea informava il personale che era stato raggiunto un accordo con i loro rappresentanti.

A causa dello “sciopero selvaggio” messo in atto numerosi voli della TUIfly erano stati cancellati o avevano subito un ritardo pari o superiore a tre ore rispetto all’orario di arrivo previsto. Tuttavia, ritenendo che si trattasse di “circostanze eccezionali”, ai sensi dell’art. 5, paragrafo 3, del Regolamento n. 261/2004[1] la compagnia aerea si era rifiutata di corrispondere ai passeggeri interessati le compensazioni pecuniarie da esso previste (cioè euro 200,00, 400,00 o 600,00 in base alla distanza coperta dal volo).

I Tribunali circoscrizionali di Hannover e di Dusseldorf, Germania, chiamati a pronunciarsi sui ricorsi proposti dai passeggeri diretti ad ottenere il pagamento di tali compensazioni, adivano la Corte di giustizia dell’Unione europea per chiedere se, l’art. 5, paragrafo 3, del Regolamento n. 261/2004, letto alla luce del considerando 14 dello stesso, debba essere interpretato nel senso che l’assenza spontanea di una parte significativa del personale di volo, sotto forma di “sciopero selvaggio”, come quella di specie, rientri nella nozione di “circostanze eccezionali”, di modo che la compagnia aerea potrebbe essere esonerata dal suo obbligo di compensazione pecuniaria.

Con la sentenza del 17 aprile 2018, in commento, la Corte europea fornisce una risposta negativa alla questione sollevata dai giudici del rinvio: l’assenza spontanea di una parte significativa del personale di volo, originata dall’annuncio a sorpresa da parte di un vettore aereo di procedere ad una ristrutturazione dell’impresa e conseguente ad un appello diffuso non dai rappresentanti dei dipendenti dell’impresa, bensì in modo spontaneo, dai dipendenti stessi, che si sono messi in congedo per malattia, non è qualificabile come circostanza che sfugge all’effettivo controllo del vettore aereo interessato, pertanto, non rientra nella nozione di “circostanza eccezionale”. “Circostanze eccezionali” sono tutte quelle situazioni che, in accordo con la normativa europea, non possono essere considerate responsabilità della compagnia aerea, come, per esempio, scioperi, condizioni meteo avverse o instabilità politica. In presenza di tali circostanze il passeggero ha diritto al rimborso del biglietto aereo entro 7 giorni oppure ha diritto ad essere imbarcato su un volo alternativo ragionevole.

E’ pacifico che tale “sciopero selvaggio” è stato avviato dal personale della TUIfly, nel caso di specie, al fine di manifestare le proprie rivendicazioni contro le misure di ristrutturazione annunciate dalla direzione di tale vettore aereo.

La Corte sottolinea che il Regolamento europeo prevede due condizioni cumulative affinchè un evento possa essere qualificato come “circostanza eccezionale”: 1) non deve essere, per sua natura o per sua origine, inerente al normale esercizio dell’attività della compagnia aerea; 2) deve sfuggire all’effettivo controllo di quest’ultima.

Il semplice fatto che un considerando del Regolamento indichi che tali circostanze possano verificarsi, segnatamente in caso di sciopero, non significa che uno sciopero sia necessariamente ed automaticamente causa di esonero dall’obbligo di compensazione pecuniaria. Al contrario, è necessario valutare, caso per caso, se sussistono le due condizioni indicate.

Per quanto riguarda il caso in esame, la Corte di giustizia UE rileva che tali due condizioni non sono state soddisfatte.

In primo luogo, le ristrutturazioni e le riorganizzazioni fanno parte delle normali misure di gestione delle imprese. Le compagnie aeree, infatti, possono, normalmente, trovarsi ad affrontare nell’esercizio della loro attività, divergenze e conflitti con i membri del loro personale o con una sua parte. Pertanto, in una situazione come quella verificatesi presso la TUIfly a fine settembre/inizio ottobre 2016, i rischi derivanti dalle conseguenze sociali che accompagnano tali misure devono essere considerati inerenti al normale esercizio dell’attività della compagnia aerea interessata.

In secondo luogo, lo “sciopero selvaggio”, nel caso di specie, non può essere considerato come una circostanza che sfugge all’effettivo controllo della TUIfly. Tale sciopero, infatti, non solo trae origine da una decisione della compagnia aerea stessa ma, a prescindere dall’elevata percentuale di assenze, è cessato in seguito all’accordo concluso il 7 ottobre 2016 dalla TUIfly con i rappresentanti del personale.

La Corte, inoltre, osserva il fatto che il movimento sociale in questione dovrebbe essere qualificato, ai sensi delle vigenti disposizioni tedesche in materia sociale, come “sciopero selvaggio”, in quanto non ufficialmente proclamato da un sindacato, non rileva ai fini della valutazione della nozione di “circostanze eccezionali”.

Procedere alla distinzione tra scioperi che, sulla base del diritto nazionale applicabile, sarebbero leciti e quelli che non lo sarebbero per determinare se debbano essere considerate “circostanze eccezionali” ai sensi del Regolamento sui diritti dei passeggeri aerei implicherebbe, infatti, la conseguenza di far dipendere il diritto alla compensazione pecuniaria dei passeggeri dalle disposizioni in materia sociale di ciascuno Stato membro, pregiudicando così gli obiettivi del Regolamento che consistono nel garantire un elevato livello di protezione per i passeggeri nonché condizioni armonizzate di esercizio dell’attività di vettore aereo nel territorio dell’Unione europea.

L’argomento oggetto della sentenza in commento richiama una recente ed importante ordinanza della Corte di Cassazione italiana del 23 gennaio 2018, n. 1584, in ordine ai criteri di ripartizione della prova in merito al diritto al risarcimento in caso di ritardo aereo.

I ritardi aerei e/o la cancellazione dei voli sono uno dei maggiori problemi che si trovano ad affrontare coloro che sono soliti viaggiare e che spesso, a causa di tali vicende, possono subire danni economici di non poco conto. Tali questioni, pertanto, sono spesso oggetto di controversie giudiziarie, soprattutto di fronte al rifiuto delle compagnie aeree di riconoscere ai passeggeri il giusto risarcimento per il danno subito.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza su indicata, ha riformato in maniera radicale la sentenza impugnata, pronunciata dal Tribunale di Roma in funzione di giudice d’appello, che aveva negato il diritto al risarcimento al passeggero che aveva promosso l’azione, ritenendo che costui, non adempiendo all’onere probatorio a suo carico, non poteva puntare all’accoglimento della pretesa risarcitoria.

Secondo il Tribunale, infatti, il passeggero è tenuto a dimostrare, non semplicemente allegare, la circostanza che il volo ha subìto un ritardo; ossia deve dimostrare l’inadempimento del vettore, la cui responsabilità poi si presume, nel senso che è quest’ultimo a dover fornire la prova liberatoria.

Da qui il ricorso alla Corte di Cassazione.

Va premesso che, quando si viaggia in aereo all’interno dell’Unione europea sono garantiti alcuni diritti dei viaggiatori che valgono ancora prima della partenza. In caso di ritardo, cancellazione del volo o altri tipi di disagi, chi viaggia gode di una serie di diritti se parte da un qualsiasi aeroporto dell’Unione europea e con una qualsiasi compagnia. Il Regolamento europeo n. 261/2004 prevede che, qualora un volo venga cancellato, si ha diritto al rimborso del biglietto aereo o all’imbarco su un volo alternativo. In tali situazioni, come indicato nel commento alla sentenza della Corte di giustizia del 17 aprile 2018, è prevista una compensazione pecuniaria che varia dai 200,00 ai 600,00 euro, a seconda della distanza coperta dal volo.

Se, a causa della cancellazione del volo, il passeggero sopporta spese aggiuntive, come la consumazione di pasti in aeroporto o l’eventuale sistemazione in hotel, queste spese devono essere rimborsate dalla compagnia aerea.

Qualora le cause che hanno portato alla cancellazione del volo rientrino tra le circostanze definite “eccezionali”, ovvero tutte quelle situazioni che, in conformità con la normativa europea, non possono essere considerate responsabilità della compagnia aerea, il passeggero ha diritto al rimborso del biglietto aereo entro 7 giorni oppure ha diritto ad essere imbarcato su un volo alternativo ragionevole.

Il risarcimento è dovuto solo nel caso in cui la compagnia aerea sia responsabile del danno sofferto. In base alla Convenzione di Montreal del 2001[2], se il passeggero, a causa del ritardo, subisce danni diretti che siano, cioè, prevedibili quali effetti normali dell’inadempimento o dell’illecito della compagnia aerea, può richiedere alla stessa il risarcimento dei danni.

Il risarcimento non è previsto, invece, in caso di forza maggiore. Accade, però, che anche in circostanze non eccezionali, come problemi tecnici o problemi operativi, il personale della compagnia aerea non informi i passeggeri sui diritti loro riservati dal Regolamento europeo e costoro, ignari, accettano solo il rimborso del biglietto, senza richiedere un risarcimento.

Altra situazione in cui non può essere richiesto un risarcimento riguarda quei casi in cui il vettore aereo comunichi la cancellazione del volo meno di 7 giorni prima dalla partenza, ma offra ai passeggeri un volo alternativo con partenza non più di un’ora prima rispetto all’orario previsto dal volo cancellato ed un arrivo a destinazione finale meno di due ore dopo l’orario previsto.

Ai sensi dell’art. 35 della Convenzione di Montreal il diritto al risarcimento per danni si estingue nel termine di due anni decorrenti dal giorno di arrivo a destinazione o dal giorno previsto per l’arrivo a destinazione dell’aeromobile o dal giorno in cui il trasporto è stato interrotto.

La decadenza di due anni prevista dalla Convenzione di Montreal è stata assorbita dal nostro ordinamento con gli artt. 941 e 949-ter cod. nav.[3] determinando in tal modo una disciplina unificata per le controversie riguardanti il trasporto aereo nazionale ed internazionale.

Venendo all’ordinanza emessa dalla Corte di Cassazione, la questione di diritto sottoposta alla sua attenzione concerne l’ampiezza dell’onere della prova gravante sul passeggero che intenda agire in giudizio nei confronti del vettore aereo al fine di ottenere il risarcimento dei danni da ritardo sofferti. In particolare, le parti controvertono sulla circostanza se il passeggero possa limitarsi a provare l’esistenza del contratto di trasporto (ossia l’avvenuto acquisto del biglietto aereo) e ad allegare il ritardo del volo, oppure se egli sia onerato di fornire la prova piena anche di questo secondo elemento, gravando sul vettore il solo onere della prova liberatoria.

La Convenzione di Montreal all’art. 19 prevede che il vettore sia responsabile del danno derivante dal ritardo nel trasporto aereo di passeggeri, bagagli o merci. Tuttavia, tale responsabilità non sussiste per i danni da ritardo se dimostra di aver adottato tutte le misure che potevano essere ragionevolmente richieste per evitare il danno oppure che era impossibile adottarle.

La Convenzione, pertanto, introduce una presunzione di responsabilità del vettore aereo, superabile solo offrendo la prova liberatoria dell’imprevedibilità del danno, tale che non era ragionevole ex ante adottare misure idonee ad evitarne l’avveramento, ovvero dell’oggettiva impossibilità di adottarle. In sostanza, l’esenzione di responsabilità del vettore aereo gioca sul piano del caso fortuito o della forza maggiore.

Tale presunzione sussiste anche riguardo alle norme del Regolamento (CE) n. 261/2004 in tema di compensazione pecuniaria.

Il Regolamento e la Convenzione contengono due discipline compatibili e congiuntamente applicabili, senza antinomie.

La Corte di Giustizia UE ha specificato, infatti, che le normative non si escludono l’un l’altra (CGUE 10 gennaio 2006, C-344/04). La Convenzione di Montreal detta le condizioni per l’esercizio di azioni giudiziarie per il risarcimento danni promosse davanti ad organi giurisdizionali. Questo, tuttavia, non è di ostacolo all’adozione di una concorrente disciplina comunitaria, anche migliorativa, per assicurare la tutela degli interessi dei passeggeri, al fine di garantire agli stessi adeguata assistenza nel momento in cui si verificano gli inconvenienti previsti ed in modo da consentire adeguati indennizzi che possono essere richiesti ed accordati senza l’esperimento di azioni giudiziarie.

Nel complesso, entrambe le normative si basano sull’affermazione del principio di presunzione di responsabilità del vettore aereo. Una volta provato l’inadempimento o, più esattamente, l’inesatto adempimento, dunque, l’imputabilità dello stesso al vettore aereo costituisce oggetto di una presunzione superabile tanto che si faccia riferimento alla Convenzione di Montreal quanto che si applichi il Regolamento, solo attraverso la prova liberatoria del caso fortuito o della forza maggiore.

La Corte di Cassazione specifica che, né la Convenzione né il Regolamento contengono alcuna regola specifica in tema di onere della prova dell’inadempimento (negato imbarco o cancellazione del volo) o dell’inesatto adempimento (ritardato arrivo rispetto all’orario previsto).

L’assenza di una norma speciale impone, pertanto, di fare riferimento agli ordinari criteri di riparto dell’onere della prova di cui all’ art. 2697 c.c. ed alla giurisprudenza della stessa Corte senza più incertezze dopo la sentenza a Sezioni Unite del 2001 (Cass. Sez. Un. N. 13533 del 30/10/2001).

Costituisce, infatti, vero e proprio ius receptum  il principio di diritto secondo cui, in tema di prova dell’inadempimento di un’obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, al fine del risarcimento del danno o per l’adempimento, deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla semplice allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto adempimento. Anche nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante sarà sufficiente la semplice allegazione dell’inesattezza dell’adempimento (per violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell’obbligo di diligenza o per difformità quantitative o qualitative dei beni), gravando, ancora una volta, sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto esatto adempimento.

Applicando tali regole si afferma il principio secondo cui il passeggero che agisce per il risarcimento del danno derivante dal negato imbarco o dalla cancellazione (inadempimento) o dal ritardato arrivo dell’aeromobile rispetto all’orario previsto (inesatto adempimento), deve fornire la prova della fonte (negoziale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, ossia deve produrre il titolo o biglietto di viaggio o altra prova equipollente, potendosi, poi, limitare alla mera allegazione dell’inadempimento del vettore. Spetta a quest’ultimo, convenuto in giudizio, dimostrare l’avvenuto adempimento oppure, in caso di ritardo, che questo sia stato contenuto sotto le soglie di rilevanza fissate dal Regolamento (CE) n. 261/2004, art. 6, comma 1.

All’affermazione di tale principio non è di ostacolo il principio c.d. di “prossimità della prova”, poiché, nei rapporti tra passeggero e vettore aereo è vero semmai il contrario. Mentre il passeggero, di regola, non ha disponibilità di una prova diretta del ritardo dell’aereo su cui viaggiava (tranne, per esempio, la riproduzione fotografica dei tabelloni informativi dell’aeroporto) il vettore aereo, che opera in un regime di controllo e verifica da parte delle autorità aeroportuali del tracciato aereo di ogni volo, ha agevole facoltà di accesso alla prova ufficiale dell’orario esatto in cui il veicolo è atterrato.

La Corte di Cassazione con l’ordinanza del 23 gennaio 2018 conclude nel senso che il passeggero è tenuto a dimostrare solo la fonte del proprio diritto e può limitarsi ad allegare l’inadempimento del vettore, il quale potrà difendersi su due piani diversi: dimostrando che l’inadempimento non c’è stato o che, se c’è stato, non ha superato (in caso di ritardo) le soglie di rilevanza fissate dal Regolamento oppure, dimostrando che l’inadempimento, pur essendosi obiettivamente consumato, è dipeso da forza maggiore o da caso fortuito, ipotesi che rendono il fatto non imputabile al suo autore.

 

Avv. Teresa Aloi, Foro di Catanzaro.

 

[1] Regolamento (CE) n. 261/2004: l’art. 5, paragrafo 3, prevede che il vettore non è tenuto al pagamento della compensazione pecuniaria se ha tempestivamente avvertito il passeggero della cancellazione del volo ovvero se dimostra che la stessa è dovuta a circostanze eccezionali che non si sarebbero, comunque, potute evitare anche se fossero state adottate tutte le misure del caso. La responsabilità del vettore è esclusa, dunque, solo dal caso fortuito o dalla forza maggiore cui si aggiunge, però, l’ipotesi del congruo preavviso che consenta al passeggero di organizzarsi diversamente, così minimizzando le conseguenze del disagio.

[2] La Convenzione di Montreal per l’unificazione di alcune norme relative al trasporto aereo internazionale, conclusa a Montreal il 28 maggio 1999, è stata firmata dalla Comunità europea il 9 dicembre 1999 ed approvata a suo nome con la decisione 2001/539/CE del Consiglio, del 5 aprile 2001. Tale Convenzione è entrata in vigore, per quanto riguarda l’Unione europea, il 28 giugno 2004. A decorrere da tale data e, segnatamente tra gli Stati membri, la Convenzione di Montreal prevale sulla Convenzione di Varsavia, in applicazione di quanto disposto dal suo  art. 55. La Convenzione è stata ratificata e resa esecutiva in Italia con la Legge n. 12 del 2004.

[3] Art. 941 cod. nav.: Il trasporto aereo di persone e bagagli, compresa la responsabilità del vettore per lesioni personali del passeggero è regolata dalle norme comunitarie ed internazionali in vigore nella Repubblica.

Art. 949-ter cod. nav.: I diritti derivanti dal contratto di trasporto di persone e bagagli sono assoggettati alle norme sulla decadenza previste dalla normativa internazionale di cui all’art. 941.

Gli stessi diritti non sono assoggettati alle norme che regolano la prescrizione.