La disciplina del servizio postale universale alla Corte di Giustizia Europea: Ordinanza TAR Lazio 29 aprile 2016, n. 4882
Autore: Avv. Teresa Aloi
Il TAR Lazio, I Sezione, con l’ordinanza collegiale del 29 aprile 2016, n. 4882, rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la questione “se il legislatore nazionale italiano, nel disciplinare materie armonizzate a livello comunitario, come il servizio postale universale, può ridurre le garanzie dei cittadini-utenti fissate dall’Unione europea, allegando finalità finanziare e gestionali oppure incontra un limite nella disciplina e nelle finalità rinvenibili dalle disposizioni e dai Considerando delle Direttive comunitarie di riferimento (in questo caso la Direttiva n. 97/67/CE) avendo come conseguenza la disapplicazione delle disposizioni di legge contrastanti ed il conseguente annullamento degli atti amministrativi adottati su tali basi.
Il TAR Lazio ha ritenuto, la predetta questione pregiudiziale, rilevante ai fini della decisione sul ricorso proposto da 41 piccoli comuni e dall’ANCI Piemonte contro la delibera dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni del 25 giugno 2015, n. 395/15/CONS, che ha autorizzato la società Poste Italiane Spa, che gestisce il servizio postale universale sulla base di un contratto di programma con lo Stato italiano, ad attivare il recapito della corrispondenza solo a giorni alterni, pur non sussistendo le circostanze o condizioni geografiche eccezionali richieste dal diritto comunitario per consentire deroghe all’obbligo di garantire il servizio “come minimo cinque giorni lavorativi a settimana”.
I Comuni e l’Associazione ricorrenti temono gli effetti economico-sociali e culturali negativi della rarefazione del servizio postale in aree del Paese già sotto-popolate, spesso interessate da fenomeni di invecchiamento della popolazione e tendenzialmente marginali sotto il profilo economico, deducendo l’illegittimità della suddetta delibera.
Va premesso che il servizio universale, secondo la legge italiana, indica una situazione che comporta degli oneri a carico di un gestore pubblico o privato di un servizio di pubblica utilità al fine di garantire un riferimento minimo predefinito di qualità di servizi, per i quali non sia possibile l’equilibrio economico, ma che si ritiene tuttavia necessario di garantire alla collettività, nel caso anche con meccanismi di compensazione finanziaria pubblica.
A livello europeo esistono leggi con obblighi di servizio universale nell’erogazione di energia elettrica e nel settore delle telecomunicazioni, tradotte nei rispettivi ordinamenti nazionali; in Italia tale servizio è stato introdotto ed è disciplinato dal D.P.R. 19 settembre 1997, n. 318.
La controversia da cui ha avuto origine la decisione del TAR Lazio attiene all’applicazione dell’art. 3, paragrafo 3, della Direttiva n. 97/67/CE, concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari ed il miglioramento della qualità del servizio. La Direttiva prescrive che, nell’ambito della fornitura del servizio universale, la raccolta degli invii postali e la loro distribuzione al domicilio del destinatario debbono essere garantite “come minimo cinque giorni lavorativi a settimana” e che solo in presenza di “circostanze o condizioni geografiche eccezionali” è ammessa la fornitura per un numero inferiore di giorni. La concessione della relativa deroga è rimessa alle autorità nazionali di regolamentazione che devono informarne la Commissione europea e le autorità degli altri Stati membri con apposita comunicazione.
In particolare, l’Unione europea ha avviato l’armonizzazione e la liberalizzazione dei mercati dei servizi postali con la Direttiva n. 97/67/CE del 15 dicembre 1997 (c.d. “prima direttiva postale”), successivamente emendata a seguito dell’adozione della Direttiva 2002/39/CE del 10 giugno 2002 (c.d. “seconda direttiva postale”) relativamente all’ulteriore apertura alla concorrenza dei servizi postali comunitari e della Direttiva 2008/6/CE (c. d. “terza direttiva postale”) per quanto riguarda il pieno completamento del mercato interno dei servizi postali comunitari (recepite nell’ordinamento italiano con il d.lgs. n. 261/1999, successivamente modificato dal d.lgs. n. 384/2003, dal d.lgs. n. 58/2011 e dalla Legge di stabilità 2015). In tale quadro, l’ordinamento dell’Unione europea ritiene che l’instaurazione del mercato interno nel settore postale sia “di importanza incontestata per la coesione economica e sociale della Comunità, poiché i servizi postali rappresentano uno strumento essenziale di comunicazione e scambi (secondo Considerando Direttiva n. 97/67/CE) e che, pertanto, sia essenziale “garantire a livello comunitario un servizio postale universale che offra un insieme minimo di servizi di qualità specifica che devono essere forniti in ciascuno Stato membro ad un prezzo accessibile a tutti gli utenti, indipendentemente dalla loro localizzazione geografica nella Comunità”. L’obiettivo è quello di “consentire a tutti gli utenti accesso agevole alla rete postale offrendo, in particolare, un numero sufficiente di punti di accesso e garantendo condizioni soddisfacenti per quanto riguarda la frequenza della raccolta e della distribuzione”, nel rispetto dell’esigenza fondamentale di “garantire un funzionamento continuo adattandosi contemporaneamente alle necessità degli utenti e garantendo loro un trattamento equo e non discriminatorio” (undicesimo e dodicesimo Considerando Direttiva 97/67/CE). L’art. 3 della Direttiva dispone, infatti, che “gli Stati membri garantiscono che gli utilizzatori godano del diritto ad un servizio universale corrispondente ad un’offerta di servizi postali di qualità determinata forniti permanentemente in tutti i punti del territorio a prezzi accessibili a tutti gli utenti” e che, a tal fine, gli Stati membri provvedono affinchè la densità dei punti di contatto e di accesso tenga conto delle esigenze degli utenti che si attivano per assicurare che il fornitore del servizio garantisca quest’ultimo tutti i giorni lavorativi e come minimo cinque giorni a settimana.
Il diritto europeo considera il servizio postale universale come un servizio pubblico fondamentale ed impone che la sua erogazione sia assicurata almeno cinque giorni lavorativi a settimana indistintamente su tutto il territorio, prevedendo che la riduzione della frequenza possa, eventualmente, essere specificamente autorizzata dall’Autorità di regolazione nazionale (e non dal legislatore nazionale, così come nella fattispecie in esame) solo in “circostanze o per condizioni geografiche eccezionali”, condizione questa che non sembra essere stata recepita dal diritto nazionale di attuazione della medesima Direttiva.
Nel recepire la normativa europea, il legislatore nazionale, all’art. 3, comma 7, del d.lgs. n. 261 del 1999, ha previsto che l’Autorità possa autorizzare la raccolta ed il recapito con frequenza a giorni alterni in presenza di “particolari situazioni di natura infrastrutturale o geografica”. Eventuali deroghe al principio della fornitura per cinque giorni a settimana possono interessare soltanto ambiti territoriali con densità abitativa inferiore a 200 ab/Kmq e soltanto una parte limitata della popolazione nazionale. Tale previsione, peraltro, è stata sempre richiamata, dal 1999 in poi, nei contratti di programma relativi allo svolgimento del servizio universale postale ed alla sua remunerazione.
Con riguardo alla popolazione nazionale residente nelle zone servite a giorni alterni, il limite massimo, inizialmente fissato nella misura di un ottavo della popolazione nazionale, è stato di recente aumentato (fino ad un quarto) dall’art. 1, comma 276, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (cd. “Legge di stabilità 2015”). Inoltre, sempre in tema di frequenza settimanale di raccolta e recapito della corrispondenza, il Legislatore ha previsto che il nuovo contratto di programma, relativo al quinquennio 2015-2019 possa disporre l’introduzione di “misure di rimodulazione” delle frequenza di erogazione di servizi e che tali misure possano interessare l’intero territorio nazionale (art. 1, comma 277, Legge di stabilità 2015).
L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) ritiene che la ratio delle predette nuove previsioni del legislatore sia quello di assicurare la rispondenza del servizio universale alle “mutate esigenze degli utenti”, nonché la sostenibilità del relativo onere, dovendo essere inserite nell’ambito del più ampio intervento, contenuto nella Legge di stabilità 2015, volto ad un’adeguata valorizzazione di Poste Italiane Spa, coerente con la strategia di ristrutturazione del servizio postale e dell’azienda, interessata da un nuovo piano industriale quinquennale, assicurando, nello stesso tempo, la certezza dei rapporti giuridici tra lo Stato e la Società e la sostenibilità finanziaria dell’onere del servizio postale universale, nel quadro del contenimento complessivo della spesa pubblica ed alla luce della costante e crescente contrazione dei volumi postali e del conseguente aumento dei costi di fornitura del servizio universale, legati anche all’affermarsi di nuove forme di comunicazione più economiche rispetto a quelle tradizionali, come la posta elettronica.
A seguito delle predette modifiche introdotte dalla Legge di stabilità 2015, Poste Italiane Spa ha presentato una richiesta di autorizzazione alla modifica del modello di recapito a giorni alterni. Afferma l’AGCOM di aver avviato un’ampia consultazione pubblica con la delibera n. 163/15/CONS e di aver proceduto ad una istruttoria, anche mediante richieste di informazioni e chiarimenti per verificare la sussistenza dei presupposti fissati per il rilascio dell’autorizzazione (presenza di particolari situazioni di natura infrastrutturale o geografica, densità abitativa inferiore a 200 ab/Kmq e rispetto del limite massimo di un quarto della popolazione nazionale), essendo, secondo la legge italiana, la sussistenza dei presupposti legislativi condizione necessaria e sufficiente al rilascio da parte dell’Autorità dell’autorizzazione richiesta da Poste Italiane e restando, pertanto, preclusa ogni ulteriore valutazione discrezionale o di opportunità in quanto il legislatore nazionale ha analiticamente disciplinato la materia, anche quanto alla conseguente frequenza di erogazione del servizio a giorni alterni (vale a dire 3 o 2 giorni a settimane alterne) in deroga al principio comunitario della fornitura per cinque giorni ogni settimana. L’Autorità riferisce di aver dunque limitato la propria verifica ai presupposti indicati dal Legislatore e di aver riscontrato, in particolare, sia la sussistenza di “particolarità” atte a giustificare la deroga, sia il rispetto dell’ambito territoriale nel quale la densità abitativa deve essere calcolata e di aver quindi, autorizzato l’attuazione del proposto modello di recapito a giorni alterni degli invii postali rientranti nel servizio universale (delibera n. 395/15/CONS), individuando i Comuni progressivamente interessati dalla misura secondo le seguenti fasi: I fase, da avviare non prima di ottobre 2015; II fase, da avviare non prima di aprile 2016; III fase, da avviare non prima di febbraio 2017.
La medesima delibera dispone che la misura interessi tutti i Comuni nazionali aventi un ambito territoriale con densità abitativa inferiore a 200 ab/Kmq o anche solo appartenenti al territorio di Province con densità inferiore a 200 ab/kmq (escludendo dal calcolo il territorio del capoluogo di provincia e la popolazione ivi residente), considerando presenti le particolari situazioni di natura infrastrutturale o geografica per tutti i Comuni, aventi popolazione inferiore a 30 mila abitanti, in cui la distanza media tra i civici (densità orizzontale dei punti di recapito) è superiore a 81,7 metri, oppure in cui il numero medio per civico di abitazioni o locali ad uso ufficio o commerciale (densità verticale dei punti di recapito) è inferiore a 1,4, oppure in cui la percentuale di utenze commerciali sul totale delle utenze è inferiore all’8%.
I 41 Comuni piemontesi e l’Anci Piemonte hanno, quindi, impugnato la predetta delibera dell’AGCOM davanti al TAR Lazio deducendone l’illegittimità sotto diversi profili. Il TAR non ha, però, ritenuto fondate le censure sollevate, osservando in particolare, quanto alla mancata ponderazione delle possibili diseconomie territoriali e conseguenze socio culturali, anche di desertificazione dei piccoli comuni e delle aree montane che alla stregua del tenore letterale e della ratio della normativa italiana, recentemente modificata dalla Legge di stabilità 2015, la sussistenza dei presupposti indicati dal Legislatore rappresenta una condizione necessaria ma sufficiente per imporre il rilascio, da parte dell’Autorità di regolazione, dell’autorizzazione richiesta da Poste Italiane Spa, risultando in tal modo preclusa ogni ulteriore valutazione discrezionale dell’Autorità.
Anche quanto al contestato mancato rispetto del previsto carattere di eccezionalità della deroga, rileva il TAR che l’art. 3, comma 7, d.lgs. n. 261 del 1999 chiede invece la presenza di particolari situazioni di natura infrastrutturale o geografica in ambiti territoriali con una densità inferiore ai 200 ab/Kmq, indicando, quindi, una pluralità di fattori, strutturali o geografici, non necessariamente eccezionali, così come risulta dalla ”interpretazione autentica” fornita dalla Legge di stabilità 2015 che ha ampliato l’ambito massimo di estensione della possibile deroga da un ottavo ad un quarto della popolazione.
Il TAR ritiene, tuttavia, che le pregresse considerazioni, se da un lato valgono ad escludere la difformità dell’impugnata delibera dell’Autorità intimata rispetto alle stringenti previsioni della legge nazionale, dall’altro evidenziano però, la problematica compatibilità delle medesime disposizioni con le discordanti previsioni normative dell’UE, per la parte in cui disciplinano la possibilità di deroga agli obblighi di servizio a fini di riduzione dei dipendenti e quindi della spesa di Poste Spa, prescindendo dalla sussistenza, invece, richiesta dalla Direttiva n. 97/67/CE, di “circostanze o condizioni geografiche eccezionali” che rendano particolarmente difficoltoso o costoso il raggiungimento degli utenti.
In particolare, il TAR ritiene che, ai fini della decisione del ricorso, sia necessario adire in via pregiudiziale la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 267 del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) al fine di verificare se, alla stregua di una corretta interpretazione della Direttiva n. 97/67/CE, sia con essa compatibile l’art. 3, comma 7, d.lgs. n. 261/99 e l’art. 1, comma 276, della Legge 2014, n. 190.
A giudizio del Collegio la questione pregiudiziale in esame si palesa non manifestamente infondata. La vigente legislazione nazionale infatti, impone direttamente all’Autorità competente di settore (privandola peraltro dei necessari margini di autonomia regolatoria previsti dal diritto europeo) di autorizzare entro termini certi le deroghe chieste dal gestore del servizio postale universale, non perché i territori dei Comuni ricorrenti presentino una “eccezionale” conformazione geografica o una dotazione infrastrutturale dei trasporti tali che l’erogazione giornaliera del servizio postale universale abbia un costo eccessivo e sproporzionato rispetto al costo standard del medesimo servizio negli altri territori, bensì per una essenziale ragione finanziaria globale, ovvero al fine di ridurre il preesistente costo complessivo dell’intero servizio postale universale, consentendo in tal modo di ridurre (dimezzare) in modo generalizzato il servizio agli utenti in tutti i Comuni italiani a minore densità abitativa, nel limite di un quarto della popolazione nazionale e, quindi, necessariamente, in un limite di estensione territoriale ben più ampio di un quarto del territorio nazionale (nella fattispecie in esame i Comuni interessati sono 5.296), qualora caratterizzati da una dislocazione più rarefatta o parcellizzata delle utenze private e commerciali secondo parametri (la densità orizzontale e verticale dei punti di recapito ed il numero delle utenze commerciali) elaborati dall’Autorità conformandosi alle prescrizioni ed alla stessa ratio della medesima disciplina di legge in modo da consentire di spalmare fra ogni due comuni limitrofi, a giorni alterni, il servizio finora assicurato in ogni comune per cinque giorni alla settimana, con una conseguente drastica riduzione del personale finora addetto alla predetta attività, avente una minore redditività tra i vari servizi offerti da Poste Italiane Spa.
Il Collegio chiarisce che resta del tutto estranea al giudizio ogni valutazione extragiuridica circa, l’effettivo disagio eventualmente creato agli utenti interessati (che secondo Poste Italiane Spa comunque utilizzeranno sempre di meno il servizio postale), l’opportunità della misura in esame sul piano politico, sociale e culturale per i suoi effetti diretti ed indiretti, la sua bontà sul piano economico, imprenditoriale e finanziario e le analoghe prassi che sarebbero già state avviate in alcuni Stati membri. Viene, invece, in rilievo la diversa questione, squisitamente giuridica, della compatibilità di una tale disciplina di legge nazionale con la corrispondente disciplina di armonizzazione del diritto europeo che tutela il diritto degli utenti del servizio postale universale.
Il diritto europeo considera il servizio postale universale come un servizio pubblico fondamentale ed impone che la sua erogazione sia assicurata per almeno cinque giorni lavorativi a settimana indistintamente su tutto il territorio, prevedendone la riduzione della frequenza solo su espressa autorizzazione dell’Autorità di regolazione nazionale e solo in presenza di circostanze o condizioni geografiche eccezionali.
Osserva altresì il Collegio che la stessa disciplina comunitaria è stata mantenuta anche dalla novella comunitaria del 2008, quando la rete WEB e la posta elettronica erano ormai una realtà e che, pertanto, l’esigenza dedotta dai resistenti di tenere conto del progressivo calo dei volumi del traffico postale “tradizionale” risulta essere già stata considerata dal Legislatore comunitario, imponendo, se del caso, un complessivo ripensamento della disciplina armonizzata del servizio postale universale da parte dell’Unione europea e non da parte dei singoli Stati membri. In tal caso potrà assumere rilievo la previsione legislativa che il nuovo contratto di programma, relativo al quinquennio 2015-2019, possa disporre l’introduzione di “misure di rimodulazione” della frequenza di erogazione dei servizi sull’intero territorio nazionale indipendentemente dalla eventuale sussistenza di condizioni geografiche eccezionali.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, pertanto, dispone la trasmissione degli atti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
In attesa della decisione della CGUE va evidenziato che la chiusura degli uffici postali nei piccoli Comuni sparsi su tutto il territorio nazionale ha provocato una forte reazione sia delle popolazioni dei Comuni interessati che delle Associazioni dei Comuni. Reazioni che hanno dato vita ad azioni giudiziarie davanti ai TAR di molte Regioni ( Abruzzo, Lombardia, Toscana, Piemonte).
I Tribunali regionali, in molte occasioni, hanno accolto i ricorsi presentati determinando un “congelamento” della procedura di chiusura degli uffici postali da parte di Poste Italiane Spa.
Poste ha, infatti, deciso di “congelare” il piano industriale approvato dall’ AGCOM che prevedeva, in cinque anni, la chiusura di 455 uffici considerati “non economici” e la riduzione degli orari di apertura per altri 609. Una retromarcia dovuta proprio alla raffica di sentenze dei TAR che negli ultimi mesi hanno accolto le istanze dei Comuni interessati dalla sforbiciata. Quasi sempre con la stessa argomentazione: Poste Italiane non è un’azienda privata come le altre, offre un servizio pubblico e come tale deve mitigare ragioni economiche e di servizio. In altri casi, invece, i ricorsi sono stati accolti sulla base di una violazione procedurale commessa dall’azienda ovvero la mancata convocazione del tavolo con i Comuni. L’assenza del confronto oltre ad aver leso le garanzie partecipative della controparte ha arrecato un vulnus ai principi di imparzialità e buon andamento dal momento che gli apporti di collaborazione e conoscenza del soggetto inciso dall’atto non possono che determinare l’arricchimento delle ragioni poste a fondamento del provvedimento finale.
E’ sufficiente pensare ai paesini di montagna o difficilmente raggiungibili che senza un ufficio postale rischierebbero di essere ancora più isolati; il servizio postale universale, in quanto tale, deve essere radicato sull’intero territorio nazionale, garantendo l’accessibilità e la fruibilità a tutti.
Una caratteristica questa che dovrebbe essere conservata dal momento che la maggior parte degli utenti del servizio postale sono spesso degli anziani per i quali sarebbe difficile, se non impossibile, spostarsi nei Comuni vicini per usufruire del servizio postale; Poste si è sempre caratterizzata proprio per la capillarità e la vicinanza ai clienti.
La chiusura degli uffici postali è uno degli elementi portanti del piano industriale dell’Amministratore Delegato di Poste Italiane Spa, Francesco Caio, e della quotazione in Borsa del 35% del capitale dell’azienda avvenuta nell’ottobre 2015. Da quel momento Poste Spa resta un’azienda a controllo pubblico (il Ministero dell’Economia è l’azionista di maggioranza) ma deve rendere conto anche ad azionisti privati. I ricavi di Poste sono articolati in tre settori: al tradizionale servizio postale universale si sono aggiunti quello finanziario e quello assicurativo, con una differenza: questi ultimi settori sono remunerativi ed in crescita rappresentando ormai l’80% del fatturato; il vecchio recapito della corrispondenza cartacea cala di anno in anno, con costi rigidi e decisamente inferiori ai ricavi.
Un’azienda privata dismetterebbe il business in perdita ma Poste non può farlo. Essa è un’azienda pubblica e deve garantire il servizio postale universale (in tutta Italia ed almeno per cinque giorni a settimana) in forza di un contratto di servizio con lo Stato, agganciato a Direttive europee e leggi nazionali, per il quale riceve 250 milioni di euro all’anno. L’onere per la fornitura del servizio universale è finanziato dal bilancio dello Stato e da un apposito Fondo di compensazione cui contribuiscono gli operatori postali.
La chiusura di un ufficio postale non può essere disposta solo per ragioni di carattere economico, senza considerare il criterio di distribuzione degli uffici e senza ponderare il pregiudizio alle esigenze degli utenti derivante dalla chiusura; l’ufficio postale ha un valore sociale costituisce un presidio sul territorio.
Il Segretario Generale dell’ANCI, Veronica Nicotra, ha ribadito di aver sempre sostenuto negli incontri con il Governo che gli uffici postali, in gran parte situati nei piccoli Comuni, oltre a rappresentare un “presidio” irrinunciabile della presenza dello Stato sul territorio, costituiscono un valore da preservare e da implementare e non certo da ridurre nella loro funzionalità o addirittura da sopprimere. In particolare, negli ultimi anni, l’ANCI ha rappresentato la necessità di considerare l’aspetto della salvaguardia di un servizio essenziale come quello postale per garantire le condizioni minime di vivibilità anche nelle aree più periferiche del Paese.
L’apertura di tavoli nazionali di confronto, insieme ad un’analoga azione capillare a livello regionale, hanno fatto emergere con forza questi aspetti che hanno contribuito ad una maggiore conoscenza e ad una valutazione più approfondita di costi e benefici sulla chiusura o il rafforzamento della rete postale, a vantaggio di quest’ultima.
Avv. Teresa Aloi, Foro di Catanzaro
Fonti: www.giustizia-amministrativa.it; www.quotidianoentilocali.it; www.regioni.it; www.gdc.ancitel.it; www.lastampa.it; www.agi.it; www.news.google.it; www.firenze.repubblica.it; www.agcom.it; www.poste.it