A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

GENITORIALITA' 2.0

Autore: Solange Bozzi

 

Il dibattito sull’estensione dei diritti derivanti dal matrimonio anche alle coppie di fatto - etero e omosessuali – è divenuto  negli ultimi tempi sempre più acceso anche nel nostro Paese, in conseguenza di una tendenza legislativa europea di stampo liberale  e delle recenti pressioni della Corte europea dei diritti umani, soprattutto per ciò che riguarda il riconoscimento dei matrimoni tra persone dello stesso sesso. Il promulgamento di una legge ad hoc comporta il prospettarsi di nuovi scenari familiari e pone interrogativi di natura etica,che non possono essere affrontati solamente dal punto di vista politico.

Se rapporti para-coniugali sono sempre esistiti, il legislatore per lungo tempo non ha ritenuto necessario regolamentarli, lasciando alla gestione dei privati la risoluzione di dinamiche che, pur essendo affini, esulavano da quelle della famiglia così come descritta dalla Costituzione italiana, spesso per mancanza dei presupposti giuridici necessari . La questione più complessa, che divide il mondo politico e la collettività tutta, è quella concernente i minori: l’adozione del figlio legittimo del partner (etero o omosessuale) e conseguentemente la liceità delle tecniche di fecondazione artificiale di tipo eterologo.

Nell’ultimo secolo scienza e medicina hanno permesso progressi che in passato erano inimmaginabili, e questo ha cambiato anche il rapporto dell’essere umano con la procreazione. Coppie sterili hanno potuto realizzare il sogno di diventare genitori, non solo attraverso tecniche che consentono l’unione dei gameti maschile e femminile al di fuori del corpo della donna, ma anche servendosi di materiale biologico di terzi. Se la fecondazione assistita omologa non solleva particolari perplessità, venendo utilizzati i gameti della coppia, dubbi e incertezze ha posto, anche nel nostro Paese, la fecondazione eterologa, soprattutto nell’ipotesi di ricorso all’utero in affitto. La legge n. 40/2004 ha escluso tale pratica e sono stati posti precisi limiti alla procreazione artificiale, al fine di consentire, oltre al benessere delle donne che si sottopongono ai trattamenti, la tutela dell’embrione prima e del nascituro poi, anche in termini di sviluppo psicologico all’interno del nucleo familiare.La fecondazione artificiale è una tecnica medica che comporta sempre dei rischi, sia per la madre (iperstimolazione ovarica, aumentata incidenza di tumori al seno e alle ovaie, infezioni, rottura dell’utero e/o delle tube), sia per l’embrione (mancato trasferimento /attecchimento in utero, aborto spontaneo o provocato per anomalie genetiche o morfologiche). Anche una volta nato, il bambino ottenuto con questa tecnica potrebbe avere una maggiore incidenza di morbilità o mortalità perinatale (Sgreccia).

È evidente che anche in questo caso, come in passato per il dibattito sulla legalizzazione della procedura di interruzione volontaria della gravidanza, entra in gioco la questione circa la dignità umana dell’embrione.

Si parlava di dignità dell’embrione già nel IV secolo a.C., quando Ippocrate chiedeva ai medici di giurare che si sarebbero astenuti dal praticare l’aborto, ritenuto un vero e proprio atto di violenza.  E con il Cristianesimo l’unicità e la dignità del concepito venivano ribaditi. Sembra che oggi, in un mondo occidentale che ha voluto prepotentemente andare oltre la laicità degli Stati, innalzando il desiderio individuale a principio universale, il valore dei feti si stabilisca a seconda dell’importanza che questi hanno per i soggetti a cui essi appartengono.

Sarebbe invece opportuno sganciare l’importanza del concepito dai sentimenti di chi lo ha generato, prendendolo per quello che è: un essere unico, diverso ontologicamente e strutturalmente da ogni altro, compresa la madre (D’Agostino).

 

CONDIZIONAMENTI CULTURALI

Fino agli anni Cinquanta, il concepire e dare alla luce un figlio era segno di stabilità, maturità, nonché di proclamata eterosessualità. Una coppia si completava con l’arrivo dei figli e solo allora il nucleo familiare poteva solidamente e fieramente posizionarsi nel più ampio tessuto sociale nazionale. In quegli anni l’infertilità diventava sinonimo di disapprovazione, familiare e sociale, ed erano soprattutto le donne a portare il fardello, e spesso il marchio, dell’incapacità di concepire. Con l’avvento della pillola contraccettiva e con le nuove leggi sull’interruzione volontaria di gravidanza, tra gli anni Sessanta e Settanta, in Europa come negli Stati Uniti avvenne un profondo cambiamento culturale e le donne senza figli abbandonarono il senso di colpa, cominciando a considerare il divenire madre una libera scelta individuale, priva di condizionamenti esterni. Essere una donna senza figli significava essere una donna libera, e la disapprovazione sociale cambiò direzione, additando con compassione chi aveva deciso di divenire anche madre. Negli anni Ottanta il clima sociale cambiò di nuovo e si permeò di idee capitaliste; il focus ora era il lavoro, la carriera anche al femminile, ma l’individuo di successo necessitava anche una realizzazione personale in famiglia, e i figli tornarono ad avere in questa un ruolo centrale. Se fino a qualche anno prima la soluzione per le coppie non fertili che volevano un bambino era unicamente l’adozione, ora donne e uomini potevano contare su altri sistemi offerti dalla scienza: la procreazione si era sganciata dalla sessualità ed era diventata creazione artificiale.

 

CRESCITA E SVILUPPO DEL BAMBINO IN FAMIGLIE PLURIGENITORIALI

L’uso delle tecnologie riproduttive porta con sé la configurazione di nuovi scenari familiari, provocando una moltiplicazione o, al contrario, una riduzione delle figure genitoriali. Con la fecondazione eterologa si assiste ad una plurigenitorialità, esistendo il genitore genetico ed il genitore sociale.

Se è vero che esistono limiti etici all’eliminazione e alla manipolazione degli embrioni, è altrettanto vero che non si può negare al nascituro la possibilità di crescere in un ambiente adeguato, con una netta distinzione tra le figure genitoriali, che permetta la giusta percezione di sé e degli altri.

Negli ultimi decenni, soprattutto negli Stati Uniti, sono state condotte indagini circa lo stato di salute e lo sviluppo psicologico dei bambini cresciuti in situazioni di pluri o mono-genitorialità derivanti da fecondazione assistita eterologa. È interessante che gli esiti di tali ricerche cambino drasticamente a seconda dell’ente che le ha commissionate, soprattutto quando si parla di utero in affitto. Le ricerche finanziate da movimenti progressisti tendono a riportare risultati rassicuranti e a minimizzare i casi problematici, mentre quelle di stampo religioso espongono più dubbi e preoccupazioni circa il corretto sviluppo psicofisico dei minori all’interno di nuclei familiari non tradizionali.

Nel 2013, dopo aver condotto uno studio su 149 famiglie, il Centre for Family Research dell’University of Cambridgepubblica una ricerca in cuirileva che i nati da madri surrogate sarebbero più soggetti a sviluppare forme depressive.

In ogni caso, l’esiguo numero di situazioni prese in considerazione non permette ancora una casistica che abbia valore scientifico certo.

Quello che sembra frequente nel caso di plurigenitorialità è il generarsi di un’asimmetria nella coppia genitore1 e genitore2: solo uno dei due membri ha un vincolo genetico con il figlio, mentre l’altro, per realizzare il desiderio di genitorialità proprio o dell’altro, acconsente ad essere surrogato da una persona esterna alla coppia, almeno per quanto riguarda la procreazione. Anche se la situazione può essere inizialmente accettata, spesso nel genitore non biologico emerge una rivalitàverso il donatore esterno e un senso di estraneità verso il bambino. Questo vissuto di estraneità diventa causa di turbamento e non è infrequente la richiesta da parte del­l’uomo, la cui moglie è stata inseminata con seme da donatore, di disconoscimento di quel bambino ottenuto con la feconda­zione eterologa.  Il genitore genetico, viceversa, può sviluppare un senso di onnipotenza, creando disagio nel partner e minando il normale sviluppo bio-psichico del bambino. 

Una famiglia è considerata sana nella misura in cui realizza il potenziale biologico delle relazioni tra marito e moglie e tra genitore e figlio. Deve fornire un clima interpersonale in cui l’identità psicologica dei suoi membri possa armonizzarsi con l’identità psicologica della famiglia come gruppo. Per fare questo, è necessario che i ruoli familiari siano adattati al sesso e ben definiti. L’allevamento dei bambini deve riflettere la comprensione dei bisogni psicologici e fisici del bambino e rendere superflua ogni pericolosa concorrenza tra i bisogni del bambino e quelli dei genitori. Il desiderio di un figlio “ad ogni costo” distrugge quella struttura di famiglia che ha garantito ad ogni individuo di essere e sentirsifiglio, amato e amabile, ancor prima che persona. La pretesa di genitorialità pone inevitabilmente i bisogni degli adulti prima del benessere di chi ancora deve nascere, in una programmazione scientifica e multi-personale che sembra, a volte, discostarsi troppo dal percorso naturale e umano.

La famiglia è il luogo originario della relazionalità, la sede naturale dell’identificazione antropologica del soggetto. Se il diritto tutela il matrimonio in quanto costitutivo della relazionalità familiare, non può al tempo stesso e allo stesso titolo legittimare gli altri modelli familiari. La dualità polare maschile/femminile è il luogo naturale dell’identificazione antropologica, esistenziale e sessuale del nascituro. La mancanza di una delle due figure genitoriali sessuali comporta il rischio che il figlio rimanga impigliato nel narcisismo parentale senza che si instauri quella progressiva separazione che consente al nato di divenire sé, anche diverso da come era stato pensato, desiderato e voluto dagli altri (D’Agostino). Del resto il desiderio di genitorialità delle coppie omosessuali è un desiderio di imitazione della coppia eterosessuale: uno dei due partner altera il suo ruolo esistenziale, assume il ruolo del sesso mancante, pur non avendone la sostanza psicosomatica. L’uso della procedura tecnologica per soddisfare tale desiderio non sottrae la coppia all’ambiguità del rapporto, che può ricadere sul nascituro (Palazzani).

 

COMPRAVENDITA DELLA VITA UMANA

Uno psichiatra statunitense, Philip Parker, ha condotto un'indagine su 275 madri surrogate allo scopo di mettere in evidenza le motivazioni, che le hanno spinte a questa scelta. La motivazione più frequente era quella eco­nomica, seguita in ordine decrescente dal piacere di essere in­cinte, dalla volontà di cancellare il senso di colpa dovuto ad un precedente aborto, dalla generosità del dono della vita fatto ad una coppia sterile.

Le motivazioni economiche sono, dunque, al primo posto: d'altra parte è noto quale giro di affari e di denaro vi sia in ogni contratto di maternità surrogata.

Il crescente numero di agenzie che comprano e vendono gameti e affittano uteri rende la procreazione artificiale umana facile, veloce e con materiale genetico ordinabile secondo gusti ed esigenze, come un qualsiasi prodotto di massa.Il prezzo medio di scambio per un ovocita si aggira tra i 5.000 e i 10.000 dollari. I gameti di alcuni particolari gruppi etnici, come per esempio ebrei e sud indiani, vengono scambiati a prezzi maggiori rispetto alla media; anche in questo caso, come in ogni altro processo economico di scambio, è la scarsità dell’offerta a far crescere il prezzo.

Per le madri surrogate il compenso varia dai 30.000 ai 55.000 dollari. Sono previsti particolari bonus in caso di parti gemellari. Anche in questo caso la retribuzione varia a seconda delle caratteristiche personali della donna, quali età, condizioni fisiche e patrimonio genetico.Le retribuzioni, però, possono essere notevolmente più basse se la madre surrogata viene scelta tra le tante donne in difficoltà economiche che vivono in Paesi sottosviluppati o in via di sviluppo.

Si stima che l’”industria” degli uteri in affitto valga oltre due miliardi di dollari, e questo dato è destinato a salire in futuro.

 

IL BENESSERE DEI BAMBINI

Quali vantaggi o svantaggi trae un bambino dall’esser figlio di più madri o di più padri? Necessariamente verrà privato di una parte delle sue origini, cancellata dall’allontanamento del genitore o di entrambi i genitori biologici. Nel caso dell’utero in affitto, esistendo oltre alla scissione tra sessualità e procreazione, anche quella tra procreazione e gestazione, entra in gioco un altro fattore di cui si discute da tempo la rilevanza sul piano psicodinamico dello sviluppo, e cioèl’attaccamento nascituro-gestante. Se le motivazioni economiche o psicologiche possono permettere alla donna che ha portato avanti la gravidanza un distacco più o meno sereno dal bambino, non si possono determinare con precisione gli effetti di questa separazione sul neonato, che attraverso il latte materno e dal contatto con il corpo della madre trae non solo le sostanze nutritive necessarie alla sua crescita, ma mette in moto processi bio-chimici fondamentali per un sano e pieno sviluppo.

Oggi che la scienza ha cambiato, per la prima volta nella storia dell’Uomo, il modo in cui si arriva alla vita, sembra importante ricordare che un figlio non può essere un bisogno individuale o di coppia, ma dovrebbe rimanere frutto di una relazione, e più precisamente della relazione che il diritto chiama famiglia. Questa non è riducibile a una mera dimensione storico-culturale, ma appartiene alla struttura costitutiva dell’essere dell’Uomo, ed è nella famiglia che il bambino sviluppa la corretta identità relazionale che lo accompagnerà nel corso della vita e grazie alla quale sarà in grado di autodeterminarsi.

 

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

ACKERMAN N., Psicodinamica della vita familiare, Boringhieri, 1999

D’AGOSTINO F., Parole di bioetica, Giappichelli, Torino, 2004

DUNSTAN G. R., The status of the human embryo, Oxford University Press, London, 1988

PALAZZANI L., Il concetto di persona tra bioetica e diritto, Giappichelli, Torino, 1996

PARKER P.J., Motivation of Surrogate Mothers: Initial Findings, 140 Am. J. Psychiatry 117 (1983).

SGRECCIA E., Procreazione assistita e fecondazione artificiale, Editrice La Scuola, Brescia, 1999