A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

IL GIUSTO PROCESSO AVANTI AL GIUDICE ORDINARIO E CONTABILE: QUESTIONI COMUNI*[1] 

Autore: Cinthia Pinotti

 

Il tema del giusto processo può essere affrontato da molteplici angoli di visuali ciascuno dei quali si muove su di un piano diverso.

L'approccio filosofico esprime il valore della giustizia che deve connotare il modello costituzionale della giurisdizione (art.111) affinchè il suo prodotto (la sentenza e/o decisione) sia giusto e avvertito come tale; l'approccio politico/istituzionale  (in una dimensione internazionale e/o sovranazionale) induce a considerare il rispetto del principio come dovuto e doveroso da parte degli Stati in virtù di obblighi internazionali assunti in via pattizia; l'approccio costituzionale considera la portata normativo/prescrittiva del principio, in quanto proprio di uno Stato di diritto, e l'effetto vincolo che l'osservanza del medesimo produce nei confronti del legislatore e del giudice (obbligo di interpretazione conforme); l'approccio processualistico, infine, porta  ad indagare sulla conformità dei modelli processuali rispetto ai paradigmi costituzionali/sovranazionali/internazionali  e sull'esistenza dei rimedi che l'ordinamento appresta per garantire l'osservanza del principio sia da parte del legislatore che del giudice e gli eventuali rimedi restitutori, risarcitori, demolitori e reintegratori per censurare le  eventuali violazioni.

In ognuna di queste dimensioni o angoli di visuale che dir si voglia (i quali spesso si sovrappongono ed interagiscono l'un con gli altri) una comparazione tra giudice ordinario e giudice contabile pone in evidenza l'inadeguatezza dell'attuale  disciplina dei processi rientranti nella giurisdizione contabile e ciò per una serie molteplice di fattori, quali, fra gli altri, l'origine storica delle giurisdizioni speciali ed il loro assetto costituzionale differenziato rispetto alla giurisdizione ordinaria, una disciplina sostanziale e processuale disorganica e lacunosa frutto di interventi normativi ispirati da ragioni contingenti, l'esistenza di una clausola di rinvio contenuta nell'art. 26 RD al c.p.c. che si è storicamente prestata a differenti opzioni interpretative, l'incerta collocazione dogmatica del regime delle responsabilità (amministrativa e contabile) di cui conosce la Corte dei conti in quanto rientranti nelle materie di contabilità pubblica (art. 103 Cost.).

All'inadeguatezza della disciplina che involge la responsabilità del legislatore, che di recente è intervenuto, dopo anni di interventi sporadici e disorganicicon una legge delega (art.20 l. 124/2015) si accompagna anche una forma mentis del giudice contabile incline, con l'avallo dalla dottrina maggioritaria, in nome della natura pubblica degli interessi coinvolti, ad accentuare la separatezza del modello processuale dal paradigna di diritto comune (in particolare processual-civilistico) sino al punto di giungere ad affermare che il giudizio di responsabilità per danno erariale, che costituisce il nucleo centrale della giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica (art. 103 Cost.), ancorchè a carattere eminentemente risarcitorio ha senz'altro un chiaro aspetto sanzionatorio che lo avvicina a quello penale.

La novella costituzionale del 1999 [2] ha certamente contribuito a disvelare quella che era (ed è) la questione del "giusto processo contabile". Detto processo critico ha portato la dottrina ad interrogarsi circa la compatibilità del modello processuale vigente ai canoni di cui al novellato art.111 della Cost. (si è posta tra l'altro l'attenzione sull'assenza  di una puntuale disciplina legislativa del processo, a fronte della riserva si cui all'art.111, 1 comma Cost; sul profilo funzionale dell'imparzialità del giudice; sulla completezza del contraddittorio anche nella fase della formazione della prova; sul rispetto del principio della ragionevole durata; sulle garanzie nella fase pre-processuale; sui poteri sindacatori del giudice come temperamento del principio dispositivo, per citare solo gli snodi più rilevanti e problematici).

La stessa giurisprudenza contabile (nel dialogo con la Corte di cassazione e con la Costituzionale) dal proprio canto ha affrontato più volte la questione del giusto processo, da vari angoli di visuale, anche alla luce dell'evoluzione non sempre coerente della normativa sostanziale che ha portato all'emersione di nuove forte tipizzate di responsabilità a contenuto sanzionatorio ed a nuovi modelli di processo ad istanza di parte.

Quello che, a mio giudizio, è però mancata nel dibattito dottrinale italiano sul giusto processo è stata la consapevolezza della perdita di dimensione nazionale del diritto pubblico in generale e del diritto amministrativo in particolare e degli istituti processuali che lo governano, nonché della recessività della sovranità e dell'emergere inarrestabile  di una nuova dimensione giuridica mondiale o globale alla quale non sono affatto estranei gli istituti giuridici del c.d. diritto pubblico.

Giuristi e giurisprudenza hanno riguardato gli istituti inerenti alle funzioni giurisdizionali della Corte dei conti con uno sguardo da vicino, in una prospettiva domestica o comunque nazionale, non tenendo in adeguato conto il contesto ormai sovranazionale, internazionale se non globale della dimensione in cui il giusto processo (anche contabile) deve essere collocato all'interno del complessivo sistema giustizia, per garantire una corretta allocazione delle risorse (scarse) al fine di assicurare una tutela  giurisdizionale piena ed effettiva a tutte le situazioni giuridiche soggettive ed il diritto (fondamentale) al processo giusto secondo standard di tutela adeguati e soprattutto uniformi.

Ed anche nello sguardo da vicino, mentre il dibattito sulla giustizia amministrativa e la sua giurisdizione  ha fatto registrare notevoli aperture tanto da portare ad una forte assimilazione del processo amministrativo al processo civile tra parti private che si confrontano giudizialmente ad armi pari, il processo (o meglio i processi) contabile che pur fruisce di un dispositivo processuale ad hoc, di rinvio dinamico al c.p.c. (di cui il giudice amministrativo prima della codificazione non disponeva) si è evoluto nel senso di una accentuazione delle caratteristiche di specialità e separatezza della disciplina  processuale rispetto a quella di diritto comune.

E' mancata peraltro, ma questo anche nel riordino del sistema della giustizia amministrativa avvenuta con l'approvazione del codice del processo amministrativo con D.lgs.vo 104/2010, una vera prospettiva europeista  e comunque internazionale, degli istituti processuali tanto da far giustamente osservare (Agrifoglio) come il legislatore nazionale abbia compresso la normativa europea, in cui non trova spazio il principio della separazione dei poteri, nella  camicia di forza della dogmatica della pubblicistica italiana giungendo a risultati antitetici rispetto agli obiettivi perseguiti in sede europea.

Non essendo possibile toccare esaurientemente tutti i molteplici e complessi aspetti che la tematica del giusto processo involge, e che ho brevemente elencato, mi limiterò, in aderenza al titolo della sessione ad affrontare quelle che vengono indicate come le "questioni comuni" al processo civile, per poi effettuare alcune riflessioni sulle possibili linee evolutive dei principi del giusto processo applicati al processo contabile alla luce della recente delega per il riordino  della procedura.

Si tratta di una scelta di campo (quella della questioni comuni) del tutto condivisibile, che anziché accentuare l'ottica di separatezza fra le varie giurisdizioni, ne accentua l'unità funzionale e coglie l'esigenza di un approccio nuovo ai temi del giusto processo, più moderno ed aderente al contesto non solo nazionale ma anche sovranazionale ed internazionale in cui il giudice è chiamato ad operare.

Fra le questioni comuni non può a mio avviso essere elusa la questione principale e cioè quella relativa al modo di intendere il giusto processo tema sul quale vorrei spendere qualche breve parola evidenziando le connessioni ed implicazioni che corrono tra diritto e giustizia, talvolta non indagate con sufficiente attenzione specie in relazione al nuovo ruolo del giudice nazionale chiamato a selezionare la normativa applicabile alla fattispecie in una pluralità di fonti nazionali e sovranazionali.

L'interrogativo è cruciale atteso che l'apertura del concetto  verso la giustizia sostanziale implica un superamento della visione in cui l'eperienza giuridica si risolve nella legge e nella sua pedissequa applicazione, atteso che, questa (la legge) presuppone a propria volta  il diritto che è l'oggetto stesso della giustizia. Ed infatti se può esservi diritto senza legge, non è vero il contrario. Su detto aspetto non vi è una risposta univoca e le opzioni dottrinali sono tuttora aperte a distanza di molti anni dalla novella costituzionale del 1999. In una delle due concezioni la giustizia del processo si fonda sulla regolarità  del metodo e della procedura, sul rispetto del dato normativo (le garanzie processuali formulate nella Costituzione) nell'altra, invece, dette garanzie sono solo strumenti necessari ma non sufficienti per pervenire ad una decisione "giusta" essendo garanzia di giustizia anche un accertamento completo e veritiero dei fatti. Come osserva Zagrebelsky[3] la decisione senza la verità, a favore di un diritto senza verità (Irti) o di un nichilismo normativo a senso unico, avalla regole senz'anima e degrada il diritto a tecnica. Alla contrapposizione così delineata si aggiunge quindi lo snodo altrettanto cruciale, costituito dal modo di intendere il rapporto tra giudice e legge (art. 101 della Costituzione) che porta ad inquadrare il tema del giusto processo nel rapporto tra diritto e giustizia[4] ed ancor più nell'alveo delle relazioni  che corrono tra diritto e filosofia (nella dicotomia Kantiana fondatrice della filosofia del diritto)[5] 

Altra questione comune è quella del vincolo che la dimensione sovranazionale del principio del giusto processo (art. 6 CEDU) pone al legislatore nazionale ed al giudice.

Come noto la nozione di giusto processo non appartiene alla tradizione giuridica italiana ma a quella anglosassone. [6] 

Nella cultura continentale, il concetto si lega all'affermazione dello Stato di diritto la cui essenza va ricercata  nel riconoscimento costituzionale dei diritti fondamentali e nell'affermazione della tutela giurisdizionale dei diritti nei confronti della pubblica amministrazione(C.Schmitt). Quanto difficile sia stata e sia tuttora la transizione del nostro Stato italiano da Stato di polizia a Stato di diritto è cosa nota. La difficoltà che storicamente ha incontrato ed incontra la piena applicazione della "rule of law" nel nostro ordinamento risiede fondamentalmente nella mitizzazione del ruolo della legge come espressione della volontà generale tradotta nell'agire (necessario)dello Stato nella salvaguardia dell'interesse generale.

Come ben osservato nelle analisi di von Gerber e di Jellinek, nello Stato legale (evoluzione dello Stato di polizia) i diritti fondamentali  sono considerati diritti oggettivi e tutelati in via riflessa, nello Stato di diritto essi assurgono al rango di diritti soggettivi pienamente tutelati nei confronti del pubblico potere.

Sotto questo aspetto si può condividere la considerazione di quanti sostengono che nella versione originale della nostra Costituzione manca una chiara affermazione  dello Stato di diritto e dei principi del giusto processo tanto che Guicciardi nel 1954 nella sua opera Giustizia amministrativa non esita ad affermare che "è il cittadino che serve al giudizio amministrativo che senza la sua iniziativa non potrebbe instaurarsi.....".

Solo per effetto del processo di integrazione europeo si attiva, in definitiva, una tendenza che punta a conformare gli Stati membri dell'Unione su determinati principi di struttura, tra i quali il principio dello Stato di diritto e quello di libertà.[7] 

Quale che sia il modo di intendere ed interpretare l'art. 6 CEDU [8] è certo che la norma pattizia ha esercitato una influenza notevole sul modo di intendere il procès équitable in particolare attraverso la giurisprudenza  formatasi in materia di leggi retroattive, a partire dalla sentenza Agrati del 7 giugno 2011 , seguita da numerose altre nelle quali la Corte EDU ha riscontrato la violazione del giusto processo nella adozione di una legge retroattiva destinata ad incidere sui processi pendenti. Nel caso Agrati, che ha ribaltato la posizione della Corte costituzionale italiana (sentenza 234/2007) ed in parte quella della Corte di giustizia (sentenza Scattolon del 2011) la Corte ha affermato che "la legge può disciplinare in materia civile attraverso nuove disposizioni di portata retroattiva, diritti derivanti da leggi in vigore, ma il principio della preminenza del diritto e la nozione di giusto processo impediscono l'ingerenza del potere legislativo nell'amministrazione della giustizia, con lo scopo di influire sulla risoluzione giudiziale della controversia, salvo che per motivi imperativi di interesse generale". Sulla correttezza del ragionamento della Corte EDU si potrebbe discutere a lungo atteso che il limite al legislatore di intervenire retroattivamente viene individuato nell'esigenza di rispettare il potere del giudice di decidere le controversie e fondato nel giusto processo (Art. 6 CEDU)  con ciò innovandosi non poco rispetto alle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri del Consiglio d'Europa (sul punto trovo assai centrata la lucida critica alla giurisprudenza della Corte di EDU di Remo Caponi). Tuttavia la Corte di Strasburgo anche nelle ipotesi in cui lo scopo del legislatore nazionale non era esattamente quello di "scendere in campo" e  risolvere la controversia a favore di una delle due parti, afferma, con giurisprudenza ormai consolidata, che la norma retroattiva viola il principio del giusto processo, e molte delle sentenze della Corte di Strasburgo hanno riguardato proprio  l'Italia e portato all'inflizione di condanne a titolo di equa riparazione (art. 41 CEDU). Di qui la necessità di un ripensamento del ruolo del giudice nazionale che non può disapplicare la norma nazionale per contrasto con le norme della  CEDU, ma, ove non sia sufficiente fare applicazione del canone della interpretazione conforme deve sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma interna  per violazione dell'art. 117 della Cost. Sul punto specifico segnalerò peraltro due prese di posizione della Corte dei conti che si è mossa in particolare , in un caso con un deferimento alla Corte costituzionale[9] utilizzando proprio la giurisprudenza della Corte EDU nella causa Agrati, nell'altro utilizzando lo strumento del rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia [10].

Malgrado i tentativi della Corte dei conti non siano stati coronati da successo, essi vanno apprezzati in quanto costituiscono indici di una consapevolezza (ad oggi ancora del tutto insufficiente) nell'ambito della magistratura contabile) delle notevoli potenzialità del dialogo fra giudice nazionale e  Corti sovranazionali.

I precedenti della Corte dei conti assumono infatti nuova pregnanza alla luce della sentenza della Corte EDU del 2014 (la sentenza Dhabi) con la quale la Corte ha constatato la violazione dell’art. 6 CEDU, relativo al diritto ad un processo equo, nel non avere la Corte di cassazione italiana motivato il suo rifiuto a sollevare la questione pregiudiziale come richiesto dal ricorrente.

Nella misura in cui la corretta motivazione circa l'utilizzo dello strumento del rinvio pregiudiziale diviene parametro alla cui stregua valutare la correttezza del processo ai sensi dell'art. 6 CEDU si aprono scenari del tutto nuovi dei quali sia il legislatore che il giudice nazionale, compreso quello contabile,  deve avere avvertita consapevolezza.

Dal punto di vista della ricaduta delle sentenze  CEDU sulla disciplina nazionale del processo contabile (e questo sia de iure condito che de iure condendo) si profilano i seguenti snodi problematici che a mio giudizio riguardano:

a) l'utilizzo del rinvio pregiudiziale come canone di attuazione del principio del giusto processo;

b) il controllo  di compatibilità europea affidato al giudice nazionale circa la giustizia della norma in relazione alla norma pattizia sul giusto processo;

c) obblighi di conformazione alle sentenze della CEDU e sorte delle sentenze adottate in violazione dei principi regolatori del giusto processo ove la violazione sia stata accertata con sentenza. Verso il possibile superamento del dogma dell'intangibilità del giudicato nazionale ?

d) Incidenza  degli elementi costitutivi del giusto processo nella configurazione dei limiti esterni di giurisdizione di cui conosce la Corte suprema di cassazione  (art. 111 Cost.). La distinzione tra limiti interni ed esterni, in assenza di un'attuazione legislativa dell'art.111 dovrebbe  garantire il sindacato sulla congruità ed il rispetto delle regole processuali da parte dei giudici speciali.[11] 

Ognuno di questi aspetti involge scenari nuovi sui quali mi riservo un'analisi approfondita che in questa sede, per brevità, non posso affrontare.

Sempre con riferimento all'incidenza che la dimensione sovranazionale esercita nei confronti degli istituti processuali degli Stati membri, parlerò brevemente dell'importanza della sentenza della Corte EDU nel caso Rigolio/Italian. 20148/2014 in cui la Corte EDU con specifico riferimento ai procedimenti incardinati dinanzi le Sezioni giurisdizionali della Corte dei conti italiana,  in applicazione dei c.d. criteri Engel ha ritenuto non poter assimilare il procedimento innanzi alla Corte dei conti ad un procedimento penale ai fini della presunzione d'innocenza.

La sentenza, nell'escludere la natura penale/sanzionataria  del procedimento innanzi alla Corte dei conti, apre orizzonti nuovi di riflessione anche circa la possibile coesistenza di procedimento penale e procedimento amministrativo-sanzionatorio alla stregua del divieto del bis in idem previsto dall'art. 4 protocollo allegato CEDU come affermato nella sentenza del 4/3/2014 Grande Stevens che si occupa, tra l'altro, dell'equiparazione ai fini del ne bis in idem, del giudicato amministrativo al giudicato penale in fattispecie in cui  dopo che  la Consob aveva comminato ad una società sanzioni amministrative era stato avviato per i medesimi fatti un processo penale.[12] 

Per quel che attiene alla dimensione nazionale del principio del giusto processo, vista la vastità dei punti che occorrerebbe trattare, il mio intervento si limita ad alcune brevi considerazioni sugli scenari che oggi si aprono anche a seguito della recente approvazione della legge delega sul riordino processo contabile .

Gli aspetti che tradizionalmente sono stati messi in evidenza nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale  sulla compatibilità del modello processuale (mi riferisco per esigenze di sintesi ai soli giudizi di responsabilità amministrativa) con i principi di cui all'art.111 della Costituzione  attengono in particolare:

a) alla fase pre-processuale dell'istruttoria del PM contabile con riferimento all'applicazione delle garanzie del diritto di difesa ed al ruolo del PM con riferimento all'esclusività o meno del potere di azione nel processo di responsabilità amministrativa;

b) allo status di  neutralità ed imparzialità del giudice;

b) alla parità delle parti con riferimento ai poteri di azione e di difesa, e di garanzia del contraddittorio anche nella fase di acquisizione e formazione della prova con limitazione degli spazi di discrezionalità del giudice.

c)ai poteri del giudice ed in particolare al potere sindacatorio e al potere di riduzione dell'addebito;

d)ai rapporti del giudizio contabile con gli altri giudizi.

Su ognuno di questi aspetti, l'analisi richiederebbe adeguata ed amplissima  trattazione come testimoniano i pregevoli contributi sui singoli aspetti da parte della dottrina .

Sugli stessi punti peraltro la giurisprudenza si è costantemente evoluta in uno sforzo di interpretazione conforme al dettato costituzionale tendendo a risultati sempre più aderenti ai principi strutturali del giusto processo, seppur con talune incertezze e perduranti ambiguità.

Così, per quel che attiene al diritto di difesa nella fase dell'istruttoria del PM, è apprezzabile lo sforzo ricostruttivo della recente pronuncia delle Sezioni Riunite n.28/2015 QM relativa al potere della parte di accedere agli atti istruttori ed ai documenti citati nell'invito a dedurre, anche se appaiono in retrotendenza le pronunce che configurano il PM contabile come il vero monopolistico ed incontrastato dominus dell'azione di responsabilità  e dell'individuazione dei presunti responsabili (la facoltà da parte del giudice di ampliare la perimetrazione soggettiva della res in iudicio deducta viene esercitata nei limitati casi in cui viene ammessa l'integrazione del contraddittorio) specie ove si consideri che è stata, invece, ritenuta ammissibile da parte della giurisprudenza in attuazione dei principi de giusto processo l'actio negatoria con la quale  chi dimostri di avervi interesse può far accertare giudizialmente la propria assenza di responsabilità in ordine ad una fattispecie .[13] Quanto alla legge delega sembra possa dirsi a prima lettura come essa appaia più come positivizzazione a posteriore di indirizzi giurisprudenziali  (sguardo al passato e da vicino) che come sforzo da parte del legislatore di guardare oltre nella prospettiva più ampia e globale che richiederebbe uno Stato moderno.[14] 

La legge delega si pone infatti solo in parte in una linea di ideale parallelismo con la legge delega che ha portato all'approvazione del codice del processo amministrativo  assai più ambiziosa nei contenuti e soprattutto preceduta da un ampio ed approfondito dibattito dottrinale.

Non solo difetta una chiara opzione europeista, ma soprattutto è carente l'ambizione ad una disciplina del processo contabile che possa porsi come ideale contenitore di diversi tipi di giudizio (e di azioni)  pur nel rispetto dell'attuale vincolo costituzionale (art.103) che vuole attribuite alla giurisdizione della Corte dei conti le c.d. materie di contabilità pubblica senza alcuna distinzione relativa alla natura delle situazioni giuridiche soggettive coinvolte.

Conclusivamente ritengo che nessuna riforma che voglia dirsi rispettosa dei principi regolatori del giusto processo può, a mio giudizio, prescindere da una corretta  e chiara allocazione/redistribuzione degli ambiti delle varie  giurisdizioni nazionali in ossequio al principio della certezza del diritto e del diritto fondamentale al giusto processo (che comprende sia il diritto di azione che il diritto di difesa).

L'attuale situazione di incertezza nel discrimine fra le varie giurisdizioni (ordinaria, amministrativa e contabile) in relazione a talune fattispecie ancora controverse come quella della responsbalità degli amministratori di società pubbliche, concretizza una violazione del principio del giusto processo (cfr. Corte EDU, sentenza Mottola del 4/272014 in cui si stigmatizza il difficoltoso riparto fra le giurisdizione ordinaria ed amministrativa ai fini della garanzia del diritto di accesso all'autorità giudiziaria competente).

Concludo, ritenendo che, pur nel mantenimento della pluralità delle giurisdizioni, il sistema giudiziale nazionale debba evolversi nel senso di una armonizzazione dei sistemi processuali, che tenga conto degli standard di effettività di tutela assai elevati che la prospettiva europea impone nonchè di garantire certezza del diritto.[15] 

 

[1] Sintesi dell'intervento orale svolto in data 6 ottobre 2015 presso la Corte dei conti, al Corso sulla Giurisdizione contabile organizzato in collaborazione con la Scuola Superiore della Magistratura. Relazione completa in corso di definitiva stesura.

[2] L'art. 111 nel testo vigente dopo la Legge costituzionale  23 novembre 1999 n. 2 recita: "La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge.Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata.Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell'accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l'interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell'accusa e l'acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo. Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore. La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita. Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per violazione di legge Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra. Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione". 

[3] G. Zagrebelsky, Contro l'etica della verità, Roma-Bari, 2011.

[4] Come lucidamente si esprime A. Falzea, in Presentazione del Convegno Il giusto processo, Accademia nazionale dei Lincei, 28-29 marzo 2002, in Atti del Convegno, Bologna, 2003.  "perchè via sia un giusto processo è presupposto indefettibile che sia giusta la norma in applicazione".Un processo nel quale si applichi una legge ingiusta risulta inquinato dalla ingiustizia, e ove non ricorra un rimedio interno riparatore,non può che condurre ad una sentenza ingiusta". 

[5] Il giurista potrà conoscere ciò che in un dato tempo e luogo le leggi prescrivono, ma ciò che queste leggi prescrivono sia anche giusto non può conoscerlo a meno che non cerchi l’origine dei propri giudizi nella ragione” (Immanuel Kant).

[6] La prima Costituzione che adopera l'espressione giusto processo è quella americana. Nel V emendamento si afferma che" nessuno potrà essere sottoposto due volte, per un medesimo reato a un procedimento che comprometta la sua vita o la sua integrità fisica; né potrà essere obbligato, in qualsiasi causa penale, a deporre contro se il medesimo, né potrà essere privato della vita, della libertà o dei beni senza un giusto processo; e nessuna proprietà privata potrà essere destinata a uso pubblico senza alcun indennizzo".

[7] L'art.6.1 TUE recita:"L'Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri".

[8] L'art. 6 CEDU  firmata a Roma il 4 novembre 1950 e ratificata in Italia con L.4 agosto 1955 n. 848 stabilisce:" Diritto ad un processo equo. 1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale deciderà sia delle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale che le venga rivolta. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità puó pregiudicare gli interessi della giustizia. 2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata. 3. In particolare, ogni accusato ha diritto a: a. essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in un modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; b. disporre del tempo e delle facilitazioni necessarie a preparare la sua difesa; c. difendersi personalmente o avere l’assistenza di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia; d. esaminare o far esaminare i testimoni a carico ed ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico; e. farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata all’udienza.

[9] La Corte dei conti, sezione giurisdizionale d’appello per la Regione siciliana, ha sollevato – in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848  e all’art. 1 del Protocollo addizionale, come interpretati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, in particolare con la sentenza 7 giugno 2011, emessa in causa Agrati ed altri contro Italia – questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 774 e 776, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2007).

[10] Con ordinanza del 28 aprile 2014 la Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Puglia ha chiesto alla Corte di giustizia ai sensi dell'art. 267 TFUE. Se il principio di legittimo affidamento deve essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come la [legge n. 296/2006], che stabilisce che non possono essere corrisposti dall’Istituto di Previdenza trattamenti pensionistici di reversibilità più favorevoli ai titolari di trattamenti pensionistici di reversibilità liquidati dopo il 17 agosto 1995 e che sì riferiscono a trattamenti pensionistici corrisposti ai loro congiunti entro il 31 dicembre 1994, senza specificare se sussistano motivi di interesse generale.

[11] Ognuno di questi aspetti involge scenari nuovi sui quali mi riservo un'analisi che in queta sede, per brevità, non posso affrontare.

[12] Per la Corte la piena sovrapponibilità del bene giuridico protetto dalle due sanzioni amministrativa e penale (trasparenza del mercato) e  l'identità dell'obiettivo perseguito (repressione degli abusi del mercato) concretizzano la violazione del divieto di bis in idem previsto dall'art. 4 protocollo allegato CEDU. 

[13] Corte dei conti, Sezione giurisdizionale Lazio, sent./ord. n. 589/2014, Sezione I , N.36/1994, Sezione giurisdizionale Emilia Romagna n. 1139/2006.

[14] L' art. 20 Legge 124/2015 così' dispone" Riordino della procedura dei giudizi innanzi la Corte dei conti. 1. Il Governo e' delegato ad adottare, entro un anno dalla data  di entrata in  vigore della  presente legge, un decreto legislativo recante il riordino e la ridefinizione della disciplina  processuale concernente tutte le tipologie di giudizi che si svolgono innanzi  la Corte dei conti, compresi i giudizi pensionistici, i giudizi di conto e i giudizi a istanza di parte. 2. Il decreto legislativo di cui al comma 1, oltre che ai  principi e criteri direttivi di cui all'articolo 20, comma 3, della  legge  15 marzo 1997, n. 59, e successive modificazioni, in quanto compatibili, si attiene ai seguenti principi e criteri direttivi: a) adeguare le norme vigenti, anche tramite disposizioni innovative, alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, coordinandole con le  norme  del  codice  di procedura civile espressione di principi generali  e  assicurando  la concentrazione  delle  tutele   spettanti   alla   cognizione   della giurisdizione contabile; b) disciplinare lo svolgimento dei giudizi  tenendo  conto  della peculiarita' degli interessi pubblici oggetto di tutela e dei diritti soggettivi coinvolti, in base  ai  principi  della  concentrazione  e dell'effettivita' della tutela e nel  rispetto  del  principio  della ragionevole durata del processo anche mediante il ricorso a procedure informatiche e telematiche; c) disciplinare le azioni  del  pubblico  ministero,  nonche'  le funzioni e  le  attivita'  del  giudice  e  delle  parti,  attraverso disposizioni di  semplificazione  e  razionalizzazione dei principi vigenti in materia di  giurisdizione  del giudice contabile  e  di riparto delle competenze rispetto alle altre giurisdizioni; d)  prevedere  l'interruzione del termine quinquennale di prescrizione delle azioni esperibili dal pubblico ministero  per  una sola volta e per un periodo massimo di due anni tramite formale  atto di costituzione in mora e la sospensione del termine per  il  periodo di durata del processo; e) procedere all'elevazione del  limite  di  somma  per  il  rito monitorio di cui all'articolo 55 del testo  unico  di  cui  al  regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, concernente fatti dannosi  di  lieve entita' patrimonialmente lesiva, prevedendo che esso sia periodicamente aggiornabile in base alle variazioni dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati; f) prevedere l'introduzione, in alternativa  al  rito  ordinario, con funzione deflativa e anche per garantire l'incameramento certo  e immediato di somme risarcitorie all'Erario, di un rito abbreviato per la responsabilita' amministrativa  che,  esclusi  i  casi  di  doloso arricchimento del danneggiante,  su  previo  e  concorde  parere  del pubblico ministero consenta la  definizione  del  giudizio  di  primo grado per somma non superiore al 50 per  cento  del  danno  economico imputato, con immediata esecutivita' della sentenza, non appellabile; prevedere che, in caso di richiesta del rito abbreviato formulata  in appello, il giudice emetta sentenza per somma non inferiore al 70 per cento del quantum della pretesa risarcitoria azionata  in  citazione, restando in ogni caso precluso l'esercizio del potere di riduzione; g)  riordinare  la  fase  dell'istruttoria  e  dell'emissione  di eventuale invito a dedurre in conformita' ai seguenti principi: 1) specificita' e concretezza della notizia di danno; 2) dopo l'avvenuta emissione dell'invito a dedurre,  nel  quale devono essere esplicitati gli elementi essenziali  del  fatto,  pieno accesso agli atti e ai documenti messi a base della contestazione; 3)  obbligatorio  svolgimento,  a  pena   di   inammissibilita' dell'azione, dell'audizione  personale  eventualmente  richiesta  dal presunto responsabile, con facolta' di assistenza difensiva 4) specificazione  delle  modalita'  di  esercizio  dei  poteri istruttori del pubblico ministero, anche attraverso  l'impiego  delle forze di polizia, anche locali; 5) formalizzazione del provvedimento di archiviazione;  6) preclusione in sede di giudizio  di  chiamata  in  causa  su ordine del giudice e in assenza di nuovi elementi e motivate  ragioni di soggetto gia' destinatario di formalizzata archiviazione;   h) unificare le disposizioni  di  legge  vigenti  in  materia  di obbligo di denuncia del danno erariale e  di  tutela  del  dipendente pubblico denunciante, anche al fine di favorire l'adozione di  misure cautelari; i) disciplinare le  procedure  per  l'affidamento  di  consulenze tecniche prevedendo l'istituzione di specifici  albi  regionali,  con indicazione delle modalita'  di  liquidazione  dei  compensi,  ovvero l'utilizzo di albi gia'  in  uso  presso  le  altre  giurisdizioni  o l'avvalimento di strutture e organismi tecnici di amministrazioni pubbliche; l) riordinare le disposizioni processuali vigenti integrandole e coordinandole con le norme e  i  principi  del  codice  di  procedura civile relativamente ai seguenti aspetti: 1) i termini processuali, il regime delle notificazioni,  delle domande ed eccezioni, delle preclusioni e decadenze,  dell'ammissione ed esperimento di  prove,  dell'integrazione  del  contraddittorio  e dell'intervento di terzi,  delle  riassunzioni  anche  a  seguito  di translatio, in conformita' ai principi della speditezza  procedurale, della concentrazione, della ragionevole durata  del  processo,  della salvaguardia del contraddittorio tra le parti,  dell'imparzialita'  e terzieta' del giudice; 2) gli istituti processuali in tema di tutela  cautelare  anche ante causam e di tutela delle ragioni del credito erariale tramite le azioni previste dal codice di procedura civile, nonche'  i  mezzi  di conservazione della garanzia patrimoniale di cui al libro VI,  titolo III, capo V, del codice civile; m)  ridefinire  le  disposizioni  applicabili  alle  impugnazioni mediante rinvio, ove possibile, a quelle del processo di primo grado, nonche' riordinare e ridefinire le  norme  concernenti  le  decisioni impugnabili, l'effetto devolutivo  dell'appello, la sospensione dell'esecuzione della decisione di  primo  grado  ove  impugnata,  il regime delle eccezioni  e  delle  prove  esperibili  in  appello,  la disciplina dei termini per la revocazione  in  conformita'  a  quella prevista dal codice di procedura civile in ossequio ai  principi  del giusto processo e della durata ragionevole dello stesso; n) ridefinire e riordinare le norme concernenti il deferimento di questioni di massima e di  particolare  importanza,  i  conflitti  di competenza  territoriale  e  il  regolamento  di  competenza  avverso ordinanze che dispongano  la  sospensione  necessaria  del  processo, proponibili alle sezioni  riunite  della  Corte  dei  conti  in  sede giurisdizionale, in conformita' alle disposizioni  dell'articolo  374 del codice di procedura civile, in quanto compatibili, e in  ossequio ai principi della nomofilachia e della certezza del diritto; o) ridefinire e riordinare le disposizioni  concernenti l'esecuzione delle decisioni definitive di condanna  al  risarcimento del danno, attribuendo al pubblico ministero contabile la titolarita' di agire e di resistere innanzi  al  giudice  civile  dell'esecuzione mobiliare o immobiliare, nonche' prevedere l'inclusione  del  credito erariale tra i crediti assistiti da privilegio ai sensi del libro VI, titolo III, capo II, del codice civile; p) disciplinare esplicitamente le connessioni tra  risultanze  ed esiti accertativi raggiunti in sede di controllo e documentazione  ed elementi probatori producibili in giudizio, assicurando  altresi'  il rispetto del principio secondo cui i  pareri  resi  dalla  Corte  dei conti in via consultiva, in sede di controllo e in favore degli  enti locali nel rispetto dei presupposti  generali  per  il  rilascio  dei medesimi, siano idoneamente considerati, nell'ambito di un  eventuale procedimento  per  responsabilita'  amministrativa,  anche  in   sede istruttoria, ai fini  della  valutazione  dell'effettiva  sussistenza dell'elemento  soggettivo  della  responsabilita'  e  del  nesso   di causalita'. 3. Il decreto legislativo di cui al comma 1 provvede altresi' a:  a) confermare e ridefinire, quale norma di  chiusura,  il  rinvio alla disciplina del processo civile, con  l'individuazione  esplicita delle norme e degli istituti del rito processuale civile  compatibili e applicabili al rito contabile; b) abrogare esplicitamente le disposizioni normative oggetto  del riordino e quelle con esso incompatibili, fatta salva  l'applicazione dell'articolo 15 delle disposizioni sulla legge in generale  premesse al codice civile; c)  dettare  le  opportune  disposizioni  di   coordinamento  in relazione alle norme non abrogate; d) fissare una disciplina transitoria applicabile ai giudizi gia' in corso alla data  di  entrata  in  vigore  della  nuova  disciplina processuale.  4. Per la stesura dello schema di decreto  legislativo  di  cui  al comma 1 e' istituita presso il Dipartimento per gli affari  giuridici e  legislativi  della  Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  una commissione, presieduta dal capo del medesimo Dipartimento e composta da magistrati della Corte dei conti, esperti esterni e rappresentanti del libero foro e  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  i  quali prestano la propria attivita' a titolo gratuito e  senza  diritto  al rimborso delle spese. 5. Il decreto legislativo di cui al comma 1 e' adottato su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri. Sullo  schema  di  decreto sono acquisiti il parere delle sezioni riunite della Corte dei  conti ai sensi dell'articolo 1 del regio decreto-legge 9 febbraio 1939,  n. 273,  convertito  dalla   legge   2   giugno   1939,   n.   739,   e, successivamente, il parere delle competenti Commissioni parlamentari. I pareri sono resi entro trenta giorni  dalla  data  di  trasmissione dello schema. Decorso il termine, il  decreto  puo'  essere  comunque adottato,  anche  senza  i  predetti  pareri,  su  deliberazione  del Consiglio dei ministri.  6. Entro due anni dalla data  di  entrata  in  vigore  del  decreto legislativo di cui al comma 1, il Governo puo' adottare  uno  o  piu' decreti legislativi recanti le disposizioni integrative e  correttive che  l'applicazione  pratica  renda  necessarie  od  opportune, nel rispetto dei principi e criteri direttivi e della procedura di cui al presente articolo. 7. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare  nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

[15] E' inaccettabile, come osserva Travi che una stessa disposizione di legge possa valere in modi diversi sol perchè la controversia pende davanti a giurisdizioni diverse; di qui l'esigenza di garantire un' uniformità nell'interpretazione della legge a prescindere dal plesso giurisdizionale in cui la stessa deve essere applicata.