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AVV. ANTONELLA ROBERTI

Corte di Giustizia Europea: Obbligo di superare un esame di integrazione civica per i cittadini di Paese terzi che sono soggiornanti di lungo periodo.

Autore: Avv. Teresa Aloi

 

I paesi dell’Unione europea possono sottoporre agli immigrati di lunga data un test al fine di verificare la loro conoscenza della lingua e della società locale e multarli se non si dimostrano ben inseriti. Questo è quanto ha stabilito la Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 4 giugno 2015, C-579/13.

La direttiva dell’Unione europea 2003/109 CE del Consiglio del 25 novembre 2003 prevede che gli Stati conferiscano lo status di soggiornante di lungo periodo ai cittadini di Paesi terzi che abbiano soggiornato nel loro territorio legalmente ed ininterrottamente per cinque anni immediatamente prima della presentazione della loro domanda. Il Consiglio europeo ha affermato che occorre ravvicinare lo status giuridico dei cittadini di Paesi terzi a quello dei cittadini degli Stati membri e che, alle persone che soggiornano regolarmente in un determinato Stato membro e siano in possesso di un permesso di soggiorno di lunga durata, lo Stato dovrebbe garantire una serie di diritti uniformi e quanto più simili a quelli di cui beneficiano i cittadini dell’Unione europea.

L’integrazione dei cittadini di Pesi terzi soggiornanti di lunga data costituisce, ai sensi dell’art. 4 della direttiva 2003/109, un elemento cardine per la promozione della coesione economica e sociale, obiettivo fondamentale dell’Unione europea.

La condizione principale per ottenere lo status di soggiornante di lungo periodo è la durata del soggiorno nel territorio di uno Stato membro; deve trattarsi di un soggiorno regolare ed ininterrotto, a testimonianza del radicamento del richiedente nel Paese in questione.

Con la sentenza del 4 giugno 2015 la Corte di Lussemburgo interviene sul caso di due cittadine di Pesi terzi P. e S., titolari, rispettivamente dal 14 novembre 2008 e dall’8 giugno 2007, di regolari permessi di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo nei Paesi Bassi, rilasciati proprio in base alla direttiva 2003/109/CE. Le due cittadine avevano impugnato l’atto con il quale il Governo (precisamente la Commissione di previdenza sociale di Breda e la Giunta comunale dei borgomastri e degli assessori del Comune di Amstelveen) le aveva obbligate a superare un esame di integrazione civica e di lingua olandese. Ai sensi del diritto olandese, infatti, P. e S. sono soggette all’obbligo del superamento di un esame di integrazione civica entro un dato termine al fine di dimostrare l’acquisizione di capacità di espressione orale e scritta in lingua olandese oltre ad una sufficiente conoscenza della stessa società olandese. La legislazione olandese prevede che se l’esame non viene superato entro il termine previsto ne viene fissato uno nuovo ed ogni volta è previsto che venga aumentata l’ammenda prevista per il mancato superamento.

La Corte suprema amministrativa Paesi Bassi (il Central Road van Beroep), investita del ricorso in appello, solleva dubbi quanto alla conformità dell’obbligo di integrazione civica con la direttiva 2003/109/CE. In particolare, la suprema Corte amministrativa si rivolge alla Corte di Giustizia europea chiedendo se, dopo la concessione dello status di soggiornante di lungo periodo, sia lecito che gli Stati membri pongano ulteriori condizioni di integrazione costituite dal superamento di un esame sanzionato da un sistema di ammende.

Il giudice del rinvio ritiene che l’obbligo di integrazione possa in effetti rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 11 della direttiva 2003/109/CE dato, però, che tale obbligo non è imposto ai cittadini nazionali neppure i cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo dovrebbero esserne soggetti, pena violare il principio di parità di trattamento. Inoltre, sebbene possano effettivamente essere introdotte condizioni di integrazione nel diritto nazionale, dette condizioni non possono però essere tali da rendere impossibile o eccessivamente difficile l’acquisizione o il mantenimento dello status di soggiornante di lungo periodo. Il giudice del rinvio, pertanto, non esclude che l’obbligo di integrazione civica possa violare tale criterio.

La Corte suprema olandese, inoltre, si chiede se il fatto di essere informati, dopo l’ottenimento dello status di soggiornante di lungo periodo, che deve essere ancora soddisfatto un ulteriore obbligo di integrazione, possa avere un rilievo ai fini della valutazione della conformità di tale obbligo con la direttiva 2003/109/CE.

E’ in tale contesto che il Central Road van Beroep decide di sospendere il procedimento e di investire della questione la Corte di Giustizia dell’Unione europea.

La Corte di Giustizia rileva, innanzitutto, che per i cittadini di Paesi terzi che soggiornano regolarmente nei Paesi Bassi e che hanno richiesto lo status di soggiornanti di lungo periodo, l’obbligo di integrazione civica  non è una condizione per ottenere né per conservare lo status di soggiornante di lungo periodo, ma determina unicamente l’irrogazione di un’ammenda a carico di colui che , alla scadenza del termine stabilito, non abbia superato il relativo esame. Inoltre, sottolinea l’importanza che il legislatore dell’Unione europea attribuisce alle misure di integrazione intese come strumento di coesione economica e sociale.

Alla  luce di tali considerazioni la Corte di Giustizia nella sentenza del 4 giugno 2015 ritiene che dalla formulazione e dal contesto nel quale è inserito l’art.5 della direttiva 2003/109/CE (gli Stati membri possono esigere che i cittadini di Paesi terzi soddisfino le condizioni di integrazione previste dalla legislazione nazionale) emerge chiaramente che tale norma accorda agli Stati membri la facoltà di subordinare l’ottenimento dello status di soggiornante di lungo periodo al previo soddisfacimento di alcune condizioni di integrazione che quindi possono essere richieste prima della concessione dello status di soggiornante di lungo periodo. Pertanto, poiché l’art. 5, paragrafo 2, della direttiva 2003/109/CE non impone né vieta agli Stati membri di esigere dai cittadini di Paesi terzi l’adempimento di obblighi di integrazione dopo l’ottenimento dello status di soggiornante di lungo periodo, questa norma non è certo di ostacolo ad una misura di integrazione come quella di cui al procedimento principale.

L’art. 11, paragrafo 1, della direttiva in precedenza indicata garantisce ai cittadini dei Paesi terzi che abbiano acquisito lo status di soggiornante di lungo periodo la parità di trattamento con i cittadini dello Stato membro interessato. Tenuto conto del fatto che l’obbligo di integrazione civica non è imposto ai cittadini nazionali è necessario verificare se un tale obbligo possa essere contrario al principio di parità di trattamento ai sensi dell’art. 11 della direttiva. A tal proposito occorre ricordare che, in forza di una costante giurisprudenza, il principio della parità di trattamento, impone che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato (sentenza S.P.C.M. e a., C-558/07 EU: c: 2009: 430, punto 74). Occorre rilevare che le misure di integrazione, che consistono nell’obbligo di acquisire e/o dimostrare di possedere capacità di espressione orale e scritta nella lingua olandese nonché una conoscenza della società olandese, si presumono in possesso dei cittadini nazionali, cosa che non sussiste per i cittadini dei Paesi terzi, non tanto sulla conoscenza della lingua quanto piuttosto sulla conoscenza della società. Pertanto, dato che le situazioni non sono analoghe, il fatto che l’obbligo di integrazione civica non sia imposto ai cittadini nazionali non viola il diritto dei cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo alla parità di trattamento con i cittadini nazionali sul presupposto che le modalità di applicazione dell’obbligo di integrazione civica non devono contravvenire al principio di non discriminazione.

In ogni caso, gli Stati membri non possono applicare una normativa nazionale tale da compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla direttiva (integrazione dei cittadini di Paesi terzi stabilitosi a titolo duraturo in uno degli Stati membri dell’Unione europea) e, pertanto, da privarla del suo effetto utile (sentenza Commissione/Paesi Bassi, C-508/10, EU: c: 2012: 243, punto 66). In tale prospettiva, rileva la Corte, è chiaro che l’acquisizione di una conoscenza tanto della lingua quanto della società dello Stato membro ospitante faciliti ampiamente la comunicazione tra cittadini di Paesi terzi e cittadini nazionali e, inoltre, favorisca l’interazione e lo sviluppo di rapporti sociali tra gli stessi. Neppure si può negare che l’acquisizione della conoscenza della lingua dello Stato membro ospitante renda meno difficile l’accesso da parte dei cittadini di Paesi terzi al mercato del lavoro ed alla formazione professionale. Nei limiti in cui l’obbligo di superare un esame permette di assicurare l’acquisizione da parte dei cittadini di Paesi terzi interessati di conoscenze che risultano incontestabilmente utili per stabilire legami con lo Stato membro ospitante, occorre rilevare che tale obbligo, di per sé, non compromette la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla direttiva, ma, invece, può contribuire alla loro realizzazione. E’ chiaro che le modalità di applicazione di tale obbligo non devono essere tali da compromettere questi obiettivi, tenuto conto, in particolare, del livello di conoscenze richieste per superare l’esame di integrazione civica, dell’accessibilità ai corsi ed al materiale necessario per preparare questo esame, degli importi applicabili ai cittadini di Paesi terzi a titolo di costi d’iscrizione per sostenere l’esame o della presa in considerazione di circostanze individuali particolari come l’età, l’analfabetismo o il livello d’istruzione.

Per quanto attiene alla previsione di un sistema di ammende occorre rilevare che l’irrogazione di un’ammenda ai cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo che, trascorso il termine stabilito, non sono riusciti a superare l’esame, quale mezzo per assicurare l’effettività dell’obbligo di integrazione a cui sono soggetti, non compromette, di per sé, la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2003/109/CE e, pertanto, non priva quest’ultima del suo utile effetto. Sostiene la Corte che, tuttavia, bisogna tenere conto del fatto che l’importo massimo dell’ammenda può raggiungere un livello elevato, vale a dire 1000,00 euro, e che tale ammenda può essere irrogata senza alcun limite fino a quando il cittadino di Paese terzo non abbia superato l’esame ed indipendentemente dal fatto che egli non si sia mai presentato o si sia presentato più volte. Inoltre, i costi di iscrizione per sostenere l’esame nonché gli eventuali costi per la preparazione sono a totale carico dei cittadini di Paesi terzi interessati (l’Olanda prevede un costo di 230,00 euro per l’iscrizione). Queste spese non vengono rimborsate a coloro che non siano riusciti a superare l’esame. Tutto questo, secondo la Corte di Giustizia di Lussemburgo, può, invece, compromettere la realizzazione delle finalità perseguite dalla direttiva 2003/109/CE.

Alla luce di tali considerazioni la Corte di Giustizia ritiene che la direttiva, in particolare gli artt. 5, paragrafo 2, e 11, paragrafo 1, non è di ostacolo ad una normativa nazionale, come quella di cui al procedimento principale, che imponga ai cittadini di Paesi terzi che godono dello status di soggiornante di lungo periodo l’obbligo di superare un esame di integrazione civica, a pena di ammenda, a condizione però, che le sue modalità di applicazione non siano tali da compromettere la realizzazione delle finalità che la direttiva persegue. Il fatto che lo status di soggiornante di lungo periodo sia stato ottenuto prima che sorgesse l’obbligo di superare un esame di integrazione civica oppure dopo per la Corte è irrilevante. Con riferimento poi all’effetto combinato dell’ammenda (pari a mille euro ogni volta che i termini per l’esame non vengono rispettati) e dei costi di iscrizione (pari duecentotrenta euro da pagare ad ogni iscrizione all’esame), la Corte, infine, afferma che spetta al giudice del rinvio verificare se una simile spesa possa compromettere la realizzazione degli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2003/109/CE.

Avv. Teresa Aloi,  Foro di Catanzaro

 

Fonti: www.curia.eu; www.ansa.it; www.ilsole24ore.com; www.eius.it; www.eunews.it.