Libertà di espressione online: note sul quadro giuridico spagnolo nella cornice della disciplina europea*
* Il contributo è destinato al volume sugli atti del VII congresso internazionale del Seminario Italospagnolo di studi costituzionali “La Costituzione al tempo delle transizioni”, tenutosi presso l’Università degli Studi di Napoli “Parthenope” il 2, 3 e 4 ottobre 2024.
Autore: Dott.ssa Valentina Capuozzo
Sommario: 1.- Introduzione. 2.- Il percorso normativo e giurisprudenziale dell’Unione europea. 3.- Il quadro giuridico della Spagna. – 4. Conclusioni
1.- Introduzione.
Per definire la libertà di espressione si può fare riferimento, sin da subito, alla sua dimensione circolare, che la rende uno fra i principali diritti fondamentali su cui si fondano i moderni Stati democratici. Il diritto di esprimere liberamente le proprie idee alimenta invero un dialogo di cui beneficiano reciprocamente sia l’individuo che l’intera società, diventando garanzia sociale di partecipazione e di integrazione culturale[1].
Come è emerso nell’evoluzione del dibattito scientifico e giurisprudenziale[2], la libertà di espressione si compone di diverse articolazioni, che non si esauriscono nel solo diritto di esprimersi liberamente, comprendendo altresì il diritto all’informazione, quello al silenzio, oltreché il diritto di utilizzare ogni mezzo disponibile per esprimere il proprio pensiero. In questo senso, la rete diventa parte integrante della tutela, ponendo nuove istanze sia sul versante attivo, a proposito della diffusione del proprio pensiero tramite internet, sia su quello passivo, per ciò che riguarda la ricezione di tali informazioni e idee.
Da ciò l’esigenza di regolare lo spazio digitale, che negli ultimi decenni viene assumendo un’importanza centrale nella normativa europea e nella giurisprudenza della Corte di Giustizia, soprattutto con riferimento al ruolo delle piattaforme – come i motori di ricerca e i social networks – che collegano chi fornisce le informazioni o, più generalmente, esprime il proprio pensiero, e chi lo riceve[3].
In questa cornice, il presente contributo, dopo una ricostruzione di siffatto percorso europeo (paragrafo 2), si propone di indagare il contesto giuridico costituzionale spagnolo, con l’obiettivo di evidenziare le principali tutele, criticità e prospettive, approfondendo i più recenti sviluppi, come l’istituzione dell’Agencia Española de Supervisión de Inteligencia Artificial, e il ruolo della giurisprudenza del Tribunal Constitucional (paragrafi 3 e 4).
2.- Il percorso normativo e giurisprudenziale dell’Unione europea.
La tutela della libertà di espressione ha trovato positivo riconoscimento nel sistema delle fonti di diritto europeo solo in tempi recenti. Del resto, il dato non può destare sorpresa se si considera l’impronta essenzialmente economica che ha segnato le origini dell’Unione[4].
In quest’ottica, né il Trattato che istituisce la Comunità europea né il Trattato sull’Unione europea vi facevano esplicito riferimento, come pure non contenevano nessuna disposizione riconducibile alla tutela dei diritti fondamentali. Una prima affermazione positiva si è avuta nel Trattato di Maastricht che – nel perseguimento di una maggiore integrazione politica fra gli Stati membri convalidata dall’introduzione di una cittadinanza dell’Unione – ha introdotto un rinvio esplicito ai diritti garantiti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Titolo I, articolo F, n. 2) tra cui quello alla libertà di espressione tutelato ex art. 10[5], che garantisce il diritto alla libertà di opinione e alla ricezione e diffusione delle informazioni, fatte salve le restrizioni previste dalla legge e necessarie in una società democratica[6].
Il processo di positivizzazione si è consolidato con la proclamazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, ha acquisito lo stesso valore giuridico dei Trattati ai sensi dell’articolo 6 TUE. L’art. 11 della Carta, in particolare, sancisce il diritto di ogni persona alla libertà di espressione, precisando che questo “include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera” e, al secondo comma, che “la libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati”. L’art. 52 della Carta, poi, assoggetta le eventuali limitazioni del diritto al rispetto della riserva di legge e del principio di proporzionalità[7].
Già prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e dell’integrazione della Carta di Nizza nel diritto primario, tuttavia, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE), le cui pronunce si collocano nel solco dell’interpretazione consolidatasi nella giurisprudenza della Corte EDU, considerava la libertà di espressione come uno dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico europeo, tentando di rispondere alle nuove esigenze di tutela poste dall’emergere progressivo della dimensione digitale. Si può dire, a tal riguardo, che la CGUE abbia approntato una tutela indiretta per la libertà di espressione online, occupandosene nel bilanciamento con altri diritti[8].
Emblematica è l’evoluzione giurisprudenziale in materia di privacy, che ha visto dapprima la Corte stabilire che nel bilanciamento fra tutela della riservatezza e altre libertà, fra cui quella di espressione, va compiuta una valutazione case by case[9], per poi introdurre il canone della proporzionalità delle misure limitative[10], fino ad arrivare a imporre ai motori di ricerca l’applicazione della normativa europea sulla privacy per la tutela del diritto all’oblio[11], così aprendo la strada alla responsabilizzazione delle piattaforme digitali.
Anche in materia di diritto d’autore la CGUE ha compiuto importanti passi avanti, spesso posta dinanzi a questioni complesse per le “molteplici tensioni che la digitalizzazione ha prodotto nel rendere disponibili opere protette per la libera fruizione da parte degli utenti” (Pollicino, 2018, 61). Da un primo punto di vista, a rilevare è il bilanciamento che la Corte opera, affermando che, sebbene i diritti d’autore siano tutelati a livello europeo, tale protezione non può comprimere altri diritti fondamentali, come la libertà di espressione[12]. In particolare, i giudici di Lussemburgo non adottano una gerarchia rigida tra i diritti, collocandoli tutti su un piano di pari valore e imponendo un bilanciamento caso per caso[13]. La CGUE, poi, sottolinea che ai siti web può essere riconosciuta la posizione di intermediario ai sensi dell’art. 8, par. 3 della direttiva 2001/29/CE (sull’armonizzazione di alcuni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi della società dell’informazione)[14], così aggiungendo un ulteriore tassello alla necessaria responsabilizzazione delle piattaforme[15].
Sulla scia di questo percorso giurisprudenziale, anche nel diritto derivato è possibile osservare una progressiva emersione di norme volte a tutelare indirettamente la libertà di espressione. Disposizioni significative in tal senso sono rinvenibili nella direttiva sul commercio elettronico[16], nelle direttive sulla tutela dei diritti d’autore[17], nel regolamento sulla tutela dei dati personali[18], nella direttiva sui media audiovisivi[19] e in quella sul whistleblowing[20], anche se la svolta decisiva è avvenuta più di recente, con il Digital Services Act (DSA)[21] e il Digital Markets Act (DMA)[22], che insieme compongono il Digital Services Package, entrato in vigore nel maggio 2023, cui si somma il Regolamento 1689/2024 sull’IA[23].
Si tratta di una normativa che denota l’intenzione dell’Unione europea di dotarsi di una disciplina ad hoc per limitare l’appropriarsi da parte delle piattaforme di poteri che, invece, sono propri degli organi di diritto pubblico[24]. Tale obiettivo, peraltro, emerge con chiarezza anche dalla lettura della Dichiarazione Europea dei Diritti Digitali adottata dal Parlamento Europeo, dalla Commissione e dal Consiglio, che sottolinea la dimensione costituzionale e universale dei diritti online[25].
Nell’ambito di siffatte disposizioni, il DMA si concentra in particolare sui rapporti tra piattaforme e fornitori di servizi, imponendo una maggiore trasparenza nelle condizioni contrattuali e limitando la conformazione oligopolistica del mercato digitale, per garantire ai consumatori un mercato concorrenziale più vantaggioso[26].
Il DSA, invece, stabilisce un quadro normativo per le piattaforme online[27], prevedendo regole a protezione degli utenti per garantire la loro libertà di espressione, e imponendo obblighi di trasparenza e responsabilità nella moderazione dei contenuti illeciti (artt. 12-15 DSA). Molto rilevanti a tale proposito sono gli articoli 3, 4 e 5 DSA, che prevedono la regola generale per cui il provider è responsabile per i contenuti pubblicati, dovendo provare di volta in volta la sua irresponsabilità, sebbene una criticità da segnalare sia la mancata definizione, da parte della normativa, di cosa debba intendersi per contenuto illecito, che può creare incertezza, lasciando così ampio margine all’interpretazione[28].
Risulta interessante, inoltre, soffermarsi su due ulteriori aspetti legati alla valorizzazione della dimensione dei controlli. In primo luogo, è opportuno osservare il ruolo preponderante della Commissione Europea nella supervisione delle piattaforme di grandi dimensioni[29]. Gli articoli 50-56 del DSA stabiliscono, infatti, che la Commissione può intervenire direttamente di propria iniziativa in caso di infrazioni persistenti, conducendo in modo autonomo indagini e audizioni, ispezioni in loco, adottando misure provvisorie, rendendo vincolanti determinati impegni e persino imponendo sanzioni pecuniarie per le violazioni del Regolamento.
Per quanto concerne il controllo preventivo, poi, l’articolo 35, paragrafo 1, del DSA promuove il metodo della co-regolazione, incentivando l’adozione di codici di condotta a livello unionale, al fine di favorire un’applicazione efficace della disciplina. L’obiettivo è rafforzare la dimensione collaborativa con le piattaforme, che in passato non aveva prodotto risultati soddisfacenti[30], integrando le fonti di hard law con strumenti di soft law più flessibili e facilmente adattabili ai continui cambiamenti derivanti dalla rapida evoluzione tecnologica che caratterizza questa materia.
L’ultima tappa del percorso normativo europeo è quella scandita dal Regolamento 1689/2024, che stabilisce un quadro giuridico uniforme per lo sviluppo, l’immissione sul mercato, la messa in servizio e l’uso di sistemi di IA[31]. Anche in questo caso, a rilevare è la finalità di limite che viene assumendo la disciplina europea, volta a promuovere la diffusione di un’IA antropocentrica e affidabile attraverso il divieto di pratiche che possano avere un impatto negativo sui diritti fondamentali (art. 5) e l’imposizione di standards di trasparenza (art. 13) e obblighi di vigilanza (art. 25).
3.- Il quadro giuridico della Spagna.
La Costituzione spagnola (CE) tutela la libertà di espressione all’articolo 20, che si colloca nel Titolo I, Capitolo II, dedicato ai diritti fondamentali (artt. 14-38 CE)[32]. Si tratta di una norma connotata da un profondo significato storico, che la caratterizza come una delle più importanti affermazioni di distacco della Costituzione del 1978 dal precedente regime autoritario. Questo, infatti, utilizzava il diritto penale come strumento per reprimere informazioni e opinioni non solo in ambito politico, ma anche relative alla morale, alla religione o alla cultura. A ciò si aggiungeva un controllo stringente sui mezzi di comunicazione, esercitato attraverso la gestione statale diretta o tramite strumenti come l’autorizzazione preventiva e l’obbligo di deposito giornaliero di copie per la censura, ad esempio per i periodici[33].
In tal senso, dunque, l’art. 20 CE tutela la libertà di espressione in un’accezione ampia[34], proteggendo il diritto: “a) a esprimere e diffondere liberamente il pensiero, le idee e le opinioni per mezzo della parola, degli scritti o con qualunque altro mezzo di riproduzione; b) alla produzione e creazione letteraria, artistica, scientifica e tecnica; c) alla libertà di insegnamento; d) a comunicare o ricevere liberamente informazioni veritiere attraverso qualsiasi mezzo di diffusione”. Questi diritti sono affiancati da due prerogative fondamentali che il legislatore è chiamato a disciplinare: il segreto professionale e la clausola di coscienza, con specifico riferimento a coloro che esercitano professionalmente l’attività informativa.
L’art. 20.4 CE precisa poi che la libertà di espressione non può essere limitata, salvo che per garantire l’esercizio di altri diritti costituzionalmente protetti[35]. La tutela è completata da due ulteriori garanzie: l’abolizione della censura preventiva (art. 20.2 CE) e la riserva di giurisdizione per il sequestro delle pubblicazioni, delle registrazioni e degli altri mezzi di informazione (art. 20.5 CE).
Sul piano applicativo, la giurisprudenza spagnola, in specie quella del Tribunal Constitucional (TC), è venuta adattando i principi costituzionali alle tensioni e alle istanze progressivamente emerse nella vita sociale e politica, rendendo la libertà di espressione un terreno giuridico fortemente plasmato dai casi concreti.
Tale evoluzione giurisprudenziale, nel solco di quella sovranazionale, si muove lungo una duplice direttrice proteggendo, da un lato, la dimensione individuale della libertà di esprimersi e, dall’altro, concentrandosi sulla dimensione istituzionale, relativa alla diffusione e alla persistenza dell’informazione nei media[36]. A tal riguardo, rileva il consolidato orientamento del TC secondo cui l’art. 20 CE opera come un vincolo permanente fra le libertà pubbliche e il principio democratico[37], imponendo un’informazione veritiera e accessibile a tutti i cittadini, con qualunque mezzo di diffusione[38].
È in questa cornice che si collocano le sfide poste dalla nuova dimensione online della libertà di espressione, che attengono in particolare al rapporto tra l’esercizio di tale diritto e la gestione delle piattaforme digitali. Esse, infatti, amplificano la portata delle opinioni e informazioni diffuse, filtrandole attraverso criteri algoritmici in grado di determinare quali contenuti rendere prioritari, in base a regole interne che rispondono alla logica privato-imprenditoriale delle grandi società cui fanno capo[39].
La risposta del legislatore spagnolo a tali nuove sfide non offre soluzioni adeguate[40]. Se si esaminano gli interventi normativi compiuti, nello specifico, si può cogliere una tendenza alla repressione degli aspetti patologici della comunicazione online, più che una regolazione delle nuove dinamiche ad essa legate. Si pensi all’intervento sul reato di provocazione all’odio ex art. 510 del Codice penale, che ha introdotto come circostanza aggravante l’utilizzo di internet o delle tecnologie informatiche nella commissione del fatto[41]. Del pari significativa è la modifica all’art. 578 del Codice penale[42], in materia di terrorismo, che ha sottolineato la punibilità dell’esaltazione o giustificazione del terrorismo su internet destando preoccupazione per il moltiplicarsi dei procedimenti giudiziari per questo reato, spesso originati da semplici affermazioni rese da utenti di social media, artisti o giornalisti, tanto da indurre a riflettere sulla compatibilità di una previsione così restrittiva con la libertà di espressione per come tutelata dall’art. 20 CE.
In questo contesto, dunque, è spesso la giurisprudenza a svolgere un ruolo preponderante, attraverso un’interpretazione che tenta di adeguare alla comunicazione digitale le regole stabilite per quella tradizionale[43]. Va rilevato, tuttavia, che in assenza di un adeguato apparato normativo di riferimento l’intervento giurisprudenziale non sempre può svolgere questa funzione adeguatrice, a meno di non assumere – come talvolta accade – un ruolo creativo, dandosi autonomamente le regole alla cui attuazione sarebbe chiamata.
Rilevante in questo senso è la decisione resa dal Tribunal Supremo a proposito del blocco disposto da Twitter sull’account del partito Vox durante una campagna elettorale, che ha chiamato i giudici a valutare una decisione lato sensu censoria della piattaforma in risposta alla condivisione di contenuti ritenuti di incitamento all’odio[44]. In mancanza di una regolazione specifica da applicare, i giudici spagnoli hanno risposto confermando la decisione della piattaforma in virtù del rapporto privato instaurato tra questa e le parti in causa, non altrimenti regolato se non attraverso la disciplina privatistica del contratto[45].
Espressione di una tendenza creativa è invece quell’orientamento del TC che vede sempre più spesso i giudici costituzionali spingersi oltre le peculiarità del singolo caso a proposito di bilanciamenti complessi, come quello tra il diritto all’onore e la libertà di espressione, per fissare principi generali utili a orientare le future decisioni giudiziarie[46].
È in questo scenario che si inserisce la recente istituzione dell’Agencia Española de Supervisión de la Inteligencia Artificial (AESIA)[47], concepita in attuazione della normativa europea volta alla regolamentazione del mondo online. Si tratta di un notevole passo avanti nel percorso digitale della Spagna, che la rende il primo Paese europeo a essersi dotato di un’organizzazione dedicata alla supervisione dell’IA, anticipando l’entrata in vigore del Regolamento 1689/2024.
L’AESIA, che si può definire un ente con personalità giuridica pubblica e dotato di un proprio patrimonio e di autonomia gestionale (cap. I, art. 1.2 Real Decreto 729/2023), è invero destinata a svolgere un ruolo centrale per la regolamentazione delle piattaforme digitali. Nell’esercizio delle sue competenze di monitoraggio sull’uso dei sistemi di IA (cap. II, art. 10 Real Decreto 729/2023), infatti, uno degli aspetti essenziali della sua attività sarà l’introduzione di linee guida e certificazioni per garantire che gli algoritmi utilizzati dalle piattaforme rispettino i principi di trasparenza, non discriminazione e tutela dei diritti fondamentali, così mirando a fungere da raccordo tra le istituzioni europee e i soggetti nazionali.
4.- Conclusioni
L’analisi svolta evidenzia come la libertà di espressione, sebbene riconosciuta quale diritto fondamentale nella Costituzione spagnola e dalla normativa europea, debba oggi confrontarsi con sfide complesse[48], condizionate dalla nuova dimensione digitale, che ne ridefinisce confini, contenuti e modalità di esercizio[49]. In particolare, l’avvento delle piattaforme online e il ricorso crescente a sistemi algoritmici pongono sfide inedite, che investono tanto l’effettività della tutela quanto la distribuzione delle responsabilità tra attori pubblici e soggetti privati.
La risposta dell’Unione europea si è articolata, dapprima, in una giurisprudenza attenta a bilanciare la libertà di espressione con altri diritti fondamentali, per poi consolidarsi in una produzione normativa più strutturata, culminata nel Digital Services Package e nel recente Regolamento sull’intelligenza artificiale. Tali strumenti testimoniano la volontà del legislatore europeo di presidiare lo spazio digitale non solo come ambito economico, ma come luogo di esercizio dei diritti fondamentali, nel tentativo di sottrarre alle logiche privatistiche delle piattaforme la definizione concreta dei limiti della libertà di espressione.
Il quadro spagnolo, pur muovendosi nella stessa direzione, mostra alcune incertezze. La Costituzione del 1978 ha riconosciuto un’ampia tutela alla libertà di espressione, in netta discontinuità rispetto al passato autoritario. Tuttavia, la normativa ordinaria si è spesso concentrata sugli aspetti repressivi delle patologie comunicative, trascurando la necessità di una disciplina positiva e proattiva dello spazio digitale. In questo vuoto regolatorio, la giurisprudenza ha assunto un ruolo centrale, talvolta interpretativo, talaltra creativo, nel tentativo di garantire un equilibrio tra i valori costituzionali in gioco.
L’istituzione dell’AESIA rappresenta, in questo contesto, un segnale di svolta: un tentativo di anticipare le sfide poste dall’intelligenza artificiale e di ricondurre l’attività algoritmica entro parametri compatibili con i principi costituzionali e con il diritto europeo. Si tratta, tuttavia, solo dell’inizio di quello che si auspica possa diventare un percorso normativo in grado di conciliare il rispetto dei diritti costituzionali con l’esigenza di regolare un settore in rapida evoluzione.
Resta infatti aperta la questione della piena responsabilizzazione delle piattaforme e della definizione di standard condivisi tesi a garantire un esercizio effettivo della libertà di espressione anche online, che potrebbe passare per l’armonizzazione delle politiche degli Stati europei.
Il diritto pubblico comparato mostra, anche in questa materia, la propria funzione essenziale: cogliere le trasformazioni in atto, rilevare le convergenze normative e giurisprudenziali, ma anche mettere in luce le asimmetrie e i rischi di disallineamento fra ordinamenti, affinché il processo di digitalizzazione dei diritti non si traduca in una loro graduale erosione, bensì in una loro riaffermazione in forme nuove e adeguate ai tempi.
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[1] Sul punto, Amato, (1981), pp. 285 e 286; Barile, (1974), pp. 424 e ss.; Esposito, (1958), pp. 49 e ss.
[2] Cfr. la ricostruzione di Casarosa, (2020), p. 3.
[3] Cfr. Bucalo, (2023b), par. 2, ove l’A. parla di “soggetti (…) che svolgono il ruolo di Gatekeepers (letteralmente ‘portieri, guardiani’) del cyberspazio e che regolano il flusso dei dati per mezzo del loro algoritmo, mettendo così ordine nel caos delle informazioni”, e rappresentano “un numero molto ristretto di compagnie (tech companies) che hanno il controllo delle porte di accesso alle informazioni presenti in rete”.
[4] Cfr. sul punto Bassini, (2012), pp. 173 ss.; Pollicino (2017), p.16
[5] Così recita il testo dell’articolo: “L’Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario”.
[6] Sul punto si rinvia alle considerazioni svolte in Capuozzo, Tacente (2025) e alla bibliografia ivi citata.
[7] Su tale evoluzione si v. il Dossier “La libertà di espressione, una prospettiva di diritto comparato”, del Servizio Ricerca del Parlamento europeo.
[8] Cfr. Bucalo, (2023a), pp. 142 e ss.
[9] CGUE, sent. c.d. Lindqvist, 6 novembre 2003, C-101/1.
[10] CGUE, sent. c.d. Data Retention, 8 aprile 2014, C-293/12 e C-594/12.
[11] CGUE, sent. c.d. Google Spain, 13 maggio 2014, C-131/12; sent. Google c. Commission Nationale de l’Informatique e des Libertes, 24 settembre 2019, C-517/17; sent. cd. TU e RE c. Google, 8 dicembre 2022, C-460/20, che peraltro è la prima ad assumere l’art. 11 della Carta come parametro.
[12] CGUE, sent. c.d. Scarlet c. SABAM, 24 novembre 2011, C-70/10; sent. cd. SABAM c. Netlog, 16 febbraio 2012, C-360/10.
[13] Sul punto una parte della dottrina è critica, poiché ascrive questa equi-ordinazione tra diritti a una possibile mancata emancipazione del diritto dell’Unione europea dalla sua dimensione prevalentemente economica, cfr. Pollicino, (2021), p. 92; di diverso avviso invece è Bassini, (2019), p. 382, che ritiene questa giurisprudenza meritevole di aver ridimensionato il diritto d’autore.
[14] CGUE, sent. cd. Telekabel Wein c. Constantin film e Wega, 27 marzo 2014, C-314/12.
[15] Su punto cfr. Bucalo, (2023a), p. 169.
[16] Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000.
[17] Direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001; direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019.
[18] Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016.
[19] Direttiva (UE) 2018/1808 del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 novembre 2018.
[20] Direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 ottobre 2019.
[21] Regolamento (UE) 2022/1925 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 14 settembre 2022.
[22] Regolamento (UE) 2022/2065 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 14 ottobre 2022.
[23] Regolamento (UE) 2024/1689 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 giugno 2024.
[24] Cfr. Bucalo, (2023a).
[25] Comunicazione congiunta al Parlamento Europeo, al Consiglio e alla Commissione, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 23 gennaio 2023.
[26] Cfr. Cennamo, Kretschmer, Constantinides, Alaimo, Santalò, (2023), pp. 44 e ss.; Podszun, Bongartz, Langenstein, (2021), pp. 60 e ss.
[27] Cfr. Cauffman, Goanta, (2021), pp. 758 e ss.; Leersen, (2023).
[28] Cfr. sul punto Bucalo, (2023a), pp. 201 e 202, che tuttavia osserva come tale scelta possa giustificarsi alla luce del “rischio che la cristallizzazione in disposizioni positive di tali definizioni non sarebbe in grado di seguire l’evoluzione tecnologica sottesa alla manifestazione delle opinioni online e renderebbe precocemente obsolete le norme stesse”.
[29] Il DSA modula e differenzia le obbligazioni di cooperazione e supervisione in base alla dimensione degli intermediari e alla complessità dei servizi offerti, distinguendoli in quattro categorie: intermediary services, hosting, online platform e very large online platforms, come evidenziato nei considerando 53-63 DSA. Per approfondire, si v. Bucalo, (2023a), pp. 202 e ss.
[30] Un riferimento specifico riguarda, in particolare, il Code of Practice on Disinformation, adottato nella sua prima versione nel 2018. Per un’analisi più dettagliata si rimanda a Bucalo, (2023a),pp. 181 e ss.; Cesarini, (2021), pp. 292-293; Pagano, (2019), p. 8.
[31] Su cui si v. Aa. Vv., (2024).
[32] Sulla libertà di espressione come diritto fondamentale nella Costituzione spagnola del 1978 si v. Massó Garrote, (2000), pp. 58 e ss.
[33] Cfr. sul punto F. Balaguer Callejón, Cámara Villar, M.L. Balaguer Callejón, Montilla Martos, (2020), p.497.
[34] Ivi, p. 498.
[35] Particolarmente rilevante in tal senso è la giurisprudenza del TC a proposito del rapporto della libertà di espressione col diritto d’onore tutelato ex art. 18.1 CE, che ha parlato di una posizione preferenziale della prima in quanto garanzia e condizione necessaria per il pluralismo politico e per la formazione dell’opinione pubblica, cfr. inter alia SSTC nn. 104/1986, 165/1987, 15/1993, 336 e 320/1994.
[36] Cfr. Revenga Sánchez, (2023), p. 1175.
[37] Così Scarciglia, Del Ben,(2005), pp. 118 e 119.
[38] Sul concetto di informazione veritiera cfr. SSTC nn. 6/1981, 177/1990; Carrillo, (1988), pp. 187 e ss.
[39] Cfr. Revenga Sánchez, (2023), p. 1178 “El diagnóstico de los problemas que acarrea la desregulación y el descontrol está realizado, como también están comprobadas las consecuencias que genera abandonar a su suerte el sistema de la libertad de expresión, dejándolo en manos de corporaciones privadas que establecen sus propias normas desde una lógica privado-empresarial a las que el usuario no tiene más alternativa que adherirse o alejarse”.
[40] Ivi, p. 1179.
[41] Ley Orgánica n. 1/2015.
[42] Sempre ad opera della Ley Orgánica n. 1/2015.
[43] Su questo ruolo della giurisprudenza cfr. Ragone, (2023), p. 1164 “la interpretación resulta fundamental, como en cada proceso de modernización de cartas de derechos «ya no tan jóvenes», y probablemente será acompañada por nuevos instrumentos procesales”.
[44] Tribunal Supremo, sent. n. 735/2022, Sección 4 de lo Contencioso.
[45] Cfr. la critica di Herrera de las Heras, (2023), pp. 151 e ss.; Scaffardi, (2023), p. 381.
[46] Particolarmente indicativa è la STC n. 8/2022, su cui cfr. Revenga Sánchez, (2023), p. 1179.
[47] Ley 22/2021, de 28 diciembre; Ley 28/2022, de 21 diciembre; Real Decreto 729/2023, de 22 de agosto che ne dispone lo Statuto.
[48] Revenga Sánchez, (2023).
[49] Ex multis Pollicino, Dunn, (2024).
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