A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

CORTE COST., 7 MAGGIO 2025, RITIENE LA LEGGE DI ABROGAZIONE DEL REATO DI ABUSO D’UFFICIO INDENNE DA VIZI, COSTITUZIONALI ED INTERNAZIONALI. QUIS CUSTODIET IPSOS CUSTODES, SE SI TRATTA DI UNA DECISIONE ERRATA?

 Autore: Prof. Avv. Carlo Morselli

 

Consecutio temporum: si evoca il filo della cronologia, da quando la legge punitiva dell’abuso d’ufficio  è stata soppressa fino al punto in  cui la quaestio di costituzionalità è stata sollevata avanti la Consulta. Ora il Giudice delle legge si è pronunciato con la decisione del  maggio 2025.

La Corte costituzionale,  su quel baluardo di garanzie istituite con la previsione di un reato ad hoc (già riformato, per instaurare un equilibrio fra le opposte esigenze), ha dato il suo nihil obstat quominus imprimatur definitivo, in merito al passo legislativo abolizionistico. Attualmente, può riguardarsi come sguarnito l’edifico della Pubblica Amministrazione, del tutto spoglio, privo del presidio del controllo giudiziario e senza guarantigie compensative:

Infatti, la Corte costituzionale ha dichiarato infondate le questioni di legittimità costituzionale  sollevate in ordine all'abrogazione del reato di abuso d'ufficio[1].

In esito all’udienza di maggio si  dà notizia della attesa decisione in riferimento  alle, sollevate, questioni di legittimità costituzionale concernenti l'abrogazione del reato di abuso di ufficio (Corte cost. u.p. 7 maggio 2025).

Al termine della celebrata udienza pubblica, la Corte ha sottoposto a vaglio  in camera di consiglio le questioni di legittimità costituzionale sollevate da quattordici autorità giurisdizionali, tra cui risalta quella della Corte Suprema, sull’abrogazione del reato di abuso d’ufficio per mano della legge numero 114 del 2024.

La Consulta ha ritenuto ammissibili le sole questioni sollevate in riferimento agli obblighi derivanti dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (la c.d. Convenzione di Merida).

Nel merito però la Corte (Presidente Barbera, Relatore Viganò[2]) ha dichiarato infondate siffatte questioni, ritenendo - ed ecco il nucleo del dictum di sindacato legislativo - che dalla Convenzione non sia ricavabile né l’obbligo di prevedere il reato di abuso d’ufficio, né il divieto di abrogarlo ove già presente nell’ordinamento nazionale. La motivazione della sentenza sarà pubblicata successivamente, nelle prossime settimane.

In attesa della motivazione, solo con la quale l’analisi potrà essere condotta funditus, può  considerarsi solo l’indicato dictum, però già criticabile poiché, contra veritatem, si “opina” che per la fonte più alta qual è la Convenzione, la stessa  risulti “indifferente”, dagli opposti angoli visuali, rispetto al reato di abuso d’ufficio, quasi che neque nocet neque prodest. Lo Stato italiano, indifferentemente ed invariabilmente, può dotarsi di una previsione di legge che censura l’abuso della P.A. ma senza che ciò sia proiezione di un obbligo normativo, potendo tollerare l’assenza di quella previsione. Eo magis, senza vincoli, non esisterebbe una norma di divieto, preclusiva, nel circuito della successione delle norme penali nel tempo, del potere di purgare, nella forma dell’abrogazione, una previsione positiva esistente nell’ordinamento nazionale (di illiceità penale della condotta abusiva, qualificata, in riferimento alla P.A.). Secondo la Corte, la norma internazionale, semplicemente e quindi attestandosi sulla soglia de minimis, inviterebbe  gli Stati ad adottare misure efficaci contro la corruzione, ma non impone, precisamente, la criminalizzazione  dell’abuso di ufficio.

Per l’effetto, non è ravvisabile nessun conflitto: l’abrogazione dell’abuso d’ufficio non viola né la Costituzione né gli impegni internazionali assunti dall’Italia. Il legislatore italiano ha mantenuto la sua più ampia discrezionalità “distributiva”, nel modulare gli strumenti di contrasto agli illeciti nella pubblica amministrazione, in assenza di obblighi sovranazionali.

La compatibilità, in più versanti, è ora preservata nel filtro della Corte costituzionale: nessuna contrarietà con la Costituzione e il reato abusivo è stato cancellato[3], con il sigillo della Consulta.

Ma la Convenzione di Merida – è il  nome della città messicana dove la stessa fu firmata – è un trattato internazionale adottato nel 2003 e ratificato dall’Italia nel 2009, e che quindi la vincola (riteniamo). L’art. 19 della Convenzione sollecita ogni Stato a «esaminare l’adozione delle misure legislative e delle altre misure necessarie per conferire il carattere di illecito penale» all’abuso d’ufficio. Poiché l’articolo 117 della Costituzione impone allo Stato italiano di rispettare gli «obblighi internazionali», secondo i critici dell’abolizione la riforma sarebbe in contrasto con la Costituzione. Tuttavia, la Corte è stata di contrario avviso, e le motivazioni non potranno cancellare questi rilievi.

Non può trascurarsi che l’art. 19 citato, in rubrica, titola propriamente “Abuso d'ufficio”, senza ibridazioni espressive, inequivocabilmente. Prevediamo, che le attese motivazioni non saranno in grado, e quindi non potranno, superare lo scoglio saldo di questi, brevi, rilievi.

Riteniamo che con la riforma Nordio l’apparato amministrativo risulti assai  indebolito, molto più vulnerabile (senza il simbolo dell’abuso, che già era come un vessillo sull’edificio della P.A.), ed ora registriamo il laissez faire della Corte costituzionale, maggio 2025, inaspettato nel richiamo delle voci della dottrina[4].

Pure inascoltata è rimasta la voce della Corte Suprema, del marzo 2025: «l’abrogazione del reato di abuso di ufficio…non è stata “compensata” dall’adozione di meccanismi, preventivi o repressivi, penali o amministrativi volti a mantenere il medesimo standard di efficacia ed effettività nella prevenzione degli abusi funzionali intenzionalmente posti in essere dagli agenti pubblici ai danni dei cittadini» (Cass. 2025/9442, p.12).

Quis custodiet ipsos custodes, se la decisione risulterà del tutto errata[5], alla luce delle attese motivazioni? La posizione della Corte appare, obiettivamente, allineata  a quella dell’attuale Governo.

 

Prof. Avv. Carlo Morselli, Docente  di  Diritto  penale  presso  la  Scuola  di   Specializzazione per  le Professioni  Legali dell’Università  degli Studi  di  Napoli  Federico II.

 

[1] Così, in Sist. Pen., 8-5-2025

[2] Non è incostituzionale l’abrogazione dell’abuso d’ufficio: il comunicato della Corte costituzionale, in Giur. pen., 8 maggio 2025.

[3] A luglio 2024, la Camera approva in via definitiva il disegno di legge presentato dal ministro della Giustizia Carlo Nordio, di cancellazione del reato. Il provvedimento è stato sostenuto non solo dai partiti della maggioranza, ma anche da Azione e Italia Viva. Hanno votato contro il Partito Democratico, il Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi-Sinistra.

[4] M. Donini, Gli aspetti autoritari della mera cancellazione dell’abuso d’ufficio, in Sist. Pen., 23 giugno 2023, che coglie un dato reale, a parte l‘enfasi.

Riteniamo che la Corte sia in errore, e non sarebbe la prima volta, come si è già segnalato. V. C. Morselli, Corte Cost. sentenza ampliativa (revocabile) 5.6.23 n. 111 su diritto al silenzio dell’interrogato, in federalismi.it., 13-12-2023: «Ecco l’errore della Corte: l’avvertimento della facoltà di non rispondere alle domande ex art. 21 att, saltando  l’incipit: “Quando procede a norma dell’art. 66 del codice” Questa non prevede l’avvertimento per l’imputato, piuttosto l’opposto ammonimento» (corsivo nostro).

[5] V. nota precedente. Cfr. M. Cazzaniga, Discrezionalità legislativa in materia penale e obblighi di criminalizzazione: le questioni di costituzionalità sollevate in relazione all’abrogazione dell’abuso d’ufficio, in Rivista AIC, 2025, n. 3, 29.