RAPPRESENTANZA DI INTERESSI: IL RUOLO DEL LOBBYING NELL’UNIONE EUROPEA. CONFRONTO CON L’ORDINAMENTO GIURIDICO NAZIONALE.
Autore: Dott.ssa Clelia Veneto
L’importanza crescente dell’attività di lobbying ispirata al modello pluralistico, democratico e trasparente, trova il suo fondamento nella diffusione globale di tale fenomeno, inteso come strumento di relazione istituzionale e nuova forma di comunicazione esercitata dai gruppi di pressione, nel quadro della internazionalizzazione degli interessi economici.
Tuttavia, questa concezione globale della rappresentanza di interessi fondata sulle dinamiche pluralistiche non si pone in Europa come paradigma assoluto, ma si innesta nei singoli sistemi politici degli Stati membri con esiti differenti.
Ogni Stato ha la possibilità di influenzare la formazione della volontà politica, sia direttamente tramite i suoi rappresentanti nelle Istituzioni europee, che indirettamente attraverso società di lobby, associazioni e gruppi di interesse che operano in vari settori.
Alcuni Paesi, come la Germania e la Francia, hanno introdotto Registri pubblici dei lobbisti e norme più rigorose per la registrazione e la trasparenza delle attività di lobbying, mentre altri Stati presentano leggi meno dettagliate o addirittura risultano privi di una specifica normativa in materia.
Al fine di garantire il rispetto del principio di trasparenza nell’ambito delle attività di lobbismo, il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione europea utilizzano un Registro comune per la Trasparenza volto a controllare le attività dei rappresentanti di interessi.
Con riguardo al dialogo tra decisori pubblici e gruppi di pressione, le Istituzioni europee sono tenute a “condurre i loro lavori nel modo più trasparente possibile” (articolo 15 TFUE) e a “dare ai cittadini e alle associazioni rappresentative la possibilità di far conoscere e scambiare pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori di azione dell’Unione” (articolo 11 TUE).
Dal 1° luglio 2021 è entrato in vigore il nuovo Accordo interistituzionale su un Registro per la Trasparenza obbligatorio, che definisce i principi operativi per un approccio coordinato da parte delle tre Istituzioni, in relazione ad una rappresentanza di interessi trasparente ed etica.
L’influenza dei gruppi di pressione sulla volontà delle Istituzioni di per sé implica l’intenzione di condizionare le decisioni pubbliche verso la promozione di interessi particolari.
Tale azione potrebbe, però, essere intesa come una minaccia nei confronti del benessere sociale dell’intera collettività, a causa del rispetto di volontà particolari in contrasto con la volontà generale.
L’azione dei gruppi di interesse, invece, se trasparente e legittima, può essere impiegata per incrementare il benessere sociale, attraverso un miglioramento relativo alla situazione della popolazione, con la soddisfazione di interessi generali.
I gruppi che esercitano azione di lobbying forniscono alle Istituzioni informazioni strategiche, al fine dell’elaborazione di determinate politiche pubbliche in precisi settori.
Mentre negli Stati Uniti, dove il fenomeno si è sviluppato, il lobbying rappresenta la definizione di una chiara strategia di manifestazione di interessi di gruppo, un processo strutturato e regolamentato che si esprime in pratiche ormai consolidate, nell’Unione europea manca un’analoga tradizione. Il termine rientra nel linguaggio comune con alcune differenziazioni, indicando quel processo di comunicazione istituzionale tramite il quale i gruppi di pressione forniscono informazioni specifiche alle Istituzioni comunitarie, al fine di condizionare il processo di law making.
I livelli decisionali comunitari, oltre ad essere molteplici, subiscono l’interferenza di diversi soggetti esterni, appartenenti sia a gruppi europei che nazionali.
In tale ambito, le Istituzioni interessate a regolare l’azione di influenza sono soprattutto la Commissione, che mantiene un ruolo fondamentale nella definizione delle politiche, e il Parlamento, che con le nuove procedure di codecisione e cooperazione previste dal Trattato di Maastricht, assume una posizione determinante nell’adozione delle stesse politiche.
In Italia, invece, l’assenza di una disciplina di settore porta a definire i gruppi di interesse che esercitano attività di relazioni istituzionali in base ai disegni di legge e ai riferimenti giuridici presenti in altre normative. Non vi è una garanzia di accesso al dialogo informativo con il decisore pubblico e non esiste alcuna traccia della valutazione effettuata dalle Istituzioni tra i differenti dati offerti dal privato.
Nel sistema giuridico italiano è possibile rinvenire un riconoscimento normativo dei gruppi di interesse soltanto all’interno della Costituzione.
In particolare, l’articolo 18 sancisce il principio di libertà di associazione per scopi non vietati dalla legge penale. I limiti a tale diritto sono previsti nel secondo comma dello stesso articolo, che statuisce il divieto di formare associazioni segrete e di carattere militare.
Esistono anche altri articoli della Costituzione che garantiscono la partecipazione dei gruppi al processo decisionale pubblico. Tra questi, lo stesso articolo 1 che, riconoscendo la sovranità ai cittadini italiani maggiorenni, diventa la base di tutte le forme di partecipazione dei singoli e dei gruppi alle scelte dei pubblici rappresentanti.
Vi è, poi, l’articolo 71 che, rimettendo l’iniziativa legislativa anche al popolo, consente che questa venga esercitata attraverso un’aggregazione di interessi rivolti al raggiungimento di un obiettivo determinato, contenuto in un progetto di legge e suscettibile di essere approvato dalle Camere del Parlamento.
Ancora, l’articolo 50 contempla un preciso diritto di petizione, consentendo a qualsiasi cittadino di rivolgere ai membri delle Camere determinate petizioni, non riferibili ad interessi personali, per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.
All’interno dei circuiti in cui il potere legislativo è fortemente condizionato dalle volontà espresse dai singoli partiti, come avviene in Italia, l’influenza dei gruppi sul decisore pubblico viene generalmente mediata dall’attività delle organizzazioni politiche.
L’operato delle lobby nel panorama italiano è stato infatti condizionato, forse più che in altri contesti ordinamentali, dalla capacità di mediazione e selezione degli interessi ad opera dei partiti.
Il sistema politico-istituzionale, sia pure nella frequenza e nel folto numero di disegni di legge presentati in Parlamento, non ha ritenuto per il momento di dar luogo ad una regolamentazione chiara e precisa, con l’effetto di alimentare, dalla fine della Prima Repubblica ad oggi, la presenza di soggetti interessati ad una modalità poco trasparente dell’esercizio della professione lobbistica.
Per tale ragione, non sono pochi i lobbisti che si muovono maggiormente in ambito europeo e regionale, anziché rapportarsi con le Istituzioni nazionali, sia di carattere parlamentare che governativo.
Il fenomeno del lobbying deve essere, quindi, inteso nel senso più nobile e vero del termine, depurato da ogni accezione semantica negativa, diretto a favorire un dialogo e un contatto concreto tra la società civile e la società politica.
Sarebbe auspicabile comprendere gli effetti positivi prodotti dall’attività lobbistica sulla volontà politica. Regolamentare la materia garantirebbe una maggiore tutela dei privati da comportamenti pubblici contrari ad un riconoscimento dei loro interessi all’interno delle decisioni assunte.
La questione andrebbe affrontata in via risolutiva muovendo dalle esperienze, vere e proprie best practices, sperimentate in alcuni Ministeri e circuiti decisionali con una certa efficienza e capacità di regolare, secondo trasparenza e pubblicità, l’attività di lobbying.
Tra queste, vanno citate senz’altro le soluzioni adottate dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy e dalla Camera dei deputati, con la previsione di un vero e proprio Registro per la Trasparenza, che si configurano come uno dei primi tentativi di disciplina delle interlocuzioni tra stakeholder e componenti politiche e burocratiche.
Trattasi certamente di esperienze dalla portata applicativa limitata, ma che potrebbero assurgere a punti di partenza utili alla predisposizione di una disciplina trasversale, organica e di più ampio respiro.
Normare la materia potrebbe costituire una preziosa opportunità per rafforzare trasparenza e pubblicità del processo decisionale, garantire la partecipazione della società civile al circuito democratico-rappresentativo, nonché promuovere l’eguaglianza tra i cittadini, intercettando necessità ed esigenze che avranno bisogno di risposte concrete ed efficaci da parte del decisore politico.
Recentemente, la I Commissione Affari Costituzionali della Camera dei deputati ha deliberato lo svolgimento di un’indagine conoscitiva sull’attività relativa alla rappresentanza di interessi.
L’indagine nasce dopo ripetute iniziative parlamentari, nonché a seguito della raccomandazione di rafforzare le norme applicabili alle relazioni dei parlamentari con i rappresentanti di interessi rivolta all’Italia da parte del Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO) del Consiglio d’Europa, nel giugno 2022.
Pertanto, l’attività di lobbying deve essere svolta all’interno di un quadro regolatorio definito, che ponga l’accento sugli eguali diritti di ogni portatore di interessi e sulla piena trasparenza dei processi decisionali.
L’istituzionalizzazione del fenomeno garantisce così, da un lato, l’accesso e la partecipazione attiva alla decisione politica e, dall’altro, rende aperti e trasparenti i rapporti tra le parti, divenendo uno dei maggiori indicatori della democraticità e del pluralismo di un sistema governativo.
Dall’attività svolta in sede di indagine conoscitiva è emerso un comune consenso sul fatto che la trasparenza dei processi decisionali pubblici rappresenti un’esigenza insita nei regimi democratici.
È soprattutto in questa prospettiva che viene messa in luce la necessità di una regolazione legislativa dettagliata della pratica in questione. Un’esigenza che è stata, da ultimo, ribadita nella Relazione della Commissione europea sullo Stato di diritto in Italia, pubblicata il 24 luglio 2024.
La grande sfida della prossima normativa consisterà nell’introdurre nuovi strumenti di trasparenza, senza che ciò comprometta lo scambio di informazioni sensibili.
L’auspicio è che si giunga, a stretto giro, ad una legge moderna e ambiziosa, che metta il nostro Paese al passo con le migliori pratiche europee, per una definitiva regolamentazione della materia, che non solo garantisca maggiore trasparenza, ma legittimi e valorizzi il prezioso ruolo dei professionisti del settore.