CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA: LA TUTELA DEL SEGRETO PROFESSIONALE NELLE COMUNICAZIONI TRA AVVOCATO E CLIENTE È UN PRINCIPIO FONDAMENTALE CHE TROVA LA SUA FONTE NELLA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA (CGUE 26 SETTEMBRE 2024, C-432/23).
Autore: Avv. Teresa Aloi
La Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza pronunciata il 26 settembre 2024, interviene sul tema della tutela del segreto professionale nelle comunicazioni tra avvocato e cliente, ribadendo il principio secondo cui il c.d. legal professional privilege è un principio imprescindibile indipendentemente dal contesto in cui l’avvocato si trova ad operare.
Questo principio rappresenta un passo significativo verso il rafforzamento del segreto professionale la cui tutela è fondamentale per garantire il corretto funzionamento del sistema giuridico e democratico. Agli avvocati, infatti, è affidato un compito essenziale in una società democratica, quello della difesa delle parti in causa, la cui importanza è riconosciuta in tutti gli Stati membri dell’Unione europea. Ogni persona sottoposta a giudizio deve poter avere pieno accesso al proprio avvocato senza timori di ritorsioni o interferenze esterne; la professione legale, per sua stessa natura, comprende il compito di fornire, in modo indipendente, consulenza legale a tutti coloro che ne hanno bisogno, garantendo, nello stesso tempo, il corrispondente requisito di lealtà nei confronti dei propri assistiti.
La Corte europea, nella sentenza in commento, sottolinea come la riservatezza delle comunicazioni tra avvocato e cliente sia un diritto da salvaguardare anche di fronte alle pressioni legate alle esigenze fiscali, come accaduto nella vicenda sottesa alla pronuncia stessa, sorta nell’ambito di una procedura di cooperazione amministrativa tra le amministrazioni finanziarie di Spagna e Lussemburgo ai sensi della Direttiva 2011/16/UE.
Su richiesta delle autorità tributarie spagnole, l’amministrazione delle imposte dirette del Lussemburgo, ingiungeva ad uno studio di avvocati costituito in società, di fornire tutti i documenti e le informazioni disponibili relativi ai servizi da questo forniti ad una società di diritto spagnolo, in occasione dell’acquisizione di un’impresa e dell’assunzione di una partecipazione di maggioranza in un’altra società, entrambe di diritto spagnolo. Lo studio legale si era rifiutato di fornire le informazioni richieste ritenendo che fossero state acquisite nell’ambito di una attività di consulenza legale di diritto societario, pertanto, coperte da segreto professionale e riguardanti esclusivamente aspetti legali e non fiscali. Tale rifiuto era stato sanzionato in sede amministrativa con un’ammenda di natura finanziaria.
Lo studio legale decideva di proporre ricorso davanti al Tribunale Amministrativo Lussemburgo al fine di ottenere, sia la riforma della decisione che imponeva la sanzione amministrativa, sia l’annullamento del provvedimento ingiuntivo; a quest’ultima istanza aveva chiesto di intervenire, a sostegno dello studio, l’Ordine degli Avvocati Lussemburgo (OABL). Con sentenza del 23 febbraio 2023, il Tribunale respingeva il ricorso di annullamento e l’istanza di intervento dell’OABL. Contro tale decisione, lo studio legale e l’Ordine proponevano appello davanti alla Corte Amministrativa Lussemburgo, giudice del rinvio, ponendo una serie di questioni giuridiche relative alla corretta interpretazione della Direttiva europea 2011/16/UE e del diritto nazionale oltre che sulla compatibilità di alcune disposizioni della Direttiva stessa con la Carta dei diritti fondamentali.
La Corte Amministrativa, investita della questione, decideva di procedere ad un rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, alla Corte di Giustizia dell’Unione europea.
La CGUE ha esaminato la questione sottoposta alla sua attenzione alla luce della Direttiva 2011/16/UE che regola la cooperazione tra Stati membri in materia fiscale, valutando la sua compatibilità con l’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali che garantisce il diritto alla riservatezza delle comunicazioni tra avvocato e cliente.
L’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali che, più precisamente, riconosce ad ogni persona il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni, corrisponde all’art. 8, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Al pari di tale ultima disposizione, la cui tutela copre non solo l’attività di difesa ma anche la consulenza legale, l’art. 7 della Carta garantisce necessariamente la segretezza di tale consulenza giuridica e ciò tanto riguardo al suo contenuto quanto alla sua stessa esistenza. Coloro che consultano un legale, infatti, possono ragionevolmente attendersi che le loro comunicazioni restino private e riservate, pertanto, a parte situazioni eccezionali, essi devono poter legittimamente confidare nel fatto che il proprio avvocato non renda noto a nessuno, senza il loro consenso, che lo abbiano consultato ed il contenuto stesso delle comunicazioni tra loro intercorse. La consulenza legale gode, indipendentemente dal settore del diritto su cui verte, della tutela rafforzata garantita dall’art. 7 della Carta. Ne consegue che, un provvedimento che ingiunge ad un avvocato di fornire all’amministrazione dello Stato membro interpellato, ai sensi della Direttiva 2011/16/UE, l’insieme della documentazione e delle informazioni relative ai rapporti con i propri clienti, come quello di cui trattasi nel procedimento principale, costituisce un ingerenza nel diritto al rispetto delle comunicazioni tra avvocato ed assistito, garantito da tale norma.
Ai fini dello scambio di informazioni su richiesta previsto dalla Direttiva UE, il legislatore dell’Unione ha soltanto determinato gli obblighi che gli Stati membri hanno gli uni nei confronti degli altri, autorizzandoli nel contempo a non dare seguito ad una richiesta di qualora la realizzazione delle indagini richieste o la raccolta delle informazioni di cui trattasi, siano contrarie alla loro legislazione. Pertanto, il legislatore europeo ha segnatamente lasciato agli Stati membri il compito di garantire che le loro procedure nazionali, applicate per la raccolta di informazioni ai fini di tale scambio, rispettino la Carta dei diritti fondamentali, in particolare l’art. 7 della stessa. Ciascuno Stato membro deve assicurare che eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti garantiti da tale disposizione, derivanti da procedure nazionali, siano “previste dalla legge” a sensi dell’art. 52, paragrafo 1, della Carta.
I diritti sanciti dall’art. 7 della Carta non appaiono come prerogative assolute, ma devono essere considerati in relazione alla loro funzione nella società. Come risulta dall’art. 52, paragrafo 1, della Carta, infatti, sono ammesse limitazioni all’esercizio di tali diritti, a condizione che essi siano previste dalla legge, rispettino il contenuto essenziale dei diritti riconosciuti e, nel rispetto del principio di proporzionalità, siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione europea o rispondano all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.
La legislazione nazionale lussemburghese all’art. 177, paragrafo 2, vieta all’avvocato che sia destinatario di una richiesta di comunicazione di informazioni da parte delle autorità, di rifiutare l’accesso a quelle informazioni che gli siano state affidate nell’esercizio della sua professione, nella misura in cui esse riguardino fatti di cui sia venuto a conoscenza nell’ambito della consulenza o della rappresentanza da lui fornita in materia fiscale, a meno che non si tratti di questioni la cui risposta esporrebbe il proprio cliente al rischio di un procedimento penale. L’applicazione di tale disposizione comporta che nessuno dei contenuti degli scambi avvenuti tra avvocato e cliente in materia fiscale può essere tenuto segreto alle autorità fiscali, con la conseguenza che, nel caso in esame, secondo l’ordinamento del Lussemburgo, lo studio legale avrebbe avuto l’obbligo di produrre in modo completo, accurato e senza alterazioni le informazioni ingiunte dall’amministrazione relative alla costituzione di strutture di società di investimento oggetto della consulenza legale da esso fornita.
La Corte di Giustizia dell’Unione europea, nella sentenza in commento, ha ritenuto che una norma come quella contenuta nella legislazione nazionale violi il contenuto essenziale del diritto garantito dall’art. 7 della Carta dei diritti fondamentali. L’applicazione dell’art. 177, paragrafo 2, operata attraverso l’ingiunzione rivolta allo studio legale, lungi dall’essere limitata a situazioni eccezionali, comporta, per la stessa portata della sottrazione al segreto professionale dell’avvocato, una lesione del contenuto essenziale del diritto garantito dalla legislazione europea.
Secondo la Corte di Giustizia UE, pertanto, gli artt. 7 e 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali devono essere interpretati nel senso che ostano ad un’ingiunzione come quella di causa, basata su una normativa nazionale in forza della quale la consulenza e la rappresentanza da parte di un avvocato in materia fiscale non beneficiano, salvo in caso di rischio di procedimento penale a carico del cliente, della tutela rafforzata garantita dall’art. 7 della Carta.
In conseguenza della ricostruzione effettuata, la Corte europea riafferma la centralità del segreto professionale e del legal privilege nel sistema di tutela dei diritti vigenti in Europa, estendendone l’ambito di applicazione ben oltre il campo del diritto penale laddove tale principio tradizionalmente ha avuto applicazione.
La sentenza, inoltre, ha chiarito che, sebbene la Direttiva 2011/16/UE non preveda norme specifiche per la protezione delle comunicazioni tra avvocati e clienti, gli Stati membri devono comunque rispettare i principi stabiliti dalla Carta dei diritti fondamentali. Un aspetto cruciale di tale decisione è stato il riconoscimento che l’accesso alle informazioni da parte delle autorità fiscali, se non opportunamente regolato, potrebbe comportare un’invasione indebita della sfera privata del cliente, soprattutto in relazione a consulenze legali non direttamente collegate a questioni fiscali. Nel caso in esame, l’ingiunzione che imponeva allo studio legale di fornire documenti ed informazioni relativi ad una consulenza societaria è stata considerata dalla Corte di Giustizia una violazione ingiustificabile rispetto al principio del segreto professionale.
Questa sentenza rappresenta un precedente significativo nella giurisprudenza europea, riaffermando l’importanza del segreto professionale, soprattutto in un contesto di crescente cooperazione internazionale per combattere l’evasione e l’elusione fiscale. La trasparenza e la cooperazione fiscale sono obiettivi fondamentali per le autorità statali ma non possono mai prevalere sui diritti fondamentali dei cittadini, inclusa la riservatezza nelle comunicazioni legali. La protezione del segreto professionale, conclude la Corte europea, è un elemento che deve rimanere fermo, indipendentemente dal contesto in cui un avvocato si trova ad esercitare la professione.
Garantire che lo scambio di documenti ed informazioni rimanga riservato è essenziale per mantenere un clima di fiducia, nell’ambito del quale i cittadini possano sentirsi al sicuro nel condividere informazioni sensibili con i propri legali. Senza questa garanzia di protezione, il rischio è di minare la fiducia necessaria per una consulenza legale libera ed affidabile, compromettendo non solo il diritto alla difesa ma anche la stabilità del sistema giuridico stesso.
Avv. Teresa Aloi, Foro di Catanzaro.