A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA: INSEGNANTI PRECARI DI RELIGIONE CATTOLICA, LA CORTE UE DICE NO ALLA LORO STABILIZZAZIONE (CGUE 13 GENNAIO 2022, C-282/19).

 Autore: Avv. Teresa Aloi

 

La Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza pronunciata in data 13 gennaio 2022, interviene a seguito di richiesta avanzata dal Tribunale di Napoli nell’ambito di un procedimento che vede contrapposti da un lato, un gruppo di insegnanti di religione cattolica presso istituti di istruzione pubblica assunti dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR) mediante una successione di contratti a tempo determinato e, dall’altro lato, il Ministero stesso e l’Ufficio Scolastico Regionale per la Campania.

Gli insegnanti ricorrenti ritengono che la successione dei loro contratti a tempo determinato sia da considerarsi illegittima e constatando di non aver potuto beneficiare del meccanismo di immissione in ruolo previsto dall’art. 399 del D.Lgs n. 297/1994, sostengono di essere vittime di una discriminazione rispetto ai docenti di altre materie. Essi, pertanto, propongono ricorso davanti al Tribunale di Napoli al fine di ottenere, in forza dell’art. 5, commi 2 e 4-bis, del D.Lgs n. 368/2001, la conversione dei loro attuali contratti in contratti a tempo indeterminato o, in subordine, il risarcimento del danno subìto a causa della stipulazione di una successione di contratti a tempo determinato.

Il Tribunale di Napoli, rilevando che la normativa italiana che recepisce l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (accordo quadro concluso il 18 marzo 1999 che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato) esclude, nel settore dell’insegnamento, la conversione dei contratti a tempo indeterminato, ritiene che tale ricorso non possa essere accolto alla luce del diritto italiano.

Esso precisa che, alla data di deposito del ricorso i contratti di lavoro avevano tutti una durata complessiva superiore ai 36 mesi. Sebbene, in tali casi, in linea di principio, il D.Lgs. n. 368/2021 preveda la conversione dei contratti a tempo determinato successivi in contratti a tempo indeterminato, l’art. 36, comma 5, del D.Lgs. n. 165/2001 escluderebbe espressamente una tale conversione nel settore del pubblico impiego. Inoltre, sebbene la successione continuativa di contratti di lavoro a tempo determinato oltre i 36 mesi possa, in forza dell’art. 36, comma 5, del D.Lgs. n. 16/2001, essere sanzionata mediante il risarcimento del danno subìto dal lavoratore a causa di tale successione, l’art. 10, comma 4-bis, del D.Lgs. n. 368/2001 escluderebbe tale possibilità nel settore dell’insegnamento come successivamente confermato dall’art. 29, comma 2, del D.Lgs. n. 81/2015.

Il Tribunale sottolinea, inoltre, che i ricorrenti non hanno potuto beneficiare dell’immissione in ruolo né in forza dell’art. 339 del D.Lgs. n. 297/1994, né in forza della legge n. 107/2015, la quale ha consentito una generale regolarizzazione del personale docente precario, autorizzando la conclusione di contratti a tempo indeterminato.

Da tali elementi emergerebbe che il diritto italiano non prevede alcuna misura di prevenzione dell’utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, ai sensi della clausola 5 dell’accordo quadro (intitolata “Misure di prevenzione degli abusi”) per gli insegnanti di religione cattolica impiegati presso istituti pubblici. Il giudice si chiede, pertanto, se il diritto italiano sia conforme al diritto dell’Unione e, di conseguenza, decide di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte di Giustizia dell’Unione europea la questione pregiudiziale della compatibilità della normativa italiana con tale ultima disposizione e con il divieto di discriminazione fondata sulla religione previsto dal diritto dell’Unione, precisamente, dall’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione di condizioni di lavoro. Egli, inoltre, chiede alla Corte UE di precisare se la necessità di un titolo di idoneità rilasciato da un’autorità ecclesiastica, di cui devono disporre gli insegnanti di religione cattolica per insegnare, costituisca una “ragione obiettiva”, ai sensi dell’accordo quadro, che consenta di giustificare il rinnovo di simili contratti a tempo determinato ovvero, di contro, debba ritenersi una discriminazione vietata ai sensi dell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali.

In via preliminare, il governo italiano, invocando l’art. 17, paragrafo 1, TFUE, ritiene che la Corte europea non sia competente a rispondere alle questioni pregiudiziali sottoposte alla sua attenzione dal giudice del rinvio, in quanto tali questioni riguardano i rapporti tra l’ordinamento giuridico della Repubblica italiana ed un ordinamento giuridico confessionale, nella fattispecie l’ordinamento giuridico della Chiesa cattolica, rapporti che rientrano esclusivamente nell’ambito del diritto interno.

La Corte di Giustizia dell’Unione europea, invece, riconosce la propria competenza a statuire sulla domanda di pronuncia pregiudiziale, constatando che le disposizioni nazionali in questione non sono dirette ad organizzare i rapporti tra uno Stato membro e le chiese, ma riguardano le condizioni di lavoro degli insegnanti di religione cattolica presso gli istituti pubblici, per cui la causa non riguarda lo status di cui godono le chiese menzionate nell’art. 17, paragrafo 1, TFUE.

Nel merito, dopo aver ravvisato l’assenza di discriminazione fondata sulla religione, dal momento che l’immissione in ruolo dei ricorrenti è risultata impossibile a causa della durata dei loro incarichi, senza che sussista alcun nesso con la religione, la Corte di Giustizia UE dichiara, innanzitutto, che la circostanza per cui i ricorrenti non possono beneficiare di una conversione del loro contratto in un contratto a tempo indeterminato, mentre i docenti di altre materie che si trovano in una situazione comparabile possono farlo, costituisce una differenza di trattamento tra due categorie di lavoratori a tempo determinato; più precisamente, una simile diversità di trattamento riguarda soltanto la disciplina applicabile al rapporto di lavoro, di conseguenza, una situazione del genere non rientra nell’ambito di applicazione della clausola 4 dell’accordo quadro. Tale clausola, intitolata “Principio di non discriminazione”, al punto 1 dispone che, per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.

La clausola 4 dell’accordo quadro mira a dare applicazione al principio di non discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, al fine di impedire che un rapporto di impiego di tale natura venga utilizzato da un datore di lavoro per privare tali lavoratori di diritti riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato.

Pertanto, il giudice del rinvio non può disapplicare le norme nazionali in questione dal momento che la situazione in esame non rientra nell’ambito di tale clausola.

Quanto alla clausola 5 dell’accordo quadro, intitolata “Misure di prevenzione degli abusi”, occorre ricordare che essa ha lo scopo di attuare uno degli obiettivi perseguiti dallo stesso accordo, vale a dire delimitare il ripetuto ricorso ai contratti o ai rapporti di lavoro a tempo determinato, considerato come potenziale fonte di abuso a danno dei lavoratori, prevedendo un certo numero di disposizioni di tutela minima volte ad evitare la precarizzazione della situazione dei lavoratori dipendenti.

A tale scopo, la clausola 5, al punto 1, impone agli Stati membri l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure che essa elenca, quando il loro diritto interno non contenga norme equivalenti. Le misure elencate da tale clausola attengono a ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo di tali contratti, alla durata massima totale di tali rapporti di lavoro ed al numero massimo di rinnovi di tali contratti. E’ proprio nell’ambito dell’attuazione dell’accordo quadro che gli Stati membri hanno facoltà, in quanto oggettivamente giustificato, di tener conto delle esigenze particolari relative a settori di attività e/o alle categorie specifiche di lavoratori in questione.

Pertanto, quando si sia verificato un ricorso abusivo ad una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato, deve potersi applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso e rimuovere le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione.

Nel caso di specie, se risultasse che non esiste, nella normativa nazionale, nessun’altra misura effettiva per prevenire e sanzionare gli abusi eventualmente constatati nei confronti del personale del settore dell’insegnamento pubblico della religione cattolica, una simile situazione sarebbe idonea a pregiudicare l’obiettivo e l’effetto utile della clausola 5 dell’accordo quadro.

Ciò premesso, occorre verificare se, nel settore dell’insegnamento pubblico della religione cattolica, il ricorso ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato possa essere giustificato dall’esistenza, nel diritto nazionale, di ragioni obiettive, ai sensi della clausola 5 dell’accordo quadro e, più in particolare, se il rilascio dell’idoneità da parte dell’autorità ecclesiastica al fine di consentire all’insegnante di religione cattolica di insegnare tale materia, possa costituire una simile ragione obiettiva.

Per “ragioni obiettive”, ai sensi della clausola 5 dell’accordo quadro, si intendono le circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività, tali da giustificare l’utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. Circostanze che possono risultare, dalla particolare natura delle funzioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti di tal genere, dalle caratteristiche ad esse inerenti o dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro.

La Corte europea, nella sentenza in commento, si pronuncia nel senso che la clausola 5 dell’accordo quadro osta ad una normativa nazionale che esclude gli insegnanti di religione cattolica dall’applicazione delle norme dirette a sanzionare gli abusi, qualora non esista nessun’altra misura effettiva nell’ordinamento giuridico interno che li sanzioni. Sarà il giudice italiano a verificare tale circostanza.

Non è escluso, secondo la Corte UE, che il settore dell’insegnamento pubblico della religione cattolica richieda un costante adeguamento tra il numero di lavoratori in esso impiegati ed il numero di potenziali utenti. In tal senso, l’assunzione temporanea di un lavoratore al fine di soddisfare le esigenze provvisorie e specifiche del datore di lavoro in termini di personale può, in via di principio, costituire una “ragione obiettiva” ai sensi della clausola 5 dell’accordo quadro.

Il settore scolastico deve essere organizzato in modo da garantire un adeguamento costante tra il numero di docenti ed il numero di alunni. Proprio questa necessaria esigenza di flessibilità è idonea a giustificare il ricorso ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato per rispondere in maniera adeguata alla domanda scolastica. Non può ammettersi, di contro, che i contratti di lavoro a tempo determinato possano essere rinnovati per la realizzazione, in modo permanente e duraturo, di compiti che rientrano nella normale attività del settore dell’insegnamento, non giustificabile ai sensi della clausola 5 dell’accordo quadro. L’osservanza di tale disposizione esige che si sia verificato concretamente che il rinnovo di simili contratti miri a soddisfare esigenze permanenti del datore di lavoro in materia di personale.

Nel caso di specie, i diversi contratti a tempo determinato che legano i ricorrenti al loro datore di lavoro hanno dato luogo allo svolgimento di mansioni simili, se non identiche, per svariati anni, cosicchè si può ritenere che tali rapporti di lavoro abbiano soddisfatto un fabbisogno non già provvisorio, bensì al contrario, duraturo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

Per quanto riguarda la questione se la necessità del rilascio dell’idoneità di cui devono essere titolari gli insegnanti di religione cattolica per insegnare tale materia possa costituire una “ragione obiettiva” ai sensi della clausola 5 dell’accordo quadro, si deve constatare, secondo la Corte UE, che il titolo di idoneità è rilasciato una sola volta, e non prima di ogni anno scolastico che dà luogo alla stipulazione di un contratto a tempo determinato, indipendentemente dalla durata degli incarichi loro affidati e che tale rilascio non ha alcun nesso con misure volte a perseguire obiettivi di politica sociale, con il risultato che tale titolo non costituisce una “ragione obiettiva” che giustifichi il rinnovo di contratti a tempo determinato ai sensi della clausola 5 dell’accordo quadro.

Spetta alle autorità giurisdizionali dello Stato membro interessato garantire il rispetto della clausola, vegliando a che i lavoratori che abbiano subìto un abuso in conseguenza dell’utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato non siano dissuasi, nella speranza di continuare a lavorare, dal far valere davanti alle autorità competenti, i diritti derivanti dall’attuazione, da parte della normativa nazionale, di tutte le misure preventive di cui alla clausola 5 dell’accordo quadro. In particolare, spetta al giudice adìto, qualora si sia verificato un utilizzo abusivo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato, interpretare ed applicare le pertinenti disposizioni di diritto interno in modo tale da sanzionare debitamente tale abuso e da eliminare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione.

Nel caso di specie, dal momento che la normativa nazionale di cui al procedimento principale contiene norme applicabili ai contratti di lavoro di diritto comune dirette a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti a tempo determinato, prevedendo la conversione automatica di un contratto a tempo determinato in uno a tempo indeterminato qualora il rapporto di lavoro perduri oltre un certo periodo, un’applicazione di tali norme nel procedimento principale potrebbe costituire una misura preventiva di un simile abuso, ai sensi della clausola 5 dell’accordo quadro.

Ciò premesso, occorre, tuttavia, ricordare che la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha statuito che la clausola 5 dell’accordo quadro non è incondizionata e sufficientemente precisa da poter essere invocata da un singolo davanti ad un giudice nazionale. Una tale disposizione del diritto dell’Unione, priva di effetto diretto, non può quindi essere fatta valere, in quanto tale, nell’ambito di una controversia rientrante nel diritto dell’Unione, al fine di escludere l’applicazione di una disposizione di diritto nazionale ad essa contraria. Pertanto, un giudice nazionale non è tenuto a disapplicare una disposizione di diritto nazionale contraria a tale clausola.

Il giudice del rinvio deve, tuttavia, verificare se un’interpretazione delle disposizioni nazionali in questione che sia conforme all’accordo quadro sia possibile, prendendo in considerazione il diritto interno nella sua interezza ed applicando i metodi di interpretazione riconosciuti da quest’ultimo.

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, la Corte di Giustizia dell’Unione europea dichiara che la clausola 5 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato deve essere interpretata nel senso, da un lato, che essa osta ad una normativa nazionale che esclude gli insegnanti di religione cattolica degli istituti di insegnamento pubblico dall’applicazione delle norme dirette a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti a tempo determinato, qualora non esista nessun’altra misura effettiva nell’ordinamento giuridico interno che sanzioni detto ricorso abusivo, e, dall’altro, che la necessità di un titolo di idoneità rilasciato da un’autorità ecclesiastica al fine di consentire a tali insegnanti di impartire l’insegnamento della religione cattolica non costituisce una “ragione obiettiva” ai sensi della clausola 5, punto 1, lett. a, dell’accordo quadro, nella misura in cui tale titolo di idoneità  rilasciato una sola volta, e non prima di ogni anno scolastico che dà luogo alla stipulazione di un contratto di lavoro a tempo determinato.

 

Avv. Aloi Teresa, Foro di Catanzaro.