A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE DEL 20 MAGGIO 2021, C-8/20, L. R. c. BUNDESREPUBLIK DEUTSCHLAND

UNA DOMANDA DI PROTEZIONE INTERNAZIONALE NON PUO' ESSERE CONSIDERATA INAMMISSIBILE QUALORA LA PRIMA PROCEDURA CHE HA CONDOTTO AD UN RIGETTO ABBIA AVUTO LUOGO NON IN UNO STATO MEMBRO DELL'UNIONE, BENSI' IN UNO STATO TERZO.  

Autore: Prof.ssa Antonella Galletti

 

Parole chiave

Causa 8/20, L. R. c. Bundesrepublik Deutschland – Domanda di protezione internazionale –– Regolamento Dublino III - Direttiva 2013/32/UE - Direttiva 2011/95/UE – Status di rifugiato

 

Abstract

Secondo la Corte di Giustizia UE l’art. 33, par. 2, lett. d), della Direttiva 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, in combinato disposto con l’art. 2, lett. q), di quest’ultima, deve essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro che prevede la possibilità di respingere, in quanto inammissibile, una domanda di protezione internazionale, ai sensi dell’art. 2, lett. b), di detta Direttiva, rivolta a tale Stato membro da un cittadino di uno Stato terzo o da un apolide la cui precedente domanda diretta al riconoscimento dello status di rifugiato, rivolta ad un Paese terzo (la Norvegia) in attuazione dell’accordo in materia tra l’Unione europea e la Repubblica d’Islanda e il Regno di Norvegia, sia stata respinta da tale Stato terzo. Malgrado, infatti, detto Paese terzo partecipi in parte al sistema europeo comune di asilo, esso non può essere equiparato ad uno Stato membro.

 

Nel 2008, L. R., cittadino iraniano, aveva presentato una domanda di asilo in Norvegia. La sua domanda veniva respinta e lo stesso veniva affidato alle autorità iraniane. Nel 2014, L. R. aveva presentato un’ulteriore domanda in Germania. Dal momento in cui il Regolamento Dublino III, che consente di determinare lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale, è applicato anche dalla Norvegia, le autorità tedesche avevano interpellato le autorità di detto Stato per domandare loro di prendere in carico L. R. Queste ultime però avevano rifiutato ritenendo che la Norvegia non fosse più competente per l’esame della sua domanda, secondo quanto disposto dal Regolamento Dublino III. In un secondo momento, le autorità tedesche avevano respinto la domanda di asilo di L. R. in quanto inammissibile, poiché si trattava di una «seconda domanda» e non sussistevano le condizioni necessarie per giustificare, in una siffatta ipotesi, l’avvio di una nuova procedura d’asilo.

L. R. ha pertanto presentato ricorso contro detta decisione dinanzi allo Schleswig-Holsteinisches Verwaltungsgericht (Tribunale amministrativo dello Schleswig-Holstein, Germania). In tale contesto, quest’ultimo, il 30 dicembre 2019, ha deciso di sospendere il procedimento in corso e ha sottoposto, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, alla Corte di giustizia dell’Unione europea, ai fini di una decisione pregiudiziale,  la seguente questione: se sia compatibile con l’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), e con l’articolo 2, lettera q), della Direttiva 2013/32/UE una normativa nazionale in base alla quale una domanda di protezione internazionale può essere respinta in quanto domanda reiterata inammissibile qualora la prima infruttuosa procedura di asilo non sia stata condotta in uno Stato membro dell’UE, bensì in Norvegia.

A tal riguardo, il giudice del rinvio riconosce che dall’articolo 2, lettere b) ed e), della Direttiva 2013/32 emergerebbe che una siffatta «domanda precedente», nonché la decisione definitiva adottata nei confronti dell’interessato, deve riguardare la protezione conferita dalla Direttiva 2011/95 che è rivolta ai soli Stati membri. Tuttavia, il giudice del rinvio è propenso a ritenere che la Direttiva 2013/32 debba essere interpretata in maniera estensiva nel contesto dell’associazione della Norvegia al sistema europeo comune di asilo, quale risulterebbe dall’accordo tra l’Unione europea, l’Islanda e la Norvegia.

Ovviamente, la Norvegia non sarebbe vincolata dalle Direttive 2013/32 e 2011/95, ma il sistema di asilo norvegese sarebbe, sia dal punto di vista sostanziale sia dal punto di vista procedurale, equivalente a quello previsto nel diritto dell’Unione. Sarebbe dunque contrario all’obiettivo e alla finalità del sistema europeo comune di asilo, nonché all’associazione della Norvegia a quest’ultimo, obbligare gli Stati membri a espletare una prima procedura di asilo completa in una situazione come quella in esame nella controversia oggetto del procedimento principale.

Innanzitutto, occorre evidenziare che, nella domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice de quo muove dalla premessa secondo la quale l’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della Direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), di quest’ultima, si applica a un’ulteriore domanda di protezione internazionale rivolta a uno Stato membro dopo il rigetto, in una «decisione definitiva», ai sensi dell’articolo 2, lettera e), di tale Direttiva, di una domanda precedente, rivolta dallo stesso richiedente a un altro Stato membro.

Nelle osservazioni presentate alla Corte, il governo tedesco condivide tale approccio. Nelle sue osservazioni, la Commissione europea sostiene, invece, che l’ulteriore domanda di protezione internazionale può essere qualificata come «domanda reiterata», ai sensi dell’articolo 2, lettera q), e dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della Direttiva 2013/32, solo se è rivolta allo Stato membro le cui autorità competenti hanno respinto, con una decisione definitiva, una domanda precedente presentata dallo stesso richiedente. Tuttavia, poiché la questione sollevata verte su una domanda di protezione internazionale rivolta a uno Stato membro dopo il rigetto di una domanda precedente rivolta dallo stesso richiedente a uno Stato terzo parte dell’accordo tra l’Unione, l’Islanda e la Norvegia, è solamente necessario, al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, stabilire se una siffatta domanda costituisca una «domanda reiterata», ai sensi dell’articolo 2, lettera q), e dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della direttiva 2013/32.

Tenuto conto di quanto appena detto, si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte UE, l’articolo 33, paragrafo 2, della Direttiva 2013/32 elenca esaustivamente le situazioni in cui gli Stati membri possono considerare inammissibile una domanda di protezione internazionale[1]. Secondo il giudice del rinvio, solo l’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della Direttiva 2013/32 potrebbe giustificare il rigetto, in quanto inammissibile, di una domanda come quella di cui trattasi nel procedimento principale[2].  

Nella sua sentenza, il giudice di Lussemburgo precisa che la nozione di «domanda reiterata», è definita all’articolo 2, lettera q), della Direttiva 2013/32 come riguardante un’ulteriore domanda di protezione internazionale presentata dopo che è stata adottata una decisione definitiva su una domanda precedente e riprende pertanto le nozioni di «domanda di protezione internazionale» e di «decisione definitiva», parimenti definite all’articolo 2 di detta Direttiva, rispettivamente alla lettera b) e alla lettera e) di quest’ultimo.

Per quanto attiene, in primo luogo, alla nozione di «domanda di protezione internazionale» o di «domanda», essa è definita all’articolo 2, lettera b), della Direttiva 2013/32 come riguardante una richiesta di protezione «rivolta a uno Stato membro» da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide, di cui si può ritenere che intenda ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria, ai sensi della Direttiva 2011/95. Secondo la Corte UE discende, quindi, dalla chiara formulazione di tale disposizione, che una domanda rivolta a uno Stato terzo non può essere intesa come una «domanda di protezione internazionale» o una «domanda» ai sensi di detta disposizione.

Per quanto riguarda, in secondo luogo, la nozione di «decisione definitiva», essa è definita all’articolo 2, lettera e), della Direttiva 2013/32 come una decisione che stabilisce se a un cittadino di un Paese terzo o a un apolide è concesso lo status di rifugiato o di protezione sussidiaria a norma della Direttiva 2011/95 e che non può più essere oggetto di impugnazione nell’ambito del capo V della direttiva 2013/32. Pertanto, i giudici di Lussemburgo rilevano che una decisione adottata da uno Stato terzo non può rientrare in tale definizione. Infatti, la Direttiva 2011/95, che è rivolta agli Stati membri e non riguarda gli Stati terzi, non si limita a prevedere lo status di rifugiato, quale stabilito nel diritto internazionale, vale a dire nella Convenzione di Ginevra, ma sancisce anche lo status conferito dalla protezione sussidiaria, il quale, come risulta dal considerando 6 di Detta direttiva, completa lo status di rifugiato.

Secondo la Corte UE, alla luce di tali elementi, e fatta salva la distinta questione se la nozione di «domanda reiterata» si applichi ad un’ulteriore domanda di protezione internazionale rivolta a uno Stato membro dopo il rigetto, con una decisione definitiva, di una domanda precedente da parte di un altro Stato membro, dal combinato disposto delle lettere b), e) e q) dell’articolo 2 della Direttiva 2013/32, emerge che una domanda di protezione internazionale rivolta a uno Stato membro non può essere qualificata come «domanda reiterata» se è presentata dopo che al richiedente sia stato rifiutato il riconoscimento dello status di rifugiato da parte di uno Stato terzo.  Di conseguenza, l’esistenza di una precedente decisione di uno Stato terzo, che ha respinto una domanda diretta al riconoscimento dello status di rifugiato, quale previsto dalla Convenzione di Ginevra, non consente di qualificare come «domanda reiterata», ai sensi dell’articolo 2, lettera q), e dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della Direttiva 2013/32, una domanda di protezione internazionale, ai sensi della Direttiva 2011/95, rivolta dall’interessato a uno Stato membro dopo l’adozione di tale precedente decisione. Nessun’altra conclusione, sottolinea la Corte, può essere tratta dall’accordo tra l’Unione, l’Islanda e la Norvegia.

È vero che, in forza dell’articolo 1 del suddetto accordo, il Regolamento Dublino III è attuato non solo dagli Stati membri, ma anche dalla Repubblica d’Islanda e dalla Norvegia. Pertanto, precisa il giudice di Lussemburgo, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, in cui l’interessato ha rivolto una domanda diretta al riconoscimento dello status di rifugiato a uno di questi due Stati terzi, uno Stato membro al quale tale interessato abbia presentato un’ulteriore domanda di protezione internazionale può, se sono soddisfatte le condizioni di cui alla lettera c) o alla lettera d) dell’articolo 18, paragrafo 1, del citato Regolamento, chiedere alla Repubblica d’Islanda o alla Norvegia di riprendere in carico l’interessato. Tuttavia, non se ne può dedurre che, qualora una siffatta ripresa in carico non sia possibile o non avvenga, lo Stato membro di cui trattasi sia legittimato a ritenere che l’ulteriore domanda di protezione internazionale presentata dallo stesso interessato alle proprie autorità costituisca una «domanda reiterata», ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della Direttiva 2013/32.

Infatti, sebbene l’accordo tra l’Unione, l’Islanda e la Norvegia preveda l’attuazione, da parte della Repubblica d’Islanda e della  Norvegia, di talune disposizioni del Regolamento Dublino III, e sancisca, al suo articolo 1, paragrafo 4, che, a tal fine, i riferimenti agli «Stati membri» contenuti nelle disposizioni riportate in allegato a tale accordo comprendono anche questi due Stati terzi, è anche vero che nessuna disposizione della Direttiva 2011/95 o della Direttiva 2013/32 è riportata in tale allegato.

Anche supponendo che, sottolinea la Corte, il sistema di asilo norvegese preveda un livello di protezione dei richiedenti asilo equivalente a quello previsto nella Direttiva 2011/95, tale circostanza non può condurre a una diversa conclusione.  Oltre al fatto che dalla formulazione univoca delle disposizioni pertinenti della Direttiva 2013/32 emerge, allo stato attuale del diritto eurounitario, che uno Stato terzo non può essere equiparato a uno Stato membro ai fini dell’applicazione dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), di quest’ultima, una siffatta equiparazione non può dipendere, con il rischio di pregiudicare la certezza del diritto, da una valutazione del livello concreto della protezione dei richiedenti asilo nello Stato terzo di cui trattasi.

Alla luce dell’insieme delle considerazioni sin qui svolte, i giudici di Lussemburgo rispondono alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 33, paragrafo 2, lettera d), della Direttiva 2013/32, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera q), di quest’ultima, deve essere interpretato nel senso che esso osta alla normativa di uno Stato membro che prevede la possibilità di respingere in quanto inammissibile una domanda di protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 2, lettera b), di detta Direttiva, rivolta a tale Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide la cui precedente domanda diretta al riconoscimento dello status di rifugiato, rivolta a uno Stato terzo che attua il regolamento Dublino III conformemente all’accordo tra l’Unione, l’Islanda e la Norvegia, sia stata respinta da tale Stato terzo.

Nella sua giurisprudenza, la Corte ha più volte dichiarato che il principio della fiducia reciproca tra gli Stati membri, sul quale si fonda il sistema europeo comune di asilo, riveste un’importanza fondamentale nel diritto dell’Unione, dato che consente la creazione e il mantenimento di uno spazio senza frontiere interne[3]. In particolare, essa ha espressamente riconosciuto che l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della Direttiva 2013/32 costituisce un’espressione di tale principio[4]. Da quest’ultima si evince chiaramente che, da un lato, una domanda rivolta a uno Stato terzo non può essere intesa come una «domanda di protezione internazionale» e, dall’altro, che una decisione adottata da un Paese terzo non può essere compresa nella definizione di «decisione definitiva». Pertanto è logico dedurre che l’esistenza di una precedente decisione di uno Stato terzo, che abbia respinto una domanda diretta al riconoscimento dello status di rifugiato, non permette di definire «domanda reiterata» una domanda di protezione internazionale richiesta dall’interessato ad un Paese membro successivamente all’adozione di tale decisione precedente e, a tal proposito, l’esistenza di un accordo tra l’Unione, l’Islanda e la Norvegia è irrilevante.

È interessante, infine, ricordare che la sentenza depositata dalla Corte si discosta dalle soluzioni proposte dell’Avvocato Generale che, nelle sue conclusioni presentate il 18 marzo 2021, osserva che la peculiarità della controversia oggetto del procedimento principale risiede nel fatto che L. R., a causa di provvedimenti di allontanamento, ha lasciato il territorio norvegese in esito alla prima procedura di asilo di cui è stato oggetto ed ha fatto ritorno nel proprio Paese d’origine prima di presentare una seconda domanda di protezione internazionale in Germania. L’AG spiega che, sotto la vigenza del Regolamento Dublino III, le domande presentate da cittadini di Paesi terzi come L. R., i quali, dopo essere stati allontanati verso il loro Paese d’origine, chiedono nuovamente la protezione internazionale, non rientrano in tale nozione. Pertanto, in via preliminare, l’Avvocato Generale aveva proposto ai giudici di Lussemburgo di considerare la domanda di cui trattasi nel procedimento principale, come una «nuova domanda», senza che la Repubblica federale di Germania potesse avere la possibilità di qualificarla come «domanda reiterata» e dichiararla inammissibile.

In via subordinata, l’AG, ha inoltre illustrato le ragioni per le quali riteneva che la circostanza che la decisione sia stata adottata da un altro Stato membro o, come nel caso di specie, dalla Norvegia, non impedisse allo Stato membro presso il quale è presentata una domanda di dichiararla inammissibile in quanto «domanda reiterata». A tal proposito egli aveva esaminato la fondatezza della premessa da cui muoveva il giudice del rinvio nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, ossia che tale disposizione non osta a che una domanda di protezione internazionale sia qualificata come «domanda reiterata» da uno Stato membro diverso da quello che ha adottato la precedente decisione definitiva negativa qualora il suo diritto nazionale lo consenta. L’avvocato Generale spiega che il motivo di inammissibilità previsto in detta disposizione poteva trovare applicazione non soltanto allorché presso lo stesso Stato membro erano presentate domande successive, ma anche nelle ipotesi di movimenti secondari, qualora lo Stato membro presso il quale il richiedente depositava una seconda domanda divenga lo Stato membro competente.

 

Prof.ssa Antonella Galletti, Docente a contratto di Diritto dell’Unione europea e cultore di Diritto internazionale Università “Kore” di Enna.

 

[1] Corte di Giustizia UE, sentenza del 19 marzo 2020, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (Tompa), C‑564/18

[2] Tale disposizione prevede che gli Stati membri possano respingere una domanda di protezione internazionale in quanto inammissibile allorché essa costituisce una domanda reiterata, qualora non siano emersi o non siano stati presentati dal richiedente elementi o risultanze nuovi ai fini dell’esame volto ad accertare se al richiedente possa essere attribuita la qualifica di beneficiario di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95.

[3] Corte di Giustizia UE, sentenza del 10 dicembre 2020, Minister for Justice and Equality, C 616/19.

[4] Corte di Giustizia UE, sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a., (C 297/17, C 318/17, C 319/17 e C 438/17.