CEDU: IRRICEVIBILITÀ DEI RICORSI PRESENTATI DA CITTADINI FRANCESI CONTRO IL GREEN PASS INTRODOTTO IN FRANCIA; IL RAPPORTO TRA OBBLIGO DI VACCINAZIONE, CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO E COSTITUZIONE ITALIANA.
Autore: Avv. Teresa Aloi
La Corte europea dei diritti dell’uomo nei mesi scorsi ha avuto modo di pronunciarsi in più occasioni sulla irricevibilità dei ricorsi presentati in ordine all’obbligatorietà della vaccinazione anti Covid-19.
La pandemia causata dal virus ha determinato una grave emergenza sanitaria e, pertanto, la protezione della salute pubblica è diventata una priorità assoluta per tutti gli Stati che hanno adottato normative finalizzate al contenimento dei contagi attraverso misure astrattamente limitative dell’esercizio del diritto alla libera circolazione dei cittadini e hanno imposto di fatto ad alcune categorie di soggetti l’obbligo di vaccinarsi.
L’imposizione di un “obbligo” di vaccinazione comporta una forte ingerenza nel godimento di alcuni diritti protetti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, primo fra tutti il diritto alla salute. Tale diritto comprende il principio del consenso libero ed informato secondo cui nessuno può essere obbligato a sottoporsi ad un determinato trattamento sanitario.
Esso, pertanto, costituisce il presupposto di legittimità del trattamento medico che non può essere imposto ma deve essere voluto dall’interessato. In quanto regola fondamentale di diritto, il principio del consenso libero ed informato è enunciato in vari trattati internazionali ed in norme nazionali, in particolare, a livello europeo dall’art. 5 della Convenzione di Oviedo (Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignità dell’essere umano nei confronti della biologia e della medicina, adottata il 4 aprile 1997, entrata in vigore il 1 dicembre 1999) e in Italia dall’art. 32 della Costituzione.
Il tema dell’obbligo vaccinale presenta profili di particolare complessità in quanto va ad interessare fondamentali valori e diritti costituzionali, tra i quali, appunto, il diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost., il dovere di solidarietà sociale previsto dall’art. 2 Cost. e la libertà di circolazione ex art. 16 Cost. La salute, infatti, non è solo oggetto di un diritto individuale, inteso come diritto alla cura e diritto a non curarsi, ma anche un interesse della collettività. Premesso che il trattamento sanitario obbligatorio può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente in maniera rilevante sullo stato di salute di colui che ad esso è assoggettato, occorre effettuare un necessario bilanciamento tra la minimizzazione dei rischi e la massimizzazione dei vantaggi mediante l’individuazione di una soglia di pericolo accettabile da compiersi sulla base di una completa ed accreditata letteratura medico scientifica. Nel caso della pandemia da Covid-19, non sono state ancora accertate le reazioni avverse e le complicanze derivanti dalla somministrazione del vaccino dato il ridotto lasso temporale della sua somministrazione.
E’ costituzionalmente legittimo, pertanto, calibrare lo spazio di libertà dei cittadini a secondo del possesso o meno delle “certificazioni verdi anti-Covid”?
Le limitazioni alla libertà di movimento sono giustificate e bilanciate dalla necessità di salvaguardare il bene della salute, declinato nella sua dimensione collettiva. Ogni situazione giuridica soggettiva costituzionalizzata reca in sé la possibilità di subire limitazioni, alcune sono espresse direttamente nel testo degli enunciati costituzionali, a salvaguardia dell’interesse generale, altre sono ricavabili, in via interpretativa, da una lettura “a sistema” della Carta costituzionale. Il principale limite implicito all’esercizio dei singoli diritti e delle singole libertà è sostanziato dal bilanciamento reciproco tra situazioni giuridiche soggettive pari ordinate, come sono quelle costituzionalmente previste.
Nessun diritto fondamentale può prevalere in assoluto, né essere totalmente sacrificato: tutti i diritti tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di “integrazione reciproca”. Ove così non fosse, infatti, si verificherebbe la “illimitata espansione” di uno di essi che diverrebbe prevalente nei confronti di altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette rinnegando il pluralismo dei valori su cui si basa la Carta repubblicana.
Il punto di equilibrio del bilanciamento tra beni protetti dalla Costituzione deve essere valutato ed effettuato “secondo criteri di proporzionalità e di ragionevolezza”, tali da non consentire un sacrificio del loro nucleo essenziale.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 268/2017 ha stabilito che gli obblighi di vaccinazioni obbligatorie possono essere considerati necessari in una società democratica. E’ evidente che la copertura vaccinale può essere imposta ai cittadini dalla legge solo con forme di coazione indiretta come quella relativa al possesso del Green Certificate o quella di inibire lo svolgimento di determinate attività in assenza di vaccinazione, quali, ad esempio, quelle sanitarie. Nello stesso tempo, va considerato che il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio 2021/953 del 14 giugno 2021, al considerando 36 stabilisce che “è necessario evitare discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anti Covid-19 è attualmente somministrato e consentito, come i bambini, o perché non hanno ancora avuto l’opportunità di essere vaccinate o hanno scelto di non essere vaccinate. Pertanto, il possesso di un certificato di vaccinazione, o di un certificato di vaccinazione che attesti l’uso di uno specifico vaccino anti Covid-19 non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l’esercizio del diritto di libera circolazione o per l’utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri quali linee aeree, treni, pulman, traghetti o qualsiasi altro mezzo di trasporto. Inoltre, il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo ad essere vaccinati”. Il Regolamento 2021/953 sul certificato digitale dell’Unione europea prevede il rilascio di un pass sanitario ad ogni cittadino e residente dell’Unione al fine di permettere la libera circolazione nel territorio dell’Unione durante la pandemia Covid-19. Per evitare discriminazioni arbitrarie è stato previsto il rilascio di tale pass sia a chi si è sottoposto a vaccinazione sia a chi, invece, non si è vaccinato. Il pass sanitario, infatti, è rilasciato alle persone che hanno completato il ciclo di vaccinazioni ma anche a coloro che, non vaccinati, hanno effettuato test Covid-19 con risultato negativo entro le 48 o 72 ore prima del viaggio a seconda del tipo di test effettuato. Inoltre, è rilasciato un pass sanitario con durata di sei mesi anche a coloro che sono guariti dal Covid-19.
E’ importante evidenziare che il Consiglio d’Europa si è recentemente espresso nella risoluzione n. 2361/2021 sui vaccini contro il Covid-19. Esso ha fortemente incoraggiato campagne di vaccinazione su base volontaria e ha affermato che nessuno deve subire pressioni politiche, economiche e sociali per vaccinarsi. L’imporre di effettuare un test Covid-19 ogni 48 o 72 ore per accedere a servizi utilizzati quotidianamente oppure per partecipare a differenti eventi sociali può effettivamente comportare una pressione politica e sociale tale da obbligare le persone contrarie a vaccinarsi, ponendosi, quindi, in contrasto con le linee guida previste dal Consiglio d’Europa. In particolare, può porsi il dubbio che misure meno invasive dei diritti umani possono essere messe in atto per garantire la salute pubblica. D’altro lato, però, la crisi sanitaria ed economica creata dalla pandemia ha richiesto l’imposizione di misure drastiche al fine di combattere il virus e per assicurare la salute individuale e pubblica, misure che hanno materialmente limitato il godimento di diritti umani. Bisogna sottolineare che nei casi di estrema urgenza, la Corte europea ha sempre concesso agli Stati ampio margine di apprezzamento, in quanto essi sono i primi a saper valutare quali misure siano necessarie per affrontare la crisi in questione nei propri territori.
Negli ultimi anni, tuttavia, in deroga al principio del consenso libero ed informato a sottoporsi ad un determinato trattamento sanitario, alcuni Stati europei, tra cui l’Italia, hanno imposto obblighi di vaccinazione al fine di contrastare diverse malattie infantili ben conosciute dalla scienza e molto diffuse tra la popolazione, tra cui, per esempio, il tetano o la rosolia. Tali obblighi sono stati introdotti al fine di garantire la salute pubblica di fronte ad un pericoloso calo del tasso di vaccinazione che si è registrato negli ultimi anni. Numerosi dibattiti si sono susseguiti sull’impatto degli obblighi di vaccinazione imposti dagli Stati sul godimento di alcuni diritti umani, in particolare, il diritto all’autodeterminazione nella scelta delle cure sanitarie ed il diritto a rifiutare trattamenti medici che sono contrari alla propria coscienza o religione, protetti, rispettivamente, dagli artt. 8 e 9 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Benchè gli Stati non possano costringere alcuno a subire la vaccinazione, essi hanno previsto nelle loro leggi nazionali diverse sanzioni in caso di inosservanza dell’obbligo imposto. Tali sanzioni possono limitare notevolmente il godimento di diritti umani e determinare quella pressione politica, sociale ed economica tale da costringere a vaccinarsi anche coloro che sono contrari.
Se il bilanciamento rappresenta sempre “la stella polare” per orientarsi in tema di diritti fondamentali, la soluzione circa la costituzionalità dell’assetto normativo in tema di “certificazioni verdi Covid-19” deve passare necessariamente attraverso l’equilibrio dei valori contrapposti. E’ proprio l’equilibrio tra “diritti inviolabili” e “doveri inderogabili” ad assicurare la convivenza civile, nonché a sostenere il circuito democratico-sociale della nostra Costituzione consentendone il virtuoso funzionamento: un equilibrio che, nella prospettiva di garantire l’interesse comune, impone di accettare parziali ed equilibrate limitazioni anche delle proprie pretese.
Si evidenzia, pertanto, come in tema di vaccinazioni, emerga il dualismo ontologico del diritto costituzionale alla salute: da un lato, vi è la dimensione puramente individuale, dall’altro emerge il profilo pubblico da intendersi come interesse della collettività. E’ chiaro che i diritti costituzionali coinvolti sono molteplici: la libera autodeterminazione della persona nella scelta delle cure, l’interesse collettivo alla salute, la libertà dell’essere umano sulla propria struttura esistenziale, l’interessa del minore alla salute da compiersi attraverso il diritto-dovere dei genitori di tutelare la crescita dei figli.
Il bilanciamento di tali posizioni spetta, allora, alla discrezionalità del legislatore che deve modulare gli interventi necessari per garantire la salute della collettività.
La questione, oggi, è diventata di particolare rilevanza dal momento che la diffusione del Covid-19 ha costretto gli Stati ad una campagna di vaccinazione di massa che ha comportato, da parte di alcuni, la denuncia circa il rischio che si instauri una vera e propria dittatura sanitaria in violazione del diritto di autodeterminazione nella scelta delle cure sanitarie, oltre al rischio di reazioni avverse e di pregiudizi per la salute dei vaccinati, più gravi di quelli che si intendono prevenire con le vaccinazioni stesse, ritenendo, pertanto, che il legislatore non dovrebbe imporre coattivamente tale trattamento. Al contrario, si ritiene che soltanto la più ampia vaccinazione dei cittadini possa costituire una misura necessaria ed idonea a garantire la loro salute ed a proteggere la salute delle fasce più deboli (anziani e malati) o di coloro che, per particolari patologie, non possono vaccinarsi.
Da qui la presentazione alla Corte europea dei diritti dell’uomo di diversi ricorsi sull’obbligo di vaccinazione imposto.
Ricordiamo la sentenza pronunciata dalla Corte UE l’8 aprile 2021 (caso Vavricka e altri c. Repubblica Ceca, analizzata in una precedente pubblicazione nella Rivista Telematica Foroeuropa n.3 Settembre-Dicembre 2021), nella quale sono indicati i principi anche di carattere generale che giustificano l’obbligo di vaccinazione, quali: l’obiettivo perseguito attraverso tale obbligo, quale quello di protezione davanti a perturbazioni della società causate da gravi malattie. Quando gli obiettivi perseguiti sono la tutela della salute e della vita altrui non occorre dimostrare anche il rispetto degli altri scopi indicati dall’art. 8 Cedu che consentono la limitazione alla vita privata (sicurezza pubblica, benessere economico dello Stato). L’obbligo di vaccinazione deve rispondere ad un urgente bisogno sociale, devono sussistere motivi pertinenti e sufficienti ed occorre valutare il grado di sicurezza dei vaccini alla luce delle considerazioni scientifiche, la previsione dell’esecuzione dell’obbligo per i soggetti con controindicazioni permanenti al vaccino, la previsione, nel rispetto del principio di proporzionalità, di sanzioni e non la somministrazione obbligatoria, la possibilità di promuovere ricorsi interni al fine di garantire agli interessati il diritto di contestare le conseguenze dell’inosservanza dell’obbligo.
Alla base del pensiero dei giudici di Strasburgo, espresso in tale sentenza, vi è un principio chiave, codificato all’art. 8, paragrafo 2, della Convenzione: non ogni ingerenza nel diritto al rispetto della vita privata è vietato. Non sono proibite, infatti, quelle ingerenze dell’autorità pubblica previste dalla legge e che hanno la natura di misure che in una società democratica sono necessarie alla sicurezza nazionale, alla pubblica sicurezza, al benessere economico del Paese, alla difesa dell’ordine ed alla prevenzione dei reati, alla protezione della salute o della morale o alla protezione dei diritti e delle libertà altrui. In presenza di tali condizioni, concludono i giudici, l’obbligo vaccinale non entra in conflitto con la tutela dei diritti umani. Tuttavia, la Corte ha richiesto agli Stati di rispettare diverse garanzie qualora impongano un obbligo di vaccinazione; in particolare, devono garantire l’accesso all’informazione sulla campagna vaccinale, effettuare controlli sugli effetti dei vaccini sulla popolazione e prevedere nella normativa nazionale un diritto al risarcimento in caso di danni alla salute causati dalla somministrazione dei vaccini stessi.
Mentre nel caso precedente la Corte europea si è espressamente pronunciata, in altri casi, invece, ha rigettato i ricorsi presentati ritenendoli irricevibili.
Si tratta del caso del ricorso presentato da 672 pompieri (ricorso n. 41950/2021, Abgral and 671 Others c. Francia) contro la legge francese del 5 agosto 2021, n. 1040, che imponeva l’obbligo vaccinale per Covid-19 e che, in difetto, comportava la loro sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, ritenuto irricevibile dalla Corte perché nella fattispecie i ricorrenti non sarebbero esposti ad un “reale rischio di danni irreparabili” alla vita o alla integrità fisica. La CEDU ha dichiarato irricevibile anche il ricorso presentato da un cittadino francese contro il Green Pass introdotto in Francia (ricorso n. 41994/2021, Zambrano c. Francia). Il ricorrente sosteneva la contrarietà all’art. 3 della Convenzione sul divieto di trattamenti inumani e degradanti, all’art. 8 sul diritto al rispetto della vita privata e familiare, all’art. 14 sul divieto di discriminazione ed all’art. 1 del Protocollo n. 12 (divieto generale di discriminazione) delle regole francesi sul Green Pass richiesto per accedere a determinati luoghi chiusi senza, però, disporre contemporaneamente alcun obbligo vaccinale, fatta eccezione per determinate categorie di lavoratori come quelle che operano in ambito sanitario.
Il ricorrente è a capo di un movimento denominato “NO PASS” e ha creato un sito web per opporsi alle decisioni del governo francese. Egli sostiene che la legge sul pass sanitario serve ad obbligare le persone a vaccinarsi, ma il vaccino rischia di far ammalare chi lo fa, ne minaccia l’integrità fisica e costituisce un’ingerenza discriminatoria nella vita privata dei cittadini.
I giudici di Strasburgo hanno dichiarato irricevibile il ricorso presentato, evidenziando come il ricorrente avesse messo in atto una strategia precisa e legale per inondare la Corte europea di ricorsi (circa 18 mila) aventi lo stesso oggetto. Nella decisione definitiva di rigetto la Corte ha osservato che il ricorrente non ha fornito informazioni che dimostrino come la legge sul pass sanitario violi i suoi diritti. Egli, infatti, non ha dato prova della sua condizione di vittima, cioè, che le leggi contestate abbiano inciso sul diritto individuale al rispetto della propria vita privata, così come non ha dato prova dell’incidenza della norma sui diritti convenzionali nel caso di persone vaccinate. Inoltre, da un punto di vista procedurale, il ricorrente non ha adito prima i tribunali francesi e non ha dimostrato che ciò non avrebbe prodotto alcun risultato.
Tali condizioni sono essenziali affinchè la CEDU esamini un ricorso, per cui i giudici hanno criticato il ricorrente per aver abusato del proprio diritto ad agire con una strategia che aveva come solo scopo quello di “imbottigliare, ingolfare e inondare” la Corte incorrendo in un abuso del proprio diritto.
Possiamo senz’altro dire che tutte queste decisioni di irricevibilità dei ricorsi adottate dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, non costituiscono pronunce sul merito o non hanno motivato espressamente circa l’obbligo della vaccinazione contro il Covid-19, tranne nel caso VavrieKa e altri contro Repubblica Ceca.
Bisogna evidenziare, inoltre, come, ad oggi, nessuno Stato europeo ha imposto un obbligo generale di vaccinazione contro il virus per tutta la popolazione. Tuttavia alcuni Stati hanno previsto obblighi per alcune categorie di persone che sono più esposte alla possibilità di contagio quali gli operatori sanitari, il corpo insegnante o i funzionari pubblici.
L’Italia è stato il primo Paese europeo ad imporre un obbligo di vaccinazione contro il Covid-19 per gli operatori sanitari. In caso di inadempimento la legge italiana prevede la sospensione del lavoratore non vaccinato dal diritto di svolgere mansioni che comportano il rischio di diffusione del virus. La legge prevede che al lavoratore colpito da tale sospensione devono essere attribuite altre funzioni, anche inferiori, che non implichino il rischio di contagi. Il trattamento dei lavoratori sarà corrispondente alla nuova mansione da lui esercitata, tuttavia, nell’impossibilità di attribuirgli tale funzione, la legge prevede che il lavoratore sia sospeso da ogni funzione senza ricevere alcuna retribuzione o altro compenso.
L’obbligo di vaccinazione imposto dalla legge italiana per gli operatori sanitari ha fatto molto discutere circa la sua conformità alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Le misure previste dalla legge non sembrano perseguire uno scopo punitivo quanto piuttosto evitare la diffusione della pandemia in un settore ad alto rischio di contagi. La legge italiana, infatti, prevede la sospensione del lavoratore solo quando egli compie funzioni che, per contatto o per altro motivo, comportino tale rischio. Tuttavia, la sanzione prevista in caso di inadempimento all’obbligo di vaccinazione comporta un’importante ingerenza nei diritti degli interessati che, nel migliore dei casi, si vedono attribuire un’altra funzione con parità di trattamento, e, nel peggiore dei casi, sono sospesi da ogni funzione senza percepire alcuna retribuzione o compenso. E’ dubbio se, in base alla giurisprudenza della Corte europea, tali sanzioni costituiscono misure necessarie e proporzionali al fine di evitare il rischio di contagi oppure se esse comportino ingerenze arbitrali nel godimento dei diritti umani protetti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Per quanto attiene, invece, ai profili di legittimità costituzionale dell’obbligo vaccinale vanno analizzati alcune precedenti pronunce della Corte Costituzionale.
Nella sentenza n. 307/1990, la Corte Costituzionale ha precisato che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 della Costituzione se il trattamento sia diretto a migliorare o preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri, giacchè è proprio tale ulteriore scopo, attinente alla salute come interesse della collettività, a giustificare la compressione di quella autodeterminazione dell’uomo che inerisce al diritto di ciascuno alla salute in quanto diritto fondamentale. Successivamente, la Corte Costituzionale nella sentenza n.218/1994, ha stabilito che la tutela della salute implica anche “il dovere dell’individuo di non ledere né porre a rischio con il proprio comportamento la salute altrui, in osservanza al principio generale che vede il diritto di ciascuno di trovare un limite nel reciproco riconoscimento e nell’eguale protezione del coesistente diritto degli altri”.
Recentemente sono innumerevoli le richieste risarcitorie avanzate da soggetti che hanno riportato effetti avversi a seguito della somministrazione di vaccini anti Covid-19.Come affermato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 307/1990, un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo per quelle conseguenze che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiono normali di ogni intervento sanitario e, pertanto, tollerabili, quali, ad esempio, astenia, aumento della temperatura corporea, dolori alla parte del corpo oggetto di inoculazione del vaccino.
Il problema si pone quando, a seguito della vaccinazione obbligatoria, derivi un danno alla salute subito da chi vi si è sottoposto. In merito, l’art. 1 della legge 25 febbraio 1992, n. 210, stabilisce che “chiunque abbia riportato, a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge, o per ordinanza, di un’autorità sanitaria italiana, lesioni o infermità, dalle quali sia derivata una menomazione permanente dell’integrità psico-fisica, ha diritto ad un indennizzo da parte dello Stato”.
Pertanto, il legislatore ha previsto, a prescindere dalle valutazioni negative sul grado di affidabilità scientifica delle vaccinazioni, un indennizzo da parte dello Stato in favore del soggetto che, a seguito di vaccinazione, abbia riportato delle lesioni o infermità permanenti e sembrerebbe riconoscere tale diritto solo nelle ipotesi di vaccinazione obbligatoria.
In realtà non è così. La stessa Corte Costituzionale, con la sentenza n. 27/1998, con la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 210/1992, ha precisato che “non è costituzionalmente lecito alla stregua degli artt. 2 e 32 della Costituzione richiedere che il singolo esponga a rischio la propria salute per un interesse collettivo, senza che la collettività stessa sia disposta a condividere, come è possibile, il peso delle eventuali conseguenze negative; non vi è ragione di differenziare, dal punto di vista del suddetto principio, il caso in cui il trattamento sanitario sia imposto per legge da quello in cui esso sia, in base ad una legge, promosso dalla pubblica autorità in vista della sua diffusione capillare nella società (nello stesso senso anche Corte Cost. n. 423/2000, in tema di trasfusioni; Corte Cost. n. 107/2012, in tema di vaccinazione contro il morbillo, parotite e rosolia; Corte Cost. n. 268/2017, in tema di danni da vaccino influenzale; Corte Cost. n. 118/2020, in tema di lesioni o infermità permanenti a seguito di vaccinazione non obbligatoria contro il virus dell’epatite A).
E’ ragionevole ritenere, pertanto, che l’indennizzo previsto dalla legge possa essere riconosciuto, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata, anche nel caso di vaccinazioni non obbligatorie, ma fortemente consigliate dallo Stato, come nel caso in esame.
Per completezza, occorre rilevare che l’attribuzione di tale indennizzo non pregiudica il diritto del danneggiato dalla somministrazione del vaccino di ottenere l’integrale risarcimento del danno che trova il suo fondamento in un fatto illecito, imputabile a titolo di dolo o colpa secondo la disciplina generale in tema di responsabilità civile ex art. 2043 c.c.
Il danno sofferto da soggetto sottoposto a vaccinazione obbligatoria o facoltativa, può essere causato sia da chi materialmente ha somministrato il vaccino, sia dal produttore dello stesso. Se il vaccino è difettoso, cioè non è sicuro, infatti, sussiste la responsabilità del produttore. La Corte di Cassazione, nella sentenza n. 12225 del 10 maggio 2021, ha chiarito che non è sufficiente indicare genericamente sul bugiardino che il farmaco non è sicuro ma è necessario, per escludere la propria responsabilità, indicare sul foglietto informativo tutti i rischi relativi all’uso del vaccino in modo da mettere la persona in grado di scegliere liberamente e consapevolmente se esporsi o meno al rischio. Il danneggiato deve provare il difetto del vaccino ed il nesso causale con il danno che lamenta. Il produttore, per escludere la propria responsabilità, dovrà dimostrare che il difetto non esisteva al momento in cui ha prodotto e messo in circolazione il vaccino o che quel difetto non era conoscibile in base alle conoscenze tecnico-scientifiche e per tale motivo quel difetto non è stato specificamente segnalato sul foglietto informativo.
Chiaramente solo in presenza di un vaccino difettoso è possibile ottenere un risarcimento del danno a seguito di lesioni subite, in quanto la Direttiva 85/374/CEE del 25 luglio 1985, in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, prevede che il “danneggiato deve provare il danno per difetto e la connessione causale tra difetto e danno”. La prova circa la sussistenza del nesso causale tra vaccinazione e danno alla salute non è affatto facile.
Al riguardo, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, con la sentenza del 21 giugno 2017 (C-621/2015) ha stabilito che “il giudice di merito, chiamato a pronunciarsi su un’azione diretta ad accertare la responsabilità del produttore di un vaccino per danno derivante da un asserito difetto di quest’ultimo, può ritenere, nell’esercizio del libero apprezzamento conferitogli al riguardo che, nonostante la constatazione che la ricerca medica non stabilisce né esclude l’esistenza di un nesso tra la somministrazione del vaccino e l’insorgenza della malattia da cui è affetto il danneggiato, taluni elementi in fatto invocati dal ricorrente costituiscono indizi gravi, precisi e concordanti, i quali consentono di ravvisare la sussistenza di un difetto del vaccino e di un nesso di causalità tra detto difetto e tale malattia”.
Poiché la vaccinazione anti Covid-19 comporta un rischio per il singolo a beneficio sia dello stesso ma anche della collettività, appare ragionevole prevedere in ipotesi di lesioni o infermità derivanti da vaccinazione obbligatoria o facoltativa, non solo un indennizzo, ma anche un risarcimento del danno qualora sussistano i requisiti di cui all’art. 2043 c.c.
Sotto il profilo risarcitorio è di fondamentale importanza la pronuncia della Corte Costituzionale n. 118/2020, che ha portato all’affermazione del ristoro anche per le vaccinazioni non obbligatorie; la sentenza additiva estende l’applicazione di una fattispecie oltre i casi originariamente previsti dal legislatore atteso che illegittima, per irragionevole disparità di trattamento, la mancata previsione dell’indennizzo per i vaccini non obbligatori.
L’indennizzo non è l’unico istituto, riconoscendosi, in danno dello Stato, anche il dover risarcire il danno, laddove ne ricorrono i presupposti. Lo strumento risarcitorio e quello indennitario sono diversi tra loro, non solo con riferimento ai presupposti ma anche rispetto agli effetti. L’indennizzo, infatti, costituisce una forma di ristoro derivante da un’attività lecita ma lesiva, di conseguenza viene erogato in tutti quei casi in cui non si può parlare di danno ingiusto (e quindi non vi sarebbe alcun obbligo di risarcire i pregiudizi prodotti) ma viene ritenuto, comunque, opportuno che il soggetto leso riceva una somma, in modo da riequilibrare una situazione che rischierebbe di diventare ingiusta.
Il risarcimento, invece, viene imposto dalla legge per riparare un danno ingiusto; esso ha natura sia sanzionatoria sia riparatoria, avendo come presupposto la presenza di un danno ingiusto da ristorare. Essenziale è che vi sia la prevedibilità della conseguenza dannosa e l’elemento soggettivo, cioè la presenza del dolo o della colpa dell’agente.
L’aspetto più problematico legato al danno da vaccino è senza dubbio la prova del nesso di causalità, onere che ricade sul danneggiato. Sebbene l’accertamento di tale nesso sia più agevole nel processo civile di quanto non lo sia nel processo penale (in cui è richiesta la certezza oltre ogni ragionevole dubbio), va rilevato che anche la prova del più probabile può essere controversa. Quando si osserva la casistica giurisprudenziale, infatti, può notarsi come non sempre i giudici di merito hanno riconosciuto l’esistenza del nesso di causalità.
Questi concetti sono assolutamente attuali per la pandemia da Covid-19, anche se il profilo essenziale che interessa la vaccinazione anti Covid-19 è il consenso e l’informazione sul farmaco inoculato.
La legge n. 219 del 22 dicembre 2017 (Norme in materia di consenso informato e disposizioni anticipate al trattamento; detta anche legge sul Biotestamento) all’art. 1 stabilisce che la persona debba essere informata, in modo completo, aggiornato ed a lei comprensibile riguardo ai benefici, ai rischi del trattamento sanitario, sulle possibili alternative e sulle conseguenze dell’eventuale rifiuto del trattamento. Non è sufficiente un’informazione generica che non consente di valutare i rischi ai quali si va incontro. Se l’informativa viene ritenuta dai giudici completa ed idonea a consentire alla persona di valutare consapevolmente tutti i rischi che corre vaccinandosi, il danneggiato non otterrà il risarcimento dei danni subiti. Al contrario, se l’informativa non viene ritenuta idonea e completa il danneggiato otterrà il risarcimento dei danni in sede civile poiché “lo scudo penale” previsto dalla legge mette al riparo i medici vaccinatori solo sotto il profilo penale. I medici non rispondono dei reati di lesioni colpose o di omicidio colposo ma sono responsabili dei danni derivanti dalla somministrazione del vaccino in mancanza di idoneo consenso informato.
Il punto dolente al tempo del Covid-19 non è solo quello di ristorare il danneggiato da danno in caso di vaccinazione obbligatoria o non obbligatoria, quanto, piuttosto, consentire al paziente di evitare il danno e di conoscere effettivamente quello eventualmente derivante (come effetto collaterale raro, ma previsto o prevedibile) dal farmaco che si sta inoculando ed, in particolare, di informarlo in modo corretto al fine di garantire l’esercizio della scelta del farmaco opzionale e poter fornire e/o esprimere un consenso valido.
Il profilo cruciale, pertanto, è che se si tende a passare dal concetto di autodeterminazione a quello di responsabilità per poi giungere a quello dell’obbligatorietà, non può prescindersi dall’informazione corretta e seria sul farmaco che il vaccinando andrà ad iniettarsi.
L’informazione sul vaccino appare non solo indispensabile per il paziente, ma anche un atto di responsabilità morale per il somministrante ed una scriminante per lo stesso. Essa, infatti, più che rappresentare un’espressione di garanzia liberatoria per il somministrante deve rappresentarsi come una forma di conoscenza assoluta ed indispensabile che induca il paziente ad esercitare il suo diritto di scelta. Quando si parla di consenso in termini igienico-sanitario va sottolineato che deve trattarsi di consenso effettivamente informato: informazione seria, trasparente e completa. Più l’informazione sul vaccino (o in genere sul farmaco) è precisa, maggior forza e sostanza di validità ha il consenso.
Nel caso del vaccino anti Covid-19 le informazioni che la scienza medica è in grado di fornire hanno un sufficiente grado di insufficienza, pertanto, come può prestarsi un consenso su qualcosa su cui non vi è un’informazione completa. Tale assunto ha senso di essere se si considera che il consenso, per come oggettivamente articolato nella fase di prevaccinazione sul vaccino anti Covid-19, viene dato quasi al buio atteso che occorre accettare un rischio non calcolato ed imprecisato derivante dal fatto che non si conoscono ancora gli effetti del farmaco a lungo termine, né gli effettivi risultati di tale medicina difensiva. I danni (eventuali o certi) che si possono realizzare sulla salute di un essere umano non sono controllabili in quanto sottratti ad una visione di insieme nella prospettiva futura.
L’interrogativo sollevato da alcuni sulla base di tali considerazioni è, pertanto, il seguente: quando il vaccinato sottoscrive il modulo, la sua sottoscrizione equivale ad un consenso informato o è piuttosto una mera dichiarazione la cui rilevanza non trova precise allocazioni giuridiche?
Al momento il vaccino anti Covid-19 è obbligatorio per alcune categorie professionali e per accedere a dei servizi al fine di garantire un’ampia tutela del diritto alla salute.
Il fatto è che questa impostazione stride con un’informazione corretta. Sembra più corretto ritenere, pertanto, che il vaccino anti Covid-19 sia un intervento medico-sanitario dettato dallo stato di necessità; esso non va configurato come inoculazione basata sul presupposto del consenso, perché esso non è configurabile se non vi è un’informazione sufficiente.
Tutto questo conferma che, al momento, vi è una chiara volontà politica alla quale si sta assecondando il diritto, come spesso è accaduto nel corso della nostra storia. La volontà politica europea sembra essere quella di indirizzare e sostenere i Paesi ad attuare misure finalizzate a rendere effettivo l’obbligo vaccinale tanto nella misura diretta quanto nella sua misura indiretta. Per completezza va anche indicato come i Paesi dell’Unione europea abbiano adottato strumenti e strategie diverse, in alcuni casi completamente opposti come, per esempio, tra Gran Bretagna, Italia e Austria. Nel primo , infatti, non si sono adottate misure restrittive e non vi è una forte pressione politica, sociale e di informazione, nel secondo, invece, si respira, a detta di alcuni, una forma di “strategia del terrore” con ampie sacche di controsensi nell’adozione di comportamenti e provvedimenti da parte delle istituzioni.
I provvedimenti adottati dai diversi Paesi dell’Unione, però, sono destinati a modificarsi nei prossimi giorni di fronte ad una nuova ondata di contagi. L’Austria ha disposto l’obbligo di vaccinazione a partire da febbraio 2022, introducendo così tale obbligo generalizzato per la prima volta.
Stiamo ancora vivendo una situazione in continua evoluzione. L’Italia ha appena adottato nuovi provvedimenti in vista della c.d. “quarta ondata” che ha già invaso gli altri Paesi europei. La preoccupazione si è rafforzata in vista delle festività natalizie.
E’ del 24 novembre scorso il nuovo decreto adottato dal Governo italiano che prevede un inasprimento delle regole da osservare (valide dal 6 dicembre 2021 al 15 gennaio 2022) con l’introduzione di una serie di divieti per coloro che non posseggono la “certificazione verde”. Si è adottato il c.d. “Green Pass rafforzato” per i vaccinati con ciclo completo e per coloro che hanno avuto il Covid-19 prevedendo, inoltre, la riduzione della sua validità da 12 a 9 mesi. Lo scopo di tale provvedimento è costringere alla vaccinazione coloro che mostrano delle titubanze a sottoporsi all’inoculazione del vaccino (al momento risulta vaccinato quasi il 90% della popolazione).
Il 25 novembre l’EMA ha consentito la vaccinazione anche dei bambini dai 5 agli 11 anni che in Italia comincerà a partire dal 15 dicembre prossimo.
E’ da sottolineare, purtroppo, un certo disorientamento da parte della popolazione, aggravato anche dal fatto che sta emergendo una minore protezione rispetto a quella inizialmente prevista, dal punto di vista temporale, dei vaccini effettuati. Anche i soggetti vaccinati con ciclo completo si stanno infettando provocando focolai e nuove chiusure (c.d. zone rosse). L’incertezza e la non sempre coerenza dei provvedimenti adottati è quello che, forse, preoccupa maggiormente e rafforza la sfiducia di molti verso le istituzioni e le loro decisioni che per tanti sembrano contrari ai principi democratici che caratterizzano la nostra storia repubblicana. A ciò si aggiunga che alla positività dei soggetti vaccinati, pertanto, detentori di Green Pass, accertata tramite tampone non sempre corrisponde la contemporanea sospensione della certificazione con la conseguenza che tali soggetti possono liberamente circolare trasformandosi in veicoli del virus. Va, obiettivamente, denunciato e fortemente criticato, il clima di vera contrapposizione sociale che si è venuto a creare tra coloro che sono vaccinati ed coloro che non lo sono come conseguenza dei provvedimenti adottati dal Governo. Questo certo non può rientrare tra gli obiettivi che uno Stato democratico deve porsi; la pacificazione, la solidarietà sociale, la trasparenza e la coerenza delle informazioni, senza dubbio, ci aiuteranno a superare questo momento difficile per l’intera umanità.
Avv. Teresa Aloi, Foro di Catanzaro.