EDITORIALE
IL CLIMA NEL DIRITTO EUROPEO E NEI SUOI RACCORDI INTERNAZIONALI, ALLO STATO ATTUALE E IN PROSPETTIVA DOPO L’ALLARMANTE RAPPORTO DELL’ONU.
Autore: Prof. Claudio De Rose, Direttore responsabile e coordinatore scientifico
1.-La normativa europea sul clima si è di recente arricchita del regolamento (UE) 2021/1119 del Parlamento e del Consiglio, adottato in prima lettura il 30 giugno 2021 e in corso di definizione e successiva pubblicazione.
La portata di questo nuovo atto normativo è significativamente enunciata dalla sua intestazione quale regolamento “che istituisce il quadro per il conseguimento della neutralità climatica e che modifica il regolamento (CE) n.401/2009 e il regolamento (UE) 2018/1999”, cioè la precedente normativa europea in materia.
Non sorprenda che l’Unione europea, legiferando in materia di clima con un così importante atto nel giugno di quest’anno 2021, abbia preceduto il messaggio d’allarme lanciato nel successivo mese di agosto dall’ONU, attraverso la pubblicazione del rapporto dell’IPCC (Intergovernamental Panel on Climate Change).
In realtà, la U.E. non si è limitata a porre in evidenza i rischi connessi ai cambiamenti climatici e la “minaccia esistenziale” insita negli stessi e sottolineata nel primo “considerando” del testo regolamentare, ma, come confermano gli altri suoi 39 “considerando”, essa ha inteso concretizzare il suo pieno e incondizionato impegno in tema di clima, assunto nei riguardi del Resto del Mondo a partire dall’Accordo di Parigi del 2015/2016.
L’impegno è quello di potenziare al massimo gli sforzi per far fronte ai cambiamenti climatici e di attuare, a tal fine, una strategia di crescita che favorisca il benessere dei cittadini ed elimini la povertà progressivamente riducendo, però, i danni che possono derivarne al clima.
Di qui l’importanza di garantire il raggiungimento, il più presto possibile ed al massimo entro il 2050, della neutralità climatica attraverso il progressivo azzeramento delle cause umane degli anomali cambiamenti climatici, prima fra tutte le emissioni di gas a effetto serra.
Nella concezione della neutralità climatica sembra avere un ruolo fondamentale l’abbinamento tra clima ed ambiente, che viene in evidenza in più parti del regolamento in esame, a cominciare dal richiamo, quale sua norma primaria, dell’art.192, paragrafo 1 del Trattato sul funzionamento dell’Unione, una disposizione che, a sua volta, è espressamente dedicata alle procedure da seguire per porre in essere norme europee in tema d’ambiente.
A tale riguardo va segnalato che dalla lettura dei “considerando” e dell’articolato emerge chiaramente come il richiamo alla norma primaria sull’ambiente non è un mero escamotage per sopperire all’assenza di espressi riferimenti al clima nel Trattato istitutivo dell’Unione ed in quello sul suo funzionamento. Si tratta, invece, del convincimento che la salvaguardia del clima debba essere, per più aspetti, rapportata anche alle precauzioni e agli accorgimenti tecnico-scientifici, che sempre più presidiano, anche a livello mondiale, le politiche ambientali ed i relativi interventi.
Al centro degli interventi a tutela del clima v’è comunque, nella logica del regolamento 2021/1119, l’azzeramento della peggiore minaccia per il clima, ossia delle temutissime emissioni di gas a effetto serra, per le quali nei “considerando” si ricorda che l’Unione, in base al sopraricordato Accordo di Parigi, ha fissato agli Stati membri traguardi nazionali di riduzione da raggiungere entro il 2030, attraverso il bilanciamento tra le emissioni di CO2 e di altri gas a effetto serra e gli assorbimenti delle emissioni stesse risultanti dall’uso del suolo e dai relativi cambiamenti nonché dalla silvicoltura.
2.-In proposito va rilevato che nell’allarme rosso lanciato dall’ONU nell’agosto 2021, attraverso la pubblicazione del citato rapporto dei 234 scienziati dell’IPCC, si pone in evidenza come i recenti sconvolgimenti climatici abbiano reso indispensabile che entro il 2030 le emissioni di gas serra vengano quantomeno dimezzate rispetto al loro attuale livello e siano portate ad uno zero netto entro il 2050.
Sembra quindi porsi la necessità (e con essa l’urgenza) di una verifica tecnico-scientifica dell’adeguatezza dei soprarichiamati traguardi che si è data l’Unione europea rispetto a quelli indicati come un’extrema ratio dagli scienziati dell’ONU.
Ed altrettanto necessaria e urgente sembra essere una verifica di quanto sin qui hanno fatto gli Stati membri per adeguarsi ai traguardi ad essi fissati dall’Unione. Ciò anche agli effetti di accertare se siano necessari interventi sostitutivi da parte dell’Unione in applicazione del principio di sussidiarietà sancito dall’art.5 del Trattato dell’Unione europea, come ci ricorda il considerando n.40 del regolamento in esame.
Con particolare riferimento all’Italia, essa, con legge 12 dicembre 2019 n.141, di conversione del D.L. 14 ottobre 2019 n.111 ( c.d. “decreto-clima), ha adottato, con sensibile ritardo, le misure per il rispetto degli obblighi previsti dalla direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria. Ma tale provvedimento è considerato inadeguato rispetto alle indicazioni europee a tutela del clima ed è opinione diffusa che l’Italia debba munirsi di una legge quadro sul clima che disciplini la materia in modo organico ed esauriente, adeguandosi alle strategie dell’Unione europea.
Tale opinione si è di recente rafforzata alla luce del regolamento 2021/1119 qui in esame: cfr., al riguardo, https://www.wwf.it/pandanews/clima/una-legge sul-clima-per-italia - il rapporto sul Webinar svoltosi sul tema il 20 luglio 2021.
3.- Da un punto di vista più strettamente giuridico, il sistema di difesa del clima adottato dall’Unione e massimizzato, come si è visto, dal regolamento in esame offre interessanti spunti di riflessione, soprattutto in linea di principio, sia con riferimento all’individuazione degli obblighi comportamentali che ne derivano agli Stati membri ed alle connesse conseguenze in caso di inadempimento degli stessi, sia con riferimento ai e agli obblighi che ne derivano alle persone fisiche e giuridiche appartenenti agli Stati medesimi.
Tra i vari spunti di riflessione certamente rientra la questione se i poteri, le potestà e i doveri degli Stati membri ed i diritti e gli obblighi dei loro cittadini in materia di clima debbano essere commisurati esclusivamente alle consuete dimensioni di riferimento del diritto europeo scaturenti dalla disciplina dei rispettivi rapporti contenuta nel Trattato istitutivo dell’Unione, ovvero se si debba tener conto anche della dimensione mondiale che, per definizione, caratterizza i cambiamenti climatici.
La risposta non può che essere positiva, dal momento che in tale dimensione certamente si inscrivono gli interessi economici in gioco e la loro connaturata propensione a sottrarsi a limiti e vincoli, per cui appare indispensabile individuare livelli di rilievo giuridico internazionale ai quali rapportarsi per dare concretezza ed efficacia alle attese di mutamenti virtuosi ed ai quali non possano non uniformarsi tutti i soggetti coinvolti, ivi comprese le entità sovranazionali come l’Unione europea.
Il regolamento in esame appare carente al riguardo, dal momento che, al considerando n.40, la dimensione transfrontaliera dei cambiamenti climatici viene in evidenza solo con riferimento al contesto europeo, mentre va invece propugnata l’introduzione di una disciplina internazionale della materia che integri quelle nazionali e sovranazionali, anche attraverso l’istituzione di un organismo di controllo, che intervenga, ove occorra, a sostegno delle iniziative nazionali e sovranazionali.
Si potrebbe anche pensare, forse, ad un Tribunale internazionale del clima che si pronunci con efficacia erga omnes nei riguardi di soggetti e situazioni che travalichino le sfere di competenza delle giurisdizioni nazionali.
A prendere iniziative in tal senso ben può essere l’Unione europea dal momento che il suo ordinamento è predisposto in modo da rapportarsi all’ordinamento internazionale e agli altri soggetti che ne fanno parte. Ce ne dà conferma la lettura delle norme di cui al Titolo V del Trattato sull’Unione europea - Disposizioni Generali sull’Azione esterna dell’Unione e Disposizioni specifiche sulla Politica Estera e di Sicurezza comune - e di quelle della Parte V del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, dedicata all’Azione esterna della stessa.
I due contesti normativi citati danno corpo e sostanza alla soggettività di diritto internazionale riconosciuta, dapprima alla Comunità europea e poi all’Unione, dagli Stati terzi e dagli altri soggetti che fanno parte della Comunità internazionale, ivi comprese le altre Organizzazioni internazionali.
Ed inoltre va rilevato che i due gruppi di norme concernono settori fondamentali della convivenza civile, a livello interno e a livello internazionale, quali la sicurezza, la pace, il rispetto dei diritti umani e, per quanto qui interessa, l’ambiente e il clima: vale a dire un insieme di beni e interessi, che l’Unione si impegna quindi a salvaguardare come beni ed interessi comuni dei cittadini europei e, nel contempo, anche come beni e interessi comuni dell’intera umanità.
4.-Ne discende che, la UE ha pieno titolo per proporre agli altri protagonisti dello scenario politico internazionale meccanismi comuni di controllo nei riguardi dei fattori umani che provocano l’innestarsi o l’aggravarsi dei cambiamenti climatici, oltre ad un comune sistema sanzionatorio, con le relative garanzie di giustizia, nei riguardi dei soggetti cui siano addebitabili i fattori medesimi.
Una proposta del genere potrebbe però incontrare difficoltà di accoglimento in relazione alle cessioni di sovranità a cui dovrebbero assoggettarsi gli Stati, sia con riferimento al dover sottostare alle iniziative e ai criteri di un organo di controllo tecnico-amministrativo esterno ad essi sia con riferimento all’individuazione e al perseguimento di illeciti in danno dell’interesse comune e al correlato sistema sanzionatorio incentrato su un Tribunale penale internazionale.
A livello di diritto europeo, gli Stati membri dell’Unione accettano varie forme di controllo da parte dell’Unione medesima ed accettano, altresì, l’assoggettamento alle pronunce della Corte di giustizia e degli altri organi giurisdizionali facenti capo dell’Unione. E così pure gli Stati aderenti al Consiglio d’Europa che hanno sottoscritto la Convenzione europea dei diritti dell’uomo accettano di sottostare alle pronunce della CEDU (Corte europea dei diritti umani).
Ed anche sul versante penale, con l’istituzione del Procuratore europeo e l’adozione, ancora in corso, dei provvedimenti normativi e organizzativi connessi e conseguenti, l’Unione si appresta a chiedere agli Stati membri ulteriori cessioni di sovranità, in base ai Trattati citati e con riferimento a settori di suo interesse quali le frodi finanziarie ai suoi danni e la lotta al terrorismo. E ciò sia agli effetti della configurazione dei comportamenti antigiuridici da perseguire sia agli effetti della disciplina delle correlate competenze inquirenti e requirenti del Procuratore europeo in coordinamento con i corrispondenti organi della pubblica accusa presenti negli Stati membri.
E non v’è dubbio che analoghi assetti di controllo e giurisdizione l’Unione europea possa anzi debba, per quanto si è detto all’inizio, porre in essere in materia di protezione dell’ambiente e del clima.
5.- Per quanto riguarda l’ordinamento internazionale generale, basato sullo jusgentium e sugli insegnamenti di Grozio, nelle sue vicende v’è innanzitutto la gamma dei controlli reciproci tra Stati in materie regolate da convenzioni bilaterali o multilaterali ma i controlli in questione sono posti a tutela di beni e interessi statuali, nei limiti delle previsioni pattizie.
Vi sono altresì casi in cui sono stati posti in essere temporanei sistemi di controllo nei confronti di singoli Stati, o con affidamento del sistema stesso ad Organizzazioni Internazionali, come nel caso del c.d. “Corridoio di Danzica”, che fu istituito dopo la prima guerra mondiale per assicurare alla Polonia uno sbocco sul Mare del Nord e la cui gestione fu affidata ad un Commissario nominato dalle Nazioni Unite, ovvero con affidamento ai Paesi vincitori, come nel caso della Germania, anzi delle “due Germanie”, assoggettate dal 1945 al 1949 all’amministrazione militare dei vincitori della seconda guerra mondiale.
Mancano invece esempi di assoggettamento stabile degli Stati sovrani a controlli da parte di organismi internazionali, con effetti vincolanti, conseguenze sanzionatorie e possibilità di esercizio di poteri sostitutivi. Questa mancanza è da collegarsi alla concezione della sovranità quale connotato essenziale della soggettività internazionale di uno Stato.
Ma, a fronte delle conseguenze apocalittiche, per la natura e per il genere umano, prospettate nel citato rapporto dell’IPCC/ONU con riferimento ai guasti al clima e all’ambiente, già inflitti o in corso, è forse giunto il momento di rivedere questa concezione o, perlomeno, di ammettere la possibilità di eccezioni per i settori a rischio comune, soprattutto quando la posta in gioco sia così alta come nel caso del clima.
E sebbene lo strumento giuridico per pervenire alla sua istituzione non può essere altro che l’accordo tra Stati, per cui lo Stato che non intendesse sottostarvi potrebbe non aderire all’accordo o uscirne successivamente, sembra tuttavia evidente che, a fronte dei rischi paventati, lo Stato riottoso si assumerebbe una responsabilità gravissima innanzitutto nei confronti dei propri cittadini e comunque nei riguardi dell’intera umanità
Se lo Stato riottoso fosse uno Stato membro dell’Unione europea nonostante che quest’ultima fosse stata la promotrice del sistema di controllo, esso incorrerebbe certamente, oltre che nelle conseguenze sopramenzionate, anche nella procedura di infrazione di cui agli artt.258,259 e 260 del Trattato sul funzionamento dell’Union europea. Qualora lo Stato persistesse nel suo atteggiamento potrebbe incorrere, in base all’art.7 del Trattato sull’Unione europea, nella sospensione dei diritti che gli derivano dai Trattati.
E’ opportuno altresì rilevare che l’introduzione di un sistema di controlli come quello sopra tratteggiato avrebbe un elevatissimo effetto di prevenzione dei guasti per il clima e per l’ambiente e risulterebbe ancora più efficace in tal senso se fosse integrato dell’altro rimedio qui ipotizzato e cioè dal Tribunale internazionale penale per il clima. Ed infatti, se è vero che quest’ultimo potrebbe conoscere solo i guasti già irrimediabilmente consumati per punirne gli autori ma non potrebbe prevenirli, è anche vero, però, che la sua presenza e la sua funzione avrebbero un grandissimo effetto di deterrenza, sia nei riguardi dei soggetti preposti agli apparati pubblici sia nei riguardi dei soggetti privati che, privilegiando i propri interessi economici, perseverassero in comportamenti nocivi per l’ambiente e per il clima.
Tra l’altro, la proposta della sua istituzione non incontrerebbe le difficoltà di principio di derivazione internazionalistica a cui si è accennato con riferimento all’istituzione del sistema di controlli, in quanto che, a cominciare dal processo di Norimberga a carico dei gerarchi nazisti, il diritto internazionale ammette questo genere di assetti giustiziali, con la sola limitazione della non assoggettabilità agli stessi di individui il cui Stato di appartenenza non abbia aderito o non aderisca più all’Accordo istitutivo del Tribunale. E’ appena il caso di soggiungere che la non adesione da parte di uno Stato membro dell’Unione o il suo successivo recesso dall’Accordo istitutivo del Tribunale che sia stato promosso dall’Unione comporterebbe le stesse conseguenze a carico dello Stato riottoso, di cui si è detto a proposito della non adesione al sistema dei controlli.