A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA: LA CORTE UE SI PRONUNCIA SUI RAPPORTI TRA MANDATO D’ARRESTO EUROPEO (MAE) E PRINCIPIO DI SPECIALITÀ (CGUE 24 SETTEMBRE 2020, C-195/20).

Autore: Avv. Teresa Aloi

 

La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 24 settembre 2020 ha come oggetto l’interpretazione dell’art. 27, paragrafi 2 e 3, della decisione quadro 2002/584 che detta le norme sul mandato di arresto europeo (MAE), sulle procedure di consegna tra Stati membri e sul principio di specialità.

L’intervento della Corte è stato sollecitato dalla Corte federale di giustizia tedesca in ossequio alla procedura prevista dall’art. 267 TFUE, nell’ambito di un procedimento penale a carico di un soggetto, condannato in Germania ad una pena detentiva per fatti qualificati come violenza sessuale aggravata ed estorsione, commessi in Portogallo. Nell’esaminare il caso, la Corte europea richiama, innanzitutto, i valori comuni su cui si fonda l’Unione fissati all’art. 2 del Trattato sull’Unione europea (TUE) e cioè, il rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti alle minoranze. Indica poi, quale sia l’obiettivo dell’Unione che è quello di diventare uno spazio di libertà, di sicurezza e giustizia con la conseguente soppressione dell’estradizione tra Stati membri e la sua sostituzione con un sistema di consegna semplificato tra autorità giudiziarie, delle persone condannate o sospettate.

Il mandato di arresto europeo, definito come il fondamento della cooperazione giudiziaria, costituisce la prima concretizzazione, nel settore del diritto penale, del principio di riconoscimento reciproco. L’art. 1 delle decisione quadro 2002/584 lo definisce come una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro in vista dell’arresto e della consegna da parte di un’altro Stato membro di una persona ricercata ai fini dell’esercizio di un’azione penale o dell’esecuzione di una pena o misura di sicurezza privative della libertà. Gli Stati membri danno esecuzione ad ogni mandato d’arresto europeo in base al principio del riconoscimento reciproco.

La vicenda oggetto della sentenza in commento ha come protagonista un soggetto sottoposto in Germania a tre procedimenti penali distinti.

In un primo procedimento nel 2011 veniva condannato da un Tribunale circoscrizionale ad una pena detentiva di un anno e nove mesi per traffico di stupefacenti. L’esecuzione, però, veniva condizionalmente sospesa.

Nel 2016 veniva avviato nei suoi confronti un procedimento penale per abuso sessuale su minore commesso in Portogallo, dove all’epoca si trovava. In relazione a tale procedimento, la Procura di Hannover emetteva un primo MAE e l’autorità portoghese ne autorizzava la consegna. L’uomo veniva condannato ad una pena detentiva di un anno e tre mesi e, durante l’esecuzione, la Germania revocava la sospensione condizionale della pena relativa al primo procedimento.

Egli, inoltre, subiva un terzo procedimento per i reati di violenza sessuale aggravata e di estorsione commessi nel 2005 in Portogallo.

A seguito della revoca della sospensione condizionale, nel 2018 la Procura di Flensburg (Germania) chiedeva alla Corte d’Appello portoghese, in quanto autorità giudiziaria dell’esecuzione del mandato d’arresto europeo relativo al primo dei procedimenti penali, di rinunciare all’applicazione della regola della specialità e di permettere l’esecuzione della pena inflitta dal Tribunale tedesco nel 2011. In mancanza di risposta dell’autorità portoghese, la Germania rimetteva l’imputato in libertà e lo sottoponeva a sorveglianza socio-giudiziaria.

Meno di un mese più tardi, l’uomo si recava nei Paesi Bassi e poi in Italia. La Procura di Flensburg emetteva un secondo MAE nei suoi confronti affinchè fosse data esecuzione alla pena del 2011. Sulla base di tale provvedimento, le autorità italiane eseguivano l’arresto dell’imputato ed acconsentivano alla sua consegna alla Germania. In seguito a specifica richiesta da parte di quest’ultima, l’Italia acconsentiva che l’uomo fosse sottoposto a procedimento penale per i fatti di violenza sessuale e di estorsione del 2005. Nell’ambito di tale procedimento l’autorità tedesca nel 2018 emetteva un mandato d’arresto nazionale e nel dicembre 2019 condannava l’imputato alla pena di sette anni di reclusione.

Questi proponeva ricorso per Revision (Cassazione) davanti alla Corte federale tedesca invocando la regola della specialità prevista dalla decisione quadro 2002/584 e contestando la validità del procedimento per i fatti del 2005 in quanto l’autorità dell’esecuzione portoghese non aveva mai dato il proprio assenso a tale azione penale. Da settembre 2018 egli avrebbe, infatti, beneficiato della protezione offerta dalla regola della specialità, pertanto i procedimenti avviati nei suoi confronti dalle autorità tedesche senza il previo accordo dell’autorità dell’esecuzione portoghese, nonché i relativi atti, sarebbero viziati da illegittimità.

Alla luce di tale contestazione, il giudice del rinvio si interrogava se il mandato d’arresto emesso nel novembre 2018 potesse essere mantenuto o dovesse essere annullato, pertanto, decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di Giustizia UE la questione pregiudiziale sul punto.

Con la sentenza del 24 settembre 2020, la Corte europea, nel richiamare i valori fondanti dell’Unione, ricorda che l’art. 27, paragrafo 2, della decisione quadro 2002/584 enuncia la regola della specialità, secondo cui una persona non può essere sottoposta ad un procedimento penale, condannata o altrimenti privata della libertà per eventuali reati anteriori alla consegna diversi da quello per cui è stata consegnata. Tale regola, strettamente connessa alla sovranità dello Stato membro di esecuzione, esige che lo Stato membro emittente che intenda sottoporre a procedimento penale o condannare una persona per un reato commesso prima della sua consegna, in esecuzione di un mandato d’arresto europeo diverso da quello che ha motivato tale consegna, ottenga l’assenso dello Stato membro di esecuzione al fine di evitare che il primo Stato membro sconfini nelle competenze che lo stato membro di esecuzione potrebbe esercitare e travalichi le proprie prerogative nei confronti della persona sottoposta a procedimento penale. Poiché il meccanismo del mandato d’arresto europeo mira a consegnare la persona interessata allo Stato membro di emissione dello stesso, per i reati specifici menzionati da quest’ultimo, traendola nel proprio territorio mediante coercizione, la regola della specialità è indissolubilmente legata all’esecuzione di un mandato d’arresto europeo specifico come emerge dall’interpretazione letterale dell’art. 27, paragrafo 2, della decisione quadro, che fa riferimento alla “consegna” al singolare. Di conseguenza esigere che un assenso, ex art. 27, paragrafo 3, lett. g) della decisione quadro, sia fornito tanto dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione del primo MAE quanto dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione di un secondo MAE nuocerebbe all’efficacia della procedura di consegna, vanificando l’obiettivo della decisione quadro, consistente nel facilitare e nell’accellerare le consegne tra autorità giudiziarie degli Stati membri.

Nel caso di specie la sola consegna rilevante per valutare il rispetto della regola della specialità è quella effettuata sulla base del secondo MAE. Pertanto, l’assenso richiesto dall’art. 27, paragrafo 2, lett. g), della decisione quadro doveva essere dato unicamente dall’autorità giudiziaria dell’esecuzione dello Stato membro che ha consegnato la persona sottoposta a procedimento penale sulla base di detto MAE e quindi dall’Italia. Di conseguenza, dal momento che, l’imputato aveva lasciato volontariamente il territorio tedesco dopo aver scontato in tale Stato membro la pena cui era stato condannato per fatti oggetto del primo MAE, non era più legittimato ad invocare la regola della specialità relativa a tale primo mandato. In tale contesto, egli potrebbe invocare tale regola solo nei confronti del MAE emesso dalla procura di Flensburg nel 2018 ed eseguito dall’autorità dell’esecuzione italiana.

In conclusione, con la sentenza in commento la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha dichiarato che l’art. 27, paragrafi 2 e 3, della decisione quadro 2002/584 deve essere interpretato nel senso che “la regola della specialità di cui al paragrafo 2 di tale articolo non osta a una misura restrittiva della libertà adottata nei confronti di una persona oggetto di un primo MAE a causa di fatti diversi da quelli posti a fondamento della sua consegna in esecuzione di tale mandato e anteriori a tali fatti, qualora tale persona abbia lasciato volontariamente il territorio dello Stato membro di emissione del primo MAE e sia stata consegnata al medesimo in esecuzione di un secondo MAE emesso successivamente a detta partenza ai fini dell’esecuzione di una pena privativa della libertà, a condizione che, in relazione al secondo MAE, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione di quest’ultimo abbia dato il proprio assenso all’estensione dell’azione penale ai fatti che hanno dato luogo alla suddetta misura restrittiva della libertà”.

 

Avv. Aloi Teresa,  Foro di Catanzaro