A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

LA POLITICA DI TUTELA DELL'AMBIENTE NELL'UNIONE EUROPEA E LA NUOVA STRATEGIA EUROPEA IN MATERIA AMBIENTALE 

Autore: Dott.ssa Antonella Galletti

 

1. Introduzione - 2. Base giuridica - 3. Il Green Deal europeo.- 4. I Programmi d’azione dell’Unione europea in materia ambientale. – 5. Conclusioni.

 

Premessa. La tutela dell’ambiente è un tema di grande rilevanza per le implicazioni che riguardano tutti noi e per le responsabilità che la gravità della situazione attuale comporta. L’inquinamento dell’aria è diventato la quarta causa di morte in assoluto a livello mondiale e rappresenta la principale causa ambientale di morte. Secondo l’OMS ogni anno muoiono circa 7 milioni di persone a causa dell’esposizione all’aria inquinata. Dati certo preoccupanti se si considera che gli “Obiettivi di sviluppo sostenibile” approvati dalla Commissione statistica dell’ONU, prevedono, entro il 2030, di “ridurre sostanzialmente il numero di decessi e malattie da sostanze chimiche pericolose”. Inoltre, l’inquinamento atmosferico è l’emergenza globale destinata a causare nei prossimi decenni un impatto sempre più devastante, oltre che sulla salute pubblica, anche sull’economia, in quanto costerebbe ogni anno 1.600 miliardi di dollari ai Paesi industrializzati in termini di impatto sulla salute, ossia decessi e malattie.

 

1. Introduzione

Partita “in sordina” la politica ambientale nell’Unione europea è progressivamente entrata nei settori di maggior intervento dell’UE. Attraverso una rilevante e crescente produzione di normativa e di orientamenti di carattere generale (programmi quadro, accordi internazionali, ecc.), il livello europeo svolge oggi un ruolo guida nei confronti delle singole politiche nazionali degli Stati membri[1].

La politica dell’Unione in materia ambientale risale al Consiglio europeo di Parigi del 1972, in occasione del quale i capi di Stato e di governo hanno manifestato la necessità di una politica europea in materia di ambiente che guidi l’espansione economica e hanno chiesto un programma d’azione. L’Atto unico europeo del 1987 ha introdotto un nuovo titolo “Ambiente”, che ha rappresentato la prima base giuridica per una politica ambientale comune diretta a tutelare la qualità dell’ambiente, proteggere la salute umana e garantire un uso razionale delle risorse naturali. Le successive revisioni dei Trattati hanno consolidato l’impegno dell’Unione a favore della salvaguardia dell’ambiente e il ruolo del Parlamento europeo nello sviluppo di una politica in materia[2].

La politica ambientale europea si fonda sui principi della precauzione, dell’azione preventiva e della correzione dell’inquinamento alla fonte, nonché sul principio di “chi inquina paga”, attuato oggi dalla dir. 2004/35.Gli ulteriori principi enucleati sono degli strumenti di gestione dei rischi cui è possibile avvalersi in caso d’incertezza scientifica in merito ad un possibile rischio per la salute umana o per l’ambiente derivante da una determinata azione o politica. I Paesi membri sono obbligati ad adottare una normativa interna che sia ossequiosa di tali principi: anche il mero sospetto che da una determinata attività possa sorgere il rischio d’inquinamento ambientale deve poter consentire all’autorità amministrativa di predisporre tutte le misure di prevenzione atte a scongiurare l’evento dannoso.

La politica di tutela dell’ambiente è un’importante forza nel generale processo di integrazione europea e, allo stesso tempo, un potente fattore di conflitto tra Stati membri (e quelli confinanti) e tra le diverse scale geografiche. Alcuni Paesi, in particolare i Paesi del Nord Europa e la Germania, svolgono un ruolo propulsivo nell’adottare provvedimenti ambientali maggiormente restrittivi verso ambiziosi obiettivi, mentre altri, tra cui anche l’Italia, si “accodano”, se non addirittura rallentano, questa tendenza. Inoltre, dinanzi ad una problematica ambientale la cui varietà e complessità richiede, per essere affrontata in modo efficiente ed efficace, che si predispongano modalità e strumenti di intervento diversi rispetto alle differenti scale geografiche (dai problemi globali come l’effetto serra a fenomeni di inquinamento circoscritti), i livelli regionali e locali acquisiscono un ruolo rilevante per mettere in atto politiche e strategie in una logica di sussidiarietà. La politica ambientale, però, non può essere considerata solamente come un settore di intervento dell’Unione europea in forte espansione: essa, infatti, si deve porre come una forza trasversale con la quale è necessario che si confrontino le diverse politiche settoriali (industriale, sociale, agricola, infrastrutturale, ecc.). I principi dello sviluppo sostenibile, cardini a cui si è fermamente agganciato l’orientamento politico europeo, dovrebbero inoltre ispirare i diversi ambiti di intervento. Sotto questo aspetto si registrano rilevanti problemi di integrazione tra le diverse politiche e anche in questa prospettiva la politica ambientale dell’Unione si ripropone nella duplice veste di potenziale fattore di integrazione e di causa di conflitto[3].

Fatte queste premesse, è necessario chiedersi: quali sono state le ragioni per una politica ambientale da parte di un organismo come l’Unione europea? Data la natura transfrontaliera ed internazionale di molte questioni ambientali, il fatto che l’UE dovesse includere tra le proprie competenze simili tematiche, non è mai stato messo in discussione, anche se nelle fasi iniziali ha richiesto di essere esplicitato. Anche presso l’opinione pubblica, il carattere “multinazionale” dell’Unione, sembrava ben coniugarsi con la evidente universalità dei problemi connessi alla protezione ambientale. Per comprendere meglio le priorità e le logiche dell’azione europea in campo ambientale, è possibile individuare tre ordini di motivi principali emersi fin dal summit di Parigi del 1972 quando fu presa la decisione di dare avvio ad una vera e propria politica europea in materia ambientale:

a)  il tema della competitività (o del mercato interno) è la ragione fondamentale: differenti misure ambientali tra i diversi Stati membri sono viste come forme di barriere non tariffarie, distorsive della concorrenza, e pertanto come ingerenze al corretto funzionamento del mercato interno;

b)  la qualità della vita e la protezione ambientale si diffondono sempre più come richieste da parte dell’opinione pubblica, sia dal punto di vista sociale che dal punto di vista economico;

c)  i benefici economici si collegano direttamente o indirettamente a una maggiore qualità dell’ambiente: molti settori (agricoltura, pesca, turismo, ecc.), infatti, dipendono (più o meno direttamente) da un ambiente integro ed inoltre i provvedimenti a favore dell’ambiente possono stimolare la nascita di un “business ambientale” con potenziali elevate a vantaggio dell’occupazione.

Sulla base di queste esigenze, è possibile distinguere tre diversi “insiemi” di politiche che contribuiscono a formare il diritto ambientale europeo:

a)  le norme tecniche, allo scopo di impedire distorsioni alla concorrenza, mirano ad armonizzare le legislazioni nazionali relative a prodotti e processi;

b)  la politica ambientale in senso stretto, esplicitamente volta a salvaguardare i diversi ricettori ambientali (suolo, acqua e aria) che, inizialmente sviluppatasi per armonizzare le legislazioni degli Stati membri, ha finito gradualmente per conquistarsi una propria autonomia;

c)  la necessità di contenere l’impatto ambientale di determinate politiche settoriali (ad esempio, la Politica agricola comunitaria)[4].

 

2. Base giuridica.

La base giuridica di rango primario della politica ambientale dell’Unione europea è oggi costituita dall’art 4 (che stabilisce che in materia di ambiente l’UE ha una competenza concorrente con quella degli Stati membri[5]) e dall’art. 11 del TUE[6], nonché dagli artt. 191[7], 192[8] e 193[9] del TFUE.

Per quanto riguarda, invece, la normativa di diritto secondario che disciplina la tutela dell’ambiente, vengono in rilievo la Direttiva 2004/35[10] e il Regolamento (UE) 2018/1999[11], che verrebbe modificato dalla nuova Legge europea sul clima proposta dalla Commissione[12].

Lo scopo della Direttiva 2004/35 è quello di stabilire le norme basate sul principio di “chi inquina paga”. Ciò significa che un’azienda che provoca un danno ambientale ne è responsabile e deve farsi carico di intraprendere le necessarie azioni di prevenzione o di riparazione e di sostenere tutti i costi relativi.

Ci sono due scenari nei quali si verifica la responsabilità: 1) danno ambientale causato da una delle attività professionali elencate nell’allegato III della direttiva, quali: industrie energetiche, produzione e trasformazione dei metalli, industrie minerarie, industrie chimiche, gestione dei rifiuti, produzione su larga scala di cellulosa, carta e cartone, tintura tessile e concerie, produzione su larga scala di cibo, carne e prodotti a base di latte; 2) danno ambientale a specie protette e habitat naturali (o minaccia imminente dello stesso) causato da una delle attività professionali non elencate nell’allegato III, in caso di comportamento doloso o colposo dell’azienda. Se c’è un’imminente minaccia che si verifichi un danno, l’azienda deve adottare, senza indugio, le misure di prevenzione necessarie. Se il danno si è già verificato, l’azienda deve informare il più presto possibile le autorità e adottare azioni per gestire la situazione, allo scopo di prevenire ulteriori danni ambientali e minacce per la salute umana, e intraprendere le adeguate azioni di riparazione

Il Regolamento 2018/1999 sulla governance dell’Unione dell’energia mira a garantire l’attuazione della strategia dell’Unione dell’energia in modo coordinato e coerente in tutte le sue dimensioni e ad assicurare il conseguimento degli obiettivi dell’Unione dell’energia, in particolare quelli relativi al quadro strategico in materia di energia e clima per il 2030 e all’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici[13]. Il regolamento de quo, come abbiamo detto, verrebbe modificato dalla nuova Legge europea sul clima proposta dalla Commissione.

La proposta della Commissione della prima Legge europea sul clima intende trasformare in legge l’obiettivo fissato nel Green Deal europeo: far sì che l’economia e la società europee diventino a impatto climatico zero entro il 2050.Ciò significa che tutti i Paesi dell’UE dovranno raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette di gas a effetto serra, principalmente attraverso la riduzione delle emissioni, l’investimento nelle tecnologie verdi e la protezione dell’ambiente naturale. Essa riformula su nuove basi l’impegno dell’Esecutivo europeo ad affrontare i problemi legati al clima e all’ambiente[14].

Con la Legge europea sul clima, la Commissione propone un obiettivo giuridicamente vincolante di azzeramento delle emissioni nette di gas a effetto serra entro il 2050[15]. Le istituzioni dell’UE e gli Stati membri sono tenuti ad adottare le misure necessarie a livello nazionale ed europeo per raggiungere l’obiettivo, tenendo conto dell’importanza di promuovere l’equità e la solidarietà tra gli Stati. La Commissione ha inoltre proposto un nuovo obiettivo per il 2030 di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra di almeno il 55% rispetto ai livelli del 1990[16].

La proposta legislativa è stata presentata al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Lo scorso 8 ottobre il Parlamento europeo ha approvato con ampia maggioranza la Legge europea ed in tal modo l’obiettivo della Commissione è diventato proposta di norma per essere negoziata con i governi (Consiglio UE). Il 23 ottobre si è raggiunto il primo accordo tra gli Stati Membri sulla nuova Legge sul clima, ma la Bulgaria si è astenuta dalla votazione. I Ministri dell’Ambiente hanno concordato una posizione negoziale parziale del Consiglio[17] ma hanno rimandato la decisione sul target 2030 alla riunione dei Capi di Stato il prossimo dicembre.

 

3. Il Green Deal

Nella Comunicazione dell’11 dicembre 2019[18] la Commissione ha illustrato “un Green Deal per l’Unione europea e i suoi cittadini” e ha riformulato su nuove basi l’impegno della Commissione ad affrontare i problemi legati al clima e all’ambiente.

Si tratta di una nuova strategia di crescita mirata a trasformare l’Unione in una società giusta e prospera, dotata di un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva che nel 2050 non genererà emissioni nette di gas a effetto serra e in cui la crescita economica sarà dissociata dall’uso delle risorse. Tale strategia mira inoltre a proteggere, conservare e migliorare il capitale naturale dell’UE e a proteggere la salute e il benessere dei cittadini dai rischi di natura ambientale e dalle relative conseguenze. La transizione deve mettere al primo posto le persone e tributare particolare attenzione alle Regioni, alle industrie e ai lavoratori che dovranno affrontare i problemi maggiori. Poiché tale “trasformazione” determinerà cambiamenti sostanziali, la partecipazione attiva dei cittadini e la fiducia nella transizione sono fondamentali affinché le politiche possano funzionare e siano accettate. È quindi necessario un nuovo patto che riunisca i cittadini, con tutte le loro diversità, le autorità nazionali, regionali, locali, la società civili e l’industria, in stretta collaborazione con le istituzioni e gli organi consultivi dell’Unione.

La Comunicazione definisce inoltre una tabella di marcia iniziale delle politiche e misure principali necessarie per realizzare il Green Deal europeo, che sarà aggiornata in funzione delle necessità che dovessero emergere e delle relative risposte strategiche. Tutte le azioni e le politiche dell’UE dovranno contribuire agli obiettivi del Green Deal. Si tratta di problemi complessi e interconnessi. La risposta politica deve essere coraggiosa e completa e cercare di massimizzare i benefici per la salute, la qualità della vita, la resilienza e la competitività.

 

4. I Programmi d’azione dell’Unione europea in materia ambientale.

Il primo ed il secondo Programma d’azione.

Nei Trattati istitutivi delle Comunità europee del 1957, la protezione ambientale non veniva prevista direttamente, sia perché non era considerata una questione fondamentale, sia perché l’integrazione europea si prefissava unicamente il compito di realizzare un mercato unico basato sul principio della libera concorrenza[19].

Con l’inizio di un periodo di apertura di riforme comunitarie avvenute nel 1969 al vertice dell’Aja, la protezione dell’ambiente iniziò ad essere attenzionata sulla scia di una maggiore “consapevolezza ecologica” e sulla base dell’esigenza di armonizzare e rendere più efficaci alcune misure già esistenti. Come precedentemente accennato, il 22 luglio 1971, la Commissione europea presentò al Consiglio dei ministri un memorandum che, malgrado l’assenza di norme in merito nei Trattati, identificava per la prima volta la protezione dell’ambiente come un obiettivo della Comunità europea. L’Esecutivo europeo dette in tal modo formalmente l’avvio alle politiche ambientali.

Dopo la prima Conferenza sull’ambiente umano dell’ONU, tenutasi a Stoccolma nel maggio del 1972, e con il progressivo aumento dell’interesse dell’opinione pubblica sulla questione ambientale, anche la Commissione lanciò un’attiva politica europea in materia di ambiente.

Il 31 ottobre 1972, al vertice europeo dei Capi di Stato e di governo di Parigi, si decise di adottare una comune politica ambientale affermando che “la crescita non è fine a se stessa”, e si incaricò l’Esecutivo europeo di creare una struttura amministrativa ad hoc e di regolamentare il settore affermando la necessità di accompagnare l’espansione economica da una migliore qualità della vita, prestando una particolare attenzione ai valori intangibili e alla salvaguardia dell’ambiente. Sulla base degli impegni presi nel Consiglio, nel novembre del 1972, all’interno della Direzione Generale per la politica industriale, nel neo servizio per l’ambiente e la protezione del consumatore, fu pubblicato il primo Programma d’azione per l’ambiente.

Il primo Programma (1973-1976) sancì un collegamento tra sviluppo economico, crescita e protezione ambientale. Tra i principali obiettivi vi erano la prevenzione, il contenimento e la riduzione dei disastri ambientali, la conservazione degli equilibri ecologici e l’uso ragionevole delle risorse naturali. Il Programma in questione già includeva alcuni elementi che avrebbero in seguito dato vita al concetto di sviluppo sostenibile. L’obiettivo fondamentale era quello dell’azione preventiva, mirata ad eliminare gli ostacoli alla costruzione del mercato originati da differenti normative nazionali e ad impedire potenziali vantaggi competitivi di uno Stato membro rispetto ad un altro derivanti da diverse condizioni di partenza. Gli ambiziosi obiettivi del Programma erano stati all’epoca elaborati con eccessivo ottimismo ed indipendentemente dalla loro possibile realizzazione; e fu proprio questa smisurata aspirazione ad essere negli anni frustrata.

Il secondo Programma d’azione (1978-1981) fu un follow-up del primo, centrato su prevenzione, cooperazione europea ed internazionale e ricerca scientifica. Si diede inoltre avvio ad uno studio sul sistema di valutazione di impatto ambientale (VIA) che si tradusse nella dir. 1985/337/CE che inserì all’art. 3, e per la prima volta, un’implicita definizione di ambiente. Quest’ultimo venne concepito come l’insieme di determinati fattori, quali il clima, l’aria, la flora, il suolo, la fauna, l’acqua, l’uomo ed il paesaggio, delle relazioni tra loro, del patrimonio culturale e dei beni materiali.

La valutazione dei primi due Programmi fu considerata critica e l’entusiasmo iniziale, in ragione della depressione economica della fine degli anni 70, dovette sensibilmente attenuarsi[20].

 

Il terzo ed il quarto Programma d’azione.

Il terzo Programma d’azione (1982-1986) introdusse un rilevante cambiamento nell’approccio europeo alla materia della politica ambientale rispetto ai programmi precedenti. Il Programma concentrò la sua attenzione sui rischi ed i benefici delle politiche ambientali per il mercato interno irrobustendo la relazione tra quest’ultimo e l’ambiente. Per cercare di tutelare la competitività del settore industriale europeo furono armonizzati gli standard ambientali, cercando a tal fine di evitare che differenti normative nazionali sui prodotti potessero rappresentare barriere non tariffarie. Allo stesso tempo, e per la prima volta, il terzo Programma sottolineò le ricadute positive in termini occupazionali derivanti da strutturate politiche ambientali. Esso diede vita, inoltre, ad una nuova concezione delle politiche in materia di ambiente: da una visione qualitativa delle emissioni si passò ad una più incentrata su target numerici di emissione e vennero così introdotti strumenti di controllo come la dir. 1982/501/CE[21].

Tale cambiamento quantitativo nell’accostarsi alle politiche ambientali fu, in effetti, il risultato del riconoscimento che l’ambiente è un bene di tutti che deve essere regolamentato a livello “sovranazionale” e dalla presa di coscienza dell’interconnessione dei fattori ambientali non più circoscrivibili soltanto alle competenze dei singoli Stati[22].

Nel 1986, la tragedia della centrale nucleare di Cernobyl rese manifesto che le tematiche in materia ambientale avevano ormai una dimensione internazionale. Nel 1988, infatti, anche la Corte di giustizia UE superò la concezione (finora dominante) di armonizzare la politica ambientale col fine di evitare ripercussioni negative per la concorrenza del mercato comune[23].

Il 1987 è da molti considerato come l’anno chiave della politica ambientale europea: con l’entrata in vigore del AUE, infatti, l’ambiente venne annoverato tra gli obiettivi della Comunità, individuando come principali ambiti di intervento la protezione ed il miglioramento della qualità ambientale e della salute dell’uomo insieme all’utilizzo razionale delle risorse naturali.

In questo contesto si inserisce il quarto Programma d’azione (1987-1992) che rappresentò un cambiamento “paradigmatico” nell’approccio europeo alla politica ambientale. I limiti dei tre programmi precedenti, che restringevano il campo d’azione ad interventi settoriali, vennero individuati e corretti. Per la prima volta il problema ambientale non venne considerato come un elemento “aggiuntivo”, bensì come un fattore determinante dell’intero processo produttivo, e venne introdotto un “approccio settoriale” esaminando l’impatto sull’ambiente dei diversi settori economici strategici.

 

Il quinto ed il sesto Programma d’azione.

Il cambiamento nell’approccio alla questione ambientale a livello europeo, che avvenne tra la metà degli anni ’80 e la metà degli anni ’90, fu caratterizzato dal passaggio da una tradeorientation ad un contesto maggiormente orientato alla sostenibilità. Questo obiettivo venne formalizzato nel 1992 con il Trattato di Maastricht che, tra i fini dell’Unione, inserì all’art. 2 “una crescita sostenibile, non inflazionistica e che rispetti l’ambiente” e sempre nello stesso anno la Commissione UE presentò il quinto Programma d’azione (1992-1999) “per uno sviluppo durevole e sostenibile” che pose l’accento sul perseguimento dello sviluppo sostenibile, su un approccio settoriale che includesse la dimensione ambientale in tutti i settori economici maggiormente inquinanti e su obiettivi di lungo periodo per la riduzione di alcune sostanze inquinanti.

Il quinto Programma aveva, pertanto, tutti gli elementi essenziali per una vera e propria politica ambientale europea. Malgrado ciò, il nuovo approccio dell’Esecutivo europeo urtò contro la resistenza di alcuni Paesi membri che suggerirono un’agenda politica orientata in maggior misura alla competitività industriale e al decentramento delle politiche ambientali negli Stati membri.

Il fallimento del quinto Programma venne identificato come il fallimento dell’integrazione europea in ambito ambientale. Alla fine degli anni 90 si poté osservare un insieme di differenti opinioni nell’attuazione della politica ambientale: vi fu un revival del concetto di sostenibilità ma allo stesso tempo vi fu sempre presente la volontà di deregolamentare e di espandere le competenze. Momento chiave per ridisegnare il percorso della politica ambientale fu il Processo di Cardiff del 1998 durante il quale il Consiglio dei Ministri europeo sull’ambiente prese in esame le proposte della Commissione per procedere nell’attuazione di una strategia d’integrazione delle politiche ambientali all’interno delle politiche europee, identificando un programma di scadenze ed azioni che portarono all’adozione di strategie in nove settori (agricoltura, trasporti, industria, pesca, mercato comune, energia, sviluppo, affari generali, questioni economiche e finanziarie). Con Cardiff l’Esecutivo europeo mutò la sua posizione, passando da una soluzione top down ad un metodo meno rigoroso e più ampio.

Nel 2001 il Consiglio europeo di Göteborg approvò una Strategia europea per lo sviluppo sostenibile che inserì la questione ambientale accanto a quello sociale ed economica della Strategia di Lisbona, diretta a far divenire l’Unione “basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo” e capace di “realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale”.

Dopo questa esperienza la Commissione presentò il sesto Programma d’azione europeo per l’ambiente (2001-2010), intitolato “Ambiente 2010: il nostro futuro, la nostra scelta”, indicando come priorità improrogabili quattro settori: la protezione della natura e della biodiversità, il cambiamento climatico, la gestione delle risorse naturali e dei rifiuti e la salute e la qualità della vita[24].

L’Unione europea, pur sostenendo azioni e posizioni ammirevoli, faticò molto a portare avanti quel “cambiamento di rotta” urgente per attenuare i problemi ambientali che avrebbero richiesto una netta ridefinizione dei processi economici e finanziari dal momento in cui l’agenda politica fu governata dalle istanze provenienti dai dieci nuovi Stati membri prima e dopo dalle ripercussioni della crisi economico-finanziaria iniziata nel 2007 negli Stati Uniti e che spostarono l’attenzione sulla crescita e l’occupazione. Fin dal suo avvio, il sesto Programma si rivelò meno ambizioso rispetto ai precedenti: vi furono maggiori riluttanze nel fissare target numerici preferendo l’adozione di dichiarazioni di principio e favorendo, così, un approccio soft law e di cooperazione con il settore industriale.

 

Il settimo Programma d’azione.

Il settimo Programma d’azione in materia di ambiente (7° PAA), che è entrato in vigore nel 2014 e terminerà alla fine del 2020, traccia una visione per il 2050 e definisce esplicitamente una politica integrata in materia di ambiente che concorre alla crescita economica sostenibile, alla salute e al benessere della popolazione.

La valutazione del settimo Programma effettuata dalla Commissione europea il 15 maggio 2019 mostra come il quadro strategico da esso fornito sia riuscito a fissare il ruolo della politica ambientale quale motore della crescita verde, di un pianeta sano e di un maggiore benessere per i cittadini. Il fatto che le priorità siano state concordate da tutti i soggetti interessati consente all’Unione, agli Stati membri e agli attori locali e regionali di definire le politiche ambientali in maniera efficace ed efficiente.

Con il 7° PAA è aumentata la consapevolezza generale del fatto che la protezione dell’ambiente va di pari passo con un modello economico sostenibile che crea occupazione e prosperità. Le politiche ambientali dell’Unione sono decisamente cambiate: da interventi legislativi mirati sono passate ad una maggiore attenzione all’integrazione della dimensione ambientale nelle altre politiche settoriali con una più ampia prospettiva di sostenibilità.

 

5. Conclusioni

La rilevanza della proposta della Commissione sul Green Deal è stata riconosciuta da molti, ma l’Esecutivo europeo non potrà certamente fare tutto da solo. Sarà indispensabile la collaborazione delle altre istituzioni europee, degli Stati nazionali, delle aziende private e di ciascuno di noi.

Da qui ai prossimi anni potrebbero inoltre andare male molte cose. Gli Stati potrebbero decidere di stabilire in autonomia le politiche migliori per combattere il cambiamento climatico, e non applicare le misure europee più ambiziose; il Parlamento e il Consiglio (due organi che, come ben sappiamo, si scontrano spesso quando si tratta di prendere le decisioni che contano) potrebbero complicare l’iter legislativo delle varie misure, per poi raggiungere un compromesso al ribasso. Infine, alcune aziende potrebbero sfruttare i vantaggi per fare i propri interessi. Il successo del Green Deal, inoltre, dipende anche, e soprattutto, dalle scelte individuali che i cittadini compiono quotidianamente. Un tema, quello culturale, che non può essere sottovalutato in un’Unione che conta 27 Stati e quasi 448 milioni di abitanti[25].

Secondo una rilevazione condotta da Eurobarometro, il 94 per cento dei cittadini degli Stati membri ritiene importante proteggere l’ambiente, il 91 per cento considera i cambiamenti climatici un problema serio in Europa e l’83 per cento ritiene necessaria una legislazione europea sui temi ambientali. Quando si passa a esaminare i comportamenti concreti, tuttavia, emergono le discrepanze tra Paese e Paese. Discrepanze legate al retaggio storico, all’efficienza di infrastrutture e servizi, al grado di sensibilità maturato dalla popolazione[26].

Sicuramente il rallentamento economico, dovuto alla pandemia, avrà delle conseguenze sulla tabella di marcia fissata dal Green Deal europeo soprattutto perché frenerà la definizione del budget e delle regole per accedere ai finanziamenti necessari per raggiungere gli obiettivi. Tuttavia, la strategia per la transizione economica e industriale in ottica sostenibile non è basata esclusivamente sui finanziamenti ma anche, e forse principalmente, su un cambiamento di mentalità diffuso, capace di mettere al primo posto la volontà di salvaguardare gli ecosistemi e combattere il cambiamento climatico[27].

 

Dott.ssa Antonella Galletti, Dottore di ricerca e Cultore di Diritto dell’Unione europea e di Diritto internazionale presso l’Università “Kore” di Enna

 

[1] E. Dansero, D. De Leonardis, Le politiche ambientali comunitarie, in Geografie dell’Unione europea, Utet Università, 2006.

[2] Per un approfondimento sul tema della politica ambientale nell’Unione europea, si v. Brutti, N., La politica dell’ambiente, in Colucci M., Sica S. (a cura di), L’Unione europea. Principi-Istituzioni-Politiche-Costituzione, Bologna, 2005; Carparelli A., La politica ambientale dell’Unione Europea dalle origini al Sesto Piano di Azione, in Giovannelli, F., Di Bella, I., Coizet, R. (a cura di), Ambiente condiviso, Politiche territoriali e bilanci ambientali, Edizioni Ambiente, Milano, 2005, 151-174; Dal Mazzone, S., Le politiche di protezione ambientale dell’Unione Europea, in Vitali G. (a cura di), Imprese e mercati nell’Europa della moneta unica, Utet Libreria Milano, 2001; Ferrara R., Sandulli M. A., Trattato di diritto dell’ambiente, Giuffrè, 2014; Francioni F., Sviluppo sostenibile e principi di diritto internazionale dell’ambiente, in Fois, P. (a cura di), Il principio dello sviluppo sostenibile nel diritto internazionale ed europeo dell’ambiente, Napoli, 2007; Kramer, L., Manuale di diritto comunitario dell’ambiente, Milano, 2002; Mangiameli, S., L’ordinamento europeo, vol. III, Le politiche dell’Unione, Giuffrè, 2008; Porchia, O., Le competenze dell’Unione europea in materia ambientale, in Ferrara, R. (a cura di), La tutela dell’ambiente, Torino, 2006; Querini G., La tutela dell’ambiente nell’Unione europea: un’analisi critica, Edizione Franco Angeli, 2006; Serenari, S., Gardini, E., Strumenti di politiche ambientali dell’Unione europea, Edizioni Pentragon, 2013.

[3]E. Dansero, op. cit.

[4]Ibidem.

[5] Art. 4, c. 2, lett e) TUE.

[6] Art. 11 TUE. “Le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile”.

[7] Art. 191 TFUE: “1. La politica dell'Unione in materia ambientale contribuisce a perseguire i seguenti obiettivi:— salvaguardia, tutela e miglioramento della qualità dell'ambiente,— protezione della salute umana,— utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali,— promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell'ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici.2. La politica dell'Unione in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell'Unione. Essa è fondata sui principi della precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio «chi inquina paga»”. Omissis.

[8] Art. 192 TFUE: “1. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, decidono in merito alle azioni che devono essere intraprese dall'Unione per realizzare gli obiettivi dell'articolo 191”.Omissis.

[9] Art. 193 TFUE: “I provvedimenti di protezione adottati in virtù dell'articolo 192 non impediscono ai singoli Stati membri di mantenere e di prendere provvedimenti per una protezione ancora maggiore. Tali provvedimenti devono essere compatibili con i trattati. Essi sono notificati alla Commissione”. Omissis.

[10] Direttiva 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale. La direttiva è entrata in vigore il 30 aprile 2004 e doveva essere recepita dalle legislazioni nazionali dei paesi dell’UE entro il 30 aprile 2007.La direttiva è stata modificata nel 2019 dal regolamento (UE) 2019/1010 che armonizza e semplifica gli obblighi di comunicazione in materia di legislazione ambientale.

[11] Regolamento UE 2018/1999 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2018 sulla Governance dell’Unione dell’energia e dell’azione per il clima che modifica le direttive CE 663/2009 e CE 715/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive 94/22/CE, 98/70/CE, 2009/31/CE, 2009/73/CE, 2010/31/UE, 2012/27/UE e 2013/30/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, le direttive del Consiglio 2009/119/CE e (UE) 2015/652 e che abroga il regolamento UE) 525/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio.

[12] Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce il quadro per il conseguimento della neutralità climatica e che modifica il regolamento UE 2018/1999 (Legge europea sul clima), Bruxelles, 4.3.2020 COM(2020) 80 final.

[13] Accordo di Parigi, NU 2015, consultabile su https://ec.europa.eu/clima/policies/international/negotiations/paris_it. L’Accordo stabilisce un quadro globale per evitare pericolosi cambiamenti climatici limitando il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2ºC e proseguendo con gli sforzi per limitarlo a 1,5ºC. Inoltre punta a rafforzare la capacità dei Paesi di affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici e a sostenerli nei loro sforzi.  L’Accordo di Parigi è il primo accordo universale e giuridicamente vincolante sui cambiamenti climatici, adottato alla conferenza di Parigi sul clima (COP21) nel dicembre 2015. L’UE ha formalmente ratificato l’Accordo il 5 ottobre 2016, consentendo in tal modo la sua entrata in vigore il 4 novembre 2016.

[14] Fonti: i) gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (IPCC): relazione speciale sull’impatto di un aumento del riscaldamento globale di 1,5 ºC; ii) piattaforma intergovernativa di politica scientifica per la biodiversità e i servizi ecosistemici (IPBES): relazione di valutazione globale sulla biodiversità e i servizi ecosistemici del 2019; iii) gruppo internazionale per le risorse (International Resource Panel): Rapporto sulle prospettive in materia di risorse a livello mondiale 2019: - risorse naturali per il futuro che vogliamo; iv) Agenzia europea dell’ambiente: l'ambiente in Europa - stato e prospettive nel 2020 - conoscenze per la transizione verso un'Europa sostenibile. 

[15]Un pianeta pulito per tutti - Visione strategica europea a lungo termine per un'economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra, COM (2018) 773.

[16] Entro giugno 2021 la Commissione esaminerà e, se del caso, proporrà di rivedere tutti gli strumenti politici necessari per conseguire le riduzioni supplementari di emissioni previste per il 2030.Entro settembre 2023, e successivamente ogni cinque anni, la Commissione valuterà la coerenza delle misure nazionali e dell'UE rispetto all'obiettivo della neutralità climatica e alla traiettoria per il periodo 2030-2050.

[17] Nello specifico, i Ministri dell’Ambiente hanno raggiunto una posizione comune sulla decisione di fare dell’obiettivo delle zero emissioni nette al 2050 un obiettivo a livello dell’UE, piuttosto che un requisito per i singoli paesi. In questo modo si consente ad alcuni Stati di avere emissioni più elevate se altri dovessero effettuare tagli più profondi. I ministri hanno convenuto anche che l’Unione debba fissare un obiettivo di riduzione delle emissioni intermedio per il 2040.

[18] Commissione europea, Comunicazione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni, Bruxelles, 11.12.2019,COM(2019) 640 final.

[19] C.  Di Stefano, Le istituzioni europee e la politica ambientale, in Strumenti europei di politiche ambientali, E. Gardini, S. Serenari (a cura di C. Chiodi), op. cit.

[20] Ibidem.

[21] Si tratta la c.d. “Direttiva Seveso”, la prima delle direttive sui rischi di incidenti connessi con determinate attività industriali.

[22] C.  Di Stefano, op cit.

[23] Per questo motivo nel 1988 la Corte, con Sent. C-302/86, dichiarò che le restrizioni al libero mercato potessero essere consentite per ragioni ambientali, purché proporzionate ai vantaggi ottenibili.

[24] Il Programma inserì anche nuovi metodi di intervento come la partnership con i soggetti coinvolti nella tutela dell’ambiente con i quali fu previsto il ricorso ad accordi volontari. Furono immaginati, inoltre, sistemi di sostegno economico per quei comportamenti ecologicamente sostenibili ed un incoraggiamento all’espansione di informazioni sui buoni risultati raggiunti e sulle best practices.

[25]www.ilpost.it 

[26]https://ec.europa.eu/italy/news/20180413_eurobarometro_integrazione_investimenti_it

[27]www.dirittoconsenso.it