A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA: TELEFONIA MOBILE, LA CORTE EUROPEA INTERPRETA PER LA PRIMA VOLTA IL REGOLAMENTO EUROPEO STABILENDO CHE LA “TARIFFA ZERO” VIOLA IL PRINCIPIO DI NEUTRALITÀ DELLA RETE (CGUE 15 SETTEMBRE 2020, C-807/18 E C-39/19).

Autore: Avv. Teresa Aloi

 

La Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza pronunciata il 15 settembre 2020, per la prima volta, interpreta il Regolamento 2015/2120[1] che sancisce il principio essenziale della “neutralità della rete” (Net Neutrality) e fissa misure riguardanti l’accesso ad una rete internet “aperta”, confermando che le pratiche di “tariffa zero” sono vietate nel territorio dell’Unione europea.

In particolare, gli obblighi di protezione dei diritti degli utenti di internet e di trattamento non discriminatorio del traffico non consentono che un operatore privilegi alcune applicazioni ed alcuni servizi attraverso pacchetti che consentono alle stesse di beneficiare di una “tariffa zero” e che allo stesso tempo assoggettano l’utilizzo delle altre applicazioni e degli altri servizi a misure di blocco o di rallentamento. La “tariffa zero” è una pratica commerciale del mercato della telefonia mobile che consiste nel fornire al consumatore accesso ad internet in modo gratuito, ma solo a determinate condizioni. Per esempio, si può consentire l’utilizzo senza costi di social selezionati sulla base di accordi con i provider di internet. Il caso più noto è quello di “Facebook Zero” dove alcuni operatori di telefonia mobile hanno rinunciato ai costi dei dati per l’accesso al social media attraverso una versione di solo testo (versione ridotta) sul suo sito web mobile, ricevendo sovvenzioni in termini pubblicitari.

Tale versione ridotta prevede che le foto non vengano caricate per impostazione predefinita. Gli utenti possono comunque scegliere di visualizzarle ma per il loro utilizzo vengono applicati i normali costi previsti per i dati[2].

La Corte di Giustizia UE con la sentenza in commento avalla la posizione di coloro che, sostenitori della “neutralità della rete”, si sono duramente opposti alla pratica commerciale della “tariffa zero”, ritenendo che attraverso di essa gli operatori di telefonia mobile potrebbero discriminare i servizi ed i fornitori di internet, influenzando così le decisioni e le abitudini dei consumatori.

La vicenda che sta alla base della decisione della Corte europea ha come protagonista la società Telenor, con sede in Ungheria, che fornisce servizi di accesso ad internet. Tra i servizi proposti ai clienti figurano due pacchetti di accesso preferenziale (cosiddetti a “tariffa zero”) la cui particolarità consiste nel fatto che gli utenti possono navigare gratuitamente su alcuni siti ed applicazioni selezionate dall’operatore, in quanto il traffico generato da tali servizi non viene conteggiato nel consumo del volume di dati acquistato dai clienti. Quest’ultimi, inoltre, possono, una volta esaurito tale volume di dati, continuare ad utilizzare senza restrizioni tali applicazioni e tali servizi specifici, mentre alle altre applicazioni ed agli altri servizi disponibili sono applicate misure di blocco o di rallentamento del traffico.

La Telenor, precedentemente, era stata multata dall’Ufficio nazionale dei media e delle telecomunicazioni ungherese in quanto tali pacchetti non rispettavano l’obbligo generale di trattamento equo e non discriminatorio del traffico fissato all’art. 3, paragrafo 3, del Regolamento europeo 2015/2120.

Di fronte a tali provvedimenti sanzionatori la Telenor era ricorsa alla Corte di Budapest-Capitale, la quale aveva deciso di interpellare la Corte di Giustizia europea in via pregiudiziale al fine di sapere come debba essere interpretato ed applicato l’art. 3, paragrafi 1 e 2, del Regolamento 2015/2120, che garantisce un certo numero di diritti (diritto di accedere alle applicazioni, ai contenuti ed ai servizi e di utilizzarli, ma anche diritto di fornire applicazioni, contenuti e servizi nonché di utilizzare i terminali di loro scelta) agli utenti finali di servizi di accesso ad internet e che vieta ai fornitori di tali servizi di adottare accordi o pratiche commerciali che limitino l’esercizio di tali diritti, nonché l’art. 3, paragrafo 3, che sancisce un obbligo generale di trattamento equo e non discriminatorio del traffico.

Nella sentenza del 15 settembre 2020 la Corte di Giustizia, in Grande Sezione, al fine di valutare le questioni pregiudiziali sottoposte alla sua attenzione, interpreta, per la prima volta, il Regolamento europeo che sancisce il principio essenziale dell’apertura della rete.

In primo luogo, per quanto riguarda l’interpretazione dell’art. 3, paragrafo 2, in combinato disposto con l’art. 3, paragrafo 1, del Regolamento 2015/2120, la Corte UE ha osservato che la seconda di tali disposizioni prevede che i diritti da essa garantiti agli utenti finali di servizi di accesso a internet sono destinati ad essere esercitati senza discriminazioni, restrizioni o interferenze ed a prescindere dalla fonte e dalla destinazione, dai contenuti cui si è avuto accesso o che sono stati diffusi, dalle applicazioni o dai servizi utilizzati o forniti, o dalle apparecchiature terminali utilizzate. Inoltre, dall’art. 3, paragrafo 2, risulta che i fornitori di servizi di accesso a internet possono attuare misure di gestione ragionevole del traffico. Per essere considerate ragionevoli, tali misure devono essere trasparenti, non discriminatorie e proporzionate e non devono essere basate su considerazioni di ordine commerciale, bensì su requisiti di qualità tecnica del servizio. Tali misure non controllano i contenuti specifici e sono mantenute per il tempo strettamente necessario. I servizi offerti da un determinato fornitore di accesso ad internet devono essere valutati alla luce del requisito di cui al paragrafo 1, da parte delle autorità nazionali di regolamentazione (sulla base dell’art. 5 del Regolamento 2015/2120) e sotto il controllo dei giudici nazionali competenti, prendendo in considerazione sia gli accordi conclusi da tale fornitore con gli utenti finali sia le pratiche commerciali da esso adottate.

In tale contesto la Corte ha rilevato che la conclusione di accordi attraverso i quali determinati clienti sottoscrivono pacchetti che combinano una “tariffa zero” con misure di blocco o di rallentamento del traffico connesso all’utilizzo di servizi e di applicazioni diverse dai servizi e dalle applicazioni specifici soggetti a tale tariffa, è idonea a limitare l’esercizio dei diritti degli utenti finali (tutte le persone fisiche e giuridiche che utilizzano o chiedono di utilizzare un servizio di comunicazione elettronica accessibile al pubblico), ai sensi dell’art. 3, paragrafo 2, del Regolamento, su una parte significativa del mercato. Tali pacchetti, infatti, sono tali da incrementare l’utilizzo delle applicazioni e dei servizi privilegiati e, correlativamente, tali da rarefare l’utilizzo delle altre applicazioni e degli altri servizi disponibili, tenuto conto delle misure  mediante le quali il fornitore di servizi di accesso ad Internet rende quest’ultimo utilizzo tecnicamente più difficoltoso, se non impossibile. Inoltre, quanto più il numero di clienti che concludono siffatti accordi è rilevante, tanto più l’impatto cumulativo di tali accordi può, tenuto conto della sua portata, comportare una notevole limitazione all’esercizio dei diritti degli utenti finali o addirittura compromettere l’essenza stessa di tali diritti.

In secondo luogo, per quanto riguarda l’interpretazione dell’art. 3, paragrafo 3, del Regolamento europeo, la Corte ha rilevato che, per constatare un’incompatibilità con tale disposizione, non è richiesta alcuna valutazione dell’impatto di tali misure di blocco o di rallentamento del traffico sull’esercizio dei diritti degli utenti finali. Tale disposizione, infatti, non prevede un simile requisito per valutare il rispetto dell’obbligo generale di trattamento equo e non discriminatorio del traffico ivi contenuto. La Corte di Giustizia UE ha dichiarato, inoltre, che quando misure di rallentamento o di blocco del traffico sono basate non su requisiti di qualità tecnica del servizio obiettivamente diversi di specifiche categorie di traffico, ma su considerazioni di ordine commerciale, tali misure devono ritenersi, in quanto tali, incompatibili con la suddetta disposizione. Pertanto, pacchetti come quelli in questione, sono, in via generale, tali da violare sia l’art. 3, paragrafo 2 che l’art. 3, paragrafo 3, del Regolamento 2015/2120, fermo restando che le autorità ed i giudici nazionali competenti possono direttamente esaminarli alla luce della seconda di tali disposizioni.

La Corte di Giustizia dell’Unione europea precisa, in ogni sua decisione, che il rinvio pregiudiziale consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte UE in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione, ma essa non risolve la controversia nazionale che rientra nella competenza esclusiva del giudice nazionale che decide in conformità alla decisione della Corte europea. La decisione della Corte, comunque, vincola egualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.

Se la sentenza in commento ha considerato il caso specifico dell’Ungheria, il principio di legge si applica a tutti i Paesi membri e dà una indicazione chiara anche all’Italia, dove quasi tutti gli operatori mobili sono già stati sanzionati dall’Agcom per le pratiche di “tariffa zero”[3].

L’intervento dell’Agcom ha avuto un considerevole effetto di moral suasion inducendo gli operatori ad interrompere o rimodulare offerte zero rating non in linea con il Regolamento europeo.

Lo stesso è accaduto per le condotte di gestione del traffico, vietate dal Regolamento quando idonee a realizzare discriminazioni in rete. L’Autorità, anche a seguito di reclami da parte degli utenti finali circa la presunta illegittimità di alcune pratiche tecniche e commerciali, ha dato avvio ad un’intensa attività di vigilanza che ha indotto gli operatori a rimodulare le proprie condizioni contrattuali rimuovendo gli elementi di potenziale incompatibilità con il Regolamento UE.

Ogni anno l’Agcom, secondo quanto prescritto dalle Linee Guida del Berec[4], pubblica sul proprio sito una Relazione annuale relativa all’attività di monitoraggio e vigilanza in materia di neutralità della rete.

 

Aloi Teresa, Foro di Catanzaro

 

[1] Regolamento (UE) 2015/2120 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 novembre 2015, che stabilisce misure riguardanti l’accesso ad una rete Internet “aperta”e che modifica la direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale ed ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica  ed il regolamento UE n. 531/2012 relativo al roaming sulle reti pubbliche di comunicazioni mobili all’interno dell’Unione.

[2] I piani per Facebook Zero sono stati annunciati per la prima volta al Mobile World Congress nel febbraio 2010 da Chamath Palihapitiya (venture capitalist canadese-americano, fondatore e CEO di Social Capital, è stato uno dei primi dirigenti senior di Facebook, entrando a far parte dell’azienda nel 2007 e lasciandola nel 2011) in collaborazione con 50 operatori di telefonia mobile in tutto il mondo ed è stato lanciato ufficialmente il 18 maggio 2010. Lo schema è considerato zero-rated o la pratica di offrire dati gratuiti per alcuni servizi, filtrandone altri. In alcuni Paesi, Facebook Zero è offerto come parte del piano dati di base gratuito di un vettore che potrebbero includere l’accesso a Google e Wikipedia, oltre a contenuti localizzati. Facebook Zero è diventato oggetto di critica in alcuni Paesi a causa di diversi problemi come la neutralità della rete. Ad esempio, la TRAI (Telecom Regulatory Authority Indiana) vieta i servizi a tariffa zero a causa di “tariffe discriminatorie per i servizi dati sulla base del contenuto”. Una critica ha riguardato il fatto che Facebook in questo modo pratica quello che è stato definito come il “colonialismo digitale” perché lo è non introdurre internet aperto ma costruire un “piccolo web che trasforma l’utente in un consumatore per lo più passivo di contenuti aziendali per lo più occidentali”. 

[3] Delibera n. 123/17/CONS: Diffida alla società Wind Tre S.p.a. in relazione alla corretta applicazione del Regolamento UE 2015/2120 che stabilisce misure riguardanti l’accesso ad una rete internet aperta. 

[4] Berec: Organismo dei regolatori europei  delle comunicazioni elettroniche è un’agenzia dell’Unione europea che ha sede a Riga (Lettonia), è stata istituita con il  Regolamento (CE) n. 1211/2009 ed è entrata in funzione nel gennaio 2010.