A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA: GIUDICI ONORARI, LA CORTE UE DECIDE SULL’INQUADRAMENTO GIURIDICO E SUL TRATTAMENTO ECONOMICO (CGUE 16 LUGLIO 2020, C-658/18).

 Autore: Avv. Teresa Aloi

 

Sentenza da alcuni definita storica quella pronunciata dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea il 16 luglio scorso in tema di inquadramento giuridico ed economico della magistratura onoraria.

La sentenza è importante perché fissa dei principi rilevanti a tutela del lavoro dei magistrati onorari e si inserisce nell’acceso dibattito sul tema dell’equiparazione dello stato giuridico ed economico dei giudici di pace e dell’intera magistratura onoraria, Got e Vpo, a quello della magistratura professionale.

La vicenda processuale nasce dall’azione di un giudice di pace, la dott.ssa Cristina Piazza, che dopo aver trattato in un anno (dal 1°luglio 2017 al 30 giugno 2018) 1.800 procedimenti e svolto due udienze a settimana, ha presentato all’Ufficio del giudice di pace di Bologna un ricorso per decreto ingiuntivo diretto ad ottenere la condanna del Governo italiano al pagamento della retribuzione del mese di ferie di agosto 2018 (euro 4.500,00) che spetterebbe ad un magistrato ordinario con la sua stessa anzianità di servizio. Il pagamento è stato richiesto a titolo di risarcimento del danno subito per la violazione da parte dello Stato italiano, della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, della direttiva 2003/88/CE in relazione ad alcuni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro e per violazione dell’art. 31 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (diritto alle ferie annuali retribuite).

La legge n.374/1991, istitutiva dell’Ufficio del giudice di pace[1], prevede a titolo di compenso per lo svolgimento dell’incarico, un’indennità per ciascuna udienza (35,00 euro) e per ciascun processo assegnato e definito o cancellato dal ruolo (55,00 euro), oltre al pagamento di un’indennità (250,00 euro) per ogni mese di effettivo servizio, a titolo di rimborso spese per l’attività di formazione, aggiornamento e per l’espletamento dei servizi generali dell’istituto. Nel vigore di tale legge, pertanto, durante il periodo di sospensione feriale delle udienze e del servizio, il giudice di pace che non svolge attività non percepisce alcuna indennità. Un magistrato ordinario, invece, con la stessa anzianità di servizio, ha sempre diritto alla retribuzione anche durante il periodo di sospensione del servizio per ferie.

Il giudice di pace di Bologna, investito della controversia, ha ritenuto che lo svolgimento dell’attività di giudice di pace va inquadrato nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, sia in ragione dei vincoli di subordinazione esistenti tra il magistrato onorario ed il Ministero della Giustizia, sia in ragione dell’inquadramento dei magistrati onorari nell’organico dell’ordine giudiziario soggetto al Consiglio Superiore della Magistratura. Tale inquadramento comporterebbe l’applicabilità della direttiva 2003/88/CE sulle prescrizioni minime cui devono attenersi gli Stati membri nel disciplinare l’organizzazione dell’orario di lavoro. L’art. 7 della direttiva stessa stabilisce che le ferie retribuite, cui ciascun lavoratore ha diritto, siano previste nella misura minima di quattro settimane annuali secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali.

L’attività del giudice di pace sarebbe poi inquadrabile nella categoria del lavoro subordinato a tempo determinato, definito dalla direttiva come quel rapporto di lavoro il cui termine è fissato da condizioni oggettive, quali una data certa di inizio e fine rapporto, il completamento di uno specifico compito o il verificarsi di un determinato evento.

La clausola 4 dell’accordo quadro prevede, inoltre, per quanto riguarda le condizioni di impiego, il principio di non discriminazione del trattamento dei lavoratori a tempo determinato rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato.

Sulla base di tali considerazioni, il giudice di pace di Bologna ha ritenuto di sospendere il giudizio e di sollevare davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea alcune questioni pregiudiziali:

- preliminarmente, se la figura del giudice di pace rientra nella nozione di giudice comune europeo (giurisdizione nazionale) competente a proporre istanza di rinvio pregiudiziale secondo l’art. 267 del Trattato europeo anche se l’ordinamento interno, per la sua precarietà lavorativa, non gli riconosce condizioni di lavoro equivalenti a quelle dei magistrati professionali;

- in secondo luogo, se l’attività del giudice di pace rientra nella nozione di “rapporto di lavoro a tempo determinato” secondo la definizione della direttiva 2003/88/CE e se, pertanto, sussista discriminazione tra il trattamento retributivo dei giudici togati che godono di ferie retribuite e quello dei giudici di pace che non percepiscono indennità durante il periodo di sospensione feriale.

Tutto questo alla luce del combinato disposto degli artt. 1, paragrafo 3, e 7 della direttiva 2003/88/CE, della clausola 2 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato (concluso il 18 marzo 1999 ed allegato alla direttiva 1999/70/CE) e dell’art. 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, nell’interpretazione espressa dalla Corte di Giustizia nelle sentenze O’Brien (CGUE 7 novembre 2018, C-432/17) e King (CGUE 29 novembre 2017, C-214/16).

La Corte di Giustizia europea, con la sentenza in commento, nel rispondere al primo quesito ritiene che non vi siano dubbi circa l’origine legale e l’indipendenza dell’Ufficio del giudice di pace. La nozione di indipendenza è caratterizzata da requisiti esterni, consistenti nell’esercizio delle proprie funzioni in piena autonomia senza subordinazione a vincoli, ordini e senza ricevere pressioni che influiscano sulle decisioni e nell’inamovibilità dei membri dell’organo che costituisce una garanzia inerente all’indipendenza dei giudici e da un requisito interno che è l’imparzialità dell’organo che riguarda l’equidistanza rispetto alle parti della controversia ed ai loro rispettivi interessi oltre al rispetto dell’obiettività e l’assenza di qualsiasi interesse nella soluzione della controversia all’infuori della stretta applicazione delle norme giuridiche. Tali garanzie di indipendenza ed imparzialità sono  assicurate dalle norme interne sulla ricusazione, astensione, incompatibilità, composizione dell’organo, nomina e durata delle funzioni. La Corte ha ritenuto che l’art. 267 TFUE debba essere interpretato nel senso che il giudice di pace rientra nella nozione di “giurisdizione di uno degli Stati membri” e come tale legittimato sollevare questioni pregiudiziali davanti alla Corte UE.

In riferimento alla seconda questione, circa l’applicabilità della direttiva 2003/88/CE sul lavoro subordinato all’attività del giudice di pace, i giudici europei hanno dato risposta affermativa. Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia, infatti, nella nozione di “lavoratore” rientra ogni persona che svolga attività reali ed effettive, che non siano puramente marginali o accessorie e che fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra persona e sotto la sua direzione, una determinata prestazione in cambio di una retribuzione.

Tali caratteristiche sono senza dubbio riscontrabili nell’attività del giudice di pace disciplinata dalla normativa italiana.

Secondo la Corte di Giustizia, il carattere di subordinazione del rapporto di lavoro non è incompatibile con il requisito di indipendenza della magistratura, anche onoraria, pertanto, un giudice può sicuramente essere definito come “lavoratore”. L’organizzazione dell’attività del giudice di pace prevede, infatti, il rispetto di tabelle per l’assegnazione dei fascicoli e la distribuzione delle date e degli orari di udienza, inoltre, egli è tenuto ad osservare gli ordini di servizio del Capo dell’Ufficio, i provvedimenti del CSM, deve essere costantemente reperibile ed ha obblighi disciplinari simili a quelli dei magistrati togati. Le prestazioni svolte non possono certo essere definite marginali ed accessorie.

Per l’ordinamento italiano, il giudice di pace fa parte della magistratura onoraria e per l’attività svolta ha diritto ad un’indennità e non ad uno stipendio. Per i giudici europei la sola circostanza che le funzioni di giudice di pace siano qualificate come “onorarie” dalla normativa nazionale non significa che le prestazioni finanziarie percepite debbano essere considerate prive di carattere remunerativo e “né il livello limitato di tale retribuzione, né l’origine delle risorse per quest’ultima possono avere alcuna conseguenza sulla qualità di lavoratore ai sensi del diritto dell’Unione”.

A questo punto la Corte di Giustizia UE si sofferma sulla possibilità di inquadrare l’attività del giudice di pace nell’ambito del rapporto di lavoro a tempo determinato. Nella legislazione italiana, il mandato dei giudici di pace è limitato ad un periodo di quattro anni, rinnovabile. Secondo la Corte, pertanto, il rapporto che lega il giudice di pace al Ministero della Giustizia ha durata determinata.

La clausola 4 dell’accordo quadro della direttiva 2003/88/CE vieta che i lavoratori a tempo determinato siano trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato per il solo fatto di svolgere un’attività sulla base di un contratto a tempo determinato. La ratio della norma è quella di impedire che il datore di lavoro possa privare il lavoratore dei suoi diritti optando volutamente per una forma di contratto a tempo determinato.

Il principio di non discriminazione consente delle eccezioni solo nel caso in cui il legislatore nazionale riconosca l’esistenza di “ragioni oggettive”. Per stabilire se il lavoro del magistrato onorario sia comparabile con quello del magistrato togato è necessario confrontare la natura del lavoro svolto, le condizioni di formazione e le condizioni di impiego. Nel caso di specie, dal fascicolo sottoposto alla Corte di Giustizia UE risulta che la ricorrente nel procedimento principale, in quanto giudice di pace, potrebbe essere considerata comparabile ad un magistrato togato che ha superato la terza valutazione di idoneità professionale e ha maturato un’anzianità di servizio di almeno quattordici anni, poiché ha svolto un’attività giurisdizionale equivalente a quella di un magistrato ordinario, con le stesse responsabilità sul piano amministrativo, disciplinare e fiscale ed è stata continuamente inserita nell’organico degli uffici presso i quali ha lavorato percependo le relative prestazioni finanziarie. Più in generale, il giudice di pace, al pari di un giudice ordinario, appartiene all’ordine giudiziario nazionale, esercita la giurisdizione in materia civile e penale, nonché una funzione conciliativa in materia civile. Egli, inoltre, è tenuto all’osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari ed a rispettare tabelle indicanti la composizione dell’ufficio di appartenenza, le quali disciplinano dettagliatamente ed in modo vincolante l’organizzazione del suo lavoro. In caso di inosservanza dei suoi doveri deontologici e d’ufficio è sottoposto al potere disciplinare del CSM ed agli stessi rigorosi criteri applicabili per le valutazioni di professionalità ed alle stesse norme in materia di responsabilità civile ed erariale previsti per i giudici togati.

Sotto tali aspetti, secondo la Corte europea, vi è una equiparabilità, rilevando una sola sostanziale differenza che consiste nel fatto che ai giudici di pace sono attribuite controversie che hanno ad oggetto questioni di minore rilevanza rispetto a quelle assegnate ai giudici ordinari di maggiore complessità ed importanza.

Alla luce di tale differenza la Corte di Giustizia dell’Unione europea rimette al giudice nazionale di valutare se essa possa costituire un motivo sufficiente per consentire la disparità di trattamento, rientrando nell’ambito di quelle “ragioni oggettive” che, secondo la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro, giustificano la differenza di trattamento economico tra il lavoratore a tempo determinato ed il lavoratore a tempo indeterminato. La previsione di un concorso per l’accesso previsto per i magistrati ordinari (art. 106 Cost.) e la competenza loro riservata per le questioni di maggiore rilevanza e complessità potrebbero essere indice di una particolare natura delle mansioni di cui devono assumere la responsabilità ed un diverso livello delle qualifiche richieste ai fini dell’assolvimento di tali mansioni. Queste differenze potrebbero giustificare, quindi, la discrezionalità dello Stato italiano nel prevedere un diverso trattamento retributivo tra i giudici di pace ed i giudici ordinari (argomento a difesa sostenuto dal Governo italiano).

La Corte UE ritiene, pertanto, che la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale che non preveda il diritto per un giudice di pace di beneficiare di ferie annuali retribuite di 30 giorni, come quello previsto per i magistrati ordinari, nell’ipotesi in cui tale giudice di pace rientri nella nozione di “lavoratore a tempo determinato” ai sensi della clausola 2, punto 1, di tale accordo quadro, e nell’ipotesi in cui si trovi in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario, a meno che tale differenza di trattamento sia giustificata dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui detti magistrati devono assumere la responsabilità, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

Sulla decisione della Corte di Giustizia UE la stessa ricorrente, la dott.ssa Piazza, ha precisato che tale sentenza riveste una grande importanza perché adesso l’ordinamento italiano dovrà adeguarsi ad essa. Il giudice di pace viene considerato alla pari del giudice europeo, ha diritto alle stesse prerogative di indipendenza ed autonomia. L’aspetto più importante da sottolineare sta nel fatto che lo Stato italiano ha sempre trattato i giudici onorari come “volontari” che potevano svolgere la loro attività senza alcun vincolo, non considerando che essi sono soggetti alle stesse norme organizzative dei magistrati professionali e se, ad esempio, non depositano in tempo una sentenza, possono essere soggetti a procedimenti disciplinari. Con la sentenza della Corte europea del 16 luglio scorso i magistrati onorari acquistano lo stesso status giuslavorativo del magistrato a tempo indeterminato. Tale decisione, continua la dott.ssa Piazza, non vincola solo il giudice di pace di Bologna che dovrà recepirla per emettere il decreto ingiuntivo, ma anche tutti gli altri. In questo senso abbiamo l’esempio della Gran Bretagna dove Dermod Patrick O’Brien, magistrato onorario, trascinò davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione europea il Ministero della Giustizia britannico per vedersi riconosciuto il diritto alla pensione. La decisione fu a lui favorevole ed il Regno Unito concesse a tutti i magistrati onorari il diritto ottenuto da O’Brien per via giudiziaria.

Proprio sulla base del principio stabilito con la sentenza O’Brien la Commissione europea aveva aperto una procedura di pre-infrazione contro l’Italia. L’accusa era di aver violato la direttiva europea n. 99/70 continuando a rinnovare i contratti a termine di Got e Vpo senza aggiungere maggiori tutele e remunerazione. A differenza del Regno Unito dove a tutti i magistrati onorari è stato riconosciuto lo stesso diritto ottenuto da O’Brien, in Italia manca ancora una legge che riconosca ai magistrati onorari le stesse tutele dei magistrati ordinari.

Il governo italiano è riuscito a fermare la procedura di infrazione promettendo una riforma della materia che però nonostante i diversi governi succedutisi negli anni non è ancora arrivata.

 

Avv. Teresa Aloi,  Foro di Catanzaro

 

[1] L’istituto del giudice di pace (vecchio giudice conciliatore) è entrato in funzione il 1 maggio 1995. Con la riforma della magistratura onoraria ai sensi del D.Lgs. 13 luglio 2017, n. 116, il magistrato assunse il nome di giudice onorario di pace. L’art. 24 del D.Lgs. n. 116/2017 ora prevede per i giudici di pace la retribuzione del periodo feriale.