A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

LA COSTITUZIONE AI TEMPI DEL CORONAVIRUS (SOTTACENDO SULLA "COSTITUZIONE SOSPESA")

Autore: Prof. Fabrizio Giulimondi

 

Di letteratura e cinematografia evocante la peste ve n'è a iosa. Ora è il tempo del Covid-19 - "clausola generale", "categoria giuridica", "dimensione esistenziale e fattuale" - cui è consentito comprime il diritto nelle sue polimorfe discipline, prima fra tutte quella costituzionale. Certamente studi sociologici, psicologici, psichiatrici o inerenti alla comunicazione di massa saranno interessati per molti anni dai "tempi del coronavirus", ma per chi scrive è doveroso soffermarsi con la lente d'ingrandimento del diritto costituzionale sui numerosi DPCM (Decreti del Presidente del Consiglio) che si sono affastellati in questi mesi per rispondere all'emergenza pandemica.

Il DPCM è un provvedimento monocratico deciso dal solo Presidente del Consiglio, del tutto privo di valore legislativo avendo unicamente natura amministrativa, sussumibile nel suo contenuto in seno alle c.d. "ordinanze di necessità e di urgenza".

Autorevoli giuristi e costituzionalisti, da ultimi i Presidenti emeriti della Consulta Cassese e Baldassarre, hanno dichiarato clarisverbis che questi atti (si ribadisce, meramente amministrativi) sono incostituzionali. A tale riguardo mi permetto di aggiungere un elemento ulteriore. Non sono solamente incostituzionali. Per essere tali, difatti, dovrebbero sostare all'interno del perimetro della Carta. Essi, invece, sono "oltre", in nulla coperti dal bastione costituzionale, al di fuori del confine che circonda la Carta: non sono incostituzionali, bensì “acostituzionali” ("a" in veste di alfa privativo), in ragione della assenza della copertura costituzionale. La differenza la si ricava con l'ausilio del diritto civile nella radicale diversità fra negozio nullo e negozio inesistente: la nullità vizia gravemente un atto che, però, rimane riconoscibile socialmente e normativamente (un contratto di compravendita nullo vuole dire che manca di elementi essenziali ma è riconoscibile "nella sua struttura" come atto di compravendita); l'inesistenza inficia a tale punto un contratto da renderlo né riconosciuto né riconoscibile dall'ordinamento giuridico (un matrimonio fra un essere umano e un animale).

La riserva assoluta e rinforzata  di legge è il baluardo posto a protezione delle libertà e dei diritti riconosciuti e garantiti dalla Costituzione: solo e  soltanto una legge parlamentare o un atto normativo ad essa equipollente  (decreto legge e decreto legislativo),  nel rispetto di indicazioni specifiche e tassative fissate dalla  Carta stessa (ragioni di sanità, incolumità pubblica, sicurezza, economiche e fiscali), possono stabilire, sin nei dettagli, un argine alle libertà  e ai  diritti previsti dall'art.13Cost. (libertà personale), 14Cost. (inviolabilità del domicilio), 16 Cost. (diritto di spostamento) e 17 Cost. (diritto di riunione). Non solo: la libertà personale di cui all'art. 13Cost. - al pari della segretezza delle comunicazioni ex art. 15 Cost. – richiede, per essere limitata o cancellata, oltre la riserva assoluta e rinforzata di legge, anche la presenza della riserva di giurisdizione, in virtù della quale si demanda unicamente all'Autorità giudiziaria il potere di disporre con proprio atto motivato siffatta limitazione o cancellazione. Garanzie, tutele e protezioni sussistono anche per il diritto di professare liberamente il proprio culto (art. 19 Cost.), di agire e difendersi in giudizio (art. 24 Cost.), per la libertà di insegnamento (art. 33 Cost.), per l’iniziativa economica privata (art.41 Cost.) ed il diritto al lavoro (artt. 4 e 35Cost.).

Come è pensabile che libertà e diritti costituzionalmente riconosciuti possano essere ancorati a stringenti e asfissianti limitazioni - alcune di esse anche discutibili e irrazionali -  come non se ne erano mai viste dal 1948 ad oggi,per mera opera di un blocco di DPCM, di provvedimenti amministrativi, di ordinanze necessitate? Può il diritto alla salute (art. 32 Cost.) sopravanzare tutte le molteplici cennate disposizioni, divenendo unico diritto supremo, Moloch dell'ordinamento giuridico italiano, titolare del potere assoluto di ridimensionare così grandemente l’esercizio di una tale pletora di diritti e libertà riconosciuti e tutelati dalla Carta costituzionale? Un bilanciamento fra diritti costituzionali di pari grado deve essere effettivo e non certamente fittizio, mentre fittizio è stato quello che ha orientato la stesura della mole di DPCM che si sono vorticosamente succeduti dai primi di marzo: il diritto alla salute ha prevalso in maniera extra ordine mac contra constitutionem su tutti gli altri, degradati in un sol colpo a comparse.

E non è finita qui!

Le ordinanze di necessità ed urgenza (che in questo caso possiedono la veste del DPCM, ma possono essere adottate, ad esempio, anche con ordinanze sindacali o dei Presidenti di Regione) – atti amministrativi dal contenuto più vario, emessi in contingenze gravi e impreviste e afferenti ad un territorio delimitato, senza escludere, però, l'intera Nazione – secondo la giurisprudenza costituzionale, per essere valutate come legittime, hanno l'obbligo di rispettare i seguenti requisiti:

  1. essere adeguatamente motivate;
  2. non contrastare con la Costituzione;
  3. non intervenire in alcun modo in materie coperte da riserva assoluta di legge;
  4. contenere la fissazione del termine finale di durata per ogni singola misura prevista nella ordinanza;
  5. essere pubblicizzate con mezzi idonei;
  6. avere come presupposto legittimante, oltre lo stato di necessità e di urgenza, la loro previsione in un testo legislativo a monte (legge, decreto legge, decreto legislativo), oltre il richiamo ai principi generali dell’ordinamento giuridico e costituzionale.

Nei DPCM sino ad ora emanati sono presenti soltanto i requisiti di cui ai nn. 1) 5) e 6), ma solo nella parte riguardante lo stato di necessità e di urgenza: i restanti elementi sono mancanti.

I DPCM:

1) contrastano platealmente con la Costituzione e, segnatamente, con le norme poc’anzi citate;

2) incidono altrettanto platealmente su materie coperte da riserva assoluta (e rinforzata) di legge, a partire dalla libertà personale ex art. 13 Cost. (che è coperta anche da riserva di giurisdizione);

3) il termine finale di efficacia è indicato per il provvedimento nella sua interezza e, pertanto, generalizzato per tutte le misure limitative delle libertà e diritti e non, invece, precisato per ogni misura restrittiva stabilita;

4) Le previsioni legislative a monte (il decreto legge 23.2.2020, n. 6, convertito in legge 5.3.2020, n. 13, poi sostituito, salvo talune eccezioni, dal decreto legge 25.3.2020, n. 19, in fase di conversione) sono solo formalmente costituzionalmente legittime, poiché dovevano essere i medesimi provvedimenti normativi d'urgenza ex art. 77 Cost.  a disciplinare la materia ed elencare le decisioni limitative di diritti e libertà e non, in maniera improvvida, i DPCM da essi richiamati: ancora più chiaramente, dovevano essere i decreti legge a dover prescrivere nel dettaglio come, cosa ed a chi limitare libertà e diritti, in alcun modo demandando ciò ad uno strumento amministrativo privo di natura legislativa. Abbiamo a che fare con una norma penale in bianco di giuspenalistica memoria: il contenuto del decreto legge esiste solo apparentemente essendo tutto inserito nei DPCM cui esso rimanda in maniera gravemente lesiva dell’art. 77 Cost.;

5) infine, difettano nell'incipit i necessari richiami ai principi generali dell’ordinamento giuridico - costituzionale dello Stato.

Ricordo che il principio di proporzionalità, più volte riconosciuto dai giudici della Consulta, è inerente anche alle azioni dell’Esecutivo, specie quando esse incidano così sensibilmente su libertà e diritti costituzionalmente garantiti, proporzionalità di cui sono del tutto sprovviste le statuizioni sino ad ora prese in via solitaria dal Presidente del Consiglio.

Abbiamo assistito nelle ultime decadi ad un abuso quasi sfacciato dei decreti legge, utilizzati per intervenire in qualunque settore, spesso privi dei necessari requisiti di necessità e di urgenza. La pandemia sostanzia il caso di scuola per l'uso dei provvedimenti normativi di urgenza a mente dell'art. 77 Cost: per quale ordine di fattori invece di adoperare  il decreto legge, approvato dall'organo collegiale del Consiglio dei Ministri, immediatamente in vigore e coinvolgente i due rami del  Parlamento nella fase di conversione in legge, si è voluto privilegiare il mezzo monocratico (di emanazione del solo Presidente del Consiglio) di natura squisitamente amministrativa (impugnabile al TAR)* quale è il DPCM?

L'assenza di un passaggio collegiale al Consiglio dei Ministri e, poi, assembleare alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, pur nella immediata efficacia dei decreti legge, determina un vulnus all'ordinamento costituzionale, istituzionale e democratico dello Stato non facilmente rimarginabile, anche se tutti i DPCM sino ad ora pubblicati fossero "trasformati" in decreti legge.

Mi sia consentito concludere con le parole del politico settecentesco statunitense Benjamin Franklin: "Chi rinuncia alle libertà essenziali per ottenere una sicurezza temporanea, non merita né libertà né sicurezza".

 

*Come avvenuto lo scorso 5 maggio da parte di alcuni piccoli imprenditori che hanno impugnato il DPCM del 26 aprile, in via cautelare, innanzi al TAR Lazio.

 

Fabrizio Giulimondi, consulente giuridico-normativo presso la Presidenza della Commissione agricoltura e produzione agroalimentare del Senato della Repubblica