DEMOCRAZIA E AUTORITARISMO NEL DIRITTO PENALE A TRENT’ANNI DALLA CADUTA DEL MURO DI BERLINO (9.11.1989-9.11.2019): FOCUS SU DIVIETO DI ANALOGIA, IRRETROATTIVITÀ DELLA LEGGE E "PRESUNZIONE DI INNOCENZA O DI NON COLPEVOLEZZA" *
Autore: Prof. Fabrizio Giulimondi
*A differenza di tutte le precedenti pubblicazioni, in questo breve scritto non ho voluto mettere a piè di pagina alcuna nota, né redigere una trattazione particolareggiata sui singoli aspetti ed istituti oggetto di disamina, avendo proprio il proposito di evidenziare la sua natura di relazione, posta a base di alcuni miei interventi convegnistici e seminariali, desiderando mantenere, pertanto, il particolare ampio respiro che tratteggia un discorso tenuto corampopuloe che, in quanto tale, si affaccia sull'"universale" non trattenendosi troppo sul "particulare". Mi auguro sia di Vostro gradimento.
(Premessa) A poche settimane dall'anniversario del trentennale della caduta del Muro di Berlino (9 novembre 1989) il Parlamento europeo il 19 settembre 2019 ha approvato una risoluzione "sull'importanza della memoria europea per il futuro dell'Europa", sancendo clarisverbis l'equiparazione fra la tirannide comunista e quella nazista, come non era mai stato fatto prima:"(3)ricorda che i regimi nazisti e comunisti hanno commesso omicidi di massa, genocidi e deportazioni, causando, nel corso del XX secolo, perdite di vite umane e di libertà di una portata inaudita nella storia dell'umanità, e rammenta l'orrendo crimine dell'Olocausto perpetrato dal regime nazista; condanna con la massima fermezza gli atti di aggressione, i crimini contro l'umanità e le massicce violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime nazista, da quello comunista e da altri regimi totalitari"; (6)"condanna tutte le manifestazioni e la diffusione di ideologie totalitarie, come il nazismo e lo stalinismo, all'interno dell'Unione"; (15)"sostiene che la Russia rimane la più grande vittima del totalitarismo comunista e che il suo sviluppo in uno Stato democratico continuerà a essere ostacolato fintantoché il governo, l'élite politica e la propaganda politica continueranno a insabbiare i crimini del regime comunista e ad esaltare il regime totalitario sovietico; invita pertanto la società russa a confrontarsi con il suo tragico passato;".
Il 6 giugno 1944 ("Sbarco degli Alleati in Normandia") segna il D-day dell'inizio della fine del Terzo Reich (inveramento del "Male Assoluto"); il 9 novembre 1989 incarna il giorno del Big Bang da cui si scatena l'implosione del comunismo europeo, fonte di oppressione con stermini, negazione di ogni pur minima libertà, assenza assoluta di diritti e miseria, delle popolazioni degli Stati appartenenti al Patto di Varsavia (Russia, Polonia, Ungheria, Cecoslovacchia, Bulgaria, Germania Est-Repubblica Democratica Tedesca, Romania), oltre d'Albania e di Jugoslavia (Paesi fuori dall'Alleanza, la prima dal 1968, la seconda mai entrata).
Qualche riflessione da un'ottica costituzional-penalistica su questi sistemi, focalizzando l'attenzione su istituti quali l'analogia, la retroattività delle leggi e la presunzione di innocenza-non colpevolezza, inconfondibili cartine tornasole della presenza o meno di democraticità e di liberalità negli ordinamenti giuridici, è opportuno, anzi doveroso farla, perché il passato non torni.
(Introduzione) Achim von Arnin, scrittore tedesco del Romanticismo, ebbe a dire: "Ma ciò che è stato taciuto non muore per questo, ed è folle l'apprensione per ciò che non può perire ... lo spirito ama le sue opere come un segno dell'eternità.''. All'indomani di due terrifiche guerre mondiali, il passato di profonde rivendicazioni culturali e sociali è tornato a farsi strada nelle coscienze delle generazioni sopravvissute: si afferma, con rinnovato vigore, il pensiero di grandi uomini del passato.
Trascorso il periodo rappresentato-seguendo la distinzione richiamata dallo storico Gianni Oliva e fatta propria dal punto 10 della cennata risoluzione del Parlamento europeo - dagli anni del regime autoritario fascista in Italia, totalitario hitleriano in Germania e comunista in Unione Sovietica e negli altri Paesi orientali europei, come in un riflusso di coscienza ritornano in auge le spinte democratiche che avevano animato l'Ottocento liberale e il primo Novecento. In Italia il pensiero di giuristi quali Carrara, Lucchini, Stoppato, Carnelutti, che avevano dato voce alle ragioni del presunto innocente, prendendone ''in mano la bandiera'' e affermando con decisione il principio di civiltà per cui ''è meglio assolvere un colpevole che condannare un innocente'', viene salvato e attualizzato dai nuovi giureconsulti dell'epoca post-bellica. D'altronde la consapevolezza delle degenerazioni che può subire l'organizzazione politico-sociale di uno Stato in mancanza di ''anticorpi democratici'', così come era avvenuto durante l'epoca fascista in Italia, nazista in Germania e comunista nei Paesi del Blocco di Varsavia, formava sicuramente una forza propulsiva per invitare a vegliare attentamente sulla sorte pericolosa che le garanzie della persona possono subire in uno Stato totalitario o autoritario.
Per comprendere al meglio le deformazioni e le gravissime storture che i regimi autoritari e totalitari del secolo scorso hanno immesso nel diritto penale, è sufficiente verificare l'approccio da questi avuto con il principio di legalità, l’istituto della analogia e quello della irretroattività della norma penale incriminatrice.
(Divieto di analogia) Il principio di legalità sostanziale e l’analogia in malampartem costituiscono lo strumento primario nel regime hitleriano e in quello comunista per attuare pretese esigenze di difesa sociale e di una più sostanziale giustizia, consentendo di punire ciò che è socialmente pericoloso, anche se non previsto come reato dalla legge, come di non punire ciò che è socialmente non pericoloso anche se previsto dalla legge come reato.
Oltre che nel diritto penale nazionalsocialista, l’amplissima riformulazione del par. 2 del codice penale che ha introdotto il procedimento analogico come mezzo per adeguare la legge al Rechtsgeist (il sentimento giuridico del popolo), si riscontra anche nel diritto penale dei Paesi a socialismo reale, soprattutto nelle fasi rivoluzionarie o di assestamento della nuova società, in cui l’analogia le gisiurisque è fondamentale mezzo per adeguare la norma penale al divenire della legalità socialista.
Non esiste, invece, una necessaria correlazione, ma soltanto una consolidata tendenza, tra ordinamento liberal-democratico e divieto di analogia, come comprovano sistemi di radicata tradizione democratica, quali quelli scandinavi e di common law, nei quali non esiste alcun esplicito divieto, senza che con ciò siano scosse le garanzie dei cittadini. In verità la pericolosità o la convenienza dell’analogia dipendono dalla mentalità e dalla finalità con cui il giudice fa ad essa ricorso e, in definitiva, dal grado di consenso generale sui valori fondamentali di democraticità di un popolo, dall’indipendenza e imparzialità della magistratura e dallo stesso costume giudiziario. Nel nostro ordinamento l’atavico timore per l’arbitrio del giudice ed una realtà politico-giuridica che non esclude condizionamenti esterni sul potere giudiziario (sulla questione della c.d. "giurisprudenza creativa" mi permetto di rimandare ad un mio lavoro pubblicato su questa stessa Rivista, 2017, 2, "'We the Court’, or ‘We the People’, that is the question”, ossia il contrasto fra giurisprudenza creativa e normazione governativo-parlamentare (dando una sbirciata anche agli altri ordinamenti"), indurrebbero a guardare con non infondato allarme l’abolizione del divieto di analogia, che nella versione in malampartem è perentoriamente inapplicabile ex art. 14 pre-leggi c.c., diversamente da quella in bonampartem ammessa da consolidata giurisprudenza di legittimità e di merito.
L’analogia, ammessa dall’art. 1 del codice penale danese, non è espressamente riconosciuta in Norvegia e in Svezia, dove però sono usate clausole generiche che non pongono limitazioni nette alla punibilità e che, d’altro canto, non consentono una chiara distinzione tra interpretazione estensiva ed applicazione analogica della legge: nella pratica giudiziaria norvegese e svedese si ritiene, senza infingimenti, che costituiscano veri e propri casi di valutazione analogica della norma.
(Irretroattività della legge penale) Il principio della retroattività della norma penale incriminatrice trova il suo fondamento nell’esigenza, propria della legalità sostanziale, di una più efficace difesa sociale ma anche di una più sostanziale giustizia, non ritenendosi giusto lasciare impuniti, per lacune legislative, gli autori di fatti antisociali che hanno dato causa alla nuova legge penale.
Tale principio ha trovato accoglimento nel diritto penale socialista, il quale, nella sua intrinseca esigenza di “conformità allo scopo”, deve ammettere la possibilità di colpire in ogni momento le manifestazioni contrarie alla dittatura del proletariato e, in particolare, a quelle antagonistico – controrivoluzionarie, riconducibili all'origine borghese dei rei: la norma penale, quindi, possiede lo scopo di colpire innanzitutto i controrivoluzionari per i crimini commessi prima della sua entrata in vigore. Nell’Unione Sovietica il principio di retroattività, talora attenuato o superato nel periodo del comunismo di guerra grazie alla creazione giurisprudenziale del diritto, trovò esplicita consacrazione nel codice del 1922, e frequenti applicazioni pratiche anche dopo la promulgazione del codice del 1926, nonostante non disciplinasse affatto l’efficacia della legge penale nel tempo, ogniqualvolta la retroattività della nuova legge penale si fosse rivelata “conforme allo scopo rivoluzionario”. Con il ritorno al principio del nullumcrimem sine legge (nel triennio 1958-60) si ha la formale consacrazione del principio di irretroattività, che in pratica, però, continuò a subire vistose deroghe motivate dall’esigenza dell’esemplarità di severe condanne.
Per la sua intrinseca capacità di essere strumentalizzato come modalità di vendetta politica, il principio di retro attività ha finito, fatalmente, per essere adottato dai totalitarismi più spietati, da quello staliniano a quello nazista. Quest'ultimo, pur mantenendo ferma nel par. 2 del codice penale la irretroattività della legge incriminatrice e rendendo facoltativa la retroattività della legge più favorevole, ha derogato al principio della irretroattività nelle leggi speciali a difesa dello Stato, incluse quelle che prevedevano la pena di morte. Retroattive furono pure alcune leggi emanate nei Paesi soggetti alla dominazione della "Croce Uncinata", a partire da quella francese del 7 agosto 194, istitutiva di un Tribunale di Stato incaricato di giudicare gli attentati allo “sviluppo della ricostruzione nazionale intrapresa dal governo Pètain”; a seguire l’ordinanza del Commissario tedesco per il litorale adriatico, datata 1° marzo 1944, sanzionante con l'eliminazione fisica qualsiasi furto commesso durante l’oscuramento; nonché il decreto del 10 novembre 1943,emanato dal Governo della Repubblica Sociale Italiana, istitutivo dei tribunali straordinari incaricati di giudicare i traditori della rivoluzione fascista; anni dopo retroattiva fu anche la legge greca dell'11-14 luglio 1967(sotto la dittatura militare del c.d. Governo dei Colonnelli) che reprimeva gli atti anti-nazionalistici posti in essere dai cittadini ellenici su territorio estero.
L'art. 2 del codice Rocco del periodo fascista, rimasto tutt'ora immutato, sottende una civiltà giuridica di diverso spessore rispetto a quella nazista e leninista-staliniana: "Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato"; parimenti, in ambito civilistico, l'art. 11, comma 1, pre-leggi c.c. ("La legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo"). Il principio di irretroattività della norma penale incriminatrice è stato innalzato a dignità costituzionale ad opera dell'art. 25, comma 2, Cost. ("Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso").
È doveroso procedere su questo tema ad un fugace cenno alla Cina, puntualizzandone la natura ordinamentale e politica dittatoriale ed il carattere economico-finanziario ibrido comunista e capitalista,simile ad un mostro mitologico, dopo l'introduzione, il 14 marzo 2004, nella Costituzione del 1982 da parte del Congresso Nazionale del Popolo (il Parlamento della Repubblica Popolare della Cina) della inviolabilità del diritto di proprietà privata.
Il principio di irretroattività, a seguito della legge penale cinese del 1951, è stato respinto per le normative destinate ad operare mutamenti sociali, quali quelle in materia di repressione dei controrivoluzionari, pur essendo meno severo il trattamento sanzionatorio per le infrazioni anteriori all’entrata in vigore della legge, mentre è stato introdotto dal codice del 1980 per i fatti commessi dopo l’instaurazione della Repubblica Popolare cinese in data 1° ottobre 1949.
(Presunzione di non colpevolezza/innocenza) È preliminare, dunque, porsi un interrogativo di fondo: qual è il peso che la ''presunzione di non colpevolezza'' riveste concretamente nelle democrazie contemporanee?
È nella seconda metà del Novecento, in particolare, che viene condivisa da tutti i processualisti l'opinione per cui la protezione dell’innocente sia un principio cardine dell'ordinamento.
La Costituzione italiana, in forza dell'art. 27, comma 2, si ricollega al principio della "presunzione di non colpevolezza'' (''L'imputato non è considerato colpevole sino alla sentenza definitiva''), mentre si declama una "presunzione di innocenza" nel par. 2 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nell'art. 11 della Dichiarazione Universale dei diritti dell'uomo e, infine, nell'art. 48 della Carta dei diritti fondamentali della Unione europea.
Bisogna attendere gli anni '60 perché la dottrina italiana solleciti una maggiore valorizzazione costituzionalmente orientata dei diritti della persona, segnatamente in campo giuspenalistico. È grazie a questa pulsione che la giurisprudenza supera l'iniziale difficoltà di far togliere al mondo del diritto la camicia nera, operando una reinterpretazione dei principi vigenti in epoca liberale, ma passati al setaccio dal Regime, alla luce del cambiamento repubblicano; tale trasformazione è stata fatalmente ardua nel passaggio da un passato sconfitto e un futuro ignoto e da riorganizzare e, per siffatta ragione, il Legislatore del primo dopoguerra non ha voluto accedere ad una nuova codificazione delle leggi penali fasciste in aderenza ai principi costituzionali.
Il punto centrale era ed è questo: l'ordinamento penale incide sul bene-interesse, costituzionale primario,della libertà personale garantito dall’art. 13Cost., non giustificando, di conseguenza, la privazione della libertà sulla base di un semplice giudizio di probabilità (o "non poteva non sapere"), ma solamente sulla prova certa della colpevolezza dell'imputato; in caso contrario il giudice assolve. Il presupposto della colpevolezza è irrinunciabile per la condanna e senza la rimproverabilità individuale non sussiste la pena.
Tale bagaglio basico, che vede come padre nobile in Italia Cesare Beccaria,stenta ad esser fatto proprio dalla Germania del dopoguerra e dai Paesi dell’ex blocco comunista dopo la caduta del Muro.
Nella prima v'è stata fatalmente una tardiva riscoperta dei principi garantistici, dovuta alla difficoltà di uscire moralmente - e non solo temporalmente e materialmente - dallo Stato totalitario. Con fatica si fanno strada all'interno del processo penale i diritti fondamentali dell'individuo quali la libertà, la dignità umana e la salvaguardia della sua personalità morale che, alla stessa stregua del dovere di punizione della condotta delittuosa, entrano in gioco nel tessuto delle regole penali sostanziali e processuali, diritti ponderati non solo dal Legislatore, ma scrutinati anche dalla Autorità giudiziaria germanica: fino a quando non possa muoversi ad un individuo un rimprovero soggettivo per la sua condotta, non può essere giustificata alcuna forma di condanna e di punizione; il singolo deve essere considerato come persona, con tutto il suo corredo di umanità, inserito in seno ai rapporti morali e sociali.
La posizione di svantaggio dell'imputato, nell'ottica della protezione dell'individuo dinnanzi all'onnipotenza del potere punitivo dello Stato, trova la sua salvaguardia nella Germania post nazionalsocialista, sul piano del diritto sostanziale, nei principi nullumcrimen sine legee nulla poena sine lege, enunciati dall'art.103, comma 2, della Grundgesetz (Costituzione federale tedesca) e, sul piano processuale, nel principio ''nessuna pena senza prova di colpevolezza''.
La pretesa punitiva dello Stato, orientata secondo principi di politica criminale, trova il suo sbarramento nella priorità della protezione dell'innocente e nel limite al potere del giudice di irrogare pene arbitrarie, ostacolo derivante dall'operatività dei principi fondamentali dell’essere umano e nella stessa legittimazione del diritto penale che si radica nella comunità, in nome e nell'interesse della quale lo Stato agisce. La comunità è il luogo dello scambio di relazioni feconde, ove il singolo si muove nella sicurezza di poter liberamente esplicare la propria personalità, nella certezza di non vedere degradata la sua dignità fisica, psicologica, spirituale e intima, un luogo in cui, come il filosofo Kant affermava, ''un uomo non può mai essere usato da altri uomini come strumento per raggiungere dei fini".
La cultura giuridica tedesca post bellica ha quindi, alla fine, contribuito alla necessaria protezione dei diritti inviolabili dell’individuo, in uno Stato volto ad assicurare la tutela effettiva dei diritti individuali ai suoi cittadini e, anche se non esplicitamente previsto dal codice, la dottrina ha ribadito con fierezza che in dubio pro reo è diritto vivente.
Spostandoci geograficamente verso l’Europa orientale, al pari del cambiamento culturale, giuridico, normativo e giurisprudenziale, ordinario e costituzionale, avutosi prima nella Germania occidentale e poi, dopo la riunificazione, nei cinque Länder della Germania comunista,il dibattito sulla presunzione di innocenza,sulla regola dell'indubio pro reo, nonché sui diritti di libertà della persona, ha subito uno sviluppo significativo anche nei Paesi al di là della c.d. cortina di ferro.
La fase rivoluzionaria vide numerosi processi durante gli anni che succedettero alla presa del potere leninista d’ottobre (6-7 novembre 1917 del calendario gregoriano; 24-25 ottobre 1917 del calendario giuliano) nella neonata Unione Sovietica, con milioni di voci messe a tacere in quanto etichettate ''di opinione borghese'', tanto che Solženicyn ebbe a dire: "Per trovarsi in un campo di lavoro sovietico, non è necessario commettere un crimine''.La presunzione di innocenza trova inizialmente un importante riconoscimento nel 1965 nella Nuova Enciclopedia dei concetti legali sovietici. Le prescrizioni qui riportate tendono a ribadire la natura di questo principio quale perno sul quale poggiare l'amministrazione della giustizia penale e, in virtù del quale, ogni altro principio acquista significato. Dalla presunzione di innocenza deriva, infatti, la regola per cui l'onere probatorio è a carico dell'accusa e che tutti i dubbi irrisolti sono a carico dell'imputato. Le correnti di pensiero più avvedute non si arrestarono e giunsero a riconoscere nel principio de qua il fondamento di una democrazia reale, non formale, che vuole riconoscere i diritti fondamentali degli individui e assicurare loro la sicurezza di un processo che non si pieghi a situazioni di opportunità o a strumentalizzazioni politiche, come era avvenuto, invece, negli anni del totalitarismo.
A partire dagli anni '60 si intravede la maturazione di frutti significativi.
In Ungheria (che anticiperà di anni la Glasnost' e la Perestrojkadi Gorbačëv) una lenta ma sensibile evoluzione dell'ordinamento processuale penale ha portato alla introduzione nel codice di rito del principio dell'indubio pro reo, riconoscendo apertamente la Dottrina magiara l'obbligo chela colpevolezza dell'imputato sia provata "al di là di ogni dubbio", mutuando, almeno in parte, la dicitura statunitense. In questo clima di profondo rinnovamento dei Paesi del Patto di Varsavia si assiste ad una rivisitazione dei criteri sostanziali e procedurali di natura penale, ad un ripensamento dei principi che sottendono gli ordinamenti, sino a mettere mano alle Carte costituzionali. La caduta del Muro di Berlino il 9 novembre 1989 non è solo dirompente a livello sociale, politico, economico, istituzionale e geografico, ma anche, e inevitabilmente, sotto una visione giuridica, costituzionale ed ordinamentale. Crollato l'impero dell'U.R.S.S. si dà il via ai lavori preparatori perla redazione della nuova Costituzione della Federazione Russa, approvata il 12 dicembre 1993 e del tutto antitetica rispetto a quelle del passato (1918, 1924, 1936, 1977). Non sembra potersi cogliere nessuna traccia di continuità storica e ideologica col mondo del leninismo-stalinismo. L'unico richiamo al passato (zarista? del socialismo reale?) è per onorare la memoria degli avi che hanno saputo trasmettere la fede nella giustizia e nel bene. Sono proclamati il diritto alla pace e alla concordia civile, il principio di uguaglianza nei diritti e di autodeterminazione dei popoli. Nel perimetro dell'art.49 si stabilisce che "l''imputato non ha l'obbligo di dimostrare la propria innocenza", e che ''dubbi insormontabili sulla colpevolezza di una persona sono interpretati a favore dell'accusato''. Un forte spirito di democrazia e vento di libertà sembrano dunque animare le linee guida della Costituzione russa. La legge costituzionale immette in quella penale un nuovo e vigoroso senso di clemenza che le era mancato nel passato e, soprattutto, i principi di garanzia della dignità e della libertà della persona umana, unitamente al brocardo in dubio pro reo, scudi forniti all'innocente per proteggersi da ogni possibile forma di ''inquisizione'' giuridica o sociale (la morte civile può risultare, talora, anche pari a quella fisica).
(Riflessioni per il Legislatore italiano ed estero) Questa panoramica storico-ideologica e giuridico-normativa può essere utile per operare un proficuo confronto, sul piano del diritto penale, tra la differente intensità di tutela ricevuta dai diritti individuali, inclusivi di quelli inerenti alla protezione dell'innocente, nei diversi regimi democratici, autoritari e totalitari, curando di comprendere al meglio come classificare e interpretare l'intervento punitivo dello Stato entro le mura delle nostre società liberali. I problemi che la modernità pone, derivanti soprattutto dal progresso tecnologico, telematico e scientifico, impegnano il diritto penale in prima linea nella ricerca di una possibile soluzione. Si pone impellente per gli operatori e gli studiosi l'esigenza di trovare una strumentazione dottrinale e legislativa idonea a fronteggiare il bisogno di assicurare, da una parte la tutela della "modernità", dimensione composita e composta dai molteplici diritti di "n" generazione - scaturigine delle inarrestabili scoperte scientifiche e dello sviluppo irrefrenabile dell'autodeterminazione dell' "Io" - che ne figliano a loro volta di ulteriori, dall'altra la necessità di tenere basso il rischio della condanna di innocenti o di "presunti colpevoli" di psico-reati e di delitti di opinione, puramente ideologici ed orwelliani, concepiti o concepibili solo perché sgraditi alla maggioranza o alla minoranza dissenziente: fattispecie criminose a "contenuto" meramente concettuale, astratto, "platonico", tendenti ad avversare la pura esternazione di idee e pensieri non accompagnata da alcuna condotta od omissione dotata di elementi di violenza fisica o psicologica, neanche allo stato embrionale. In via esemplificativa e non certo esaustiva si possono evocare parole o scritti (veri o presunti) omofobi, razzisti, xenofobi, sessisti, islamofobi (e perché non cristianofobi?), di odio (ma sentimenti sgradevoli e potenzialmente nocivi sono anche l’invidia e la gelosia), negazionisti della Shoah e del genocidio armeno (su quest’ultimo mi si perdoni un altro rimando ad un mio lavoro passato:Sterminio degli Armeni: quando la storia è portata nelle aule di giustizia in sede europea, in “DPCE”, 2016, 1).
(Conclusioni) Gli ordinamenti giuridici debbono mantenere una loro razionalità, essere costantemente supportati – come ha più volte sostenuto la Consulta - dal principio di ragionevolezza, architrave, pietra angolare della costruzione della architettura normativa penale e processual-penalistica posta all'ombra della Costituzione, Grundnorm del sistema giuridico.
L'emotività e le suggestioni del momento possono assecondare spinte troppo liberali e garantiste o, viceversa, eccessivamente repressive che intingono nel principio illiberale - e non consentaneo alla storia legale occidentale - della "presunzione di colpevolezza" (in dubio contra reum). Il saggio Legislatore sia, quindi, in grado di bilanciare la tutela dell'individuo e della sicurezza della collettività con la protezione dei diritti basici della persona, sia che essa sia indagata, imputata, condannata, libera o in vinculis.
Il riconoscimento primario della dignità umana, accolto dalla nostra Costituzione all'art.3, comma 1, è il cardine cui aggrapparsi per non cadere in un diritto penale che sacrifichi completamente il singolo alle esigenze della comunità e dello Stato. Nella "società del rischio" la necessaria esigenza di “mettere in sicurezza” le popolazioni dai pericoli nascenti dallo sviluppo tecnologico, telematico e scientifico, nonché dall'incontro-scontro con popoli "migranti", deve spingere i Governi e i Parlamenti alla capacità di calibrare l'ineludibile e rigorosa potestà punitiva statuale con la tutela del core, del nucleo atomistico, essenziale ed irrinunciabile dei diritti della persona di cui all'art. 2 Cost.
Dobbiamo credere e sperare che ogni individuo sia recuperabile sotto l’egida dell’art. 27, comma 3, Cost. (salvo inguaribili disturbi psichici o personalità intrinsecamente, ontologicamente ed inspiegabilmente malvage), individuo che, mutando hegelianamente nella percezione dell'autocoscienza di "sé" come soggetto oramai rispettoso delle regole scritte e non scritte della società civile, possa finalmente partecipare degli obiettivi e delle finalità dello Stato-Nazione.
Mi sia permesso concludere con le parole che Tolkien fa pronunziare a Sam nell'opera "Il Signore degli Anelli": "C'è del buono in questo mondo, padron Frodo. È giusto combattere per questo.".
Prof. Fabrizio Giulimondi, Docente in materie giuspubblicistiche presso la Link Campus University, la Pontificia Università Lateranense, l’Università di Chieti-Pescara “Gabriele D’Annunzio” e il Formez PA.