A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

NUOVI ORIZZONTI PER L’ART. 533 C.P.P. (LA COLPEVOLEZZA ALLA MASSIMA POTENZA PROCESSUALE), NON PIÙ SOLO UN NUMERO CARDINALE MA ORDINALE ESPRESSIONE DI NORMA SEMICOSTITUZIONALE 

Autore: Prof. Carlo Morselli

 

SOMMARIO: 1.L’impianto sovraordinato dell’art. 533, comma 1, c.p.p., “espressione di disposizioni costituzionali“. 2.La tipicizzazione della condizione per la condanna dell’imputato: «colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio» (“beyond any reasonable doubt“). La diversa “regola di sufficienza“ nel settore civile. 3.L’art. 533, comma 1, c.p.p., semicostituzionale: testata d’angolo dell’intero rito penale, anticipato quoad effectum nella fase delle indagini preliminari. 4. La “prospettiva di prova“ nella fase ante iudicium e un esempio pratico e attuale (la fattispecie dell’arresto della comandate della Sea Watch 3). 5. L’art. 533, comma 2, c.p.p. valica la condizione di numero cardinale, nel passaggio alla “classe superiore“ di numero ordinale.

 

1.L’impianto sovraordinato dell’art. 533, comma 1, c.p.p., “espressione di disposizioni costituzionali“

È individuabile un preciso e diretto rapporto di filiazione, che può cogliersi in via ermeneutica,  fra l’art. 533, comma 1, c. p. p. e la coppia degli  artt. 27, comma 2 e comma 3,e 13, comma1, Cost. e in virtù del quale la norma codicistica può elevarsi a  valido parametro endoprocedimentale perché “espressione di  disposizioni costituzionali“. Tale rapporto attraversa l’asse della prova, su cui è collocato, e quindi chiama in causa l’incidenza dell’art. 111, comma 4, secondo periodo Cost., nel suo significato implicito, per quanto presupposto nel testo della norma, che riprende, ad litteram la categoria della colpevolezza, già inserita all’art. 27, comma 2, Cost.

Inserendosi la norma regolativa della sentenza di «condanna dell’imputato» (art. 533 c. p. p.)  in una cornice costituzionale, la prima ne riceve luce e forza, per la vis che genera il nesso tra testo e contesto.

L’art. 533, comma 2, c. p. p., al pari di un postulato, influenza l’intero rito penale, la declinazione del suo modus procedendi, la sua direzione, sia in senso positivo che negativo e dunque anche per quanto esclude, se è vero che, in generale,  il processo - a parte i riti c.d. alternativi, le altre forme di definizione della regiudicanda - consiste (o si risolve) in un accertamento della penale responsabilità dell’inquisito, dichiarandolo colpevole o ritenendolo innocente. Il canale enunciativo è la sentenza, che si situa nella categoria dell’enunciato apofantico di conio aristotelico[1], in contrapposizione a quello solamente espressivo. In particolare, la norma di fonte codicistica  perfeziona un dettato che conferisce una dimensione che delimita il giudizio penale: «il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio» (art. 533, comma 1, cit.). Ancora più perspicua e trasparente è la sua identità nella trasposizione della configurazione ipotetica in cui spicca quale cifra dominante la protasi, cioè la proposizione subordinata condizionale («se l’imputato risulta colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio»).

 

2.La tipicizzazione della condizione per la condanna dell’imputato: «colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio» (“beyond any reasonable doubt“) (BARD rule). La diversa “regola di sufficienza“ nel settore civile

La «sentenza di condanna è l’atto processuale penale a contenuto decisorio con cui il giudice riconosce l’imputato colpevole di un reato e gli applica la pena prevista dalla legge»[2].

La disposizione dell’art. 533 cit., tipicizzando una specifica condizione della pronuncia di condanna allineata ad un canone rigoroso e senza residui («al di là di ogni ragionevole dubbio»), si innesta nella norma madre dell’art. 27, comma 2, Cost. secondo cui «l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». Il testo costituzionale[3] impegna il filtro di una giustizia multilivello. Nemmeno una sentenza di condanna, già intervenuta in primo grado, che pure nell’ordinamento particolare del codice presuppone ineludibilmente la colpevolezza, soddisfa il modello di giustizia  e di giudizio[4] scolpito nella norma verticistica ed è sufficiente a incrinare e rovesciare il grande assioma, distinguendosi tra condanna (quella inserita nel solco costituzionale) e colpevolezza, quando l’impugnazione, quale strumento di controllo, è aperta ad un esito processuale diverso.

La costruzione costituzionale traccia un modello di giustizia penale di garanzia per l’imputato e il modulo applicativo correlato (art. 530 cit.) lo riafferma con una formulazione ad hoc che eleva al massimo grado - o massima potenza processuale - la condizione per la pronuncia di una sua condanna (l’organo che la pronuncia, conclusivamente, ha valicato «ogni ragionevole dubbio», riguardando la formula una valutazione di certezza che possa ritenersi tale quando quello ha oltrepassato la soglia ope legis), sul presupposto che la lex generalis fissa questa impostazione per via della mediazione sia della sua norma interna susseguente ed abbinata (art. 27, comma 3, Cost.: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato») che di quella d’esordio della Parte I (Diritti e doveri dei cittadini), Titolo I (Rapporti civili) dell’art. 13 Cost. Il corrispondete tenore è lapidario, quasi stentoreo: «la libertà personale è inviolabile».

L’altra tessera del mosaico costituzionale, che può enuclearsi attorno all’art. 530 cit., è l’art. 111, comma 4, secondo periodo Cost. («La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore»). La disposizione costituzionale (sul giusto processo e dettata a tutela del contraddittorio[5]) può sdoppiarsi, in questa sede rilevando quella presupposta e cioè che la colpevolezza dell’imputato debba essere provata, riferendosi, implicitamente, al Pubblico ministero, all’organo dell’accusa che deve provarla. Della misura della prova si incarica l’art. 533 cit. calibrandola nell’unico modo possibile per evitare il varo di una prova legale, che la giurisprudenza nega che abbia cittadinanza nel nostro ordinamento: quella misura è stabilita nel suo grado qualitativo («al di là di ogni ragionevole dubbio») e non quantitativo, in ordine al carico fisso di prove necessario e sufficiente per la condanna.

Il responsabile del reato, però, non può sfuggire alla condanna celandosi dietro una norma riguardata come labirintica, estremizzandola nella sua tensione per ricavarne uno “scudo processuale“, ma, d’altra parte, la condanna non può avere effetti radicale, quelli “ostativi“[6]. Se in esito allo scrutinio dei verbali di udienza e riportandosi il giudicante ai lavori dibattimentali, specialmente quelli istruttori [7], il convincimento del giudice non è pieno per la permanenza di taluni dubbi ma questi (per esempio quelli segnalati dalla difesa nella discussione finale ai sensi dell’art. 523, comma 1, c.p.p.), esaminati attentamente, risultino irragionevoli (costituiti o alimentati, per esempio, da ipotesi ricostruttive alternative ma remote[8]), gli stessi non possono  maculare ed alterare il giudizio finale che ha raggiunto quella certezza richiesta dall’art. 533, cit., ad esclusione (“al netto“) dei dubbi residui considerati non ragionevoli, o essere trasferiti nel terreno di una sentenza di assoluzione (art. 530, c.p.p.) per  fondarvi una giustificazione.

Sarebbe questa una giustizia che non sa giudicare, adeguatamente, gli imputati colpevoli, i quali  non ricevono tutela dall’art. 533 cit. Dovrà trattarsi di un “dubbio qualificato“ (riguarda così - cioè alla luce del testo dell’art. 533, co. 1, c.p.p. - la massima in dubio pro reo[9]) o non l’apertura della forbice del ragionamento perplesso, solcato dagli interrogativi narrativi  al pari di un racconto, che conduca il giudice nel vortice dell’angoscia e, soprattutto, della irrisolutezza.

Il principio del “ragionevole dubbio“ risale al sistema processuale statunitense, acquisito dalla regola  “beyond any reasonable doubt“ tipica degli ordinamenti di Common Law [«sistemi processuali angloamericani (detti di common law) e continentali (detti di civil law[10]] ed  introdotto in Italia mediante la c. d. Legge Pecorella del 20 febbraio 2006, modificativa dell' art. 533 del codice di procedura penale allo scopo di accogliere tale importante regola nell’ordinamento processuale penale interno (mentre nel settore civile vale la regola, molto meno stringente e che potremmo etichettare come “regola di sufficienza“, della “preponderance of evidence“, che giustifica la decisione finale)[11].

 

3.L’art. 533, comma 1, c.p.p., semicostituzionale: testata d’angolo dell’intero rito penale, anticipato quoad effectum nella fase delle indagini preliminari

La conseguenza della condanna è la pena inflitta dal giudice[12], però questa   è classe analibertaria - se si pone a confronto con l’art. 13, comma 1, Cost.: «La libertà personale è inviolabile» - poiché quella tipica della sentenza di condanna è  detentiva, comminata dal giudice in forza di una norma derivata (art. 533, comma I, secondo periodo, c. p. p.: «Con la sentenza il giudice applica la pena e le eventuali misure di sicurezza», e siffatta norma risale a quella contigua del primo comma).

L’indicato reticolo di nome costituzionali  consente di intendere l’art. 530, comma 1, c.p.p. come un prodotto finale che affonda le sue radici in norme sovraordinate.

Questa matrice costituzionale si riflette sulla vera natura dell’art. 530 cit., di essere una norma che  denota, appunto, una “proiezione costituzionale“, cioè di tale levatura da porsi anche quale parametro di valutazione interna al sistema codicistico, il quale deve interrogarsi sul materiale di prova  ai fini di una pronuncia di condanna. Si interroga, ma nel senso che “interroga“ i magistrati deputati al diritto c.d. applicato, escludendosi che il legislatore possa riservarsi tale compito (entreremmo nell’area della prova legale, mentre dobbiamo restare in quella della legalità della prova, che è tale se si salda al parametro dell’art. 530, comma 2, c. p. p., di ascendenza costituzionale).

Siffatta norma, ancorché collocata in un ambito che è certamente di chiusura del giudizio di primo grado, testimonia una vocazione diffusa quoad effectum (e la corrispondente regola può dirsi “regola diffusiva“), nettamente percepibile nella fase preliminare, e in una doppia direzione, predittiva. La necessità che per la condanna sia richiesta la certezza della penale responsabilità dell’imputato (nel senso che abbiamo precisato) ha un triplo corollario, di “costringere e spingere“ il P.M.[13]: a) se, acquisiti gli elementi di conoscenza dopo l’ingresso della notizia di reato, si “convince“ della chances di successo dell’esercizio dell’azione penale (ad imitazione del giudice che matura il suo “convincimento“ sul reato e sul reo) anticipando con le risultanze di cui dispone una ipotesi di colpevolezza tratta dalla soglia sancita all’art. 533,co.2, c. p. p., sebbene con una formulazione rebus sic stantibus, il P.M. avanza verso il pubblico giudizio attraversando il passaggio intermedio dell’udienza preliminare  e apparendogli la condanna probabile (il vaglio, così arretrato, non può essere misurato con  precisione: è il vaglio anticipato formulato sul ceppo dell’art. 533 cit.[14]); b) se il titolare del procedimento preliminare nutre seri dubbi sulla possibilità di progredire con le omonime indagini e di convertire, intervenuta la translatio iudicii, quegli elementi cognitivi in prove che traducano in certezza  la personale responsabilità dell’imputato (la prognosi non può essere precisa, per le variabili dell’istruttoria dibattimentale legate, specialmente, all’esame incrociato dei testimoni a carico), allora quei dubbi si infrangono nel rigore dell’art. 533 cit., che richiede, al contrario, una prova di penale responsabilità (tipica della teoria humiana) libera «da dubbi ed incertezze»[15], ciò che costringe il P.M. - per superare lo stallo - a chiedere l’archiviazione[16]; c) se, infine, gli elementi di prova acquisibili (per esempio mediante il meccanismo della prova anticipata ai sensi dell’art. 392 c. p. p.), in quanto quelli acquisiti gli appaiono promettenti eundo (il prototestimone diventa teste a termine dell’art. 392, comma 1, lett. e b, c. p. p. e prova dichiarativa nel giudizio[17]), lo spingono ad integrare e irrobustire l’impianto preaccusatorio, allora il P.M. potrà aspirare a dimostrare la responsabilità del colpevole pronosticando che potrà dare tale prova “al di là di ogni ragionevole dubbio“. In questa direzione l’art. 530 cit. avrà avuto una portata retrospettiva, di “forzoso“ impulso alle indagini, nel suo regime ispirato a completezza acquisitiva, «in coerenza con la presunzione di completezza dell'accertamento probatorio svolto nel primo grado di giudizio»[18].

Notiamo, riassuntivamente e invariabilmente, che i tre casi sono accomunati dalla stessa “prova di resistenza“ a mente dell’art. 533, comma 1, c. p. p.: filtrare le indagini nel prisma della versatile norma semicostituzionale (non ha il grado costituzionale perché  manca la fonte espressa, ma di individuate disposizioni costituzionali la stessa è proiezione).

Anzi, dell’ipotesi a) l’unica regola di giudizio è simboleggiata dall’art. 533 cit.: notiamo, distinguendo tra azione e archiviazione, che la seconda conta di una base ferma  negli artt. 408 c.p.p. (la norma estensiva è contenuta nell’art. 411 c. p. p.)  e 129 disp. att., mentre per l’ azione penale  -  una volta contrapposta, nel dettato dell’art. 50, comma 1, c.p.p., all’archiviazione, di cui fornisce la nozione connessa all’infondatezza della notizia di reato - il legislatore si disinteressa non impegnandosi nella definizione di una parametro utile al vaglio delle risultanze, limitandosi a prevederne l’esercizio (artt.50, 405, 416, 417, nonché 429, c.p.p. anche se l’atto contenente l’accusa non appartiene al P.M. ma al giudice).

 

4. La “prospettiva di prova“ nella fase ante iudicium e un esempio pratico e attuale (la fattispecie dell’arresto della comandate della Sea Watch 3)

La prova è una figura “diffusa“, distinguendosi, ad esempio, fra prova in senso stretto, calata nello spazio dibattimentale, è “prospettiva di prova“ all’interno di quello ante iudicium. Si tratterebbe di un modello stipulativo al pari di una “prova da sforzo“, che imprimerebbe celerità ed efficienza alla fase della indagini preliminari, quando queste si sono attestate ben oltre l’acquisita notitia criminis. Ad un certo momento, senza attendere l’approssimarsi del tempo della chiusura delle indagini avviate ed anzi successivamente alla raccolta dei primi elementi di conoscenza, il P.M., maturata una propria opinio delicti, dovrebbe improntare il suo impulso e la sua direzione già nella “prospettiva di prova“, riguardata quale parametro di verifica e controllo delle indagini e al lume dell’art. 533, co. 1, c. p. p.

Facciamo un esempio di come riteniamo le indagini dovrebbero conformarsi al piano  delineato, secondo i dati ufficiali di cui disponiamo.

La Procura della Repubblica di Agrigento, le cui indagini, per il caso della Sea Watch 3, risultano, nella loro portata, di gran lunga ridimensionate se non proprio eclissate in  esito al  controllo giurisdizionale territoriale, ha scelto di ricorrere per cassazione contro l’ordinanza reiettiva del locale G.i.p. 2 luglio 2019[19]. Questi non ha convalidato l’arresto (e non ha accolto la richiesta di applicazione di una misura cautelare de libertate) del comandante della motonave Carola Rackete[20].

Si tratta di una scelta opinabile (quella di intraprendere la via del ricorso) perché rischiosa, se si trasferisce tutto “il fatto“ in Cassazione[21].

Non era una scelta senza alterative. L’alternativa, appunto, poteva essere, dopo l’ordinanza, quella di proseguire (avanzando con) le indagini preliminari, a tappe forzate (gli elementi di prova rendono e non si disperdono se vengono acquisiti statim, quando la loro raccolta avviene in uno stadio ravvicinato rispetto al tempus commissi deliciti: risponde ad una “buona tecnica d’indagine“, se esiste uno statuto anche solo praticato, al pari di una carta nautica) nei confronti dell’inquisito libero pede, seguitando ad investigare, rafforzandole, ad esempio attraverso l’impiego dell’incidente probatorio[22] (artt. 392 s. c. p. p., in alternativa agli accertamenti tecnici non ripetibili ai sensi dell’art.360 c. p. p., esperibili nei diversi casi), nella prospettiva di esercitare, in esito alle completate indagini, l’azione penale (artt. 50, 405 c. p. p.).

L’integrazione delle indagini, dando impulso all’attivazione di meccanismi di garanzia (utilizzabili in dibattimento mediante il ponte di collegamento dell’omonimo fascicolo ex art. 431, comma 1 lett. e, c.p.p., e lett. b e c art. cit. per gli atti irripetibili), è invece la strada obbligata[23] se i pubblici ministeri intendono  pervenire, in chiusura del primo grado del giudizio di merito, ad una sentenza di condanna, considerato che la colpevolezza dovrà risultare provata, come detto, «al di là di ogni ragionevole dubbio» (art. 533, co.1, c. p. p), e gli atti (ad iniziativa) di parte, privi dell’instaurazione del contraddittorio e formati al di fuori di questo, non valgono a tal fine[24].

 

5. L’art. 533, comma 2, c.p.p. valica la condizione di numero cardinale, nel passaggio alla “classe superiore“ di numero ordinale

Il presupposto, implicito, di quanto precede è che il dibattimento, pur eletto quale luogo di formazione della prova garantita[25], non parte da zero, e ciò neppure all’interno di uno dei grandi principi ispiratori del nuovo codice di procedura penale, quella c.d. della separazione delle fasi[26].

Sarebbe un “processo senza storia“, un singolare caso di wellerismo giudiziario[27].

Al riguardo, in una pagina assai lucida scritta all’indomani dell’entrata in vigore del codice Vassalli, anche per sfatare alcuni miti che allora circolavano, si legge: «non è…assolutamente vero che questo processo possa arrivare al dibattimento senza che il Pubblico Ministero abbia individuato tutti i mezzi di prova che, spesi al dibattimento attraverso i meccanismi dibattimentali di formazione della prova, diventino conoscenza utilizzabile dal Giudice…Il Pubblico Ministero…arriverà in realtà al dibattimento avendo dato fondo nel modo più esauriente possibile a tutte le ricerche di mezzi di prova»[28].

La prova - dunque, per quanto precede - è  voce eponima, all’origine di figure specifiche, come quella già indicata della “prospettiva di prova“.

Questo quadrante - può aggiungersi - acquista una forte dinamicità mettendo in circolo la classe dell’onere che, nel rito penale, acquista i caratteri di una autentica grandezza processuale.

Sul tronco della categoria della prova penale si innestano le due classi del “diritto“ (alla prova) e dell’”onere“ (della prova)[29], la prima inserita esplicitamente  all’art. 190 c. p. p. (in rubrica «diritto alla prova»), e la seconda implicitamente tracciata all’art. 493 c. p. p. (in rubrica «richieste di prova») e ricompresa fra le «Disposizioni generali» (Capo I) del «Dibattimento» (che appartiene al «Giudizio», dal Libro VII).

Tra le due richiamate norme può riscontrarsi un preciso rapporto  in quanto utilizzano ed evocano una base testuale pressoché comune: l’art. 190 cit. regola «le prove…ammesse a richiesta di parte» e l’art.493 cit. prevede, per gli adempimenti delle  parti,  che queste «indicano i fatti che intendono provare e chiedono l’ammissione delle prove». Il difensore dell’imputato e  la pubblica accusa, dagli opposti interessi (sono il tessuto connettivo del «la struttura dialettica del processo»[30]) devono dimostrare, rispettivamente, l’estraneità (al reato) e la reità chiedendo l’ammissione dei corrispondenti mezzi di prova, altrimenti l’una e l’altra resteranno indimostrate.

Indichiamo una diversa valenza: se il dibattimento è sede d’elezione di formazione della prova[31] attraverso la relativa acquisizione, ciò non può ripetersi  per la c. d. ricerca della prova (cioè, degli elementi di prova, raccolti da parte della polizia giudiziaria e del P.M., il secondo quale “sovraintendente“ della prima)[32], inserita nell’ampio spazio “predibattimentale“ (non nel senso degli artt. 465-469 c. p. p.)  occupato da una fase autonoma (extraistruttoria: è  la più grande novità introdotta dai compilatori del 1988), quella delle indagini preliminari e delle investigazioni (artt. 326 s. c. p. p.). In questo ordine di idee, può concludersi che l’onere della prova dibattimentale (di cui deve farsi carico, primariamente, il P.M: prius un tempore[33])  ha la sua radice materiale e il suo retroterra nella fase prodromica (aperta dall’intervento della notizia di reato), “preparatoria“ rispetto a quella del pubblico dibattimento, che si celebra con le garanzie dell’oralità, del contraddittorio e dell’immediatezza[34].

Riteniamo che questo passaggio si saldi perfettamente con quella che abbiamo appellato “prospettiva di prova“, che significa: individuazione dell’ottica specifica, perché filtrata nella disposizione dell’art. 533, comma 1, c.p.p., in cui, paradigmaticamente, deve svolgersi il fertile campo delle indagini preliminari. Così, la norma acquista definitivamente le sembianze e la caratura di un numero ordinale, che rifulge di luce quale «manto regale di ogni ordinamento processuale democratico»[35].

Ciò rappresenta il risultato nuovo della nostra analisi: l’articolo 533 cit. individua, oltre il relativo dettato, la posizione della norma nello spazio geometrico del codice, la sua collocazione topografica, ciò che costituisce un numero cardinale, mentre noi l’abbiamo riordinato e ricollocato funzionalmente  in altro spazio del rito penale, assegnandosi il compito primario di controllo[36] della consistenza e della direzione delle indagini preliminari. Così - al pari della dimostrazione di una teoria (siamo partiti, nella disamina, dell’art. 533 cit. come norma “espressione di disposizioni costituzionali“, individuabili ed individuate, nominatim) - abbiamo riportato un numero cardinale (dal centro alla periferia, e quindi) nella classe dei numeri ordinali, perché in grado di ordinare funzionalmente le indagini e  -  si badi  -  nei due piani, positivo e negativo.

Risalta lo sforzo del legislatore di razionalizzare la decisione del giudice, e - soprattutto - di massimizzare, oltre che razionalizzare,  l’operato del pubblico ministero, che deve  sviluppare le sue indagini nel sistema di coordinate cartesiane bidimensionali (il c.d. piano cartesiano), lungo l’asse delle ascisse e quelle delle ordinate.

 

Prof. Carlo Morselli, Docente di diritto e procedura penale dell’immigrazione nel Corso di Laurea in Giurisprudenza nell’Università degli Studi Unitelma Sapienza di Roma.

 

[1] Dizionario di filosofia, a cura di N. ABBAGNANO, ampliata da G. Fornero, Torino, 1998, 70: «Apofantico. Dichiarativo o rivelativo».

[2] Così, sul piano definitorio, F. CAPRIOLI, Condanna (dir. proc. pen.), in Enc. dir., Ann. II, t. 1, Milano, 2008, 101. Cfr. V.  Napoleoni, Mutamento di giurisprudenza in bonam partem e revoca del giudicato di condanna: altolà della Consulta a prospettive avanguardistiche di (supposto) adeguamento ai dicta della Corte di Strasburgo, in Dir. pen. cont., 2012, n. 3-4, 164 ss.

[3] Su cui, v. O. DOMINIONI, Sub art. 27, in Commentario della Costituzione, fondato da G. Branca e continuato da A. Pizzorusso, Rapporti civili, Bologna, 1991, 162: «Tra i principi costituzionali del processo non c’è forse altra norma che più dell’art. 27 2° comma Cost. postulasse all’origine un così profondo rovesciamento dei valori politico-processuali».

[4] In dottrina, v. M. TARUFFO, Giudizio (teorie generale), in Enc. giur. Treccani, XV, Toma, 1989, 1; F. CORDERO, Giudizio, in Dig,. pen., V, Torino, 1991, 505 e, recentemente, P. FERRUA, Regole di giudizio (dir. proc. pen.), in Enc. dir., Annali X, Varese, 2017, 725.

[5] Per i necessari approfondimenti, per esempio,  si rinvia agli studi di P. FERRUA, Il ‘ giusto processo ‘, Bologna, 2012, 12 s. (sulla riforma dell’art. 111 Cost.); altresì, v.  S. BUZZELLI, Giusto processo, in Dig. Pen. Agg., II, Torino, 2004, 342 ss.; M. CHIAVARIO, Giusto processo (processo penale), in Enc. Giur. Treccani, XV, Roma, 2001, 1 s.; C. CONTI, Giusto processo (diritto processuale penale), in Enc. Dir., Agg. V, Milano, 267 ss.; nonché  AA. VV., Il giusto processo tra contraddittorio e diritto al silenzio, a cura di R. E. Kostoris, Torino, 2002, 5 s.

Sul profilo specifico,  v. C. CONTI, Le due “anime“ del contraddittorio nel nuovo art. 111, in Dir. pen. proc., 2000, 198. Contra, G. UBERTIS, Giusto processo e contraddittorio in ambito penale, in Cass. pen., 2003, 2010.

Cfr. G. GIOSTRA, Contraddittorio (principio del), II) Diritto processuale penale, in Enc. giur. Treccani, Agg. X, Roma, 2002, 2; O. MAZZA, Contraddittorio (principio del) (dir. proc. pen.), in Enc. dir., Annali, VII, Varese, 2014, 247.

Recentemente, v. C. DE  BOBBIO, Il contraddittorio. Teoria e opportunità della difesa nel procedimento penale, Milano, 2018, 46 s.; C. GAMBA, Contraddittorio (dir. proc. civ.), in Enc. dir., Annali IX, Varese, 2016, 138.

[6] V. Corte cost., 4 dicembre 2019, n. 253, in Guida dir., 2020, n. 3, 19 secondo cui non potranno più essere negati  permessi premio sulla base dell’assenza di collaborazione con la giustizia ai condannati per reati mafiosi e anche contro la pubblica amministrazione.

[7] V. Cass., sez. un., sent. 10 ottobre 2019, n. 41736, sul «giudice dinanzi al quale si è svolta l’istruttoria dibattimentale…premesso  il principio d’immutabilità» dello stesso.

[8] Il riferimento è alle eventualità remote, pur astrattamente formulabili e pospettabili come possibili  “in rerum natura“, ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell’ordine naturale delle cose della normale razionalità umana (Cass., sez. I, 9 giugno 2009, n. 23813, Munickam, in Arch. n. proc. pen., 2010, 364; conf., Cass., sez. I, 26 maggio 2010, n. 19933, Eradi, in Dir. pen. proc., 2001, 203; più recentemente, v. Cass., sez. III, 25 marzo 2014, n. 13966, Bastianini, in Guida  dir., 2014, n. 24, 82; nonché sulla regola in parola  in appello, v. Cass., sesz. VI, 21 febbraio 2013, n. 8705, Farre, in Arch.n. proc. pen., 2014, 207).

In dottrina, v. M. PISANI, Riflessioni sul tema del “ragionevole dubbio“, in Riv. it. dir. proc. pen., 2007, 1243 s.; V. GAROFOLI, Dalla  non considerazione di colpevolezza alla regola dell’oltre il ragionevole dubbio, in Dir. pen. proc., 2010, 1029 s.; C. CONTI, Al di là di ogni ragionevole dubbio, in Aa. Vv., Novità su impugnazioni penale e regole di giudizio, a cura di A. Scalfati, Ipsoa, 2006, 99; F. CAPRIOLI, L’accertamento della responsabilità penale “oltre ogni ragionevole dubbio”, Riv. it. dir. e proc. pen., fasc.1, 2009, 51; F. D’ALESSANDRO, L’oltre ogni ragionevole dubbio nella revisione del processo, Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2004, 6855, 682 e ss. D. CHINNICI, L'"oltre ogni ragionevole dubbio": nuovo criterio del giudizio di condanna?, in Dir. pen. proc., 2006, 1556; N. SALIMBENI, Ragionevole dubbio e motivazione sulla prova indiziaria, ivi, 2011, 2, 203.

[9] DOMINIONI, Sub art. 27, in Commentario della Costituzione, fondato da G. Branca e continuato da A. Pizzorusso, Rapporti civili, cit., 173: «in ogni caso, mentre per il trionfo dell’accusa è necessario che sia raggiunta la prova certa, alla difesa giova anche il solo dubbio». V. Cass., sez. I, sent. 2 luglio 2019, n. 28801, Pres. Mazzei – Relatore Liuni: «…In alternativa, si deve prendere atto che le novità scientifiche e/o metodologiche hanno valenza potenzialmente caducatoria degli esiti raggiunti con gli accertamenti esperiti secondo metodologie tradizionali: in tal caso resta riservata alla fase del merito ogni valutazione sull’effettiva capacità delle allegazioni a travolgere il giudicato, anche nella prospettiva del ragionevole dubbio, in quanto l’art. 631 c.p.p. esplicitamente richiama tutte le formule assolutorie indicate nell’art. 530, comprese quelle di cui ai commi 2 e 3, ispirate al canone di garanzia "in dubio pro reo" (Sez. 1, n. 40815 del 14/10/2010, Rv. 248463, Ferorelli e altro; n. 25678 del 12/5/2004, Contena, Rv. 228141)» . Non può non evocarsi la storica sentenza Franzese, del 2002 (Cass., sez. un., 10 luglio): «l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza probatoria, quindi il plausibile e ragionevole dubbio, fondato su specifici elementi che in base all’evidenza disponibile lo avvalorino nel caso concreto, […] non può che comportare la neutralizzazione dell’ipotesi prospettata dall’accusa e l’esito assolutorio stabilito dall’art. 530 comma 2 c.p.p., secondo il canone di garanzia “in dubio pro reo”». Cass. pen., sez. un., 10 luglio 2002/11 settembre 2002, n. 30328, in Foro it., 2002, II, 601, con nota di DI GIOVINE, in Riv. dir. civ., 2003, II, p. 362, con nota di BONA e LANDINI, in Nuova gir. civ. comm., 2003, I, 246, con nota di CAPECCHI, in Cass. pen., 2003, p. 1176, con nota BLAIOTTA, in Danno e resp., 2003, p. 195, con nota di CACACE, in Dir. pen. e proc., con nota di DI MARTINO, 50, in Resp. civ. e prev., 2003,  105, con nota di MACRÌ, ibid., 1104. In giurisprudenza, da ultimo, v. Corte cost., sent. 23 maggio 2019, n. 124;  Cass., sez. un., 28 gennaio 2019, n. 14426, Pres. Carcano, Rel. Rago, secondo cui  «la regola di cui all'art. 533, comma  1, cod. proc. pen., opera a valle del processo e cioè nel momento della decisione, decisione che non può che essere presa sulla base del materiale probatorio legittimamente acquisito agli atti (nella specie: la sola relazione peritale) ed il cui controllo, in sede di legittimità, non può che avvenire verificando se la motivazione sia o meno affetta da alcuno dei vizi motivazionali di cui all'art. 606 lett. e) cod. proc. pen.».

Sul principio di garanzia in dubio pro reo, v. Cass. pen., sez. III,  sent.  13 giugno 2019, in materia edilizia. Sul principio del favor rei, v. Cass., sez. III, sent. 14 febbraio 2019, n.7038. Altresì, v. Cass.,, sez. VI, sent. 13 gennaio 2012,  n. 931; Cass., sent. n. 41893/2019, in materia di responsabilità medica e Cass., Sez. IV, sent. 9 dicembre 2019, n. 49775, in Quot. giur., 19 dicembre 2019, ritorna sui criteri di responsabilità oggettiva; nonché, da ultimo, Cass., sent. n. 42520, 16 ottobre 2019 e, in dottrina, D. Pulitanò, Il giudice e la legge penale, in Quest. giust., 9 luglio 2019.

[10] Così,  M. R.DAMAŠKA, I volti della giustizia e del potere. Analisi comparatistica del processo, Introd. Di M. Taruffo, Trad. A. Giussani, Bologna, 1991, 28  (ma anche 35, 44, 46).

Cfr., in dottrina, tra gli altri U. MATTEI, Il modello di common law, Torino, 1996, 9-10, che si occupa specialmente della nascita della giuria popolare, di questa non trascurabile istituzione processuale. Cfr. E. AMODIO-M.C. BASSIOUNI, (a cura di) Il processo penale negli Stati Uniti d'America, Milano, 1989; A. GAITO, Seminario sul delitto di Perugia  (Anno accademico 2011/2012 ). Il ruolo della giuria nel nostro processo e in prospettiva comparata.  La giuria: “the lamp that shows freedom lives”? Analisi di un istituto tra tradizione e prospettive di rinnovamento.

[11] Sul ragionamento giudiziario, v. E. FASSONE. Dalla “certezza“ all’”ipotesi preferibile“:un metodo per la valutazione, in La prova penale (Quad. C. S. M.), 1997, n. 98, 13, segnalando che «occorrono delle regole anche in questo campo, poiché il principio del libero convincimento del giudice è oggetto di critiche sempre più serrate». Sull’istituto, v. , per tutti, lo studio di M. NOBILI, Il principio del libero convincimento del giudice, Milano, 1974, 189 s. Recentemente, v. E. M.  MANCUSO,  Il regime probatorio dibattimentale, in Trattato di procedura penale, dir. da G. Ubertis e G.P. Voena, XXXIII.1, Milano, 2017, 19; B. DIDDI,  Le modifiche processuali in tema di dibattimento, in Enc. Treccani – Libro dell’anno del diritto 2018, Roma, 2018, 560 s; G. SPANGHER, Aggiornamenti della “riforma Orlando“ sul processo penale, ivi, 695. Da ultimo, v. L. GRILLI, Il  dibattimento penale. Guida pratica, Milano, 2019, 79 s.

In giurisprudenza, da ultimo, v., specificamente, Cass. civ.,  6 febbraio 2019, n. 3487: «La Corte d’appello, nel valutare le risultanze istruttorie di primo grado…ha utilizzato il canone dell’oltre ragionevole dubbio; in materia di usucapione, secondo la Corte d’appello, non sarebbe sufficiente una semiplena probatio o anche il ricorso al canone del più probabile che non tipico del processo civile, ma occorrerebbe adottare il criterio proprio del processo penale della prova al di là di ogni ragionevole dubbio. L’affermazione del giudice di merito non può essere condivisa. Il canone dell’oltre ogni ragionevole dubbio deriva dall’anglo-americano beyond any reasonable doubt ed è stato inserito nel nostro ordinamento, dell’art. 533 c.p.p., comma 1 (che recita “il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli oltre ogni ragionevole dubbio”), dalla L. n. 46 del 2006. Esso è canone specifico del processo penale – correlato alla regola in dubio pro reo e ai suoi corollari della presunzione d’innocenza dell’imputato e dell’esclusivo onere della prova di colpevolezza a carico dell’accusa ed è estraneo al processo civile. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, diversa è la regola probatoria nel processo penale e in quello civile: “nel primo vige la regola della prova oltre il ragionevole dubbio, mentre nel secondo vige la regola della preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non, stante la diversità dei valori in gioco nel processo penale tra accusa e difesa, e l’equivalenza di quelli in gioco nel processo civile tra le due parti contendenti (..); lo standard di certezza probabilistica in materia civile non può essere ancorato esclusivamente alla determinazione quantitativa – statistica delle frequenze di classi di eventi, che potrebbe anche mancare o essere inconferente, ma va verificato riconducendone il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternative) disponibili in relazione al caso concreto: nello schema generale della probabilità come relazione logica va determinata l’attendibilità dell’ipotesi sulla base dei relativi elementi di conferma” (Cass., sez. un., n. 582/2008). Standard probatorio della preponderanza della prova che vale anche in materia di usucapione, ove pure si sottolinea la necessità di rigore – anche alla luce della pronuncia della Corte Europea dei diritti dell’uomo nel caso Pye c. Regno Unito – nell’apprezzamento sul piano probatorio della sussistenza dei presupposti per l’acquisto a titolo originario della proprietà (Cass. 20539/2017)».

[12] Da ultimo, v. Cass., sez. IV, 28 ottobre 2019, n. 43660, in Guida dir., 2020, n. 3, 79, sulla graduazione della pena. Mentre sul diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche, v. Cass., sez. 30 ottobre 2019, n. 44141, ivi, n. 2, 84. Sui Rapporti tra diritto penale sostantivo e processo penale a trent’anni dal Codice Vassalli, v., ad esempio, A. Manna, in Arch. pen., 31 ottobre 2019. D’altra parte, v. F. Peroni, Sospensione condizionale della pena in appello: quale rimedio all'inerzia del giudice?, in Proc. pen. giust., 2019, n. 6, 1424 ss.

[13] In dottrina, v. C. TAORMINA, Procedura penale, Torino, 2015, 67: «Nel nostro sistema, il pubblico ministero, per previsione costituzionale, è il motore del procedimento penale per via della titolarità del potere di esercizio dell’azione penale, costituente l’atto d’accusa contro un cittadino…La indagini preliminari sono strumentali, dall’ottica accusatoria, all’esercizio dell’azione; le ulteriori attività del processo di primo grado sono una ulteriore espressione di tale esercizio…Non c’è ombra di dubbi, poi, che coltivando l’interesse alla condanna del cittadino, che è l’elemento fondante del modello accusatorio, il pubblico ministero sia una parte del processo…nelle indagini preliminari…è…mosso da un interesse alla raccolta di dati per esercitare l’azione penale». Così, «si tratta della magistratura “requirente“ distinta da quella “giudicante“» (M. CHIAVARIO, Diritto processuale penale, Torino 2015,122).

Recentemente, sul tema della complessità del ruolo del pubblico ministero, v.  M. GUGLIELMI, Ragioni del processo, ragioni dell’ordinamento: rinunciare a un’istituzione di garanzia?, in Questione Giustizia trimestrale, n. 1/2018, http://questionegiustizia.it/rivista/2018/1/introduzione-ragioni-del-processo-ragioni-dell-ordinamento-rinunciare-a-un-istituzione-di-garanzia-_505.php

[14] F. CORDERO, Codice di procedura penale commentato, Torino, 1992, 59: «nell’alternativa se agire o no, il pubblico ministero calcola le chances sui materiali raccolti; la scelta positiva sottintende una probabile condanna».

[15] G. GIL, Prove. Attraverso la nozione di prova/dimostrazione, trad. di L. Majocchi, Milano, 1990, 15: «È nel contesto della credenza (belief)…che David Hume introduce il concetto di “prova“. Egli la distingue dalla “conoscenza“…e dalla “probabilità“, cioè  “quanto è ancora accompagnato da incertezza“. A differenza di quest’ultima, le prove sono delle “argomentazioni basate sulla relazione di causa ed effetto, completamente libere da dubbi e incertezze“».

[16] CORDERO, Codice di procedura penale commentato, cit., «l’attore pubblico agisce quando reputi probabile l’esito favorevole: sotto questa soglia l’accusa sarebbe avventata, a beneficio dei colpevoli, predestinati all’assoluzione e conseguente bis in idem».

[17]Sulla  prova dichiarativa, da ultimo, v. Cass., pen., 3541/20109, in Quot. Dir., 30 luglio 2019; mentre sulla testimonianza della vittima di violenza sessuale v. Cass. 34091/2019, ivi, 29 luglio 2019.

[18] Corte cost., sent.  23 maggio 2019, n. 124, Pres. Lattanzi, Red. Viganò, in Eius 2019. In dottrina, cfr. C. Valentini, La completezza delle indagini, tra obbligo costituzionale e (costanti) elusioni della prassi, in Arch. pen., 23 agosto 2019.

[19] Il ricorso è pubblicato in Giur. pen., 23 Luglio 2019. L’ordinanza del G.i.p. 2 luglio 2019 è pubblicata in Giur. pen., 4 luglio  2019, con commento di E. DE  MARCHI, Brevi considerazioni sull'ordinanza del G.I.P. di Agrigento nel caso Sea Watch 3, Web 2019, 7-8, 1 s. Anche, v. C. Morselli, Tribunale di Agrigento e Cassazione  caso Sea Watch 3: l’asincronia delle tre erre (richiesta, rescritto, ricorso) sul ceppo del D. L. 53/2019, c.d. Decreto sicurezza bis, in Riv. pen., 2019, n. 9, 824.

Ordinanza e ricorso sono pubblicati anche in Arch. pen., 2019.

[20] Il Comandante era entrato nel porto di Lampedusa il 29 giugno ed era stato arrestato per resistenza e violenza contro una nave da guerra nel porto di Lampedusa con a bordo il carico di migranti soccorsi in mare e provenienti dalla Libia.

[21] Cass., sez. III, sent.  21 gennaio 2019, n. 2576, in Guida dir., 2019, n.8, 36, Cass. civ., sez. III, sent. 13 giugno 2019, n. 15860, ivi., 2019, n.32, 44.

[22] In dottrina, v. G. DI CHIARA, Incidente probatorio, in Enc. dir., VI,  Agg., Milano, 2012, 547; C. MORSELLI, L’incidente probatorio, Torino, 1990, 32 s.; S. SAU, Incidente probatorio, in Enc. giur. Treccani, Agg. XIV, Roma, 2006, 8 s.

[23] Attualmente, lo stato delle indagini, anteriori al giudizio appunto, sembra improntato a disimpegno probatorio, almeno per quanto risulti. Spesso l’errore giudiziario è il risultato di lacune o vizi delle  indagini preliminari che intaccano il giudizio, come si è rilevato in dottrina, quando si è osservato  che « la constatazione del perdurante verificarsi di “errori giudiziari “…evidenzia l’attualità delle problematiche poste dalla carenze delle indagini preliminari e del giudizio penale di primo grado» (A. GAITO, Impugnazioni e altri controlli: verso una decisione giusta, in Le impugnazioni penali, Trattato diretto da A. Gaito, Torino,1998, 1).

[24] P. TONINI, Lineamenti di diritto processuale penale, Milano, 2017, 356: «Dal principio del contraddittorio…deriva un’ulteriore implicazione…Gli atti raccolti in contraddittorio possono essere conosciuti dal giudice del dibattimento…Gli atti raccolti in modo unilaterale da una delle parti non devono essere conosciuti dal giudice».

[25] Giustamente: solo a dibattimento, ad esempio, trova posto il c.d. principio di immediatezza  - l’identità del giudice quale organo  della prova  al cui cospetto si dipana (anche plasticamente e il giudice usa, propriamente, i suoi sensi per percepirla ed apprenderla)  e quale autore del giudizio finale sull’accusa  -  poiché, per l’incidente probatorio, ancorché prova garantita dal contraddittorio e dal controllo giurisdizionale, avremo due giudice per una sola prova. Per uno spunto, da ultimo, v. Cass., pen., 34821/2019, in Quot. Dir., 31 luglio 2019.

In tema, fra gli altri, v. , P. TONINI, La prova penale, Padova, 1999, 199.

[26] Il problema, semmai, diventa l’individuazione di un giusto equilibrio tra separazione delle fasi e la tendenza a “unificarle“, in varie modi e in diverse forme (come le letture dibattimentali, che determina una degenerazione dell’autentico dibattimento, svuotandolo di contenuti; v. nota successiva). V., fra gli altri, E. LUPO, Il principio della separazione delle fasi, in Cass.pen., 1993, 1572.

Separando le fasi, il giudice del dibattimento non è “contaminato“ dai risultati delle risultanze preliminari. Intendiamo riferirci alla

Sua condizione anche psicologica, quella di vergin mind (del giudice, appunto). In dottrina, v. M SCAPARONE, Procedura penale, II, Torino, 2017, 104, sul «principio…di verginità conoscitiva del giudice del dibattimento».

[27] Infatti, il fascicolo del dibattimento (art. 431 c. p. p) e le letture (specialmente l’art. 512)  rappresentano  i due “canali aperti“, i due affluenti che si “gettano“ nel fiume del dibattimento (ma l’impossibilità di una testimonianza…che giustifica la lettura ai sensi dell’art. 512 c. p. p. non ha carattere conclusivo ai fini del giudizio di colpevolezza, escludendosi che il giudice possa condannare l’imputato quando la fonte di prova contra reum non solo è unica ma lo stesso imputato non ha potuto mai interrogare, per Trib. Firenze, sezione 2, sent. 4 ottobre 2017, n.3939, Il merito, 2018, n.3, 43). Tale articolo (431 cit.)  prevede «i verbali degli atti  non  ripetibili», e l’art. 360  c. p. p. gli «accertamenti tecnici non ripetibili», su cui, da ultimo, v., ad esempio,  Cass., sez. VI, sent. 10 aprile 2019, n. 15838, Viviano, in Guida dir., 2019, n. 28, 84. In materia di perquisizioni, ad esempio, su iniziativa   della polizia giudiziaria, v.,in dottrina,  P. TONINI, Manuale di procedura penale, Milano, 2018, 391. In materia di perquisizione informatica, v. Cass., sez. V, 5 aprile 2019 , n. 15071, in Giur. Pen., 6 maggio 2019.

Sui “fascicoli“, v., per il «c.d. regime del doppio fascicolo», G. FRIGO, Art. 431, in Commento al nuovo codice di procedura penale, coord. da M. Chiavario, IV, Torino, 1990, 713;  S. BUZZELLI, Fascicolo dibattimentale: «negoziato» e acquisizione probatoria, in Ind. pen., 2001, 389; A. SCELLA, Formazione in contraddittorio del fascicolo  per il dibattimento, in Il  processo penale dopo la riforma del giudice unico, a cura di F. Peroni, Padova, 2000, 408; S. FIFI, Fascicoli processuali, in Dig. pen., Agg. ***, t. I, Torino, 2005,  505 s. Per il fascicolo del difensore (richiamato dall’art. 433, comma 3, c. p. p.), v. art. 391 octies c. p. p. In dottrina, cfr., tra gli altri, in tema, P. GUALTIERI, Indagini difensive, in Enc. giur. Treccani,  Agg. X, Roma, 2002, 7 s.; L. FILIPPI  (a cura di), Il fascicolo del difensore, in Processo penale: il nuovo ruolo del difensore, Padova, 2001, 12 s. e, specialmente, T. RAFARACI, Art. 391-octiesFascicolo del difensore, in La difesa penale, commenti alle leggi 7 dicembre 2000 n. 397, 6 marzo 2001 n. 60, 29 marzo 2001 n. 134 e alle successive modifiche, dir. da M. Chiavario ed E. Marzaduri, Torino, 2003, 197 s.

Recentemente, v. C. VALENTINI, Udienza preliminare. Doppio fascicolo, in Manuale di diritto processuale penale, AA. VV., Torino, 2017, 572; A. A. DALIA-M. FERRAIOLI, Manuale di diritto processuale penale, Milano, 2018, 752); nonché P. BRONZO, Fascicolo per il dibattimento. Poteri delle parti e ruolo del giudice, in Problemi attuali della giustizia penale, Studi raccolti da A. Giarda – G. Spangher – P. Tonini, Padova, 2017, 172 s.

In giurisprudenza, v. Cass., sez. I, 10 maggio 2018, n. 20755, in Cass. pen., 2018,f. 10, 3120 s.,  n. 422. 1, in ordine agli atti «indicati nella formazione del fascicolo per il dibattimento».

[28] O. DOMINIONI, Le indagini preliminari, in AA. VV., Lezioni sul nuovo processo penale, Milano, 1990, 18.

[29] Sull’«onere della prova», v. Cass. civ., sez. I, sent. 19 marzo 2019, n. 7708, in Guida dir., 2019, n. 19, 35; Cass. civ., sez. I, ord. 14 dicembre 2018, n. 32521, ivi, n. 20, 79 e, per la giurisprudenza di merito, v. ad esempio, Trib. civ., Novara, ord. 16 ottobre 2018, n. 2125, in Il Merito, 2019, n.4, 6.

[30] Sulle «attività processuali…giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto del principio del contraddittorio, da effettive garanzie di difesa e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità, dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato a produrre i suoi effetti», v.  Cass. civ., sez. II, 21 maggio 2018, n. 12515, richiamata da Corte dei Conti – Sezioni Riunte -  Sent. 22 maggio 2019, n. 16 – Pres. Pischedda, in Guida dir., 2019, n. 27, 80 s.

[31] Sulla c.d. prova precostituita,  v. Cass., sez. V, 25 ottobre 2018, n. 48882, Ventiquattrore Avvocato/Il Sole 24 Ore, 2019, n. 6, 57.

[32] S. PESCI, La capacità del pubblico ministero di effettiva guida delle indagini nei rapporti con la polizia giudiziaria, in Questione Giustizia trimestrale, n. 1/2018, http://questionegiustizia.it/rivista/2018/1/la-capacita-del-pubblico-ministero-di-effettiva-guida-delle-indagini-nei-rapporti-con-la-polizia-giudiziaria_508.php. Ma, secondo Corte cost., sent. 6 dicembre 2018, n. 229, nei rapporti interna corporis (polizia giudiziaria), è incostituzionale l'obbligo di informare il superiore.

V. Cass., sez. V, 2 marzo 1995, Kugelmieir, in Cass. pen., 1996, 892, nota di BACCARI, Perquisizioni alla ricerca della notizia di reato: il problema della validità del conseguente sequestro; Cass., sez. I, 19 aprile 1995, Faggin, in C.E.D. Cass., n. 201843; Cass., sez. I, 22 aprile 1993, Zappolli Thyruin, in Cass. pen., 1994, 2192; Cass., sez. I, 29 ottobre 1993, Lanzi, ivi, 1995, 134,  nota di POTETTI, Attività del p.m. diretta all’acquisizione della notizia di reato e ricerca della prova.

In dottrina, v. N. TRIGGIANI, Ispezioni, perquisizioni e sequestri, in Trattato di procedura penale, diretto da G. Spangher, II, Prove e misure cautelari, t. I, Le prove, a cura di A. Scalfati, Torino, 2009, 385; P. FELICIONI, Le ispezioni e le perquisizioni, Milano, 2012, 209.

Recentemente, v. G. BATTARINO, Autorità giudiziaria e polizia giudiziaria: ritorno alla Costituzione, in Quest. giust., 18 dicembre 2018. Da ultimo, v., in giurisprudenza,  Corte cost., 6 marzo 2019, n.38, sull’attività di ricerca della prova.

[33] V, la lucida pagina di DOMINIONI, Sub art. 27, in Commentario della Costituzione, fondato da G. Branca e continuato da A. Pizzorusso, Rapporti civili, loc.cit.: «un primo corollario che se ne trae è che, mentre il pubblico ministero…ha l’onere di provare gli elementi di accusa, all’imputato non si può senz’altro applicare…la regola reus in excipiendo fit actor ». Sulla  regola onus probandi incumbit ei qui dicit, v. App. Brescia civ., sez. I, sent. 30 novembre 2018, n. 846, in Il merito, 2018, n. 4, 22. V., pure,  App. Roma civ., sent. 22 novembre 2018, n. 3959, ivi, 25.

[34] Sui principi del dibattimento, v., in estrema sintesi, fra gli altri,  G. LOZZI, Lineamenti di procedura penale, Torino, 2018, 301.

[35] In tali, esaltanti, termini, v. F. STELLA, Il giudice corpuscolarano. La cultura delle prove, Milano, 2005, 107. Contra, non riconoscendo alla regola un valore innovativo, P. FERRUA, La colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio, in Il nuovo regime delle impugnazioni tra Corte costituzionale e Sezioni Unite, a cura di L. Filippi, Padova, 2007, 137. Pure F. CORDERO, Procedura penale, Miano, 2012, 995, giudica la c.d. legge Pecorella  un  «banale americanismo e verità ovvia…discorso cosiddetto lapalissiano».

[36] Sulla «nozione di “controllo“», v. Corte dei Conti – Sezioni Riunte -  Sent. 22 maggio 2019, n. 16Pres. Pischedda, cit. e, in dottrina F. R. DINACCI,  L’effettività dei controlli, in Le ragioni del garantismo, diretta da A. Gaito – E. Marzaduri – O. Mazza – F. R. Dinacci, I princìpi europei del processo penale, a cura di A. Gaito, Roma, 2016, 505 s.