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Corte di Giustizia dell’Unione europea: nello spazio dell’ Unione europea va garantito il divieto di discriminazione nei confronti della donna (Conclusioni dell’Avvocato Generale C-372/2016)

 Autore: Avv. Teresa Aloi

 

Secondo la Corte di giustizia dell’Unione europea, nel territorio dell’Unione va garantito il divieto di atti che discriminano la donna, per cui non può essere riconosciuto il divorzio islamico in quanto considerato atto discriminatorio nei confronti della stessa.

Questo è quanto si evince dalle conclusioni dell’Avvocato generale della Corte europea depositate il 14 settembre 2017 nella causa C-372/2016, con le quali si è affermata la priorità della tutela dei valori comuni dell’ Unione europea, incluso il divieto  di ogni atto discriminatorio nei confronti della donna. Tale tutela va garantita, in particolare, nei casi di riconoscimento di atti di divorzio pronunciati all’estero.

Da qui l’obbligo per il giudice nazionale di impedire l’ingresso in uno Stato membro di atti posti in essere da Tribunali islamici che mettono la donna in una situazione di inferiorità; questo anche nel caso in cui il coniuge discriminato abbia dato il proprio consenso.

I giudici di Lussemburgo erano stati chiamati a pronunciarsi, in via pregiudiziale, su una domanda proposta dal Tribunale regionale superiore di Monaco di Baviera avente ad oggetto l’interpretazione del Regolamento n. 1259/2010 del Consiglio del 20 dicembre 2010, relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata con riferimento alla legge applicabile in materia di  divorzio e di separazione personale. La soluzione della questione inerente l’interpretazione del Regolamento era da ritenersi necessaria al fine di risolvere la controversia sorta tra una coppia di cittadini siriani che, in precedenza, avevano acquisito anche la cittadinanza tedesca e vivevano attualmente in Germania.

La coppia si era sposata in un Tribunale islamico di Homs (Siria) e, dopo vari trasferimenti, era rientrata in Germania. Nel 2013 il marito, il Sign. Raja Mamisch, dichiarò di voler divorziare dalla moglie ed il suo rappresentante fu chiamato a pronunciare la formula di rito davanti ad un Tribunale religioso della sharia, in Siria, che dichiarò il divorzio tra i coniugi.

Tale divorzio si qualifica come un atto “di natura privata”, in quanto si fonda non su una decisione a carattere costitutivo di un’autorità giurisdizionale o di altra autorità pubblica, ma su una dichiarazione di volontà dei coniugi stessi, nella specie unilaterale e seguita da un atto di natura meramente declaratoria da parte di un’autorità straniera. Successivamente, la Sig.ra Sahyouni, secondo le regole della sharia, aveva dovuto sottoscrivere una dichiarazione con la quale riconosceva di aver ricevuto tutte le prestazioni che, secondo la normativa religiosa, le erano dovute in forza del contratto di matrimonio e a causa del divorzio intervenuto per volontà unilaterale del marito, liberandolo, pertanto, da ogni obbligo nei propri confronti.

Il Signor Mamisch, in seguito, chiese il riconoscimento della dichiarazione di divorzio in Germania e la domanda venne accolta dal Tribunale regionale superiore di Monaco di Baviera constatando che il Regolamento “Roma III”, relativo alla legge applicabile all’ istituto del divorzio (Regolamento UE n. 1259/2010), ricomprendeva tale tipo di domande e che, ai sensi di tale Regolamento, il divorzio in questione era disciplinato dal diritto siriano.

La Sig.ra Sahyouni, però, contestava tale riconoscimento davanti al Tribunale di Monaco di Baviera che, di conseguenza, sottoponeva alla Corte di Giustizia europea la questione riguardante l’interpretazione del Regolamento “Roma III”, in vigore dal 2012.

Nelle conclusioni depositate il 14 settembre scorso, l’ Avvocato generale della Corte europea, Henrik Saugmandsgaard Oe, osserva che, il Regolamento stabilisce le norme sul conflitto di leggi applicabili, negli Stati membri partecipanti, in materia di divorzio,[1] senza disciplinare il riconoscimento di una decisione di divorzio già pronunciata con la conseguenza che esso non dovrebbe trovare attuazione nella vicenda in esame. Tuttavia, tale Regolamento si applica indirettamente nella vicenda in oggetto e la sua interpretazione è, pertanto, utile, in quanto il diritto tedesco rinvia ad esso al fine di determinare la legge applicabile nell’ambito dei procedimenti giudiziari sul riconoscimento di divorzi privati pronunciati all’estero in sistemi giuridici di ispirazione musulmana nei quali si ammette lo scioglimento del matrimonio per volontà dello sposo.

L’Avvocato generale ritiene che, contrariamente a quanto assunto dal legislatore tedesco, il Regolamento “Roma III” non ricomprende i divorzi pronunciati senza una decisione con effetto costitutivo emessa da un’ autorità giurisdizionale o da altra autorità pubblica, come il divorzio risultante dalla dichiarazione unilaterale di un coniuge registrata da un Tribunale religioso. Egli giunge a tale conclusione alla luce dei lavori preparatori di tale Regolamento e prendendo in considerazione il fatto che il legislatore dell’Unione ha voluto che la sfera di applicazione di quest’ultimo fosse coerente rispetto a quella del Regolamento “Bruxelles II bis” relativo alla competenza, al riconoscimento ed all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale[2].

Nell’ipotesi in cui la Corte dovesse statuire che i divorzi di natura privata rientrino nell’ambito di applicazione del Regolamento “Roma III”, l’Avvocato generale richiama l’ interpretazione dell’art. 10 di tale Regolamento secondo cui un giudice di uno Stato membro partecipante deve applicare il proprio diritto nazionale, quando la legge straniera che sarebbe in linea di principio applicabile, prevede che l’accesso al divorzio vari in funzione dell’ appartenenza dei coniugi all’uno o all’altro sesso.

L’art. 10 del Regolamento impedisce l’ingresso di leggi straniere che, anche solo in astratto, mostrano una discriminazione tra coniugi che certo sussiste se non vi sono pari condizioni di accesso all’ istituto del divorzio. In questa ipotesi scatta la prioritaria tutela dei diritti fondamentali e dei valori comuni dell’ Unione europea, con la conseguenza che va sbarrata la strada all’ingresso di un sistema, come quello islamico, che non attribuisce alla moglie le stesse condizioni di accesso al divorzio del marito. Una valutazione ex ante, pertanto, che considera irrilevante l’eventuale consenso dato dalla donna ed amplia le possibilità di disapplicazione delle regole fondate sulla sharia che discriminano la stessa, con l’obbligo di regolare il divorzio in base alla legge del foro (in questo caso quella tedesca).

L’Avvocato generale della CGUE rileva che, in base a quanto disposto dal Tribunale di Monaco di Baviera, il diritto siriano non conferisce alla moglie le stesse condizioni di accesso al divorzio concesse al marito.

La questione se l’ accesso all’ istituto del divorzio previsto dal diritto straniero sia discriminatorio o meno va valutata in astratto e non in concreto alla luce delle circostanze della fattispecie. In tal senso, è sufficiente che la legge straniera applicabile sia discriminatoria a causa del suo contenuto affinchè essa non venga applicata. Il legislatore dell’ Unione, infatti, ha considerato che la discriminazione in questione, ossia quella fondata sull’appartenenza dei coniugi all’ uno o all’altro sesso, riveste una gravità tale da dover comportare il rigetto assoluto, senza alcuna possibilità di eccezione nel singolo caso concreto, della totalità della legge altrimenti applicabile.

L’Avvocato generale valuta, quindi, se la circostanza che il coniuge discriminato abbia eventualmente acconsentito al divorzio consenta al giudice nazionale di non disapplicare la legge straniera, nonostante il suo carattere discriminatorio e, dunque, di applicarla.

Secondo l’Avvocato generale si deve dare una valenza negativa a tale circostanza. La regola enunciata all’ art. 10 del Regolamento “Roma III”, infatti, che si fonda sul rispetto di valori considerati fondamentali, è dotata di carattere imperativo ed è, pertanto, collocata dalla volontà del legislatore dell’ Unione, al di fuori della sfera della libera disposizione dei propri diritti da parte dei soggetti interessati. E’ evidente che, in casi come quello in oggetto, al di là del consenso della donna, si realizza una discriminazione “fondata sull’appartenenza dei coniugi all’uno o all’altro sesso” che ha come conseguenza l’assoluta inapplicabilità della legge straniera.

Si evidenzia che le conclusioni dell’Avvocato generale non vincolano la Corte di giustizia. Il compito dell’Avvocato generale consiste nel proporre alla Corte, in piena indipendenza, una soluzione giuridica nella causa per la quale è stato designato. I giudici della Corte valuteranno tutti gli aspetti della questione sottoposta alla loro attenzione e si pronunceranno con sentenza in una data successiva.

 

Avv. Teresa Aloi,  Foro di Catanzaro

 

[1] Il Regolamento “Roma III”, attua una cooperazione rafforzata, attualmente applicabile solo in Belgio, Bulgaria, Germania, Grecia, Spagna, Francia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Ungheria, Malta, Austria, Portogallo, Romania e Slovenia.

[2] Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento ed alla esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale ed in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il Regolamento (CE) n. 1347/2000.

Fonte: www.curia.europa.eu