A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

Corte di Giustizia dell’Unione europea: Il diritto all’oblio non esiste per i dati personali contenuti nel Registro delle imprese (CGUE 9 marzo 2017, C-398/15).

Autore: Avv. Teresa Aloi

 

Con la sentenza pubblicata il 9 marzo 2017 la Corte di giustizia dell’Unione europea accoglie le conclusioni dell’Avvocato Generale, presentate l’8 settembre 2016 nella causa C-398/15, ribadendo che la pubblicità del Registro delle imprese ricopre una funzione essenziale in quanto garantisce la certezza del diritto nelle relazioni tra la società ed i terzi e tutela gli interessi di quest’ultimi rispetto alle società per azioni ed alle società a responsabilità limitata, dal momento che queste offrono come unica garanzia per i terzi il proprio patrimonio sociale.

Secondo la Corte europea non esiste un diritto all’oblio per i dati contenuti nel Registro delle imprese, tuttavia, decorso un periodo sufficientemente lungo, dopo lo scioglimento della società interessata, gli Stati membri possono prevedere, in casi eccezionali, che l’accesso ai dati da parte di terzi sia limitato.

Il diritto all’oblio come “diritto ad essere dimenticati” è quel diritto dell’ interessato ad ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione/deindicizzazione dei propri dati qualora questi non siano più necessari rispetto alle finalità per cui erano stati raccolti ovvero qualora l’interessato abbia revocato il consenso o si sia opposto al trattamento dei dati stessi.

Si tratta di un diritto di matrice puramente giurisprudenziale, riconosciuto espressamente per la prima volta dalla Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza del 13 maggio 2014 (Causa c-131/12, caso Google Spain-Costeja).  

Solo con il Regolamento n. 679 del 2016 il diritto all’oblio viene tipizzato, trovando un proprio spazio nel testo della nuova disciplina europea al Capo III “Diritti dell’interessato”, art. 17 “Diritto alla cancellazione (diritto all’oblio)”.

Il Regolamento europeo sulla privacy ha finalmente disciplinato il diritto dei cittadini ad ottenere la cancellazione dei propri dati personali quando raccolti da un soggetto terzo con particolare riferimento al web. Il diritto alla cancellazione dei dati si affaccia, dunque, per la prima volta su internet, andando a comprendere anche l’ipotesi  in cui un sito internet riporti il nome e cognome, con le vicende personali di un soggetto, indicizzandoli sul web e, quindi, rendendoli recuperabili dai motori di ricerca. In realtà, la norma che si occupa del diritto all’oblio non indica i tempi di permanenza di una notizia sul web (circostanza da più parti invocata) lasciando al giudice ed alle autorità nazionali l’applicazione pratica del concetto di “attualità della notizia” oltre la quale l’articolo sul sito internet deve essere cancellato.

Il diritto all’oblio sul web incontra, però, un limite nell’esigenza di pubblicità dei dati personali. Esigenza che può essere connessa all’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione, all’adempimento di un obbligo legale, a motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, ai fini di archiviazione nel pubblico interesse di ricerca scientifica o storica o a fini statistici, per l’accertamento, l’esercizio o la difesa di un diritto in sede giudiziaria.

L’Autorità garante della privacy italiana ha fornito maggiori indicazioni sul Regolamento UE e, in particolare, sul diritto all’oblio chiarendo che tale diritto si configura come un diritto alla cancellazione dei propri dati personali in forma rafforzata. Si prevede, infatti, l’obbligo per i titolari (nel caso abbiano reso pubblici i dati personali dell’interessato) di informare della richiesta di cancellazione altri titolari che trattano i dati personali cancellati, compresi “qualsiasi link, copia o riproduzione”.

La stessa Corte di giustizia ha già avuto occasione di statuire che un’attività pubblica che consiste nel salvare in una banca dati, dati che le società devono comunicare in base ad obblighi di legge e nel consentire ai soggetti interessati di consultare tali dati e di fornirne loro copia, rientra nell’esercizio di pubblici poteri.

Il diritto all’oblio, nato come diritto diretto a tutelare la permanenza on line dei dati personali degli interessati, ha costituito oggetto di analisi da parte della CGUE circa l’esercizio dello stesso anche relativamente ad altri dati personali quali quelli contenuti nel Registro delle imprese; ambiente tipicamente off line.

La disciplina comunitaria sulla conservazione dei dati personali e, in particolare, l’art. 2, paragrafo 1, lett. d) e i), l’art. 3 della Direttiva 68/151 e l’art. 6, paragrafo 1, lett. e), nonché l’art. 7, lett. c), e), f) della Direttiva 95/46, osta a che i dati personali, iscritti nel Registro delle imprese, possano, dopo un certo periodo di tempo e su richiesta della persona di cui trattasi essere cancellati, resi anonimi o bloccati oppure resi accessibili unicamente ad una cerchia ristretta di terzi.

Nella vicenda che ha dato origine alla decisione della CGUE del 9 marzo 2017, il punto controverso riguarda proprio la possibilità di cancellare i dati personali o limitarne l’accesso da parte di terzi, decorso un certo periodo di tempo dalla cessazione delle attività societarie e su richiesta della persona interessata.

La vicenda ha origine in Italia, dove nel 2007 l’amministratore unico di una società edile, il sig. S. Manni, che si era aggiudicato l’appalto per la costruzione di un complesso turistico, conviene in giudizio la Camera di Commercio di Lecce. A suo parere, le unità immobiliari del complesso turistico non avevano trovato acquirenti in quanto dal Registro delle imprese risultava che egli era  stato l’amministratore di un’altra società (Immobiliare Salentina) dichiarata fallita nel 1992 e liquidata nel 2005. Il Sig. Manni rivendicava quindi, il proprio diritto a rendere anonimi dei dati contenuti nel Registro delle imprese che lo collegavano al fallimento della prima società e chiedeva altresì il risarcimento dei danni che la mancata cancellazione gli aveva causato nell’ambito della sua seconda attività di impresa.

In primo grado il Tribunale di Lecce aveva accolto le richieste dell’amministratore ordinando alla Camera di Commercio di rendere anonimi i dati e di provvedere al risarcimento. Il Tribunale riteneva che fosse “difficilmente sostenibile la necessità e l’utilità dell’indicazione nominativa dell’amministratore unico della società al tempo del fallimento”, per fatti avvenuti oltre un decennio prima. Secondo il Tribunale, infatti, le iscrizioni che collegano il nominativo di una persona fisica ad una fase patologica della vita dell’impresa (come il fallimento) non possono essere perenni; pertanto, trascorso un certo lasso di tempo congruo, tali iscrizioni non devono più ritenersi necessarie “potendo l’interesse pubblico essere soddisfatto dall’indicazione delle vicissitudini della società con dati anonimi per quanto attiene alla persona fisica che ne era il rappresentante legale”. La sentenza viene impugnata dalla Camera di Commercio e la Corte di Cassazione, prima di esprimersi in merito, sottopone alla Corte di Giustizia dell’Unione europea diverse questioni pregiudiziali, chiedendo innanzitutto se la Direttiva sulla tutela dei dati delle persone fisiche[1] nonché la Direttiva sulla pubblicità degli atti delle società[2] sono di ostacolo a chiunque possa, senza limiti di tempo, accedere ai dati relativi alle persone fisiche contenuti nel Registro delle imprese.

La Corte di Cassazione, più precisamente, richiede l’intervento dei giudici di Lussemburgo per conciliare due principi contrapposti: da un lato, quello della pubblicità dei Registri delle imprese sancito a livello comunitario dalla Direttiva 68/151/CEE ed a livello interno dall’art. 2188 c.c. e dall’altro lato, il principio di conservazione dei dati personali per un arco di tempo non superiore a quello necessario al conseguimento delle finalità per le quali tali dati sono trattati, sancito dalla Direttiva 95/46/CE, recepita in Italia per effetto del D.Lgs n. 196/2003 (Codice della privacy).

L’Avvocato Generale della Corte di Giustizia europea, Yves Bot, rileva che, nella vicenda in esame, i dati che devono figurare nei Registri delle imprese, ai sensi della Direttiva 68/151/CEE, sono dati personali, ai sensi della Direttiva 95/46/CE.

La prima Direttiva non prevede alcun termine alla scadenza del quale dovrebbero essere cancellate, rese anonime o bloccate le informazioni contenute nel Registro delle imprese, né una limitazione all’accesso a tali informazioni. Gli Stati membri sono, pertanto, tenuti a rispettare le norme comunitarie in materia di protezione dei dati personali (Direttiva 95/46/CE nonché gli artt. 7 e 8  della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea).

Non vi sono, tuttavia, norme comunitarie che impongono alle autorità nazionali incaricate della tenuta dei Registri delle imprese di cancellare o rendere anonimi i dati personali, su richiesta della parte e decorso un certo lasso di tempo. Con la Direttiva 68/151/CEE, inoltre, si è voluto favorire lo sviluppo del mercato interno, garantendo a tale scopo la tutela degli interessi dei terzi (e dei creditori), consentendo loro di poter accedere ai dati relativi alle persone che hanno il potere di rappresentare la società o che partecipano all’amministrazione, alla sorveglianza o al controllo della medesima. Tutto ciò è realizzato anche attraverso il sistema di pubblicità legale delle informazioni iscritte nel Registro delle imprese. Sistema che, pur senza limiti di durata e destinato ad una cerchia indeterminata di persone, non eccede quanto necessario al conseguimento dell’obiettivo indicato come di interesse generale. Nel caso della pubblicità legale delle informazioni relative alle società, insomma, gli interessi che impongono la libera circolazione dei dati personali prevalgono sul diritto delle persone, i cui dati figurano in tali Registri, a reclamarne la cancellazione, in nome di un diritto alla privacy e di un diritto all’ oblio. Secondo l’ Avvocato Generale occorre, infatti, preservare la funzione essenziale del Registro delle imprese che è quella di fornire un quadro completo della vita societaria, anche rispetto a fatti passati.

Con la sentenza del 9 marzo la Corte di Giustizia dell’ Unione europea accoglie le richieste dell’ Avvocato Generale.

La Corte, innanzitutto, sottolinea quale sia la funzione del Registro delle imprese, quella di rendere pubblici alcuni dati al fine di garantire la certezza del diritto nelle relazioni tra società e terzi. Tali dati devono poter essere reperiti da terzi anche numerosi anni dopo lo scioglimento delle società qualora dovessero sorgere questioni rilevanti per cui la conoscenza dei dati relativi alle persone fisiche contenuti nel Registro delle imprese si ritiene necessaria. Tenuto conto, infatti, della molteplicità di diritti e rapporti giuridici di una società che possono coinvolgere diversi soggetti, anche in diversi Stati membri (ciò anche dopo il suo scioglimento) e dell’eterogeneità dei termini di prescrizione previsti dai diversi diritti nazionali, risulta impossibile identificare un termine univoco, allo scadere del quale non sarebbe più necessaria l’iscrizione nel Registro e la pubblicità dei dati in esso indicati.

In tali circostanze, gli Stati membri non sono tenuti a garantire alle persone fisiche, i cui dati sono iscritti nel Registro delle imprese, il diritto di ottenere, decorso un certo periodo di tempo dallo scioglimento della società, la cancellazione dei dati personali che li riguardano, tenendo anche presente che solo un numero limitato di dati personali è riportato in tale Registro.

La pubblicità, inoltre, deve consentire ai terzi di conoscere gli atti essenziali della società interessata, certe indicazioni che la riguardano e, in particolare, le generalità delle persone che hanno il potere di obbligarla. La Corte ha, peraltro, già rilevato che lo scopo della Direttiva 68/151/CEE è fornire la certezza del diritto nelle relazioni tra le società e i terzi, in previsione di un incremento degli scambi commerciali fra gli Stati membri in seguito all’istituzione del mercato comune e che , in tale prospettiva, è indispensabile che chiunque intenda intrattenere rapporti di affari con società aventi la propria sede in altri Stati membri possa conoscere agevolmente i dati costitutivi essenziali delle società commerciali ed i dati essenziali relativi ai poteri dei loro rappresentanti, il che richiede che tutti i dati pertinenti figurino, in maniera esplicita, nel Registro  (CGUE 12 novembre 1974, Haaga, 32/74).

La Corte europea ritiene non sproporzionata tale ingerenza nei diritti fondamentali delle persone interessate, in particolare, nel diritto al rispetto della vita privata nonché nel diritto alla tutela dei dati personali, entrambi garantiti dalla Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione, in quanto, solo un numero limitato di dati personali è iscritto nel Registro delle imprese ed è giustificato che le persone fisiche che scelgono di prendere parte agli scambi economici attraverso una società per azioni o una società a responsabilità limitata e che offrono come unica garanzia per i terzi il patrimonio sociale di tale società siano obbligate a rendere pubblici i dati relativi alle loro generalità ed alle loro funzioni in seno alla stessa società.

La Corte, tuttavia, non esclude che, in situazioni particolari, decorso un periodo di tempo sufficientemente lungo dopo lo scioglimento della società di cui trattasi, ragioni preminenti e legittime, connesse ad un caso concreto allegato dalla persona interessata, possano giustificare,in via eccezionale, che l’accesso ai dati personali ad essa relativi sia limitato ai terzi che dimostrino  un interesse particolare e specifico alla loro consultazione.

Una simile limitazione dell’accesso ai dati personali deve essere il risultato di una valutazione da compiersi caso per caso. Spetta, secondo la Corte, a ciascuno Stato membro decidere se adottare nel proprio ordinamento giuridico una simile limitazione all’accesso. Nel caso di specie, la Corte europea considera, comunque, che il solo fatto che gli immobili del complesso turistico non siano stati venduti in quanto i potenziali acquirenti hanno avuto accesso ai dati del Sig. Manni nel Registro delle imprese non può essere sufficiente a giustificare una limitazione dell’accesso dei terzi a tali dati, tenuto conto, in particolare, del legittimo interesse di quest’ultimi a disporre di dette informazioni. L’art. 6, paragrafo 1, lettera e), l’art. 12, lettera b) e l’art. 14, primo comma, lettera a) della Direttiva n. 95/46, in combinato disposto con l’art. 3 della Direttiva n. 68/151, devono essere interpretati nel senso che, allo stato attuale del diritto dell’Unione europea, spetta agli Stati membri determinare se le persone fisiche di cui all’art. 2, paragrafo 1, lettera d) e j) della Direttiva da ultimo citata possano chiedere all’autorità incaricata della tenuta del Registro delle imprese di verificare, in base ad una valutazione da compiersi caso per caso, se sia eccezionalmente giustificato, per ragioni preminenti e legittime connesse alla loro situazione particolare, decorso un periodo di tempo sufficientemente lungo dopo lo scioglimento della società interessata, limitare l’accesso ai dati personali che le riguardano, iscritti in tale Registro, ai terzi che dimostrino un interesse specifico alla loro consultazione.

Spetta, quindi, al giudice del rinvio verificare lo stato del proprio diritto nazionale sul punto. Ove da tale verifica risulti che il diritto nazionale consente richieste del genere, spetterà al giudice del rinvio valutare, alla luce dell’insieme delle circostanze rilevanti e tenuto conto del termine decorso dopo lo scioglimento della società interessata, l’eventuale esistenza di ragioni preminenti e legittime che sarebbero, se del caso, tali da giustificare, in via eccezionale, una limitazione all’accesso dei terzi ai dati relativi al Sig. Manni nel Registro delle imprese, dai quali emerge che quest’ultimo è stato amministratore unico e liquidatore dell’immobiliare salentina, fallita nel 1992 e liquidata nel 2005.

E’ importante ricordare che il rinvio pregiudiziale, in questo caso della Corte di Cassazione, consente ai giudici degli Stati membri, nell’ambito di una controversia della quale sono investiti, di interpellare la Corte in merito all’interpretazione del diritto dell’Unione o alla validità di un atto dell’Unione. La Corte di Giustizia europea, però, non risolve la controversia nazionale.

Spetta al giudice nazionale risolvere la causa in maniera conforme alla decisione della Corte; decisione che vincola ugualmente gli altri giudici nazionali ai quali venga sottoposto un problema simile.

 

Avv. Teresa Aloi, Foro di Catanzaro

 

Fonte: www.curia.europa.eu

 

[1] Direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali nonché della libera circolazione di tali dati).

[2] Prima Direttiva 68/151/CEE del Consiglio del 9 marzo 1968 intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste negli Stati membri, alle società a mente dell’art.58, secondo comma, del Trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi, come modificata dalla Direttiva 2003/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 luglio 2003).