A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

Il contenzioso dell'Italia con le Corti sovranazionali. Incidenza sul bilancio statale.

Autore: Vice Procuratore Generale Cinthia Pinotti

  

Il contenzioso dell'Italia con la Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo.

Anche nell'anno 2015 il contenzioso concernente le violazioni da parte dell'Italia  della  Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali ( CEDU ) adottata nell'ambito del Consiglio d'Europa, presenta aspetti di grande interesse che vanno analizzati non solo sotto il profilo dell'incidenza delle sentenze di condanna pronunciate dalla Corte di Strasburgo  sul bilancio nazionale, quanto, e ben più ambiziosamente, in chiave di verifica della capacità del nostro sistema giuridico nazionale di  garantire in modo pieno ed effettivo la tutela dei diritti fondamentali.

Infatti, se da un lato, l'anno 2015 segna, per la prima volta un'inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti (i giudizi definiti dalla Corte EDU che hanno riguardato l'Italia passano da 44 a 24  e le condanne  inflitte 20per un ammontare complessivo di euro 1.935.694, 51)[1], dall'altro la casistiche delle violazioni, affianca a quelle più tradizionali ( materia delle espropriazioni, divieto di leggi retroattive, salvaguardia principio di legalità in materia penale, divieto di bis in idem, etc..) alcune "nuove" casistiche quali il divieto di tortura, e l'ampliamento delle garanzie atte a garantire il processo equo (quali l'obbligo per il giudice di ultima istanza di motivare la scelta di non sollevare rinvio pregiudiziale innanzi alla Corte di giustizia UE)che aprono scenari meritevoli di serio approfondimento circa gli obblighi incombenti al legislatore ed al giudice nazionale per rispettare i principi della Convenzione.

Tratteggiando una breve casistica giurisprudenziale partendo proprio da queste ultime ipotesi, si ricorda chenella Causa Cestaro /Italia quarta Sezione  sentenza 7 aprile 2016 , il ricorrente aveva adito la Corte EDU sostenendo che, in occasione dell’irruzione delle forze dell’ordine nella scuola Diaz, durante il summit del G8 a Genova nel 2001, era stato vittima di violenze e seviziedefinite quali atti di tortura, e che la sanzione pronunciata a carico dei responsabili degli atti denunciati era stata inadeguata a causa dell'intervenuta prescrizione, della maggior parte dei reati e delle riduzioni di pena di cui alcuni condannati avrebbero beneficiato e dell’assenza di sanzioni disciplinari nei confronti di questi ultimi. Il ricorrente afferma, in particolare, che omettendo di  qualificare come reato ogni atto ditortura e non prevedendo una pena adeguata, lo Stato italiano,non avrebbe adottato le misure necessarie per prevenire leviolenze e gli altri maltrattamenti di cui egli stesso sostiene di essere vittima.

La Corte nell'accogliere il ricorso ha osservato che in base alla giurisprudenza della Corte spetta allo Stato istituire un quadro giuridico adatto a garantire l'osservanza dell'art. 3 della Convenzione, e che nella specie detto obbligo non sarebbe stato soddisfatto a causa di una normativa (come quella italiana)che consente la prescrizione dei reati o misure di clemenza nell'esecuzione della pena.[2]

 

La sentenza Cestaro mette ben in evidenza la differenza fra la responsabilità dello Stato legislatore rispetto alla responsabilità che derivano dall'esercizio delle funzioni inquirenti. Gli Uffici di Procura non solo sono stati assolti dalla Corte ma addirittura elogiati per le condizioni di estrema difficoltà nelle quali gli inquirenti si sono trovati ad operare per accertare le responsabilità personali degli autori delle violazioni. Ben diverso è il giudizio sulla normativa italiana in tema di prescrizione e indulto tanto che la Corte afferma espressamente che in sede di determinazione delle "misure generali" cui il nostro Paese è tenuto, onde porre riparo alle conseguenze dell'accertata violazione, e che si aggiungono all'obbligo di corrispondere un'equa indennità (fissata in 45.000 euro) in favore del singolo ricorrente - vi è la necessità "che l'ordinamento giuridico italiano si munisca di strumenti giuridici idonei a sanzionare in maniera adeguata i responsabili di atti di tortura o di altri trattamenti vietati dall'art. 3 e ad impedire che costoro possano beneficiare di benefici incompatibili con la giurisprudenza della Corte".

Dalla pronuncia a carico dell'Italia scatta dunque un obbligo di adeguamento legislativo a carico dell'Italia tanto più importante alla luce del fatto che per quanto riguarda i fatti del G8 oltre alla causa Cestaro pende un secondo ricorso collettivo presentato da 40 manifestanti.[3]

Altra sentenza di condanna degna di nota è quella del 21/07/2015, Schipani et autres c. Italie, in materia di diritto a un equo processo (art. 6 CEDU) e di danno per mancata trasposizione di direttive europee.

La vicenda trae origine dal ricorso intentato da alcuni medici contro il Governo italiano, al fine di ottenere la riparazione dei danni subiti in ragione del recepimento tardivo nel diritto interno delle direttive comunitarie che riconoscevano loro il diritto di percepire, durante il periodo di formazione professionale, una remunerazione adeguata. A fronte del rigetto delle loro istanze in tutti i gradi di giudizio, i ricorrenti adivano la Corte EDU, lamentando in particolare la decisione della Corte di Cassazione di rigettare il ricorso senza sottoporre la questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia e senza motivare la sua decisione su questo punto. La Corte EDU ha constatato la violazione dell'art. 6 § 1 della Convenzione, relativo al diritto ad un processo equo, non avendo trovato nella sentenza della Corte di cassazione contestata alcun riferimento alla richiesta di rinvio pregiudiziale formulata dai ricorrenti e alle ragioni per le quali è stato ritenuto che la questione sollevata non meritasse di essere trasmessa alla Corte di giustizia UE.

L'omessa motivazione da parte della Corte di cassazione circa la mancata attivazione del rinvio pregiudiziale di cui all'art. 267 TFUE, è stata considerata essa stessa un vulnus all'insieme delle garanzie sostanziali e processuali di cui all'art. 6 CEDU; la pronuncia, del tutto innovativa rispetto ai precedenti della stessa Corte di Strasburgo che, in passato (sentenze n. 3889/97 e 38353/2007 Sezione II, 8 marzo 2012),aveva negato la sussistenza di un diritto incondizionato dei cittadini a vedere sollevata una questione pregiudiziale interpretativa da parte di una Corte Suprema con conseguente responsabilità omissiva dello Stato membro, apre scenari nuovi sul modo di concepire la leale collaborazione fra le Corti supreme.

E' noto infatti che lo strumento del rinvio pregiudiziale di interpretazione di cui all'art. 267 terzo paragrafo  TFUE prevede un obbligo a carico del giudice di ultima istanza di presentare alla Corte di giustizia UE il quesito circa la corretta interpretazione della normativa europea applicabile alla fattispecie dedotta in giudizio, ed è altresì noto che la nuova disciplina sulla responsabilità del giudice [4]introdotta dalla legge n. 18 del 2015 stabilisce espressamente che costituisce colpa grave la violazione manifesta della legge nonchè del diritto dell'Unione europea..tenendosi conto in tali casi ...."della mancata osservanza dell'obbligo del rinvio pregiudiziale".

La sentenza Schipani /Italia della Corte EDU si spinge evidentemente oltre la prospettiva che vede nella Corte di giustizia UE il referente delle Corti supreme nazionali in ordine alla portata applicativa dell'obbligo di rinvio pregiudiziale sanzionando tout court l'omessa motivazione sul punto da parte del giudice nazionale, sotto il (diverso) profilo della violazione dell'art. 6 CEDU.

La sentenza è destinata, quindi ,ad avere un impatto rilevante sul nostro sistema giudiziario caratterizzato peraltro da normative processuali diverse all'interno delle varie giurisdizioni. E' innegabile che ne uscirà, comunque, rafforzatol'obbligo di motivazione da parte del giudice di ultima istanza circa le proprie scelte sull'attivazione o meno del rinvio pregiudiziale sia in una prospettiva interna (responsabilità del magistrato)sia nella nuova prospettiva europea che affianca alla reazione tipica in sede UE (procedura di infrazione  ex artt. 258 e 259 TFUE , cfr. Corte di giustizia,30 settembre 2003, Kobler)  anche la possibile condanna dello Stato da parte della Corte EDU per violazione dell'art. 6 della Convenzione in base ai principi della sentenza Schipani.  L'intreccio di competenze delle Corti sovranazionali (Starsburgo e Lussemburgo) diventerà quindi, nel futuro, di problematica risoluzione in assenza di sistematiche inziative di coordinamento e dialogo fra Corti supreme nazionali e Corti sovranazionali.

Le considerazioni di cui sopra sono vieppiù valide alla luce della recente pronuncia della Corte di Strasburgo del 28 febbraio 2016 intervenuta sul noto caso Abu Omar nella quale esplicite censure vengono avanzate dalla Corte  nei confronti di pronunce della Corte costituzionale italiana  che ha avallato l'apposizione del segreto di Stato da parte del Governo italiano e di decisioni di grazia assunte dal Capo dello Stato,nella misura in cui le stesse hanno di fatto consentito la violazione da parte dell'Italia degli obblighi di natura sostanziale scaturenti dagli artt. 3, 5 e 8 CEDU avendo garantito l'impunità a tutti i colpevoli.[5]

La Corte di Strasburgo loda infatti apertamente la posizione di fermezza assunta dalla Corte di cassazione che in aperta contrapposizione alla pronuncia della Corte costituzionale 24/2014 [6]ne aveva istituzionalmente preso atto pur testualmente prendendo le distanze da una pronuncia che "sembra (va)abbattere alla radice la possibilità stessa di una verifica di legittimità, continenza e ragionevolezza dell'esercizio del potere di segretazione in capo all'autorità amministrativa" e nel conflitto tra  le ragioni di interesse nazionale e la tutela dei diritti umani opta decisamente, confermando la propria giurisprudenza, per la prevalenza di questi ultimi aprendo così la strada ad un sindacato giudiziale sempre più penetrante ed incisivo  sulle scelte del legislatore nazionale e dell'esecutivo finendo per svolgere un ruolo di referente privilegiato (e definitivo) in ordine ai possibili contrasti di posizione fra le Corti supreme nazionali.

Il filone delle sentenze intervenute in giudizi promossi per la violazione dell'art.8 della Convenzione (diritto al rispetto della vita privata e familiare) nei casi  Manuello e Nevi, Paradiso e Campanelli, Bondavalli, S.H. , Oliari, Akinnibosun presenta numerosi profili di interesse per la varietà dei casi trattati che investono tutti la compatibilità  con la Convenzione di normativenazionali e prassi amministrative e giudiziali non pienamente rispettose dei legami familiari [7], mentre di grande attualità , per i futuri possibili sviluppi, è la sentenza Khlaifia ed altri del 1/09/2015 in materia di espulsione dei rifugiati che condanna l'Italia  per violazione dell'art. 5,par.1 CEDU .[8]

Più tradizionale è la giurisprudenza che riguarda la tutela della proprietà (art.1 Prot. 1 CEDU) che nel 2015 annovera importanti sentenze di condanna dell'Italia in materia di espropriazione,  come quella emessa nel caso Chinnici del 14/04/2015, Mango e Russo del 5/05/2015, Odescalchi e Lante della Rovere del 7/06/2015 fattispecie in cui a fronte di un ricorso in cui i ricorrenti lamentavano l'eccessiva durata del divieto di costruire imposto al loro terreno a seguito dell'autorizzazione all'esproprio nonostante quest'ultima fosse  scaduta nel 1980, la Corte considerate le circostanze della causa, in particolare l'incertezza e l'inesistenza di ricorsi interni effettivi che potessero rimediare alla situazione denunciata, combinate con l'ostacolo al pieno godimento del diritto di proprietà e alla mancanza di indennizzo, ha ritenuto che i ricorrenti avessero dovuto sostenere un onere speciale ed eccessivo rompendo il giusto equilibrio che deve essere mantenuto tra le esigenze dell'interesse generale e la salvaguardia del diritto al rispetto dei beni con conseguente violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. 1 CEDU. La condanna inflitta all'Italia è particolarmente elevata in quanto pari ad euro 1.005.000,00 oltre interessi.

Risulta  così confermata l'attenzione che da anni riceve da parte della Corte di Strasburgo la tutela della proprietà privata ove incisa in modo sproporzionato ed irragionevole da normative nazionali e prassi amministrative illegittime, tutela all'esito della quale conseguono pesanti conseguenze patrimoniali in danno dello Stato .

In tutte queste ipotesi le condanne inflitte all'Italia da parte della Corte di Strasburgo dovrebbero costituire altrettante ipotesi di danno erariale perseguibile innanzi alla Corte dei conti in assenza del limite interno dell'insindacabilità delle scelte discrezionali sancito dall'art. 1, comma 1,L.1994 n. 20 e ss.m. non opponibile in caso

 

Il  Contenzioso dell'Italia con la Corte di giustizia UE di Lussemburgo.

La violazione del diritto comunitario ha in linea generale un rilevante impatto sul bilancio nazionale sia sotto il profilo delle spese che lo Stato membro deve sostenere per conformarsi ai principi comunitari ed evitare conseguenze dirette a carico del proprio bilancio (sanzioni pecuniarie) sia sotto il profilo della perdita di risorse e più in genere di opportunità che possono discendere dalla corretta utilizzazione delle chance derivanti dall’appartenenza alla Unione europea.

In particolare il contenzioso dell’Italia con l’Unione europea può produrre rilevanti conseguenze sul piano finanziario.

La violazione degli obblighi derivanti dai Trattati (sia sotto il profilo di generiche violazioni del diritto comunitario, sia per la mancata trasposizione delle direttive) espone in primis lo Stato alla procedura di infrazione che può essere attivata ad istanza della Commissione CE ai sensi degli artt. 226 e 228 CE ora artt. 258 e 260 TFUE.

Gli esiti di detta procedura che (ove la Corte di giustizia accolga il ricorso della Commissione) si conclude con una sentenza della Corte che accerta l’inadempimento ed obbliga lo Stato a porre termine alla violazione, possono tradursi in effetti finanziari diretti ed indiretti a carico del bilancio dello Stato. L’obbligo di conformarsi alla sentenza può infatti implicare l’adozione di una serie di misure (legislative, amministrative....) che comportano una dislocazione di risorse pubbliche destinate ad incidere come partite attive (si pensi al recupero di aiuti di Stato illegittimamente erogati presso i beneficiari) o negative (minori entrate/spese amministrative e giudiziarie...) sul bilancio nazionale.

Convenzionalmente (vedi Relazione semestrale al Parlamento del Ministro dell’economia e delle finanze) tra gli effetti indiretti si annoverano le maggiori entrate erariali, le minori entrate erariali, minori spese, spese per misure ambientali, versamenti risorse proprie UE, spese impianti telecomunicazione, spese di natura amministrativa, spese di recepimento di direttive, spese previdenziali. Effetti diretti sono invece quelli connessi all’eventuale sanzione pecuniaria commisurata alla gravità e durata dell’infrazione - irrogata dalla Corte di giustizia a seguito di sentenza (ex art.228 ) che interviene dopo che è già stato dichiarato l’inadempimento dello Stato.

L'anno 2015 segna un trend positivo per l'Italia con riferimento al numero di sentenze di condanna per inadempimento pronunciate dalla Corte di giustizia UE, pari a 2, a fronte delle 6 condanne intervenute nel 2014, 7 del 2013, 3 del 2012 e 8 del 2011.[9]

Le procedure avviate nei confronti dell'Italia nell'anno 2012 ai sensi degli artt. 258 e 260 TFUE sono 12 delle quali 4 in materia di affari economici e finanziari, 1 affari interni, 1 agricoltura, 4 ambiente, 1 concorrenza e aiuti di Stato, 1 libera circolazione delle merci.

Il numero relativamente esiguo dei procedimenti avviati nel 2015 non deve peraltro indurre a facile ottimismo circa le ricadute del contenzioso sul bilancio nazionale specie a seguito di sentenze di condanna pronunciate ai sensi dell'art. 260 TFUE [10] che, nel caso dell'Italia, sono alquanto onerose.

Con sentenza  del 16 luglio 2015 la Corte di giustizia ha constatato la mancata adozione da parte della Regione Campania, delle misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza recare pregiudizio all’ambiente e, in particolare, la mancata creazione di una rete adeguata e integrata di impianti di smaltimento, in violazione degli articoli 4 e 5 della direttiva 2006/12/CE, con condanna dell'Italia al pagamento di una somma forfettaria di 20 milioni di euro e di una penalità di 120.000 euro per ciascun giorno di ritardo, dalla data della pronuncia della sentenza di condanna e fino alla completa esecuzione della sentenza che ha dichiarato l’inadempimento.

Sempre nel 2015 con sentenza del 17 settembre 2015 la Corte di giustizia ha sanzionato l'Italia per il mancato recupero degli aiuti concessi a favore delle imprese nel territorio di Venezia e Chioggia, riconosciuti illegittimi e incompatibili con il mercato comune dalla Corte di Giustizia  con condanna al pagamento di una somma forfettaria pari a 30 milioni di euro, oltre a una penalità di importo pari a 12 milioni di euro per ciascun semestre di ritardo nell’esecuzione delle misure necessarie per ottemperare alla sentenza del 2011 (procedura d’infrazione 2012/2202, sentenza 17 settembre 2015. [11] 

L'entità delle somme cui l'Italia viene ad essere condannata per violazione del diritto della UE è tale da imporre una riflessione sull'adeguatezza dei poteri sostitutivi e di rivalsa dello Stato nei confronti degli enti responsabili delle violazioni.

La legge di stabilità per il 2016  l. 28 dicembre 2015 n. 208 contiene importanti innovazioni alla disciplina di cui alla l. 234 del 2012 in materia di poteri sostitutivi e di rivalsa volte a potenziarne l'effetto di deterrenza ed efficacia [12]. Si tratta di modifiche che possono essere salutate con estremo favore ma che tuttavia non appaiono ancora in grado di contenere efficacemente gli effetti pregiudizievoli di violazioni del diritto europeo frutto di decisioni politico/legislative ovvero di prassi amministrative ovvero di errata interpretazione del diritto europeo da parte dei giudici nazionali.

Si richiamano a tal riguardo le considerazioni che l'Ufficio di Procura Generale ha avuto modo di svolgere nella memoria depositata in occasione del Giudizio sul rendiconto dello Stato anno 2007 commentando le novità legislative di cui alla legge finanziaria per il 2007 (commi da 1213 a 1222) che nella prima formulazione, in aggiunta alla previsione dei poteri sostitutivi aveva previsto che"Le controversie relative all'esercizio del diritto di rivalsa sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ferma restando la giurisdizione della Corte dei conti ai sensi dell'art.1 l.20 del 1994".

Il richiamo alla giurisdizione della Corte dei conti avrebbe infatti avuto un effetto di deterrenza e dissuasivo assai superiore rispetto a quello di un meccanismo di rivalsa non involgente la responsabilità personale degli autori delle violazioni.

 

 

[1]Dal  1959 al 2015  il primato assoluto delle sentenze di condanna è detenuto dalla Turchia (2.812 condanne) seguita dall'Italia a quota 1.780 e dalla Russia 1.612. Gli importi complessivi delle sentenze di condanna a carico dell'Italia afferiscono a 19 condanne di cui 14 comprensive di danni e spese, 4 solo danni ed 1 solo spese. Su tutti gli importi maturano interessi in caso di ritardato pagamento. 

[2]La Corte osserva che le autorità italiane hanno perseguito i responsabili dei maltrattamenti in causa con capi di imputazione riferibili a vari delitti già previsti dalla legislazione penale italiana.

Tuttavia, nell’ambito dell’analisi che riguarda il rispetto degli obblighi procedurali che derivano dall’articolo 3 della Convenzione, la Corte ha dichiarato che la reazione delle autorità non è stata adeguata (paragrafi 219-222 supra). Dopo aver escluso negligenze o compiacenze da parte della procura o degli organi giudicanti, la Corte ha concluso che è la legislazione penale italiana applicata al presente caso ad essersi rivelata «inadeguata rispetto all'esigenza di sanzionare gli atti di tortura in questione e al tempo stesso priva dell'effetto dissuasivo necessario per prevenire altre violazioni simili dell'articolo 3 in futuro» (paragrafi 223-225 supra).

Il carattere strutturale del problema sembra quindi innegabile. Peraltro, tenuto conto dei principi posti dalla sua giurisprudenza relativa al profilo procedurale dell’articolo 3 (paragrafi 204-211 supra) e ai motivi che l’hanno indotta nel caso di specie a giudicare sproporzionata la sanzione inflitta, la Corte ritiene che questo problema si ponga non soltanto per la repressione degli atti di tortura, ma anche per gli altri maltrattamenti vietati dall’articolo 3: mancando un trattamento appropriato per tutti i maltrattamenti vietati dall’articolo 3 nell’ambito della legislazione penale italiana, la prescrizione (come regolata dal CP, paragrafi 96-101 supra) come pure l’indulto (in caso di promulgazione di altre leggi simili alla legge n. 241 del 2006, paragrafo 102 supra) possono in pratica impedire non soltanto la punizione dei responsabili degli atti di «tortura», ma anche degli autori dei «trattamenti inumani» e «degradanti» in virtù di questa stessa disposizione, nonostante tutti gli sforzi dispiegati dalle autorità procedenti e giudicanti.

[3]Nelle sentenze che hanno definito  i processi i giudici nazionali italiani hanno qualificato in entrambi i casi le violenze commesse come "tortura", ma non essendo mai stato introdotto nell'ordinamento italiano, lo specifico reato i responsabili non sono stati condannati penalmente a causa della prescrizione, dato che il reato di lesioni, l'unico previsto per violenze di questo tipo, si prescrive in 7 anni e mezzo.

[4]All'esito dell'intervento normativo, il testo dell'articolo 2 della legge n. 117/1988 è il seguente «Art. 2.Responsabilità per dolo o colpa grave. - 1. Chi  ha  subito  un  danno  ingiusto  per  effetto  di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal  magistrato  con  dolo  o  colpa  grave nell'esercizio delle sue funzioni  ovvero  per  diniego  di giustizia può  agire  contro  lo  Stato  per  ottenere  il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di  quelli  non patrimoniali.2.Fatti salvi i commi 3 e 3-bis ed  i  casi  di  dolo, nell'esercizio delle  funzioni  giudiziarie  non  può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto ne' quella di  valutazione  del  fatto  e delle prove.3.Costituisce colpa  grave  la violazione manifesta della legge nonchè del  diritto  dell'Unione  europea,  il travisamento del fatto o delle prove, ovvero l'affermazione di un fatto la cui esistenza e' incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento o la negazione di un  fatto  la cui esistenza risulta incontrastabilmente  dagli  atti  del procedimento, ovvero l'emissione di   un   provvedimento cautelare personale o reale fuori dai casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.3-bis.Fermo restando il  giudizio  di  responsabilità contabile di cui al decreto-legge 23 ottobre 1996, n.  543, convertito, con  modificazioni,  dalla  legge  20  dicembre 1996, n. 639, ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste la violazione manifesta della legge nonche' del diritto dell'Unione europea si tiene conto, in particolare, del grado di chiarezza e  precisione  delle  norme  violate nonche' dell'inescusabilità e della gravità dell'inosservanza. In caso di violazione  manifesta  del diritto dell'Unione europea si deve tener conto anche della mancata osservanza dell'obbligo di rinvio pregiudiziale ai  sensi dell'articolo 267, terzo paragrafo, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, nonche' del  contrasto dell'atto  o  del   provvedimento  con  l'interpretazione espressa dalla Corte di giustizia dell'Unione europea.».

[5]La sentenza prende avvio dal rapimento dell’ex imam Abu Omar (prelevato da un commando della Cia il 17 febbraio 2003, a Milano e poi trasferito in Egitto dove venne torturato). Secondo la Corte, l’Italia, applicando in modo improprio il segreto di stato — tra il 2005 e il 2013 ha violato alcuni principi fondamentali della Convenzione europea per i diritti umani. In particolare, la proibizione di trattamenti disumani e degradanti, il diritto alla libertà e alla sicurezza, il diritto a ricorrere alla giustizia e il diritto al rispetto della vita familiare.

[6]Nella lunga e complessa vicenda giudizaria la Corte costituzionale in sede diconflitto di attribuzione sollevato dal Presidente del Consiglio contro la sentenza della Cassazione (e conseguentemente contro la sentenza di rinvio pronunciata dalla Corte d'appello, ha annullato le due sentenze (della Cassazione e del giudizio di rinvio), rilevando come la Cassazione avesse in sostanza eluso la delimitazione dell'oggetto del segreto operata dall'Esecutivo.

[7] Nel caso Manuello, sentenza del 20/01/2015 la Corte ha dichiarato sussistente la violazione dell'art. 8 CEDU, avendo ritenuto che le autorità nazionali non si fossero impegnate in maniera adeguata e sufficiente per mantenere il legame familiare tra i ricorrenti e la nipote violando il diritto degli interessati al rispetto della loro vita familiare. La sentenza Paradiso e Campanelli del 27 gennaio 2015 affronta invece il caso del rifiuto frapposto alla trascrizone nell'atto di nascita di un bambino nato da madre surrogata e quella Akillibosun del 7/06/2015 la legittimità della procedura di adozione della figlia di un nigeriano inserito in un progetto di cura dei rifugiati.Anche in questo caso la Corte ha riconosciuto la violazione dell'aart. 8 della CEDU riconosciuta in fattispecie simile anche nel caso S.H. , sentenza  del 13/10/2015. Nel caso Oliari, sentenza del 21/07/2015l la Corte, all'unanimità, ha condannato lo Stato italiano per la violazione dell'art. 8 CEDU, avendo accertato che la protezione giuridica offerta alle coppie dello stesso sesso in Italia non solo è incapace di provvedere ai bisogni fondamentali di una coppia impegnata in una relazione stabile, ma non è sufficientemente certa.

[8] I ricorrenti cittadini di nazionalità tunisina sbarcati a Lampedusa nel settembre 2011, erano stati trasferiti nel Centro di soccorso e di prima accoglienza di Contrada Imbriacola, dove erano rimasti alcuni giorni prima del rimpatrio in Tunisia. La Corte EDU ha ritenuto sussistente la violazione dell'art. 5 CEDU sia sotto il profilo della arbitrarietà della detenzione dei ricorrenti (art. 5, par. 1 CEDU), sia sotto il profilo della omessa comunicazione dei motivi alla base della privazione della loro libertà (art. 5, par. 2 CEDU), sia, infine, sotto il profilo della mancanza nel diritto interno di un ricorso per sottoporre a controllo giurisdizionale la legalità della loro detenzione, (art. 5, par. 4, CEDU). Limitatamente al trattenimento dei ricorrenti nel Centro di accoglienza, la Corte ha constatato la violazione dell'art. 3 CEDU, relativo al divieto di trattamenti inumani e degradanti, ed ha altresì dichiarato sussistente la violazione dell'art. 4 del Prot. n. 4 CEDU, avendo accertato che l'allontanamento dei ricorrenti ha avuto un carattere collettivo contrario alla Convenzione. Infine, ha dichiarato che vi è stata violazione dell'art. 13 CEDU in combinato disposto con gli articoli 3 e 4 del Prot. n. 4 CEDU, avendo accertato nel diritto interno la mancanza di un ricorso effettivo per formulare i loro motivi relativi agli articoli citati.

[9] Rapporto annuale 2015 sull'attività giudiziaria della Corte.

[10] In base all’articolo 260 del TFUE agli Stati membri che sono stati riconosciuti responsabili di una violazione degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea con decisione della Corte di giustizia e che omettono di adottare le misure necessarie per conformarsi alla sentenza sono comminate sanzioni pecuniarie.Più precisamente, se ritiene che non sia stata data esecuzione alla sentenza nella quale la Corte di giustizia dell’Unione europea accerta che uno Stato membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù dei trattati, la Commissione europea, dopo aver posto lo Stato in condizione di presentare osservazioni, può adire la Corte di giustizia precisando l'importo della somma forfettaria o della penalità che ritiene adeguato alle circostanze. Qualora riconosca che lo Stato in questione non si è conformato alla sentenza da essa pronunciata, la Corte può comminare una sanzione. Nel caso di mancata comunicazione da parte di uno Stato delle misure di attuazione di una direttiva adottata secondo una procedura legislativa, è prevista la possibilità per la Commissione di chiedere alla Corte di giustizia di infliggere il pagamento di una sanzione fin dalla prima sentenza dichiarativa dell’inadempimento.Le sanzioni applicabili per violazione degli obblighi derivanti dall’appartenenza all’Unione europea sono di due tipi: la somma forfettaria, che mira a punire l’inadempimento in quanto tale, e la penalità di mora, che ha lo scopo di sollecitare la cessazione dell’infrazione nel più breve tempo possibile. Data la diversità di funzione, le due sanzioni possono essere inflitte cumulativamente nei casi nei quali la violazione del diritto dell’Unione sia particolarmente grave e persistente

[11] Altre sentenze di condanna dell'Italia ai sensi dell'art. 260 TFUE  hanno riguardato: il mancato recupero degli aiuti concessi per l’assunzione di lavoratori mediante i contratti di formazione e lavoro, per il quale Italia è stata condannata al pagamento di una somma forfettaria di 30 milioni di euro e di una penalità per ogni sei mesi di ritardo nell’attuazione della sentenza, pari alla moltiplicazione dell’importo di base di 30 milioni per la percentuale degli aiuti illegali incompatibili il cui recupero non è ancora stato effettuato o non è stato dimostrato (sentenza 17 novembre 2011; la mancata adozione dei provvedimenti necessari per assicurare che i rifiuti siano recuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti, per la quale Italia è stata condannata a versare una somma forfettaria pari a 40 milioni di euro e una penalità semestrale calcolata a partire da un importo iniziale fissato in 42.800.000 euro, dal quale sono detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200.000 euro per ogni altra discarica messa a norma (sentenza 2 dicembre 2014).

[12] 813. All'articolo 43 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, il comma 9-bis e' sostituito dal seguente:  «9-bis. Ai fini  della  tempestiva  esecuzione  delle  sentenze  di condanna rese dalla Corte di giustizia dell'Unione europea  ai  sensi dell'articolo 260, paragrafi 2 e 3, del  Trattato  sul  funzionamento dell'Unione europea, al pagamento degli  oneri  finanziari  derivanti dalle predette sentenze  si  provvede  a  carico  del  fondo  di  cui all'articolo 41-bis,  comma  1,  della  presente  legge,  nel  limite massimo di 50 milioni di euro per l'anno 2016 e  di  100  milioni  di euro  annui  per  il  periodo  2017-2020.  A  fronte  dei   pagamenti effettuati, il Ministero dell'economia  e  delle  finanze  attiva  il procedimento di rivalsa a carico delle  amministrazioni  responsabili delle violazioni che hanno determinato le sentenze di condanna, anche con compensazione con i trasferimenti da effettuare  da  parte  dello Stato in favore delle amministrazioni stesse».   

814. All'articolo 41 della legge 24 dicembre 2012, n. 234, dopo  il comma 2 sono aggiunti i seguenti: «2-bis. Nel caso di violazione della  normativa  europea  accertata con sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea di condanna al pagamento di sanzioni a carico della Repubblica italiana, ove  per provvedere  ai  dovuti  adempimenti  si  renda  necessario  procedere all'adozione di una molteplicita' di atti anche collegati  tra  loro, il Presidente del Consiglio dei ministri, su  proposta  del  Ministro competente per materia, sentiti  gli  enti  inadempienti,  assegna  a questi  ultimi  termini  congrui  per  l'adozione  di  ciascuno   dei provvedimenti e atti necessari. Decorso inutilmente anche uno solo di tali  termini,  il  Consiglio  dei  ministri,  sentito  il   soggetto interessato, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri  e del  Ministro  competente  per  materia,   adotta   i   provvedimenti necessari, anche normativi, ovvero nomina  un  apposito  commissario. Alla riunione del Consiglio dei ministri e'  invitato  il  Presidente della Giunta regionale della regione interessata al provvedimento. Le disposizioni di  cui  al  presente  comma  si  applicano  anche  agli inadempimenti conseguenti alle diffide effettuate in  data  anteriore alla data di entrata in vigore della  presente  disposizione  che  si fondino sui presupposti e abbiano le caratteristiche di cui al  primo periodo.    2-ter. Il commissario di cui al comma 2-bis esercita le facolta'  e i poteri di cui ai commi 4, 5 e 6 dell'articolo 10 del  decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge  11 agosto 2014, n. 116.