A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

Incidenza dei contratti derivati stipulati dal Tesoro sul bilancio statale. 

Autore: Vice Procuratore Generale Cinthia Pinotti                                               

 

La valutazione dell’incidenza dei contratti derivati stipulati dal Tesoro nell’ambito dell’attività di gestione del debito pubblico dello Stato richiede di considerare il valore di mercato (mark tomarket) del portafoglio derivati, i flussi finanziari intervenuti nel 2015 in relazione a questi contratti, le modifiche intervenute su tale portafoglio nel corso del 2015 per effetto di eventuali ristrutturazioni delle posizioni in essere, dell’eventuale apertura di nuove posizioni e dell’eventuale esercizio – da parte del Tesoro o della sua controparte contrattuale – di opzioni previste dalle clausole negoziali.

Già lo scorso 25 giugno 2015nella memoria presentata in occasione delGiudizio sul Rendiconto Generale dello Stato 2014, l'Ufficio di Procura Generale auspicava che il Ministero dell’Economia e delle Finanze in un'ottica di trasparenza circa le modalità di perseguimento  dell’obiettivo di equilibrio dei conti pubblici,si attivasse quanto primaper rendere disponibile in via sistematica un’informativa puntuale sugli  aspetti richiamati, rendendo noti i dati a livello aggregato come pure quelli di maggiore dettaglio, con livelli informativi crescenti anche in relazione alle vicende di ogni singola posizione contrattuale.

In effetti, dal punto di vista della trasparenza, l’anno 2015 ha fatto registrare significativi passi in avanti  perché presso la Commissione VI Finanze della Camera si è svolta un’Indagine Conoscitiva sugli Strumenti Finanziari Derivati che ha portato alla luce la complessità e criticità  che la gestione di detti strumenti presenta. In particolare, nel mese di marzo 2015 – sulla scia di elementi informativi emersi in due audizioni della direttrice del debito pubblico italiano nell’ambito della suddetta Indagine Conoscitiva – il Ministero ha deciso di pubblicare sul proprio sito istituzionale un “Focus” sui derivati dello Stato. Tra le informazioni che sono state rese pubbliche è da segnalare la Situazione del Portafoglio Derivati del Tesoro, una tabella che riporta per tipologia di derivato il valore di mercato delle posizioni in essere, per un totale di oltre 42 miliardi di euro a segno negativo, vale a dire oltre 42 miliardi di perdita potenziale per lo Stato associata al portafoglio derivati.

L’apprezzabile iniziativa di rafforzamento della trasparenza assunta dal Ministero ha avuto, peraltro, carattere meramente temporaneo, ed a tal proposito si auspica che con carattere di periodicità venga pubblicata sul sito istituzionale del Ministero la situazione aggiornata del portafoglio derivati del Tesoro, con distinta evidenza delle nuove operazioni e/o delle rimodulazioni intervenute in ogni periodo rispetto a quello precedente.

L’ultimo dato pubblico sul mark to market – riferito al terzo trimestre del 2015 – è quello comunicato il 18 gennaio 2016 dalla Banca d’Italia nei Conti Finanziari, da cui si riscontra un valore di mercato negativo di circa 32,7 miliardi di euro.

Tale dato, a giudizio dell'Ufficio deve essere interpretato nel modo corretto onde evitare che dal solo raffronto tra i 32,7 miliardi al 30 settembre 2015 con i 42 al 31 dicembre 2014 si possa desumere che nel 2015 la situazione del portafoglio derivati del Tesoro sia sensibilmente migliorata rispetto all’anno precedente. In effetti, è noto che il semplice passare del tempo e, quindi, l’approssimarsi della data di scadenza contrattuale qualifica (nello scenario-base di invarianza delle condizioni di mercato) una condizione sufficiente per la riduzione del valore di mercato di uno strumento derivato e ciò perchè con il  trascorrere del tempo si manifestano le varie date di pagamento previste dal contratto e le controparti sono pertanto chiamate a regolare i flussi determinati secondo gli impegni assunti reciprocamente al momento della stipula. Di talché, la perdita potenziale si riduce perché si trasforma in perdita effettiva.

In questa prospettiva occorre ricordare che la rilevanza del dato di mark to market sulle posizioni in derivati scaturisce dal fatto che esso fornisce, in forma sintetica, indicazioni significative circa gli incassi o gli esborsi che tali posizioni genereranno nel futuro. In particolare, nei casi in cui (come accade da anni per la posizione aggregata dello Stato) questo dato è negativo per importi rilevanti, esso segnala uno sbilanciamento delle posizioni in derivati a sfavore del Tesoro che nel breve-medio termine darà luogo con elevata probabilità a dei fabbisogni di cassa con conseguente impatto sui conti pubblici[1].

Un’ulteriore conferma di detta analisi è offerta dai criteri contabili previsti dal SEC 2010 per gli off-market swap (cioè gli swap che non sono paro at-the-moneye che hanno quindi un mark to marketnon nullo). In tali casi, infatti, è previsto che lo swap venga ripartito in due componenti: una componente par che non rientra nel computo del debito pubblico e viene contabilizzata come derivato finanziario; e una componente fuori mercato che viene contabilizzata come prestito (loan) e rientra nell’aggregato del debito pubblico ai fini della Procedura per i Disavanzi Eccessivi.

Del resto, nei fatti,dal 2011 in avanti sono stati sostenuti costi per derivati per oltre 23 miliardi di euro ripartiti tra flussi netti per interessi e altre passività finanziarie generate da operazioni particolari come il riacquisto di swaption, la cancellazione di contratti derivati, la ristrutturazione di derivati, ecc..

Secondo le ultime tavole di notifica pubblicate dall’ISTAT il 21 aprile 2016 ai sensi del Protocollo sulla Procedura peri Disavanzi Eccessivi (PDE), nel 2015 i derivati su debito dello Stato hanno generato flussi netti per interessi pari a 3,19 miliardi di euro e altre poste di aggiustamento sul debito connesse a passività finanziarie nette in strumenti derivati pari a 3,56 miliardi di euro.

Questi numeri si pongono in continuità con il trend osservato negli anni precedenti; inoltre, a livello aggregato il dato del 2015 (6,75 miliardi) supera di oltre 1 miliardo di euro quello del 2014 (5,75 miliardi).

La limitata trasparenza in materia di gestione del portafoglio derivati dello Stato rende difficile una disamina dettagliata delle specifiche posizioni e delle concrete scelte di gestione che hanno determinato i dati sopra riportati. Anzi la lacunosità e la frammentarietà del quadro informativo non consente valutazioni certe sulla reale entità delle grandezze in gioco.

Ad esempio, relativamente ai soli flussi netti per interessi sul portafoglio derivati, il dato ISTAT (3,19 miliardi) non è del tutto in linea con quello reso noto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze il 22 dicembre 2015 laddove – in risposta all’interrogazione n. 5-07057 in Commissione VI Finanze della Camera – è stato dichiarato che il saldo tra pagamenti e incassi generato nel corso del 2015 dal “complesso del portafoglio swap associato alle passività” dello Stato è stato pari a 3,6 miliardi di euro.

Avuto riguardo, invece, alle passività nette in derivati (3,56 miliardi di euro) per l’anno 2015 il contributo principale è venuto dall’esercizio diswaption. Nel primo semestre del 2015 due diverse controparti bancarie hanno esercitato 5 diverse swaption[2] (vendute a suo tempo dal Ministero dell’Economia e delle Finanze) di cui 4 receiver e una payer[3] per un nozionale complessivo di circa 10,8 miliardi di euro.

Delle quattro receiver swaption, tre hanno determinato la transizione ad uno swap trentennale con un tasso medio a pagare per il Tesoro prossimo al 4% e, quindi, alquanto oneroso tenuto conto dell’attuale livello, molto basso, dei tassi di interesse; la quarta opzione receiver ha comportato per lo Stato l’ingresso in un IRS a 2,5 anni con un tasso a pagare del 3,6%, anche in questo caso alquanto elevato stante la situazione corrente di bassi tassi di mercato.

Relativamente all’unica opzione payer esercitata nel primo semestre 2015, sulla base delle informazioni ricevute dal Ministero, risulta che il Tesoro paga il tasso variabile Euribor a 6 mesi e riceve un tasso fisso dello 0,5% su un nozionale poco sopra i 2,8 miliardi di euro per una durata di 8,5 anni.

Ulteriori informazioni circa le swaption esercitate nel primo semestre del 2015provengono da fonti extra-ministeriali le cui valutazioni sono state regolarmente rese pubbliche  [4][5]; in particolare, sembrerebbe che 4 delle 5 swaption di cui sopra siano state esercitate tra gennaio e febbraio 2015 con conseguente impatto diretto sul debito pubblico compreso tra i 3,3[6] e i 3,6 miliardi di euro[7].

Invero, come già osservato, per effetto dell’entrata in vigore del SEC 2010, l’esercizio di una swaption che ha un mark to market negativo per lo Stato è equiparato all’accensione di un prestito che va ad aumentare il debito per un importo pari, appunto, al suo valore di mercato.

Considerato l’impatto diretto e futuro che le swaption esercitate nel 2015 hanno avuto e avranno sui conti pubblici, si ritiene opportuna ed indifferibile una riflessione circa il ricorso a questa tipologia di strumenti derivati ai fini della gestione dei rischi di tasso connessi al debito pubblico. La vendita di swaption sembra, infatti, aver perseguito sostanzialmente finalità di windowdressing (cioè di riduzione temporanea degli oneri per il servizio del debito) connesse ai benefici rivenienti dall’incasso upfront del premio relativo a tali opzioni. Per effetto della vendita di questi strumenti derivati, tuttavia, lo Stato si è ritrovato esposto al rischio – concretizzatosi, in parte[8], nel 2015 – di subire l’esercizio di tali opzioni dalle controparti contrattuali e di vedersi quindi obbligato ad effettuare pagamenti di entità considerevole nonché, in diversi casi, su orizzonti temporali molto lunghi (e.g. 30 anni). In questo contesto non si può peraltro non segnalare la singolarità delle caratteristiche contrattuali del payerswaption (unica nella quale lo Stato è entrato in uno swap in cui riceve fisso e paga variabile): solo questo contratto, infatti, presenta un tasso fisso di appena lo 0,5% contro il tasso fisso sistematicamente superiore al 3,5% delle receiverswaption (in cui lo Stato è entrato in swap in cui paga fisso e riceve variabile).

Dalla Relazione ministeriale sulla Gestione del debito pubblico nel primo semestre 2015, emerge che – nell’intento di evitare l’effetto diretto sul debito pubblico connesso all’esercizio di swaption a mark to market negativo – il Ministero ha proceduto alla ristrutturazione di una receiver swaption in scadenza nella prima parte del 2015.Questa swaption dava alla controparte il diritto di entrare in uno swap decennale in data 1 febbraio 2015, in cui il Tesoro avrebbe pagato un tasso fisso del 3,5325% e ricevuto l’Euribor a 6 mesi su un nozionale di 3,5 miliardi di euro. Stante il contesto di tassi di interesse bassissimi, l’esercizio dell’opzione era certo e avrebbe avuto un impatto negativo sul debito (per i motivi sopradetti) e sul deficit (in ragione dei flussi annuali per interessi, stimabili intorno ai 120 milioni di euro l’anno). A seguito della ristrutturazione la receiverswaption è stata trasformata in 4 receiverswaption sempre di tipo receiver, con un nozionale di 875 milioni di euro cadauna; con questa rimodulazione l’esercizio della swaption è stato prorogato di 2 anni e la scadenza degli interestrateswap sottostanti è stata estesa di un quinquennio; inoltre il tasso fisso pagare per il Tesoro è stato portato a valori compresi tra il 3,20675% e il 3,2215%.

La ristrutturazione sopra descritta potrebbe aver determinato un beneficio temporaneo immediato per i conti pubblici creando però impegni futuri maggiori rispetto quelli dello swap che sarebbe iniziato a febbraio 2015. Infatti, la riduzione del tasso fisso che il Tesoro si è impegnato a pagare a partire dal 2017 non compensa i maggiori oneri dovuti all’allungamento della durata degli interestrateswap sottostanti. Tali maggiori oneri sono quantificabili intorno ai 50 milioni di euro[9].

Sempre dalle risposte del Ministero a varie interrogazioni presentate in Commissione VI Finanze della Camera è emerso che nel 2015 sono scaduti: (a) ottocrosscurrencyswapper un nozionale complessivo di 7,56 miliardi edueinterestrateswapper un nozionale complessivo di 2 miliardi, collegati a sei prestiti internazionali in valuta straniera; (b) due interestrateswap decennali in euro, con un nozionale di 1 miliardo cadauno.

Relativamente a questi ultimi due contratti il Ministero ha altresì precisato che si trattava di IRS di duration e che “entrambe le posizioni non hanno generato upfront e i flussi complessivamente generati dalle due operazioni nel corso di tutta la loro vita ammontano a circa 520 mln di euro”. A tale riguardo si reputa opportuna una riflessione circa l’effettiva utilità della stipula di tali contratti, le cui motivazioni e finalità (allungamento della vita media ponderata del debito pubblico) si sarebbero potute perseguire con modalità alternative e minori oneri, intervenendo sulla politica di emissioni del Tesoro.

Un altro elemento degno di nota attiene alle condizioni contrattuali presenti nei singoli contratti Trattasi di aspetto non secondario ateso che alcune posizioni in derivati hanno generato esborsi per lo Stato in ragione di apposite clausole contrattuali che conferivano a una delle controparti (o a entrambe) la facoltà di esigere, a determinate date, l’estinzione anticipata (early termination) del contratto. Celebre (ma non unico) è il caso della clausola di estinzione anticipata esercitata dalla Morgan Stanley nel gennaio 2012 che ha comportato l’esborso di 2,567 miliardi di euro.

Al 31 dicembre 2014 il 9,94% del nozionale del portafoglio derivati dello Stato era rappresentato da contratti con clausole di estinzione anticipata per un controvalore nominale di 16,2 miliardi di cui 4,7 riferiti a contratti per i quali l’estinzione anticipata è ricompresa nel periodo 2015-2023. Tra questi è meritevole di attenzione un contratto di interest rate swap (IRS) con scadenza 2036, nozionale di 2 miliardi di euro e mark to market negativo per lo Stato intorno agli 850 milioni di euro: questo contratto reca infatti una clausola di estinzione anticipata esercitabile – e con tutta probabilità oramai effettivamente esercitata – nel mese di marzo 2016[10]. Un altro contratto derivato con clausola di early termination esercitabile nel 2018 ha un nozionale di 2,5 miliardi di euro e al 31 dicembre 2014 aveva un valore di mercato negativo di 1,772 miliardi di euro (oltre il 70% del suo valore nozionale).QUALE FONTE CITA I DATI?

Si osserva altresì che, relativamente ai contratti che recano clausole di early termination, una maggiore trasparenza circa lo stato delle posizioni in essere favorirebbe una loro più efficiente gestione finanziaria, permettendo adeguati accantonamenti preventivi e riducendo le “sorprese” che in passato sono state affrontate anche attraverso interventi straordinari a valere sul Fondo spese impreviste del bilancio pubblico.  D'altro canto il criterio di registrare le perdite solo quando si realizzano potrebbe essere corretto solo se i contratti non prevedono alcuna modalità di “early termination”.

Per il 2016, nelle Linee guida sulla Gestione del Debito Pubblico, l’orientamento espresso dal Dipartimento del Tesoro è quello di astenersi dall’apertura di nuove posizioni in derivati, eccezion fatta per la copertura dal rischio di cambio connesso a eventuali nuove emissioni in valuta non domestica da effettuarsi tramite stipula di cross currency swap ai quali potranno essere abbinati accordi di garanzia bilaterale secondo quanto espressamente previsto dalla Legge di Stabilità per l’anno 2015. Inoltre è fatta salva la possibilità di intervenire “in misura marginale, con una gestione attiva del portafoglio in essere solo qualora si individuino soluzioni utili a migliorarne la performance, alla luce correnti condizioni di mercato[11].

Sulla base dei criteri introdotti dal SEC 2010, l’eventuale ristrutturazione di uno swap fuori mercato prevede la sottoscrizione di un nuovo contratto di swap; in particolare “se il valore di mercato dello swap è negativo per lo Stato, tale valore deve essere considerato come un prestito della controparte al soggetto pubblico[12].

Queste regole limitano notevolmente la possibilità di effettuare ristrutturazioni degli interest rateswap in essere e, per i motivi di cui si è detto sopra, qualificano le swaption come i contratti d’elezione per eventuali rimodulazioni. In considerazione di ciò– anche alla luce dell’esempio di ristrutturazione della receiverswaption effettuata nel 2015 –è da auspicare che eventuali iniziative di ristrutturazione di tale natura vengano attentamente ponderate onde evitare che il nuovo contratto risulti più penalizzante di quello in essere per i conti pubblici e che, quindi, la ristrutturazione determini solo un beneficio di breve termine per il bilancio dello Stato trasferendo negli anni successivi i possibili rischi.

Alla luce di questi elementi si ribadiscono le valutazioni formulate lo scorso anno in merito all’opportunità di interventi normativi che, tra l’altro, rendano necessaria “l’indicazione delle modalità di copertura degli oneri anche imprevisti ed impropri ovvero potenziali” ivi incluso “l’obbligo di allegare al bilancio una nota informativa che evidenzi gli oneri e gli impegni finanziari sostenuti ovvero stimati con le associate probabilità di verificarsi”.

Inoltre considerato l’impatto diretto e futuro che le swaption esercitate nel 2015 hanno avuto e avranno sui conti pubblici, si ritiene opportuna ed indifferibile una riflessione circa il ricorso a questa tipologia di strumenti derivati ai fini della gestione dei rischi di tasso connessi al debito pubblico.

 

 

[1] Cfr. Audizione del Prof. Marcello Minenna del 14 aprile 2015 presso la Commissione VI Finanze della Camera nell’ambito dell’Indagine Conoscitiva sugli Strumenti Finanziari Derivati.

[2] Cfr. Relazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze alla Corte dei Conti sulla Gestione del debito pubblico nel primo semestre 2015, ai sensi del d.m. del 10 novembre 1995.

[3]Nella receiverswaption l’acquirente che esercita l’opzione entra in uno swap dove riceve pagamenti indicizzati a un tasso fisso dalla controparte che gli ha venduto l’opzione ed effettua pagamenti indicizzati a un tasso variabile in favore di tale controparte. Di contro, nella payerswaption l’acquirente che esercita l’opzione riceve pagamenti indicizzati a un tasso variabile ed effettua pagamenti indicizzati a un tasso fisso.

[4] Cfr. Audizione del Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini, del 15 giugno 2015 presso la Commissione VI Finanze della Camera nell’ambito dell’Indagine Conoscitiva sugli Strumenti Finanziari Derivati.

[5] Cfr.Rapporto sulla programmazione di bilancio 2016, Ufficio Parlamentare e di Bilancio, Aprile 2016.

[6] Cfr. Audizione del Vice Direttore Generale della Banca d’Italia, Luigi Federico Signorini, del 15 giugno 2015 presso la Commissione VI Finanze della Camera nell’ambito dell’Indagine Conoscitiva sugli Strumenti Finanziari Derivati.

[7] Cfr.Rapporto sulla programmazione di bilancio 2016, Ufficio Parlamentare e di Bilancio, Aprile 2016.

[8] Al 31 dicembre 2014 le swaption rappresentavano il 21,84% del portafoglio derivati dello Stato, pari a 19,5 miliardi di euro. Considerato che nel 2015 sono state esercitate swaption per 10,8 miliardi, il controvalore nominale delle swaption attualmente presenti nel portafoglio dello Stato dovrebbe essere intorno agli 8,7 miliardi di euro.

[9]Il caso della ristrutturazione della receiverswaption con data di esercizio 1 febbraio 2015 non è stato l’unico. Dal Rapporto sul Debito Pubblico 2014, pubblicato a fine novembre 2015 dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, si apprende che anche nel 2014, per scongiurare l’esercizio di una swaption, “si è intervenuti a rimodularne le condizioni e ad allungare la duration della posizione del Tesoro, posponendo la data di esercizio dell’opzione, estendendo la scadenza dello swap sottostante e riducendo proporzionalmente il tasso fisso che il Tesoro verrebbe a pagare in caso di esercizio su un nozionale incrementato”.

[10]Per il 2016 alcune informazioni rese note dal Ministero dell’Economia e delle Finanze il 22 dicembre 2015 in risposta all’interrogazione in Commissione VI Finanze della Camera n. 5-07057 indicano una stima di pagamenti connessi a flussi netti per interessi sulle posizioni in derivati pari a 4,1 miliardi di euro. Sommando questo importo agli 850 milioni di euro che potrebbero essere stati pagati nel marzo 2016 per l’estinzione anticipata dell’IRS con scadenza naturale 2036, si arriva a una stima dell’impatto dei derivati sul debito pubblico nell’anno 2016 prossima ai 5 miliardi di euro. Tale stima non è da ritenersi esaustiva dell’impatto netto complessivo dell’intero portafoglio derivati dello Stato, mancando l’informativa aggiornata di dettaglio su tutto il portafoglio derivati dello Stato e non potendosi escludere l’effetto di altre poste di aggiustamento sul debito connesse a passività finanziarie nette in derivati.

[11]Cfr. Linee Guida sulla gestione del Debito Pubblico 2016, Dipartimento del Tesoro - Ministero dell’Economia e delle Finanze.

[12]Cfr. Audizione resa il 10 febbraio 2015 dalla direttrice del debito pubblico italiano nell’ambito dell’Indagine Conoscitiva sugli Strumenti Finanziari Derivati.