A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

CORTE DI GIUSTIZIA 15 settembre 2015, Causa C-67/14:

Le prestazioni differenziate per i cittadini dell’Unione che si spostano da uno Stato membro all’altro per trovare lavoro.

 Autore: Avv. Teresa Aloi

 

La Corte di Giustizia dell’Unione europea con la sentenza pronunciata il 15 settembre 2015, con riferimento alla causa C-67/14, JobcenterNeukolln/Nozifa più tre, si è occupata di un argomento di strettissima attualità, riguardante la possibilità per uno Stato membro di escludere da talune prestazioni sociali, di carattere non contributivo, cittadini dell’Unione che vi si recano per trovare lavoro.

Il principio della “parità di trattamento” tra cittadini europei sancito dai Trattati dell’Unione, precisato dall’art. 4 del Regolamento n. 883/2004 e dall’art. 24 della direttiva 2004/38/CE, si carica di un ulteriore distinguo. Con una decisione dell’ 11 novembre 2014 (Dano, C-333/13), la Corte di Giustizia, infatti, aveva già chiarito che chi si sposta da uno Stato membro all’altro senza la volontà di trovarvi un impiego può essere legittimamente escluso da determinate prestazioni sociali.

Con la sentenza del 15 settembre 2015 i giudici di Lussemburgo, affrontando un caso tedesco, completano il quadro aggiungendo che gli stranieri che giungono in Germania per ottenere un aiuto sociale o il cui diritto di soggiorno è giustificato solo dalla ricerca di un lavoro sono esclusi dalle prestazioni dell’assicurazione di base tedesca (Grundsicherung); prestazioni che mirano segnatamente a garantire il sostentamento dei beneficiari.

Nella presente causa, la Corte federale del contenzioso sociale (Bundessozialgericht) chiede se una tale esclusione sia legittima anche con riferimento ai cittadini dell’Unione che si siano recati nel territorio di uno Stato membro ospitante per cercare lavoro e che vi abbiano già lavorato per un certo tempo, laddove tali prestazioni siano garantite ai cittadini dello Stato membro ospitante che si trovino nella loro stessa situazione.

Tale questione è sorta nell’ambito della controversia che oppone il JobcenterBerlinNeukolin a quattro cittadini svedesi: la Sig.ra Alimanovic, nata in Bosnia, ed i suoi tre figli, nati in Germania. La famiglia Alimanovic ha lasciato la Germania nel 1999 per recarsi in Svezia e vi ha fatto ritorno nel giugno 2010. Dopo il loro rientro, NazifaAlimanovic e sua figlia maggiore Sanita hanno svolto, fino al maggio 2011, diversi lavori di breve durata o hanno avuto solo opportunità di lavoro di durata inferiore ad un anno. Da quel momento non hanno più svolto alcuna attività lavorativa.

Alla famiglia Alimanovic sono state accordate prestazioni di assicurazione di base durante un periodo compreso tra il 1° dicembre 2011 ed il 31 maggio 2012, vale a dire, da un lato, per NazifaAlimanovic e sua figlia Sanita, contributi di sussistenza per disoccupati di lungo periodo e, dall’altro, per gli altri due figli, prestazioni sociali per beneficiari inabili al lavoro.

Nel 2012 l’autorità competente (JobcenterBerlinNeukolin) ha cessato il pagamento delle prestazioni ritenendo che la Sig.ra Alimanovic e sua figlia maggiore fossero escluse dal beneficio degli assegni di cui trattasi in quanto persone straniere in cerca di lavoro il cui diritto di soggiorno era giustificato unicamente da tale ricerca. Tale autorità, di conseguenza, ha escluso anche gli altri figli dai rispettivi assegni.

Con la sentenza del 15 settembre 2015, la Corte di Lussemburgo, in risposta alle domande formulate dal giudice tedesco, dichiara che, il fatto di rifiutare ai cittadini dell’Unione, il cui diritto di soggiorno nel territorio di uno Stato membro ospitante è giustificato unicamente dalla ricerca di un lavoro, il beneficio di talune “prestazioni speciali” in danaro di carattere non contributivo non è contrario al principio della parità di trattamento sancito da Trattati dell’Unione e precisato dall’art. 4 del Regolamento n. 883/2004 e dall’art. 24 della direttiva 2004/38/CE.

Tali “prestazioni speciali” sono altresì costitutive di una “prestazione d’assistenza sociale”, ai sensi della direttiva “cittadinanza dell’Unione” (2004/38/CE), e sono definite dal Regolamento n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, come modificato dal Regolamento n.1244/2010 della Commissione del 9 dicembre 2010. Per la Germania, il Regolamento cita, precisamente, le prestazioni che mirano a garantire mezzi di sussistenza a titolo di assicurazione di base per i richiedenti lavoro.

Il Regolamento n. 883/2004 sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale non sostituisce i sistemi nazionali con unh unico sistema europeo. Le leggi nazionali decidono in merito ad aspetti, quali i beneficiari dei sistemi di sicurezza sociale, i livelli delle prestazioni e le condizioni di ammissibilità. Tuttavia, l’UE è dotata di norme comuni per tutelare i diritti di sicurezza sociale in caso di spostamento all’interno dell’Unione, in Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera.

Il successivo Regolamento n. 987/2009/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 settembre 2009 ha poi fissato le modalità di applicazione del Regolamento n. 883/2004.

La Corte di Giustizia, nella sentenza in oggetto, constata che, le prestazioni sociali oggetto di controversia sono volte a garantire mezzi di sussistenza a persone non in grado di farvi fronte da sole e che sono oggetto di un finanziamento non contributivo mediante prelievo fiscale, anche se fanno parte di un regime che prevede altresì prestazioni dirette a facilitare la ricerca di un impiego. Essa sottolinea che, come nella causa Dano, C-333/13, tali prestazioni devono essere considerate alla stregua di “prestazioni di assistenza sociale”. A tale riguardo, la Corte ricorda che, per poter accedere a prestazioni di assistenza sociale, come quelle oggetto della presente causa, un cittadino dell’Unione può chiedere la parità di trattamento rispetto ai cittadini dello Stato membro ospitante solo se il suo soggiorno sul territorio dello Stato membro ospitante rispetta i requisiti di cui alla direttiva sulla cittadinanza dell’Unione. Tale direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004 mette insieme le misure sparpagliate nel complesso corpus legislativo che aveva precedentemente regolato questa materia. Tali misure sono finalizzate soprattutto a favorire l’esercizio del diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nei Paesi UE, a ridurre allo stretto necessario le formalità amministrative, a definire meglio lo status dei familiari, a circoscrivere la possibilità di rifiuto o revoca del diritto di soggiorno e ad introdurre un nuovo diritto di soggiorno permanente.

Per quanto riguarda i richiedenti lavoro, quali quelli nella fattispecie in esame, la Corte ritiene che vi siano due possibilità per conferire un diritto di soggiorno: a) se un cittadino dell’Unione che ha beneficiato di un diritto di soggiorno in quanto lavoratore si trova in stato di disoccupazione involontaria dopo aver lavorato per un periodo inferiore ad un anno e si è fatto registrare in qualità di richiedente lavoro presso l’ufficio di collocamento, egli conserva lo status di lavoratore ed il diritto di soggiorno per almeno sei mesi. Per tutto questo periodo può avvalersi del principio della parità di trattamento e del diritto a prestazioni di assistenza sociale:

b) se un cittadino dell’Unione non ha ancora lavorato nello Stato membro ospitante o il periodo di sei mesi è scaduto, egli, in quanto richiedente lavoro, non può essere allontanato da tale Stato membro ospitante fino a quando può dimostrare che la ricerca di lavoro continua e che ha reali possibilità di essere assunto. In tal caso, lo Stato membro ospitante può, tuttavia, rifiutare qualsiasi prestazione di assistenza sociale.

La Corte, infine, ricorda che uno Stato membro prima di adottare una misura di allontanamento o di stabilire che una persona costituisce un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale nell’ambito del suo soggiorno, deve valutare la situazione individuale della persona interessata (sentenza Corte di Giustizia UE del 19 settembre 2013, Brey, C-140/12).

Secondo la Corte, però, in un caso come quello di cui trattasi, un esame individuale non è necessario poiché il sistema graduale di mantenimento dello status di lavoratore previsto nella direttiva sulla cittadinanza dell’Unione (sistema che mira a tutelare il diritto di soggiorno e l’accesso alle prestazioni sociali) prende esso stesso in considerazione diversi fattori che caratterizzano la situazione individuale del richiedente una prestazione. Inoltre, essa precisa che la questione della concessione delle prestazioni sociali rappresenta un “onere eccessivo” per uno Stato membro e, pertanto, va valutata a fronte della somma di tutte le eventuali domande individuali presentate.

 

Avv. Teresa Aloi, Foro di Catanzaro.

  

FONTI: www.curia.europa.euilquotidianodellapa.itdiritto24.ilsole24ore.com