A CURA DI

AVV. ANTONELLA ROBERTI

LA SOVRANITA’ EUROPEA E’ TORNATA DI ATTUALITA’: COSA E’ OGGI E COSA POTREBBE ESSERE IN FUTURO

Autore: Prof. Claudio De Rose, Direttore Responsabile e coordinatore scientifico

 

  1. Perché se n’è parlato di recente in sede politica.

 

Di sovranità europea ha parlato di recente il Presidente francese Emmanuel Macron perché la ritiene in pericolo, alla pari della democrazia e della fiducia. In questo discorso la sovranità ha il significato, essenzialmente politico, di un valore astratto da salvaguardare in rapporto ai fini concreti da raggiungere. Ed infatti, nella stessa occasione Macron ha detto che la sovranità europea va ricostruita entro dieci anni altrimenti l’Europa rischia lo smantellamento, mentre un’Europa rifondata secondo gli schemi della sovranità potrà difendersi ed esistere.

Tra i fatti che giustamente allarmano il Presidente francese rientrano le difficoltà che incontra l’Unione a far valere nei confronti degli Stati membri le sue scelte in vari settori e soprattutto in tema di immigrazione, di ammissione della Turchia, di contenimento dei deficit di bilancio, a proposito dei quali il Presidente francese ed altri leader europei, prima fra tutti la Cancelliera tedesca Angela Merkel, hanno in mente di istituire un ministro delle finanze europeo, sia pure limitatamente all’Eurozona, proprio per recuperare significativi spazi di sovranità.

Anche nel discorso sullo “Stato dell’Unione” per il 2017, pronunciato dal presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e del quale v’è notizia e commento in questo numero della Rivista, si prospetta, come obiettivo per il 2025 e quindi per un futuro non tanto lontano,  la costruzione di un’Unione più unita, più forte, più democratica e che goda della fiducia dei suoi cittadini. 

In questa impostazione politica si avverte l’intento, anche se non sempre esplicito e forse neanche basato su un sicuro convincimento, di evocare per l’Unione una nozione di sovranità che si avvicini di molto a quella classica, consistente in una pienezza assoluta di poteri che garantisce all’entità politica tanto il rispetto esterno, cioè da parte delle altre entità paritetiche e pari ordinate esistenti al di fuori del suo territorio, quanto il rispetto al suo interno, cioè da parte degli individui, dei gruppi e degli enti  che gravitano ed operano nel suo territorio, ai quali essa soltanto può attribuire o riconoscere potestà e diritti. 

 

  1. La sovranità dell’Unione europea allo stato attuale.

 

Ciò premesso, va verificato se la nozione di sovranità sopra richiamata si attagli in tutto o in parte all’Unione europea.

A tal fine, è opportuno ricordare che, in quella stessa nozione, la sovranità esterna trova fondamento nel diritto internazionale, quella interna nel diritto costituzionale, ma in entrambe le discipline l’entità di riferimento è lo Stato, del quale la sovranità è elemento identificativo, unitamente al popolo e al territorio.

La presenza di questi tre elementi costituisce, per il diritto internazionale, il presupposto per il riconoscimento dello Stato da parte delle altre entità statuali e quindi per l’esercizio della sovranità nel contesto dei rapporti esterni e, per il diritto costituzionale, il presupposto per l’esercizio, da parte dello Stato, della sovranità nei rapporti interni, e quindi per l’assoggettamento alla sua autorità di qualsiasi individuo, gruppo od ente operi sul suo territorio.

Ed è noto che questi criteri valgono anche nei riguardi delle Unioni e Confederazioni di Stati come per gli Stati a base federale, dal momento che anche per essi la pienezza dei poteri, che si è visto essere essenziale per la sussistenza e l’esercizio della sovranità esterna ed interna, è riferita ad un’entità politica unitaria, alla quale le entità politiche originarie hanno ceduta la loro sovranità, per cui essa, tanto sul piano internazionale quanto su quello interno, è dotata di una sovranità assoluta, non in concorrenza con le entità originarie.

Alquanto diversa è invece la situazione in cui versa l’Unione europea, allo stato attuale dei suoi rapporti con gli Stati membri.

Essa, fatti, non gode di una pienezza assoluta di poteri,né verso l’esterno né al proprio interno, pur essendo dotata di personalità giuridica in virtù dell’art.47 del Trattato istitutivo dell’Unione europea (TUE), nel testo modificato a Lisbona e pur essendo quindi un’entità sovranazionale, giuridicamente, oltre che politicamente, distinta dagli Stati membri.

In particolare, per quel che concerne l’esterno l’Unione è sì in grado di svolgere attività internazionale con effetti vincolanti per gli Stati membri secondo i principi e le norme della Politica estera e si sicurezza comune di cui al Titolo V del TUE, ma agli Stati membri non è preclusa la possibilità di svolgere, nel rispetto di tali principi e norme, attività internazionale e politica estera in autonomia e quindi la possibilità di far valere la propria sovranità originaria nei rapporti con gli Stati terzi.

E per quel che concerne l’interno, l’Unione è sì in grado di incidere sugli ambiti di sovranità degli Stati membri con atti normativi e con atti di indirizzo, coordinamento ed orientamento, ma gli Stati membri:

a) hanno facoltà di recesso dall’Unione senza andare incontro a sanzioni, né politiche né giuridiche (art.50 TUE), come conferma la Brexit;

b) anche in caso di accertata violazione da parte loro dei valori fondamentali dell’Unione, non possono essere espulsi dall’Unione, ma soltanto sospesi temporaneamente dall’esercizio di taluni diritti derivanti dai Trattati (art.7 TUE) e, in caso di mancato o errato adeguamento ai comandi normativi dell’Unione, possono essere assoggettati a sanzioni di ordine giuridico e/o economico, ma non di ordine politico-istituzionale;

c) conservano ampi ambiti di competenza e in base al principio di attribuzione spetta ad essi decidere se conferirli in tutto o in parte all’Unione (artt. 4 e 5 TUE), attraverso modifiche dei Trattati ed anche, occorrendo, con cessioni di sovranità;

Inoltre, i rapporti tra l’Unione e i cittadini europei di norma non sono diretti, ma si svolgono attraverso le autorità nazionali e non sulla base di atti dell’Unione che abbiano i cittadini stessi come destinatari immediati bensì sulla base di atti nazionali che recepiscono quelli europei.

Ne discende che la sovranità dell’Unione europea ha caratteristiche del tutto proprie, che non consentono di rapportarla alla nozione classica, la quale, come si è visto, ha punti di riferimento nelle entità statuali e in quelle ad esse similari.

In definitiva, l’Unione è dotata di pienezza dei poteri ma non in senso generale e assoluto, bensì in senso relativo e specifico, cioè con riferimento alle competenze attribuitele dai Trattati e ai “pezzi” di sovranità cedutile dagli Stati membri agli effetti dell’esercizio delle competenze medesime, al di là delle quali restano ferme le competenze statuali e la connessa sovranità (art.4, paragrafo 1 del TUE).

 

  1. I punti di debolezza emersi di recente: le loro possibili cause.

 

Stando alla conclusione a cui si è pervenuti in ordine alla natura e al modo di essere della sovranità europea, è da chiedersi se i punti deboli che essa ha mostrato negli ultimi tempi siano da attribuirsi al modo come è stata strutturata in rapporto alla concorrente sovranità degli Stati membri o se, invece, a metterla in difficoltà  sia stata una sorta di progressiva degenerazione della sua concezione originaria, causata da una serie concomitante di fattori, tra i quali l’eccessivo allargamento dell’Unione, il non facile impatto degli Stati membri con la globalizzazione dei mercati ed infine la crisi economico-finanziaria, che ne è derivata.

E’ probabile che entrambi i profili causali abbiano avuto un ruolo sull’indebolimento complessivo della sovranità europea. In ogni caso, è certo che entrambi sono venuti in evidenza di recente, alla prova dei fatti, quando l’Unione è stata messa di fronte alla necessità di prendere posizione in problematiche di estremo rilievo, quali la salvaguardia dell’euro, la disciplina bancaria, il terrorismo, l’immigrazione, che interessano tutti gli Stati membri ma non tutti allo stesso modo e con lo stesso orientamento, anche per quel che concerne l’atteggiamento da assumere nei riguardi della serpeggiante sfiducia populistica.

Il che spiega anche come possa essere accaduto che la sovranità dell’Unione, intesa come capacità di far valere le proprie posizioni, sia stata messa in forse, con effetti potenzialmente disgreganti, da singoli Stati o da gruppi di essi, come nel caso dell’ormai famoso gruppo di Visegrad, composto da Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia e Ungheria, che contesta un po' tutto quanto l’Unione ed altri Stati membri hanno deciso o hanno in animo di decidere per affrontare nel migliore dei modi l’immigrazione ed i problemi connessi. Contesta, in particolare, l’obbligo per gli Stati membri di ospitare ciascuno un certo numero di immigrati.

Meno netti, ma ugualmente insidiosi, sono i dissensinei confronti dell’Euro e delle regole di stabilità ed austerità che lo accompagnano, dissensi che non di rado trovano riscontro negli atteggiamenti ufficiali di questo o quel Governo.

Anche sul piano delle azioni esterne,risultano negativi, sotto il profilo del pieno esercizio della propria sovranità da parte dell’Unione,  i dissensi di taluni Stati membri in ordine agli atteggiamenti assunti o da assumere da parte dell’Unione nei riguardi dell’ammissione della Turchia, delle sanzioni alla Russia e del c.d. ttip, cioè del trattato tra Unione e Stati Uniti d’America sulla “transatlantic trade and investment partnership”.

Né mancano “insubordinazioni” con riferimento al modo di gestire il dopo Brexit ed anche con riferimento al silenzio diplomatico dell’Unione nei riguardi della contesa tra Catalogna e Madrid. A proposito di tale contesa, infatti, non è proprio certo che essa rimanga nei limiti di un puro fatto di politica interna, privo di ripercussioni sull’attuale assetto dell’Unione.

  

  1. Cosa fare per una sovranità europea più condivisa.

 

A fronte di questi accadimenti, non basta prenderne atto e affidarsi esclusivamente alle possibili soluzioni di ordine politico o agli esiti elettorali interni, ma sembra porsi, invece, la necessità di una verifica della tenuta dell’attuale assetto dei rapporti di sovranità tra l’Unione e gli Stati membri.

La verifica, naturalmente, non può prescindere dalla considerazione che l’assetto da monitorare rispecchia in pieno l’idea originaria che concepiva l’Europa unita come un’entità sovranazionale che non si sostituisse agli Stati nazionali e non si imponesse agli stessi se non nei limiti da essi consentiti, avvalendosi di una struttura istituzionale alla cui composizione e al cui funzionamento gli Stati membri contribuissero con continuità, implicitamente ribadendo il consenso iniziale e fatta sempre salva la loro libera facoltà di recesso.

Quest’idea originaria, come si sa, non ha uguali nella storia e non può sopravvivere se non rimanendo fedele a se stessa, cioè come l’hanno concepita i padri fondatori. Di ciò occorre tener conto agli effetti della verifica e quindi, ad esempio, è assolutamente da escludere che si possa sostituire l’attuale ripartizione della sovranità tra l’Unione e gli Stati con un modulo che preveda l’accentramento della sovranità nell’Unione o, viceversa, negli Stati, perché ciò significherebbe snaturare l’idea originaria e quindi ipotizzare un’Unione europea del tutto diversa dall’attuale.

Per gli stessi motivi, non è pensabile un’entità riconducibile alla formula dell’Unione tra Stati o a quella opposta dell’Alleanza permanente tra Stati o, infine, a qualcosa di simile all’ONU, che è essenzialmente una struttura di intermediazione politica, priva di sovranità e intesa a prevenire o a comporre i conflitti tra Stati o tra gli stessi e le organizzazioni ribelli, che ne rivendicano il potere.

D’altro canto, è innegabile che l’assetto dei rapporti di sovranità, che oggi sussiste tra l’Unione europea e gli Stati membri, si pone in diretta continuità con il precedente assetto comunitario, sostanzialmente del tutto simile ad esso, e quindi costituisce l’attuale configurazione istituzionale del processo di integrazione tra i popoli europei,partito da quell’idea originaria e incorporatosi nella formula comunitaria a partire dal 1957.

Di conseguenza, può con sicurezza affermarsi che si deve proprio al modo di essere dei rapporti di sovranità tra l’entità unitaria e gli Stati membri se, nei sessanta anni trascorsi dal suo inizio, l’unità dell’Europa ha prodotto frutti di assoluto rilievo, di cui la pacificazione incondizionata di un continente dedito per secoli, anche culturalmente, alle guerre, è l’esempio più noto.

Ma ve ne sono ben altri, su cui l’opinione pubblica e le sue fonti non si soffermano o  perché si tratta di argomenti che implicano conoscenze tecniche e specialistiche, ovvero perché, al contrario, si tratta di innovazioni di immediata visibilità ma che sono entrate ormai nel DNA di tutti i cittadini europei, per cui spesso non si sa o ci si dimentica che la loro presenza si deve all’unità dell’Europa e al suo modo di essere.

Ciò è quanto può dirsi per le regole della concorrenza e degli aiuti di Stato, per quelle del commercio e del settore agroalimentare, per la tutela del consumatore, per la liberalizzazione dei servizi di pubblica utilità, per la protezione dell’ambiente e del clima e per altri simili risultati della convivenza europea, i cui effetti nessuno pone in discussione perché palesemente utili e rassicuranti, tanto per gli operatori pubblici e privati quanto per i loro amministrati, i loro clienti o i loro utenti.

Ma sarebbe forse il caso di richiamare su questi meriti della sovranità europea l’attenzione dei cittadini e di chi, con la massima disinvoltura, propone di abbandonare l’Europa da un momento all’altro. La domanda da porre è se, oltre all’Europa, si intende anche abbandonare gli “europeismi” sostituendoli con anacronistiche regole nazionali: un problema di cui forse solo ora si accorgono i promotori della Brexit, e, d’altro canto, non si vede come sia possibile rimanere fedeli agli “europeismi” stando fuori dall’Unione e dai suoi contesti operativi interstatuali, ai quali gli “europeismi” stessi fanno capo.

Quanto agli effetti della convivenza europea la cui trattazione implica conoscenze tecniche e specialistiche, tra gli stessi certamente rientrano il diritto europeo con il suo rilevante ruolo di collante istituzionale, nonché l’euro tanto come strumento economico-monetario quanto come focus dell’Eurogruppo o, come anche si dice, dell’Eurozona.

Tra i due argomenti, quello più noto e più visibile è, naturalmente, l’euro, mentre il diritto europeo sfugge ai non addetti ai lavori perché è un bene immateriale, ma che tuttavia è presente, non solo nelle regole di quelle materie e di quei settori, che, come si diceva, sono ormai entrati nel DNA del cittadino comune, ma anche in una consistente parte delle leggi, degli atti giuridici, dei processi e delle sentenze degli Stati membri, nonché nel loro linguaggio giuridico e soprattutto nella mentalità dei giuristi nazionali.

In realtà, il diritto europeo - con il suo strumentario di fonti di produzione, di procedure interpretative e applicative, a livello amministrativo e giurisdizionale, tra cui in particolare il sistema giudiziario facente capo alla Corte di giustizia dell’Unione - ha contribuito e tuttora contribuisce in modo determinante al processo di integrazione e all’assetto dei rapporti di sovranità tra l’Unione egli Stati membri.

Quanto all’EURO, nonostante le critiche, non di rado preconcette, nei suoi riguardi e nei riguardi delle misure di sostegno allo stesso da parte della Commissione e della Banca Centrale Europea, resta pur sempre un’ardita ed efficace scelta istituzionale dell’Unione, in particolare della sua componente costituita dall’unione economica e monetaria, e di una parte dei suoi Stati membri, facenti parte dell’Eurogruppo.

L’Euro consente all’Unione, nel suo insieme di entità politica,di essere presente e vigile, attraverso la Banca Centrale Europea, sui mercati monetari e finanziari, con una rappresentatività molto più marcata di quella che potrebbero avere i singoli Stati membri.

Ne discende che l’attuale modello istituzionale dell’Unione e dei suoi rapporti di sovranità con gli Stati membri va conservato e salvaguardato da atteggiamenti disgreganti, nei cui riguardi, del resto, l’ordinamento dell’Unione appresta adeguati mezzi di difesa. Va, ad esempio, preso atto con soddisfazione che la Corte di giustizia, con sentenza della Grande Sezione del 6 settembre 2017 nelle cause riunite C-643/15 e C-647/15, ha dato la giusta e corretta risposta negativa alle pretese dei Paesi del Gruppo di Visegrad, alle quali si è accennato in precedenza, in particolare a quella di sottrarsi all’obbligo comune di ospitare un certo numero di migranti, sancito dal Consiglio nel 2015.

E qualora uno o più dei quattro Stati del gruppo non si adeguassero alla sentenza, sarebbe questa la buona occasione per esercitare la sovranità dell’Unione in un ambito di sua competenza attraverso il loro deferimento alla stessa Corte di giustizia, per ottenere a loro carico la sanzione consistente nel pagamento di una somma per ogni giorno di permanenza dell’infrazione. In questo caso, la misura sanzionatoria avrebbe una forte significatività sul piano dei rapporti di sovranità tra l’Unione e gli Stati membri.Naturalmente, lo stesso effetto avrebbe, e sarebbe auspicabile, un comportamento dei quattro Stati di spontaneo adeguamento alla sentenza dell’organo di giustizia dell’Unione. 

Nella stessa logica si inscrive il contrasto tra l’Unione e taluni Stati membri, tra cui l’Italia, che si appellano alla c.d. teoria dei “controlimiti”, in base alla quale uno Stato membro potrebbe opporre ai comandi normativi dell’Unione l’esistenza di fondamentali ed irrinunciabili diritti e principi dell’ordinamento interno, che agirebbero come limiti all’efficacia dei comandi medesimi nei confronti dello Stato.

In proposito, la Corte di giustizia ha sempre avuto un atteggiamento sostanzialmente negativo, ritenendo prevalente la supremazia assoluta e incondizionata del diritto dell’Unione, così implicitamente riaffermando la sovranità dell’Unione in un ambito di sua assoluta competenza, costituito dalla produzione di norme primarie per la regolazione della convivenza europea. E un aspetto di fondamentale rilevanza, su cui la Corte dovrà di nuovo pronunciarsi tra breve, in relazione ad una controversia che vede contrapposta l’Italia all’Unione sul tema dell’esistenza o meno dell’obbligo di attenersi ai termini prescrizionali di un reato di interesse europeo, fissati da una norma dell’Unione,che l’Italia assume essere confliggente con i suoi principi costituzionali in tema di tutela del diritto di difesa.

Trattandosi di un reato di estrema gravità, quale la frode fiscale ai danni dell’Unione, ma soprattutto trattandosi di una questione che tocca molto da vicino, per i motivi detti, la consistenza effettiva della sovranità europea, è auspicabile che la pronunzia della Corte sia confermativa del suo orientamento negativo nei riguardi dei “controlimiti”, posto che l’assetto dei rapporti di sovranità tra l’Unione e gli Stati membri ha poco da guadagnare dalle liti in famiglia e molto di più, invece, da una reciproca conoscenza, dell’Unione da una parte e degli Stati membri dall’altra, delle realtà su cui vanno ad  incidere gli atti di esercizio della sovranità medesima.

In questo spirito ed al fine di rilanciare l’unità dell’Europa  ripartendo dall’idea originaria, è certamente da caldeggiare al massimo il dialogo tra le istituzioni europee e quelle nazionali e non solo al fine di trovare le soluzioni tecniche ai problemi ma anche al fine di comprendersi a vicenda sui problemi medesimi e sulle possibili soluzioni, anche politiche, da promuovere a livello di Unione e, occorrendo, anche a livello nazionale.

E non è detto che gli unici in grado di impostare il dialogo siano i “burocrati”, i quali comunque non meritano le critiche di cui spesso sono oggetto, dovendosi anzi riconoscere agli stessi una elevata sensibilità nei riguardi dei problemi e delle varie sfaccettature che essi presentano.

In tema di dialogo, è altresì importante ricordare il Protocollo n.1, allegato al Trattato di Lisbona, avente per oggetto il ruolo dei Parlamenti nazionali nell’Unione europea, nel cui contesto vi sono, oltre alle norme sulla partecipazione dei Parlamenti nazionali alle procedure  della produzione normativa dell’Unione nella fase c.d. “ascendente”, anche altre importanti meccanismi di dialogo, tra i quali la consultazione dei Parlamenti da parte della Commissione in ordine ai libri verdi, ai libri bianchi e alle comunicazioni, che essa trasmette a tal fine subito dopo la pubblicazione e così pure per gli atti di programmazione legislativa o di strategia politica.

Si tratta, insomma, di una vera e propria miniera di possibili oggetti di dialogo politico, che però non risulta essere adeguatamente sfruttata dai Parlamenti nazionali. Né risulta che vi sia un particolare impegno da parte del Parlamento europeo e dei Parlamenti nazionali per un’applicazione costante e proficua della cooperazione interparlamentare prevista dagli articoli 9 e 10 del Protocollo in questione.

Non v’è dubbio che da un dialogo istituzionale continuo e senza remore e da una più attenta informazione dei cittadini europei deriverebbe una maggiore visibilità dell’Unione e dell’essenza della sua sovranità. E ne deriverebbe, altresì, una maggiore presenza sulla scena europea delle rappresentanze politiche di tutti gli Stati membri, cui conseguirebbe un’ampia base di riferimento delle scelte più importanti e decisive da parte dell’Unione, oggi lasciate ai due Paesi-guida, cioè alla Francia e soprattutto alla Germania.

In realtà, è proprio la presenza di questi Paesi-guida, che andrebbe messa in discussione o quantomeno attentamente verificata,perché non prevista dai Trattati né da essi implicitamente supportata: anzi, se si continuasse a consentire ai due Stati ampi spazi decisionali in ordine a come deve orientarsi l’Unione verso l’esterno ed al suo interno si potrebbero creare, per assurdo, problemi di identificabilità delle effettive fonti di riferimento della sovranità europea. Ed anche problemi di credibilità della stessa.

 

Autore: Prof. Claudio De Rose, Direttore Responsabile e coordinatore scientifico, già Presidente Onorario della Corte dei Conti.